Enti pubblici
TAR del Lazio, Sezione I, sentenza n. 1571/2003: gli alloggi pubblici non possono essere utilizzati diversamente dalla loro destinazione originaria, cedendoli per esempio ai profughi.
TAR del Lazio, Sezione I, sentenza n. 1571/2003: gli alloggi pubblici non possono essere utilizzati diversamente dalla loro destinazione originaria, cedendoli per esempio ai profughi.La disciplina che regola l’edilizia residenziale pubblica, infatti, è diversa da quella che regola gli immobili costruiti per i profughi.
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione I, sentenza n. 1571/2003
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO- SEZIONE I -composto dai Signori:
DOTT. CORRADO CALABRÒ, Presidente;
DOTT. EUGENIO MELE, Consigliere;
AVV. CARLO MODICA DE MOHAC, Consigliere – estensore.
ha pronunziato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso n. reg. gen. 5948-2002, proposto dalla AGENZIA TERRITORIALE PER LA CASA DELLA PROVINCIA DI TORINO, in persona del presidente e legale rappresentante pt., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Angelo Clarizia e dall’Avv. Prof. Giuseppe Di Chio, unitamente al quale elegge domicilio presso lo studio del primo, in Roma, Via P.ssa Clotilde n.2;
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente del Consiglio in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la cui sede, in Roma, Via dei Portoghesi n.12, è ex lege domiciliato;
e nei confronti- del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;
del Ministero dell’Interno, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;- della Regione Piemonte in persona del Presidente p.t., non costituitosi in giudizio;
dei Sig.ri S. M. e D. A., non costituitisi in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione
della direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 21.2.2002 (pubblicata in G.U.R.I. del 5.3.2002) in materia di “cessione di alloggi ai profughi di cui alla legge 4 marzo 1952 n.137, in applicazione dell’art.45, comma 3, della legge 23 dicembre 2000 n.388;- della ivi richiamata Circolare prot. DICA/5075/III/19.10.1961 del 18.5.1999;
di ogni atto presupposto, conseguente o comunque connesso.Visti gli atti depositati dalla Agenzia ricorrente;visti gli atti di costituzione in giudizio e la memoria delle Amministrazioni statali resistenti;preso atto della mancata costituzione in giudizio degli altri intimati;visti gli atti tutti della causa;designato relatore il Consigliere Avv. Carlo Modica;uditi, alla pubblica udienza del 16.10.2002, l’Avv. S. Rostagno in sostituzione dell’avv. A. Clarizia per la ricorrente, e l’Avvocato dello Stato Barbieri per le Amministrazioni statali costituitesi;ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con ricorso notificato il 4.5.2002 e depositato il 27.5.2002 l’AGENZIA TERRITORIALE PER LA CASA DELLA PROVINCIA DI TORINO (d’ora innanzi denominata semplicemente ATC) impugna i provvedimenti indicati in epigrafe, esponendo quanto segue.L’ATC è gestore di alloggi del Ministero delle Finanze realizzati ai sensi della L. n.137/1952 (c.d. “legge sull’assistenza a favore dei profughi”) e di altre leggi in favore di categorie di soggetti bisognosi (DLCPS 10.4.1947 n.261 recante disposizioni per i soggetti “rimasti senza tetto in seguito ad eventi bellici” e L. 9.8.1954 n.640 recante “provvedimenti per l’eliminazione delle abitazioni malsane”); nonché proprietaria, in qualità di “ex IACP” di alloggi di “edilizia residenziale pubblica” (ERP).A seguito della entrata in vigore della L. 24.12.1993 n.560 (“norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”), taluni “profughi” chiedevano (ai sensi dell’art.1 della stessa) la cessione in proprietà delle case che erano state loro assegnate in uso.In ordine alla determinazione del prezzo di vendita sorgeva, però, contrasto fra la Corte dei Conti e il Ministero delle Finanze.Quest’ultimo riteneva, infatti, che il prezzo dovesse essere fissato alle condizioni di miglior favore stabilite dalla L. 560/1993; e non, invece, assumendo come parametro di riferimento il costo effettivo e totale sopportato per la costruzione degli alloggi realizzati, per i profughi, in forza della L.n.137/1952.
