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Sistema del ballottaggio per l’ elezione del Sindaco. I dubbi di costituzionalità del TAR Abruzzo. 466 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2004.
Sistema del ballottaggio per l’elezione del Sindaco. I dubbi di costituzionalità del TAR Abruzzo
. 466 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2004.
Ordinanza emessa il 29 gennaio 2004 dal tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara sul ricorso proposto da Grosso Felice Antonio ed altri contro Comune di Pescara ed altri Elezioni – Elezioni dei consigli comunali (nella specie: consiglio comunale di Pescara) – Turno di ballottaggio e voto disgiunto – Sindaco espresso da una componente di un raggruppamento elettorale diverso da quello che abbia ottenuto la maggioranza assoluta di voti validi al primo turno – Attribuzione del premio di maggioranza Esclusione – Conseguente pericolo di ingovernabilita’ dell’ente locale – Irragionevolezza – Incidenza sui principi di imparzialita’ e buon andamento della Pubblica Amministrazione. – D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 73, nn. 7 e 8. – Costituzione, artt. 3 e 97. (GU n. 18 del 5-5-2004)
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 395 del 2003,
proposto da Grosso Felice Antonio, Cetrullo Erminio, Lepore Michele,
Masci Carlo, Diodoro Alessandro, Lino Augusto, Govini Antonio,
D’Ascanio Gian Franco, Di Campli Donato, Maglia Guido, Grossi
Giuliano, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Franco Gaetano
Scoca, Marcello Russo e Manuel De Monte, presso il secondo ed il
terzo elettivamente domiciliati in Pescara, via Colonna n. 31;
Contro il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato e difeso dall’avv. Paola Di Marco ed elettivamente
domiciliato in Pescara, presso la residenza comunale;
E nei confronti di:
Di Marco Michele, rappresentato e difeso dall’avv. Tommaso
Marchese, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Pescara, via
dei Marrucini n. 11;
Damiani Sandro, rappresentato e difeso dagli avv. Attilio Di
Camillo e Giulia Di Donato, presso gli stessi elettivamente
domiciliato in Pescara, via dei Marruccini n. 80;
D’Alfonso Luciano, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo
Cerulli Irelli, Giulio Cerceo e Sergio Della Rocca, presso il secondo
elettivamente domiciliato in Pescara, viale D’Annunzio n. 142;
Gentile Antonio, quale rappresentante lista Partito
Socialista Nuovo PSI, non costituito in giudizio;
Iannucci Nando, quale rappresentante lista Semper Fidelis
Luci, non costituito in giudizio;
Ministero dell’interno, in persona del ministro pro tempore,
prefettura di Pescara, in persona del prefetto pro tempore, Ufficio
centrale elettorale di Pescara, in persona del Presidente pro
tempore, rappresentanti e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello
Stato di L’Aquila, domiciliataria per legge;
Per l’annullamento della proclamazione degli eletti al Consiglio
comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2004 dall’Ufficio
elettorale di Pescara, a seguito delle elezioni amministrative
svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno 2003, nella parte
in cui sono stati attribuiti 20 Consiglieri (anziche’ 19) al
raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1 alla carica di
sindaco sig. D’Alfonso Luciano e quindi sono stati attribuiti 20
Consiglieri (anziche’ 21) al raggruppamento di liste collegato al
candidato n. 2 alla carica di Sindaco sig. Masci Carlo, nonche’ di
tutti gli atti connessi nella parte in cui sono stati computati, al
fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i voti
conseguiti dalla lista n. 20 – Nuovo PSI e dalla lista n. 1 – Semper
Fidelis Luci, e per la correzione dei risultati elettorali con
attribuzione di n. 21 seggi al raggruppamento collegato al candidato
Masci e di n. 19 seggi al raggruppamento collegato al candidato
D’Alfonso e, quindi, con proclamazione della elezione di Grosso
Felice Antonio in luogo di Di Marco Michele.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di: comune di Pescara,
