Penale
Truffa aggravata e abuso di ufficio per il medico che esercita presso struttura pubblica e convince un paziente al ricovero presso una clinica privata. Cassazione – Sezione Seconda Penale – Sentenza 13 gennaio 2003 – 960/2003
Truffa aggravata e abuso di ufficio per il medico che esercita presso struttura pubblica e convince un paziente al ricovero presso una clinica privata
Cassazione – Sezione Seconda Penale
Sentenza 13 gennaio 2003
960/2003
Sentenza.
Presidente L. Varola – Relatore M. Massera
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 12.4.2001 la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara del 14.4.2000 che lo aveva assolto, dichiarava E. G. responsabile dei delitti di abuso di ufficio e di truffa aggravata, unificati dal vincolo della continuazione, per essersi fatto pagare mediante artifici e raggiri parcelle milionarie per prestazioni effettuate quale professionista privato nei confronti di pazienti da lui conosciuti perchè ricoverati presso la struttura pubblica di cui è dipendente e per l’effetto lo condannava alla pena condizionalmente sospesa di mesi sei di reclusione e L. 1.000.000 di multa, oltre all’interdizione dai pubblici uffici per anni uno.
La Corte territoriale affermava che il G. aveva dapprima rappresentato al paziente M. C. e ai suoi congiunti l’imminenza di un periodo inesistente e l’impossibilità di un ricovero tempestivo preso la struttura pubblica convincendoli ad eseguire gli esami più urgenti presso la clinica privata, di cui costoro prima ignoravano l’esistenza, poi aveva tentato di convincere i medesimi a scegliere la stessa clinica per un intervento chirurgico mediante la falsa spiegazione che la struttura pubblica al momento non disponeva di certe endoprotesi metalliche probabilmente necessarie.
Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi: 1) in primo grado il P.M. non ha contestato specifiche violazioni di legge o di regolamento, per cui in appello il ricorrente ha dovuto difendersi da plurime violazioni di legge mai specificate e diversamente prospettate dalla parte civile e dal Procuratore Generale, mentre la Corte di Appello ha raffigurato un fatto diverso rispetto alla vocatio in iudicium; 2) la motivazione della sentenza impugnata è illogica e insufficiente con riferimento alla valutazione delle risultanze processuali, ha omesso di esaminare alcune molto importanti, ha estrapolato il contenuto di parte di altre deposizioni testimoniali, non ha dato alcun credito alla tesi difensiva; 3) ha erroneamente applicato l’art. 14 D.P.R. 128/69 circa il dovere di fedeltà della P.A. cui è tenuto il pubblico impiegato; 4) ha illogicamente motivato con riferimento all’ingiusto vantaggio attribuito al G. per la consulenza prestata nella clinica privata e alla sussistenza del dolo intenzionale; 5) è manifestamente lacunosa la motivazione con riferimento alla condotta induttiva che la Corte territoriale ha attribuito all’imputato.
Motivi della decisione
Osserva preliminarmente la Corte che non sussiste alcuna delle ipotesi che, a norma dell’art. 129 c.p.p., impongono l’immediato proscioglimento nel merito dell’imputato.
Infatti il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato. ì vero che il capo di imputazione è stato formulato in base al testo dell’art. 323 c.p. vigente all’epoca dei fatti e dell’apertura del procedimento penale e che non è stato modificato dopo la riforma della norma incriminatrice conseguente all’entrata in vigore della Legge n. 234 del 1997, ma è ugualmente vero che tale modifica non era affatto necessaria, unica conseguenza dell’entrata in vigore della nuova normativa essendo l’applicabilità della norma più favorevole all’imputato.
D’altra parte anche dopo l’entrata in vigore della citata modifica non è richiesta la specifica indicazione nel capo d’imputazione delle norme che l’accusa ritiene essere state violate, essendo sufficiente che la descrizione del fatto consenta all’imputato di conoscere la contestazione e di predisporre la propria difesa. E nella specie è indubbio che il G. è stato in grado di difendersi compiutamente sia avanti al Tribunale, sia nel giudizio di appello.
Del resto la Corte territoriale ha individuato le violazioni di legge con riferimento al dovere di fedeltà alla P.A. e al mancato apprestamento del ricovero del paziente presso altra struttura pubblica proprio sul paradigma del capo di imputazione che contestava al G. di avere fatto ricoverare presso una clinica privata il paziente proveniente dalla struttura pubblica da cui egli dipende e nel non essersi attivato nell’ambito della medesima struttura pubblica al fine di consentire l’immediato intervento.
Con riferimento al secondo motivo è opportuno premettere che il sindacato di legittimità sul vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione è circoscritto al riscontro di un logico apparato argomentativo sui ponti della decisione impugnata, perchè il legislatore non ha previsto la verifica dell’adeguatezza delle argomentazioni di cui al giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, nè la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. Un. n. 6402 del 1997).
Di conseguenza il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. Sez. Un. n. 930 del 1996).
Infine, come risulta dal chiaro testo della norma invocata dallo stesso ricorrente (art. 606 lett. e c.p.p.), la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato, sicchè dedurre tale vizio in sede di legittimità significa dimostrare che detto testo è manifestamente carente di motivazione e/o di logica e non già opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Cass. Sez. Un. n. 16 del 1996).