Ma secondo l’ATC applicando tale criterio il prezzo di vendita si rivelava irrisorio.Successivamente, con circolare prot. 5075/111/19.10.61 del 18.5.1999 la Presidenza del Consiglio affermava che mediante versamento del predetto prezzo “di favore” sarebbero cedibili ai profughi,:
non soltanto gli alloggi realizzati per loro ai sensi ed in applicazione della L. n.137 del 1952;
ma qualsiasi alloggio, pur se realizzato in attuazione di leggi diverse, di cui i profughi risultino comunque “assegnatari”.Senonchè, l’applicazione di tale principio – peraltro contrastante con l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (Cfr.: pareri C.S., II^, del 30.5.1990 n.502) e dalla giurisprudenza (Cass. 4.4.1998 n.3484; id. 13.12.1999 n.13949) – avrebbe ulteriormente gravato l’ATC; la quale, conformandovisi, avrebbe dovuto:- non soltanto cedere gli alloggi (dei quali ha la gestione) a prezzo irrisorio;- ma cedere anche quelli (di sua proprietà) che secondo le leggi di settore (in forza delle quali erano stati costruiti) non erano destinati ai profughi, sottraendoli in tal modo alla loro originaria finalità istituzionale e determinando un ingiusto ed ingiustificabile depauperamento del proprio patrimonio.
Con delibera n.61 del 29.11.2000, l’ATC sospendeva, pertanto, le cessioni in proprietà.Ma con nota del 13.8.2001, l’Agenzia del Demanio (del Ministero delle Finanze) comunicava la sua intenzione di riattivare i relativi procedimenti.Con nota del 28.8.2001, l’ATC chiedeva, allora, di attendere il parere che nel frattempo era stato chiesto al Consiglio di Stato sia in ordine alla questione dell’ambito di applicazione del comma 3° dell’art.45 della L. 23.12.2000 n.388 (che disciplina la proroga dei termini per la domanda di cessione degli alloggi), sia – ciò che più interessa, per la evidente connessione, ai fini della risoluzione della controversia in atto – proprio in ordine alla questione della estendibilità delle condizioni di miglior favore contemplate dall’art.1, comma 24°, della L. 24.12.1993 n.560 anche ai profughi giuliano-dalmati (norma che prevede, tramite un rinvio all’art.26 del D.P.R. 17.1.1959 n.2, come modificato dall’art.14 della L. 27.4.1962 n.231, che la determinazione del prezzo di vendita risulti pari al 50% del costo originario di costruzione).
Con parere n.869/2001 il Consiglio di Stato respingeva la interpretazione sostenuta dal Ministero delle Finanze, affermando “la sostanziale differenziazione e separazione di disciplina tra il regime da applicare agli immobili di edilizia residenziale pubblica a carattere generico e gli immobili con specifica destinazione ai profughi giuliano-dalmati”.