Di Marco Michele, Damiani Sandro, D’Alfonso Luciano, Avvocatura
distrettuale dello Stato per il Ministero dell’interno, la Prefettura
di Pescara e l’Ufficio centrale elettorale di Pescara;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2004, il cons. Di
Giuseppe;
Uditi gli avv. Scoca, Russo e de Monte per la parte ricorrente,
gli avv. Cerulli Irelli, Cerceo e Della Rocca per il
controinteressato sindaco, l’avv. Di Marco per il comune resistente,
l’avv. Marchese per il controinteressato Di Marco, l’avv. Donatella
Laureti, su delega degli avv. Di Camillo e Di Donato per il
controinteressato Damiani e l’avv. dello Stato Massimo Lucci per
l’Amministrazione dell’interno costituita;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F a t t o
Con ricorso depositato il 27 giugno 2003 e notificato in data 4 e
7 luglio 2003 (e, peraltro, in data 9 luglio 2003 nei confronti di
Gentile Antonio e 18 luglio 2003 nei confronti di Iannucci Nando)
unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione,
emesso il 30 giugno 2003 e rilasciato in copia conforme in data
17 luglio 2003, ricorso di nuovo depositato il 24 luglio 2003, il
sig. Grosso Felice Antonio ed altri dieci consorti di lite, epigrafe
indicati, hanno chiesto l’annullamento della proclamazione degli
eletti al Consiglio comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2003
dall’Ufficio elettorale di Pescara, a seguito delle elezioni
amministrative svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno
2003, nella parte in cui sono stati attribuiti 20 Consiglieri
(anziche’ 19) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1
alla carica di Sindaco sig. D’Alfonso Luciano e quindi sono stati
attribuiti 20 Consiglieri (anziche’ 21) al raggruppamento di liste
collegato al candidato n. 2 alla carica di sindaco sig. Masci Carlo,
nonche’ di tutti gli atti connessi nella parte in cui sono stati
computati, al fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i
voti conseguiti dalla lista n. 20 – Nuovo PSI e dalla lista n. 1 –
Semper Fidelis Luci; hanno chiesto, inoltre, la correzione dei
risultati elettorali con attribuzione di n. 21 seggi al
raggruppamento collegato al candidato Masci e di n. 19 seggi al
raggruppamento collegato al candidato D’Alfonso e, quindi, con
proclamazione della elezione di Grosso Felice Antonio in luogo di Di
Marco Michele.
Il ricorso premette che alla succitata consultazione elettorale
hanno partecipato sei candidati a sindaco: Valloreia Lorenzo,
collegato alla sola lista n. 1 – Semper Fidelis Luci; Teodoro Gianni,
collegato alla sola lista n. 2 – Lista Teodoro per Pescara; Masci
Carlo, collegato al raggruppamento di liste denominate Forza Italia,
Alleanza Nazionale, Partito Democratico Cristiano, U.D.C.,
Alternativa Femminile, Fiamma Tricolorie, Pescara Futura e Cattolici
Democratici per Pescara; D’Alfonso Luciano, collegato al
raggruppamento di liste denominate La Margherita, Democratici di
Sinistra, U.D.E.U.R., Lista Di Pietro-Italia dei Valori, Pescara
Amica, Socialisti Democratici Italiani, Verdi, Comunisti Italiani e
Partito Comunista Rifondazione; D’Amico Giorgio, collegato alla sola
lista n. 20 Nuovo P.S.I. Partito Socialista; Bosio Fabrizio,
collegato alla sola lista n. 21, Fronte Sociale Nazionale.
Il ricorso premette, altresi’, che al primo turno elettorale le
predette liste n. 1 e n. 20 non hanno raggiunto il 3% dei voti;
infatti, la n. 1 – semper Fidelis Luci ha conseguito lo 0,1% e la
n. 20 – Nuovo P.S.I. Partito Socialista ha conseguito l’l,3%.
Peraltro, non avendo alcuno dei candidati a sindaco conseguito la
maggioranza assoluta, si e’ proceduto al turno di ballottaggio, cui
sono stati ammessi i predetti candidati D’Alfonso e Masci. In vista
del secondo turno, si sono collegate (o apparentate) al primo di tali
candidati, sia le predette liste nn. 1 e 20, sia la lista n. 2 –
Lista Teodoro per Pescara.
All’esito del turno di ballottaggio, svolto nei giorni 8 e 9
giugno 2003, e’ risultato eletto alla carica di sindaco del comune di
Pescara il dott. Luciano D’Alfonso con la cifra di 41.570 voti
validi.