La censura in esame, dopo avere ricostruito il fatto storico all’origine della imputazione, prende in esame la valutazione che la Corte di Appello ha effettuato delle disposizioni testimoniali per inferirne che non ha preso in considerazione risultanze processuali molto importanti al fine di valutare in concreto l’eventuale illiceità delle condotte poste in essere dal G. e puntualmente poste alla sua attenzione in un’apposita memoria scritta, quali la lunghezza delle liste di attesa, il problema collegato della disponibilità di posti letto, la diagnosi clinica e strumentale necessaria per fondare una richiesta di ricovero d’urgenza.
Ma queste argomentazioni, vagliate alla stregua dei principi sopra precisati, sono prive di pregio.
La sentenza impugnata conferisce determinante rilievo alla originaria diagnosi di urgenza (non smentita) effettuata dallo stesso G. per trarne la logica conseguenza che tale diagnosi, che solo i successivi accertamenti avrebbero potuto definitivamente confermare, smentisce la successiva tesi dell’imputato in ordine all’assenza dei presupposti per un ricovero urgente e, nel contempo, supera il problema della lunghezza delle liste di attesa per gli accertamenti strumentali. E’ ovvio, infatti, che uno stato di pericolo attuale costituisce una situazione di emergenza che rende doveroso il ricovero immediato per procedere ad accertamenti tempestivi, eventualmente costringendo ad ulteriori attese pazienti le cui condizioni siano meno pressanti, e, nel caso, al tempestivo intervento chirurgico. La circostanza che il C. subì effettivamente l’operazione per l’occlusione della carotide venti giorni dopo la prima diagnosi conferma l’urgenza del ricovero e della esecuzione degli accertamenti clinici e strumentali.
Il giudice di merito ha esaminato e vagliato in modo critico le risultanze processuali argomentatamente disattendendo le diverse affermazioni del Tribunale e respingendo le tesi difensive.
Le prospettazioni avanzate dal G. in questa sede offrono una ricostruzione della vicenda senz’altro logica, ma non colgono il fine perseguito perchè non scalfiscono la logicità e adeguatezza delle valutazioni della Corte di Appello e, quindi, la sua ricostruzione di fatti e comportamenti.
Quanto al terzo motivo, è sufficiente ribadire che nel corso della prima visita lo stesso G. riferì alla figlia del paziente che la patologia da lui rilevata poteva comportare un ictus in tempi brevi. In tale situazione, quando il paziente tornò tre giorni dopo per ricoverarsi, il G. avrebbe dovuto per le vedute ragioni disporne il ricovero immediato e, ove questo fosse stato assolutamente impossibile per carenza di letti, avviare il paziente presso altra struttura ospedaliera disponibile, anzichè consigliargli una serie di esami da effettuare in una struttura privata.
Correttamente, dunque, la sentenza impugnata ha individuato nel suo comportamento la violazione di doveri professionali normativamente definiti.
Anche il quarto motivo attiene al vizio di motivazione, quindi va esaminato tenendo conto dei limiti sopra precisati.
Quanto al vantaggio patrimoniale ingiusto, la considerazione che la Corte l’abbia ravvisato in base alla sola testimonianza della figlia del paziente non inquina la statuizione. Si verte, infatti, in tema di valutazione dell’attendibilità di una fonte di prova e della rilevanza della medesima. Non vi sono elementi che inducano a dubitare della credibilità della teste e delle sue affermazioni.
Inoltre la Corte di Appello ha escluso con motivazione congrua e logica che la somma corrisposta al G. fosse giustificabile ad altro titolo (quale compenso per una consulenza).
Quanto al dolo, anche la relativa affermazione si basa sulla valutazione delle risultanze processuali e in particolare sulla rilevanza di una dichiarazione scritta che secondo la Corte territoriale il G. avrebbe fatto predisporre dal paziente, articolandola in due parti, la prima non corrispondente alla reale volontà del medesimo, la seconda pretestuosa, al fine di precostituirsi la prova della spontaneità del dirottamento dalla struttura pubblica a quella privata.
Anche a tale proposito il ricorrente propone una sua lettura degli avvenimenti, ma ancora una volta le sue argomentazioni non inficiano quella offerta dalla sentenza.
Il quinto motivo attiene alla condotta induttiva individuata dalla Corte territoriale nella mancanza di alternativa rispetto al prospettato ricovero in clinica privata.
Il ricorrente assume che simile laconica prospettazione è inidonea ad integrare gli estremi di una condotta induttiva posta in essere mediante artifici e raggiri.
Prendendo ancora una volta spunto dalla diagnosi iniziale, osserva il Collegio che la manifestazione della necessità di accertamenti e interventi tempestivi unita a quella dei lunghi tempi della struttura pubblica, accompagnata dal diniego della possibilità di sollecito ricovero presso di essa, costituisce un argomento certamente idoneo ad indurre la parte interessata (e gravemente preoccupata per un possibile esito letale) ad accettare la prospettazione dell’imputato di ricorrere alla struttura privata.
Il ricorso è dunque infondato, ma nella specie ricorre una delle ipotesi previste dal 2° comma dell’art. 129 c.p.p. Infatti i delitti ascritti al G. sono stati commessi fino al 9.11.1993, per cui, a norma degli artt. 157 e seguenti c.p., si sono prescritti come ritenuti, il 9.5.2001.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.