Cionondimeno, con la direttiva del 5.3.2002 la Presidenza del Consiglio imponeva di applicare l’art.1, comma 24°, della L. n.560 del 1993 (“norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica”) anche in difetto delle condizioni soggettiva (consistente nella circostanza che l’assegnatario-richiedente rivesta formalmente la qualità di “profugo”) ed oggettiva (consistente nella circostanza che l’alloggio sia stato realizzato allo specifico fine di essere destinato a profughi), originariamente stabilite dalla L. n.137/1952.Ritenendo che tale disposizione sia lesiva del suo patrimonio ed illegittima sotto vari aspetti, l’ATC la ha impugnata, unitamente agli atti ad essa consequenziali e connessi, e ne chiede l’annullamento. Lamenta al riguardo:
violazione dell’art.117 della Costituzione, violazione della L. Regione Piemonte 28.3.1995 n.46 [1], ed eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta, deducendo che la direttiva impugnata si è ingerita nell’ambito di competenza legislativa delle Regioni;
violazione dell’art.42 della Costituzione, ed eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica, deducendo che la direttiva si traduce: a) “nell’ordine di applicare le c.d. condizioni di miglior favore di cui all’art.1, comma 24 della L. n.560 del 1993 (…) anche nel caso di richiesta di acquisto da parte di profughi di beni immobili di proprietà” dell’ATC”; b) e, dunque, nella imposizione di un gravissimo sacrificio per l’Ente, il quale viene così costretto a dismettere il suo patrimonio (per un prezzo del irrisorio e senza alcun indennizzo), e viene così ingiustamente privato dei mezzi per lo svolgimento dei suoi scopi istituzionali;
violazione dell’art.1, comma 24°, della L. 24.12.1993 n.560, dell’art.1 ss. della L.4.3.1937 e dell’art.34 L.26.12.1981 n.763 [2]; violazione degli art.2, 3 e 14 delle disposizioni sulla legge i generale; nonché eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifesta e per carenza assoluta di potere, deducendo che erroneamente la direttiva impugnata ha ritenuto che unico requisito per l’ottenimento della cessione in proprietà dell’alloggio sia quello del possesso, da parte dell’assegnatario-richiedente, della sua qualità di “profugo” (esclusa, cioè, qualsiasi considerazione in ordine all’originario regime di destinazione dell’immobile ed alla finalità specifica per la quale è stato realizzato);
violazione dell’art.1, comma 24°, della L. n.560 del 1993 [3], dell’art.45 della L. 23.12.2000 n.388 [4], dell’art.1 ss. della L.9.8.1954 n.640 e dell’art.14 delle disposizioni sulla legge in generale, nonché eccesso di potere per sviamento, deducendo che anche la Corte di Cassazione ha ritenuto che la normativa sulla cessione in proprietà a profughi di alloggi pubblici può essere applicata esclusivamente agli immobili costruiti al precipuo scopo di essere destinati ad essi;
violazione dell’art.45 della L. 23.12.2000 n.388 e dell’art.14 delle disposizioni sulla legge in generale, nonché eccesso di potere per illogicità manifesta perchè erroneamente la direttiva ha utilizzato una norma eccezionale (l’art.45, comma 3°, della legge finanziaria 23.12.2000 n.388, in tema di cessione in proprietà di alloggi di edilizia residenziale pubblica statale nella sola Regione Friuli-Venezia Giulia) per estendere il campo di applicazione di un’altra norma parimenti eccezionale (l’art.1, comma 24°, della L. n.560 del 1993, che consente la vendita); ciò che costituisce un’operazione ermeneutica non corretta;
violazione dell’art.3 della Costituzione, e degli artt.1 ss. della L. 26.12.1981 n.763 ed eccesso di potere per sviamento, deducendo che la direttiva impugnata altera le condizioni stabilite dal legislatore per il riconoscimento della qualità di “profugo”, introducendo un regime agevolativo non contemplato dalla normativa di rango superiore;
violazione degli artt. 1 ss. della L.26.12.1981 n.763, nonché eccesso di potere sotto altro profilo, deducendo che la direttiva impugnata ha esteso indebitamente agli eredi dei profughi la possibilità di chiedere la cessione in proprietà degli alloggi, introducendo anche per tale aspetto un regime agevolativo non contemplato dalla normativa di rango superiore.Ritualmente costituitasi, con memoria depositata il19.6.2002, l’Amministrazione resistente ha eccepito l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso chiedendone il rigetto con vittoria di spese.Con memoria depositata il 5.10.2002 l’ATC ha controdedotto concludendo per l’accoglimento del ricorso.Infine, all’udienza del 16.10.2002, uditi i Procuratori delle parti, i quali hanno insistito nelle rispettive richieste, deduzioni ed eccezioni, la causa è stata posta in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
L’eccezione preliminare sollevata dall’Avvocatura Generale, secondo cui la ricorrente difetterebbe di interesse a sindacare un atto di coordinamento interpretativo diretto al comparto Governo – Pubbliche Amministrazioni (e non alla generalità dei consociati), non è condivisibile.Il contenuto dispositivo e l’efficacia obbligatoria della direttiva incidono direttamente sulla posizione giuridica soggettiva della ricorrente, la quale – per evitarne gli effetti pregiudizievoli – ha pertanto interesse ad impugnarla, non potendo altrimenti disattenderla.