In sede di determinazione della cifra elettorale complessiva
delle liste collegate con i candidati a sindaco, al raggruppamento
collegato al candidato D’Alfonso e’ stata attribuita la cifra
complessiva di 36.417 voti, computandovi anche i voti conseguiti
dalle liste n. 1 – Semper Fidelis Luci e n. 20 – Nuovo P.S.I. che non
hanno conseguito, al primo turno, il 3% dei voti; al raggruppamento
collegato al candidato Masci e’ stata attribuita la cifra complessiva
di 37.693 voti.
Cosi’ operando, l’Ufficio centrale elettorale ha attribuito 20
quozienti al raggruppamento collegato al candidato D’Alfonso ed
altrettanti a quello collegato al candidato Masci. Tanto ha
comportato che in sede di proclamazione dei 40 Consiglieri comunali
eletti, il ventesimo dei seggi spettanti al primo raggruppamento e’
stato attribuito alla lista n. 2 – Teodoro per Pescara, con
proclamazione a consigliere del sig. Di Marco Michele.
Il ricorso espone che, a favore del primo raggruppamento,
dovevano essere, invece, computati soltanto i voti della lista n. 2 –
Teodoro per Pescara, che al primo turno aveva superato il 3%, sicche’
la relativa cifra elettorale complessiva sarebbe stata determinata in
35.336 voti, con la conseguenza che, in luogo del predetto sig. Di
Marco, sarebbe risultato eletto alla carica di consigliere comunale
il sig. Grosso Felice Antonio (primo dei ricorrenti), candidato della
lista n. 3 – Partito Democratico Cristiano che era collegata al
candidato a sindaco avv. Masci.
Il ricorso deduce, in diritto, i seguenti motivi:
I. – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73 del d.lgs.
18 agosto 2000, n. 267, nonche’ eccesso di potere per sviamento,
poiche’, ai sensi del comma 7 dell’art. 73 cit., non sono ammesse
all’assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo
turno meno del 3% dei voti validi e che non appartengano a nessun
gruppo di liste che abbia superato tale soglia; tali liste sono
escluse, peraltro, dalla valutazione della cifra elettorale del
raggruppamento cui i delegati delle stesse decidano di fornire il
proprio appoggio in sede di ballottaggio. Tanto, onde evitare lo
sconvolgimento, tramite gli apparentamenti, dei risultati elettorali
del primo turno, assegnando valore ponderale e addirittura
determinante a liste che, per il risultato conseguito, la legge priva
di peso specifico. In definitiva, l’apparentamento non priva gli
aggregati dei voti conseguiti nel primo turno per aver modificato
l’originaria impostazione per la quale gli elettori si erano
espressi, ma non accresce l’effetto di quei voti sottraendoli a chi
li ha conseguiti sulla base di programmi e accordi rimasti invariati.
II. – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73 del d.lgs.
n. 267 del 2000 e delle direttive ministeriali, nonche’ eccesso di
potere per sviamento e difetto di motivazione, poiche’ l’Ufficio
elettorale centrale ha disatteso le istruzioni ministeriali, in
particolare quelle di cui al paragrafo 30, ed ha addirittura
modificato ed interpolato, con autonome ed autografe correzioni, il
testo del modello ministeriale di verbale, al paragrafo 6, cosi’
arbitrariamente, e senza adeguata motivazione, discostandosi dalle
univoche direttive impartite dal Ministero dell’interno le quali
hanno valore di indirizzo interpretativo per il predetto Ufficio
elettorale, essendo questo pur sempre un organo amministrativo, anche
se straordinario e temporaneo e comunque non sottoposto a vincolo
gerarchico. Cosi’ operando, l’Ufficio elettorale centrale ha
sottratto una maggioranza consiliare al raggruppamento di liste
collegate al candidato Masci, mentre, secondo una precisa e
consapevole scelta del legislatore, l’ammissibilita’ del voto
disgiunto (possibilita’ di votare un candidato sindaco e,
contemporaneamente, una lista ad esso non collegata) comporta che e’
ben possibile che in Consiglio vi sia una maggioranza contrapposta al
Sindaco.
III. – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73, comma 2 e
segg., del d.lgs. n. 267 del 2000, poiche’ il candidato D’Alfonso,
pur avendo presentato un «programma» comune alle liste
originariamente collegate, non ha, in occasione dell’apparentamento
successivo, pubblicato un nuovo programma che desse conto della
comunanza d’intenti del precedente raggruppamento con le tre nuove
liste apparentate.
IV. – Attuazione dell’art. 26, ultimo comma, della legge n. 1034
del 1971 e degli artt. 91 e segg. c.p.c., potendosi provvedere sulle
spese del giudizio anche nei confronti dei resistenti.
Il ricorso conclude per l’annullamento in parte qua degli atti
impugnati e per la correzione dei risultati elettorali, con
attribuzione di 21 seggi al raggruppamento di liste collegate al
candidato Masci, e quindi di 19 seggi a quello collegato al candidato
D’Alfonso, oltreche’ per la declaratoria della elezione a consigliere
comunale del candidato Grosso Felice Antonio in luogo del candidato
Di Marco Michele.
Per resistere si e’ costituito in giudizio il comune di Pescara
la cui difesa, con memoria depositata il 21 luglio 2003, ha
controdedotto nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione.
Peraltro, si e’ costituito in giudizio il dott. D’Alfonso Luciano
la cui difesa, con memorie depositate in data 19 luglio 2003 e
19 settembre 2003, ha sostenuto, in sintesi, che all’indubbio fine di
conseguire una compattezza all’interno del Consiglio comunale che
offra garanzie di stabilita’, efficienza e funzionalita’ al governo
locale, nell’interesse primario della stessa collettivita’ i
collegamenti istituiti al momento del turno di elezione del sindaco,
e quindi anche del secondo turno, debbono essere considerati per
identificare la composizione delle coalizioni e procedere alla
ripartizione dei seggi, non potendo prescindersi dalle coalizioni che
si sono fronteggiate nel turno di ballottaggio, poiche’ quest’ultimo
configura la convergenza di interessi tra piu’ forze politiche in
relazione all’esito del primo turno; infatti, il non tenerne conto
determina un risultato disomogeneo, in quanto il collegamento operato
ai fini del primo turno, ma superato di fatto dalle scelte
dell’elettorato, puo’ diventare decisivo per la definitiva
assegnazione dei seggi dopo il ballottaggio; peraltro, la tesi
propugnata dalla parte ricorrente, in stridente contrasto con il
generale principio improntato all’esigenza di salvezza dei voti
espressi dagli elettori, finisce per disperdere o non utilizzare i
voti conseguiti da quelle liste che, pur irrilevanti ai fini del
primo turno, hanno comunque fatto parte nel secondo turno di una
coalizione che ha superato lo sbarramento.
Si e’ costituito in giudizio anche il sig. Di Marco Michele la
cui difesa, con memoria depositata il 19 luglio 2003, ha osservato,
in sostanza, argomentazioni analoghe a quelle sopra riassunte. La
stessa difesa, d’altra parte, con memoria depositata il 19 settembre
2003, ha eccepito l’inammissibilita’ del ricorso poiche’ non
notificato all’effettivo controinteressato dott. Damiani Sandro,
sebbene fosse noto il suo subentro nella carica di consigliere gia’
all’epoca della notifica del ricorso.
Inoltre, si sono costituiti in giudizio il Ministero
dell’interno, la prefettura di Pescara e l’Ufficio centrale
elettorale di Pescara la cui difesa, con memorie depositate in data
18 agosto 2003 e 17 settembre 2003, ha contestato le censure di parte
ricorrente, chiedendone la reiezione.
Infine, con atto del 24 settembre 2003, si e’ costituito in
giudizio il citato dott Damiani Sandro, subentrato nella carica di
consigliere comunale a seguito della nomina ad Assessore del sig.
Teodoro Gianni della stessa lista d’appartenenza, concludendo
anch’esso per la reiezione del ricorso.
Con memoria depositata il 5 dicembre 2003 la difesa dei
ricorrenti ha evidenziato come appaia carente d’interesse e tardiva
la costituzione in giudizio del Ministero dell’interno e della
prefettura di Pescara e dell’Ufficio centrale elettorale, oltre che
contraddittoria in relazione alle istruzioni diramate dallo stesso
Ministero in materia elettorale, e ne ha chiesto l’estromissione con
condanna alle spese di giudizio.