Con il primo motivo di gravame, la ricorrente ATC lamenta violazione dell’art.117 della Costituzione, incompetenza, violazione della L. Regione Piemonte 28.3.1995 n.46, ed eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta, deducendo che la direttiva impugnata si è indebitamente ingerita nell’ambito di competenza legislativa riservata alle Regioni La doglianza appare condivisibile.La direttiva impugnata assoggetta anche alloggi di edilizia residenziale pubblica (s’intende: semprecchè già assegnati a profughi), alla disciplina stabilita dall’art.1, comma 24°, della L. n.560 del 1993 (in tema di cessione in proprietà, a condizioni di miglior favore, degli alloggi costruiti ex L.n.137/1952 per i profughi).Estende, cioè, ad alloggi di edilizia residenziale pubblica una disciplina di settore diversa.E poiché l’art.117 della Costituzione (nuovo stile) ha devoluto alle Regioni la potestà legislativa in ogni materia non espressamente riservata allo Stato, e dunque anche nella materia della c.d. edilizia residenziale pubblica, è evidente che la direttiva impugnata ha invaso – con uno strumento normativo certamente inidoneo (per la sua posizione nel sistema delle “fonti”) a determinare deroghe alla legislazione regionale o vincoli all’attività regionale di indirizzo politico e di governo – un’altrui sfera di competenza costituzionalmente garantita. Essa si appalesa pertanto illegittima: – tanto laddove pretenda di introdurre vere e proprie deroghe a leggi regionali che, come la L. Regione Piemonte 28.3.1995 n.46 (come modificata dalla legge regionale 3.9.2001 n.22), abbiano già espressamente sancito l’esclusione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica dallo spettro di operatività della L.n.560/93; – quanto laddove pretenda di modificare innovativamente ed unilateralmente interpretazioni (anche giurisprudenziali) ormai pacifiche – costituenti, dunque, jus vivente – della normativa sull’edilizia residenziale pubblica ormai di competenza delle Regioni.Sicchè, considerato che secondo un principio giurisprudenziale costituente ormai jus receptum nell’ordinamento, il corpus normativo che disciplina l’edilizia residenziale pubblica si risolve in un regime speciale, autonomo e differente rispetto ai regimi giuridici concernenti l’”edilizia in favore dei profughi” o altre categorie protette, ne risulta l’illegittimità della pretesa di estendere al primo, mediante semplice direttiva, norme proprie di questi ultimi
.1.3. Con il secondo, terzo e quarto motivo di gravame – che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro connessione logico-argomentativa – la ricorrente lamenta violazione di legge (nella specie: art.42 Cost.; art.1, co 24°, L.n.560/1993; art.34 L.n.763/1981; art.1 ss. L.n.640/1954; art.45 L.n.388/2000; artt.2, 3 e 14 disp. prel. c.c.), ed eccesso di potere sotto svariati profili, deducendo:- che la direttiva si traduce nella illegittima imposizione di un gravissimo sacrificio per l’Ente stesso, il quale viene costretto a dismettere il patrimonio di sua proprietà (per un prezzo irrisorio e senza indennizzo), e così ingiustamente privato dei mezzi per lo svolgimento dei suoi scopi istituzionali; – che erroneamente la direttiva impugnata ha ritenuto che unico requisito per l’ottenimento della cessione in proprietà dell’alloggio sia quello del possesso, da parte dell’assegnatario-richiedente, della sua qualità di “profugo” (esclusa, cioè, qualsiasi considerazione in ordine al regime giuridico e di originaria destinazione dell’immobile ed alla finalità per la quale è stato realizzato); – e che anche la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato hanno ritenuto che la normativa sulla cessione in proprietà di alloggi pubblici ai profughi può essere applicata esclusivamente agli immobili costruiti al precipuo scopo di essere destinati ad essi. La doglianza merita accoglimento.