D i r i t t o
I. – Il ricorso in esame risulta depositato in segreteria il
giorno 27 giugno 2003 ed il relativo decreto presidenziale di
fissazione dell’udienza di discussione risulta emesso il giorno
30 giugno 2003 e risulta rilasciato alla parte ricorrente il giorno
1° luglio 2003.
ll ricorso stesso risulta notificato il giorno 4 luglio 2003 nei
confronti sia del comune di Pescara, sia del controinteressato sig.
Di Marco Michele.
Peraltro, il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di
parte ricorrente) il giorno 5 luglio 2003, a mezzo servizio postale,
nei confronti, sia del Sindaco eletto dott. D’Alfonso Luciano, sia
dell’Ufficio centrale elettorale di Pescara presso l’Avvocatura
distrettuale dello Stato di L’Aquila, notifica da entrambi ricevuta
il 7 luglio 2003.
Inoltre, il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di
parte ricorrente) il giorno 9 luglio 2003 nei confronti del sig.
Gentile Antonio, quale rappresentante della lista denominata Partito
Socialista Nuovo P.S.I., ed il giorno 18 luglio 2003 nei confronti
del sig. lannucci Nando, quale rappresentante della lista denominata
Semper Fidelis Luci.
Infine, il ricorso in esame, con le prove delle avvenute
notificazioni, risulta nuovamente depositato in Segreteria il giorno
24 luglio 2003.
II. – Sotto il profilo della completezza del contraddittorio il
rapporto processuale deve essere ritenuto completo, giacche’ risulta
spontaneamente costituito in giudizio anche il controinteressato
dott. Damiani Sandro il quale, a seguito della nomina ad assessore
del sig. Teodoro Gianni, e’ subentrato nella carica di Consigliere
comunale divenendo l’effettivo controinteressato nel presente
giudizio.
D’altra parte, non puo’ essere condivisa l’eccezione
d’inammissibilita’ del ricorso (sollevata dalla difesa del sig. Di
Marco Michele) in relazione alla mancata notifica dell’atto
introduttivo nei confronti del predetto dott Damiani, poiche’, alla
data (27 giugno 2003) del primo deposito del ricorso stesso, questi
non era stato ancora surrogato nella carica di consigliere; pertanto,
la notifica effettuata nei confronti del controinteressato sig. Di
Marco appare idonea a rendere ammissibile il ricorso, salva
l’eventuale integrazione del contraddittorio che, nel caso di specie,
ad avviso del Collegio appare superflua, essendosi il dott. Damiani
costituito spontaneamente.
III. – Quanto alla domanda di estromissione dal giudizio del
Ministero dell’interno, della prefettura di Pescara e dell’Ufficio
centrale elettorale di Pescara, proposta (in memoria del 5 dicembre
2003) dalla difesa della parte ricorrente, osserva il collegio, che,
in effetti, secondo la giurisprudenza, l’Ufficio centrale elettorale
non e’ parte necessaria nel giudizio elettorale (Cons. St., Ad. Pl.,
31 luglio 1996, n. 16) cosi’ come non lo e’ il prefetto (Cons. G. A.
Sic., 3 giugno 1981, n. 31; Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996, n. 499)
e cosi’ come non puo’ essere ritenuto tale il Ministero dell’interno.
Tra l’altro, nella specie, sembrerebbe sussistere anche un
contrasto tra la posizione assunta dal ministro degli interni quale
ricavabile dal testo dei verbali ristampati predisposti in occasione
del turno elettorale, e quella dell’Ufficio centrale di Pescara che
invece ha ritenuto di seguire un diverso indirizzo.
Tuttavia, ognuno di questi organi non e’ privo d’interesse a
partecipare ai giudizi elettorali, essendo organi della stessa
Amministrazione dell’interno comunque coinvolti nel procedimento
elettorale, sicche’ la relativa costituzione effettuata da parte
dell’Avvocatura dello Stato – la quale non ha bisogno allo scopo di
uno specifico mandato (Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509;
Cassaz., SS.UU., 21 luglio 1999, n. 484) -non puo’, ad avviso del
Collegio, essere ritenuta inammissibile, tanto piu’ che, nel caso di
specie, e’ stata proprio la parte ricorrente a notificare (sia pure
per notizia) il ricorso all’ufficio centrale elettorale presso
l’Avvocatura distrettuale dello Stato.
La scelta dell’avvocatura non e’, quindi, censurabile da parte di
questo collegio visto che ha autonomamente ritenuto di dover
sostenere la tesi dell’ufficio elettorale centrale.
La Costituzione, poi, non puo’ essere ritenuta tardiva perche’
successiva ai quindici giorni dalla ricevuta notifica (come sostiene
la difesa di parte ricorrente), giacche’ la perentorieta’ del termine
prescritto dal terzo comma dell’art. 83/11 del d.P.R. n. 570 del 1960
riguarda soltanto la proposizione dell’eventuale ricorso incidentale
da parte dei controinteressati (Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996,
n. 499).
IV. – Quanto al merito del ricorso in esame giova ricordare che
esso e’ diretto all’annullamento dell’atto di proclamazione degli
eletti al Consiglio comunale di Pescara nella parte in cui, all’esito
del turno di ballottaggio, sono stati attribuiti venti seggi di
consigliere, anziche’ diciannove, al raggruppamento di liste
collegate al sindaco eletto dott. D’Alfonso, ed e’ diretto, come
effetto, alla correzione dei risultati elettorali con attribuzione di
ventuno seggi al raggruppamento di liste collegate all’altro
candidato a sindaco avv. Masci e, quindi, con declaratoria
dell’elezione a Consigliere del ricorrente sig. Grosso Felice Antonio
in luogo del sig. Di Marco Michele ed anzi in luogo del dott. Damiani
Sandro che gli e’ subentrato nella posizione di secondo degli eletti
per la stessa lista d’appartenenza.
Il ricorso sostiene, in stretta sintesi, che, in fase di
determinazione della cifra elettorale complessiva delle liste
collegate a ciascuno dei predetti candidati a sindaco, non debbono
essere computati i voti conseguiti dalle liste che al primo turno non
hanno superato la soglia del 3% dei voti validi.
Il Collegio rileva che, sulla specifica questione, esistono due
autorevoli, e pur discordanti, orientamenti della giurisprudenza.
Un primo indirizzo giurisprudenziale, il quale prende le mosse
piu’ indietro nel tempo, pur se ribadito anche recentemente, e’ nel
senso di ritenere che, ai fini dell’attribuzione dei seggi, debba
darsi rilievo ai raggruppamenti di liste compiuti in vista del turno
c.d. di ballottaggio per l’elezione del sindaco, con la conseguenza
che debbono essere computati i voti conseguiti da tutte le liste
collegatesi in occasione del secondo turno (Cons. St., sez. V, 19
marzo 1996, n. 290; 20 settembre 2000, n. 4894; 4 maggio 2001,
n. 2519; 29 gennaio 2003, n. 455).
Tale indirizzo giurisprudenziale risulta prevalentemente basato
sulle seguenti considerazioni:
il sistema elettorale appare finalizzato a perseguire la
stabilita’ del governo delle amministrazioni locali attraverso
l’attribuzione del c.d. premio di maggioranza al raggruppamento di
liste collegate con il candidato eletto sindaco, ma appare
finalizzato anche alla eliminazione della frantumazione delle
minoranze in seno ai consigli comunali, il tutto a beneficio del
complessivo andamento dell’amministrazione locale;
tutto il procedimento elettorale per l’elezione del sindaco e
del consiglio comunale non puo’ essere visto nei singoli momenti, ma
deve essere considerato come un unicum, che sulla base delle libere
scelte delle forze politiche quanto al loro raggrupparsi, ferma
l’elezione del sindaco, tiene in effetti di mira la composizione del
consiglio comunale;
la razionalita’ del criterio della considerazione unitaria
del gruppo di liste non viene meno nell’ipotesi in cui, per la
ripartizione dei seggi di minoranza, concorrano liste che si sono
presentate al corpo elettorale singolarmente e liste che si sono
presentate in raggruppamento, dovendo darsi prevalenza ai diversi
programmi politici sottoposti al giudizio dell’elettorato,
considerazione ugualmente valida con riguardo al gruppi formatisi nel
turno di ballottaggio;
non si deve tener conto dell’eventuale collegamento tra due o
piu’ liste operato nell’ambito del primo turno di votazione, stante
l’ontologica ed insopprimibile differenza tra detto collegamento e
quello instaurato ai fini del ballottaggio, rispondendo l’uno
all’accordo tra liste diverse per unire le proprie forze ad eleggere
subito il candidato sindaco appoggiato anche in competizione con
altri candidati sia pure della medesima area politica, l’altro invece
alla convergenza di interessi tra piu’ forze politiche in relazione
all’esito del primo turno, diversamente determinandosi un risultato
disomogeneo, ossia la circostanza che il collegamento operato ai fini
del primo turno, ma superato di fatto dalle scelte dell’elettorato,
possa diventare decisivo per la definitiva assegnazione dei seggi
dopo il ballottaggio;
in difetto di diversa precisazione, i riferimenti legislativi
al computo della predetta cifra elettorale sembrano riguardare i
collegamenti esistenti al momento in cui si effettuano le operazioni
di cui trattasi e quindi i collegamenti come definiti al secondo
turno, non spiegandosi altrimenti l’utilita’ del collegamento in sede
di ballottaggio, collegamento che e’ preordinato a facilitare
ulteriori aggregazioni di liste, nella prospettiva di stabilita’ e di
efficienza operativa degli organi comunali, e che, quindi, nella
distribuzione dei seggi impone una considerazione unitaria del
gruppo.