1.3.1. La direttiva impugnata obbliga la ricorrente a cedere in proprietà: – non solamente gli alloggi di proprietà del Ministero delle Finanze che essa ha solamente “in gestione” ai sensi della L.4.3.1952 n.137 e succ. modifiche ed integrazioni (sull’”assistenza a favore dei profughi”) o del DLCPS 10.4.1947 n.261 (sull’assistenza ai “senza tetto in seguito ad eventi bellici”), o, infine, della L.9.8.1954 n.640 (sull’assistenza ai residenti in abitazioni malsane”); – ma anche alloggi che sono di sua esclusiva proprietà, in ragione della sua qualità di Ente subentrato all’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Torino; ed in forza della normativa di settore che ne ha disciplinato il trasferimento delle funzioni e del patrimonio per la realizzazione di ben precisi obiettivi istituzionali.Il contenuto dispositivo della direttiva impugnata contrasta, dunque, con le finalità poste da un intero corpus normativo; da una intera legislazione di settore ancora vigente.Ed invero non v’è chi non veda come l’applicazione della predetta direttiva condurrebbe in breve tempo alla dissoluzione dell’intero patrimonio dell’Ente, dal che deriverebbe la impossibilità per lo stesso di continuare a perseguire le finalità istituzionali ad esso affidate dalla legge (ciò che determinerebbe, in ultima analisi, il presupposto per la sua soppressione). La illegittimità della direttiva appare, dunque – ictu oculi – evidente, non essendo revocabile in dubbio che essa incide negativamente, extra ordinem, sulla gestione e sul bilancio di un patrimonio di un Ente che gode di margini di autonomia e di discrezionalità ad esso attribuiti direttamente dalla legge, e dunque certamente non comprimibili se non con idonei strumenti normativi (atti legislativi o funzionalmente equiparati).
1.3.2. Per il resto, l’illegittimità dell’operazione ermeneutica volta ad “assoggettare” gli alloggi di edilizia residenziale pubblica alla medesima normativa che regola gli alloggi per i profughi – equiparando il regime giuridico delle due differenti categorie di beni immobili e sottraendo i primi dallo loro originaria destinazione e finalità – è agevolmente desumibile da vari precedenti pronunciamenti sia della Corte di Cassazione che, in sede consultiva, del Consiglio di Stato.Al riguardo è stato infatti già affermato:- che “i nuovi e più rigorosi criteri per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (…) non sono applicabili alla cessione degli alloggi realizzati a beneficio dei “profughi” (…) che continua, quindi, ad essere regolata da quelli fissati dal D.P.R n.2 del 1959. così come modificato dalla L. n.231 del 1962″ (Cass.4.4.1998 n.3484);- che “le norme che prevedono provvidenze in favore dei profughi trovano la loro ragion d’essere nella tutela di esigenze diverse da quelle che riguardano i programmi e il coordinamento dell’edilizia pubblica residenziale” (Cass. 25.1.1989 n.419); che “non è possibile assimilare in un’unica categoria gli assegnatari di alloggi di proprietà dello Stato o di Enti pubblici, dal momento che gli alloggi costruiti per soddisfare esigenze abitative di coloro che sono in possesso della qualifica di “profugo” sono oggetto di una disciplina diversa da quella stabilita, in via generale, per i soggetti ammessi a beneficiare degli interventi di edilizia residenziale pubblica” (Cass. 4.4.1998 n.3484); e che “proprio in ragione di tale diversità deve ritenersi che i nuovi (e più rigorosi) criteri per la determinazione del prezzo di cessione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (…) non siano applicabili alla cessione degli alloggi realizzati a beneficio dei “profughi” a norma dell’art.18 della legge 4 marzo 1952 n.137 (…)” (Cass. 4.4.1998 n.3484);- che “tutti i criteri ermeneutici concorrono ad affermare che la disposizione dell’art.1, comma 24, della L. 24.12.1933 n.560 deve essere interpretata nel senso che hanno diritto a beneficiare delle condizioni di miglior favore contenute nell’art.26 