D’altra parte, il secondo, e del tutto recente indirizzo
giurisprudenziale e’ nel senso di ritenere che, ai sensi dell’art. 73
del d.lgs. n. 267 del 2000, le liste elettorali che non abbiano
conseguito almeno il 3% dei voti sono escluse, sia dall’attribuzione
dei seggi nel primo turno, sia dalla valutazione della cifra
elettorale del raggruppamento cui i delegati di tali liste decidano
di fornire il proprio appoggio in sede di ballottaggio, a nulla
valendo che nel secondo turno le stesse liste siano confluite in un
raggruppamento che abbia superato tale soglia (Cons. St., sez. V, 10
febbraio 2003, n. 652; 4 giugno 2003, n. 3083).
Tale indirizzo giurisprudenziale risulta prevalentemente basato
sulle seguenti considerazioni:
l’utilizzazione dei voti ottenuti dalle liste che non hanno
superato lo sbarramento al fine di integrare la cifra elettorale del
raggruppamento indicato dai delegati di dette liste per l’appoggio
nel turno di ballottaggio, e quindi per la scelta di uno dei due
candidati a sindaco rimasti in lizza, contrasta, sia con
l’espressione del voto degli elettori che e’ stata formulata con
riguardo ad una lista che si e’ presentata autonomamente al primo
turno elettorale con un proprio candidato a sindaco e con uno
specifico programma elettorale, sia con la scelta che tali elettori
possono aver effettuato in sede di ballottaggio per sostenere l’uno o
l’altro dei candidati rimasti in corsa per l’elezione, scelta avente
tre possibilita’: a) non votare alcuno dei candidati perche’ non
ritenuti meritevoli di sostegno; b) votare a favore del candidato
indicato dal delegato di lista; c) votare a favore dell’altro
dandidato in quanto preferito rispetto al candidato cui la lista per
la quale avevano votato al primo turno si e’ associata nel
ballottaggio;
ben due delle tre suindicate possibilita’ – lett. a) e c) –
contrastano con la scelta dei delegati di lista di far convergere
necessariamente sul candidato prescelto i voti conseguiti nel primo
turno, mentre nel procedimento elettorale non puo’ essere
privilegiata un’interpretazione che non sia nel massimo grado
possibile rispettosa della volonta’ degli elettori e che, invece,
consentirebbe ai delegati di lista di sostituirsi ai singoli elettori
nella espressione del voto integrando, per cosi’ dire, la loro
volonta’ attraverso lo spostamento, non solo a favore del candidato a
sindaco prescelto, ma anche a favore delle liste che lo sostenevano
al primo turno, i voti conseguiti dalle liste che non hanno superato
lo sbarramento;
nel primo turno i raggruppamenti avrebbero potuto presentarsi
uniti e se non l’hanno fatto cio’ ha determinato una fase della
competizione elettorale in cui sono stati avversari, sostenendo
diversi candidati con differenti programmi, sicche’ non e’ possibile
sapere come il singolo elettore si sarebbe regolato per l’ipotesi che
fosse stato chiamato a scegliere tra raggruppamenti diversi da quello
cui ha attribuito il proprio consenso nel primo turno; pertanto, se
non si vuole incidere sul libero esercizio del diritto costituzionale
all’elettorato attivo, non deve essere consentito altro che agli
elettori stessi di modificare il proprio orientamento nel segreto
dell’urna, ma non di certo ai delegati delle liste di appartenenza,
non essendo affatto pacifico che la scelta dell’apparentamento
operata dai delegati di lista corrisponda alla scelta dei singoli
elettori;