delle norme approvate con D.P.R. 17.1.1959 n.2 (…) unicamente i profughi assegnatari di alloggi costruiti ai sensi degli artt.18 ss. della L. 4.3.1952 n.137 (…)” (Cass. 13.12.1999 n.13949);- che “già la diversità oggettiva tra alloggi costruiti a totale carico dello Stato ed alloggi costruiti con il suo concorso o con il suo contributo giustifica di per sé la differente disciplina legislativa” (Cass., 10.8.1992 n.9457);- che anche la ratio della normativa sui canoni “non consente di poter assimilare tutti gli alloggi di proprietà pubblica: quelli che sono stati costruiti per soddisfare le esigenze abitative (non della generalità dei cittadini, ma) delle particolari categorie di persone beneficiate dalle (…) leggi del 1947, 1952 e 1954 (id est: “profughi”, “senza tetto”, “residenti in abitazioni malsane”. NdR) non possono essere distratti ad altri fini …” (C.S., II^, parere 30.5.1990);- e che va affermata “la sostanziale differenziazione e separazione di disciplina tra il regime da applicare agli immobili di edilizia residenziale pubblica a carattere generico e gli immobili con specifica destinazione ai profughi giuliano-dalmati” (C.S., I^, parere n.869 del 29.8.2001).Poiché, dunque, il principio unanimemente riconosciuto è quello secondo cui gli immobili costruiti per una finalità specifica non possono essere distratti dalla loro originaria destinazione, né gestiti con criteri ed obiettivi diversi da quelli per essi fissati dalla normativa di settore che li concerne, è evidente che gli edifici di edilizia pubblica residenziale non possono essere assoggettati al regime di gestione e di cessione in proprietà proprio di altri alloggi (realizzati per finalità diverse).
Con il sesto e settimo motivo di gravame, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro connessione argomentativa, la ricorrente lamenta violazione dell’art.3 della Costituzione, e degli artt.1 ss. della L. 26.12.1981 n.763 ed eccesso di potere per sviamento, deducendo che la direttiva impugnata altera le condizioni stabilite dal legislatore per il riconoscimento della qualità di “profugo” ed estende indebitamente agli eredi dei profughi la possibilità di chiedere la cessione in proprietà degli alloggi, introducendo così un regime agevolativo non contemplato dalla normativa di rango superiore.La doglianza merita accoglimento.
1.4.1. La direttiva impugnata accorda la possibilità a coloro che non hanno mai chiesto (o chiesto per tempo) la formale certificazione della qualità di profugo, di essere parificati a coloro che la hanno regolarmente chiesta ed ottenuta.Tale possibilità si risolve in una riapertura di termini scaduti ed in una sostanziale “sanatoria” non sancita nè autorizzata da alcuna legge (o provvedimento regolamentare autorizzato, ad effetto equivalente).E poiché la L. n.763 del 1981 stabiliva le modalità procedimentali ed i termini perentori per ottenere il riconoscimento della qualità di profugo, è evidente che la disposizione della direttiva impugnata ha derogato, in assoluta carenza di potere, a tale normativa di rango superiore.
1.4.2. La direttiva consente, inoltre, agli eredi dell’assegnatario deceduto senza aver illo tempore chiesto tempestivamente il formale riconoscimento della qualifica di profugo, di ottenerla “essi stessi” in luogo del diretto interessato, ed “ora per allora”.Anche per tale disposizione valgono, evidentemente, le medesime osservazioni di cui sopra.2. In considerazione delle superiori osservazioni, il ricorso va accolto con conseguente annullamento, per quanto di ragione, dei provvedimenti impugnati.Si ravvisano giuste ragioni per compensare le spese
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. I^, accoglie il ricorso indicato in epigrafe; ed annulla -per l’effetto e per quanto di ragione- i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese fra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 16.10.2002.
IL PRESIDENTE
L’ESTENSORE
Depositata in Segreteria il 26 febbraio 2003