elementi letterali d’interpretazione delle norme consentono
d’individuare una netta distinzione tra le due tornate elettorali,
impedendo l’utilizzazione dei risultati del primo turno per la fase
successiva del ballottaggio: il voto di lista si riferisce solo al
primo turno elettorale (comma 3 dell’art. 73 cit.), mentre nel turno
di ballottaggio il voto si esprime con riguardo al solo candidato a
sindaco prescelto (comma 8 dell’art. 72, d.lgs. cit.), rimanendo
ininfluenti le liste collegate ai fini dell’espressione del voto; la
cifra elettorale e’ costituita dai voti di lista e, quindi,
ragionevolmente dai voti conseguiti dalle liste nel primo turno,
l’unico nel quale esse sono direttamente rilevanti (comma 5
dell’art. 73 cit.); l’assegnazione dei seggi e’ effettuata avendo
riguardo alla cifra elettorale «nel turno di elezione del sindaco»
che, appunto, e’ il primo nel quale assumono rilievo le liste,
singole o collegate, che hanno riportato voti che compongono la cifra
elettorale (comma 8 dell’art. 73 cit.); lo sbarramento del 3% dei
voti validi si riferisce al primo turno ed il mancato superamento
comporta l’esclusione dall’assegnazione dei seggi; in tale fase
procedimentale, il primo momento e’ costituito dall’individuazione
della cifra elettorale cui rimangono estranee le liste che non hanno
superato lo sbarramento (comma 7 dell’art. 73 cit.); la disposizione
che contempla il procedimento per l’assegnazione dei seggi (comma 8
dell’art. 73 cit.) si riferisce solo al primo turno e non al
ballottaggio che, a ben vedere, non e’ in alcun modo considerato
dalle norme sull’assegnazione dei seggi;
la previsione normativa (comma 7 dell’art. 73 cit.) delle due
condizioni negative per la non assegnazione di seggi (mancato
conseguimento del 3% dei voti e non appartenenza a nessun gruppo di
liste che abbia superato tale soglia), lungi dal riferirsi al turno
di ballottaggio, vuole evitare che siano escluse dall’assegnazione di
seggi quelle liste che, pur non avendo conseguito il 3% dei voti,
abbiano tuttavia aderito ad un raggruppamento di liste che tale
limite ha superato, prevedendo l’eccezione alla regola del c.d.
sbarramento, onde incentivare le aggregazioni delle forze politiche;
tale disposizione si colloca, comunque, nell’ambito della disciplina
del primo turno e non in quella del turno di ballottaggio, dove
l’indicazione delle liste, pur riportata nelle schede, non entra
nella determinazione dei risultati che sono esclusivamente ricondotti
ai voti attribuiti ai candidati a sindaco.
Dinanzi a due diversi, comunque autorevoli indirizzi della
giurisprudenza, il collegio deve porsi il problema di quale dei due
sia da ritenere il piu’ conforme al sistema vigente.
Entrambi manifestano argomentazioni degne di considerazione, non
prive di elementi a favore dell’una o dell’altra soluzione.
Il collegio, comunque, deve effettuare una necessaria premessa.
Il sistema elettorale vigente e’ stato introdotto con il preciso
intento di evitare che si verificasse un continuo ricorso alle urne e
ricambi nel governo degli enti locali a seguito di mutamenti di
posizioni nell’ambito della maggioranza e dei partiti che la
compongono, con la precisa volonta’ di garantire una stabile
maggioranza e uno stabile governo dell’ente locale.
Si e’ scelto cosi’ di spingere le varie componenti a coagularsi
attorno ad una persona indicata quale sindaco che governi con una
stabile maggioranza durante l’intero mandato.
E’ stato, percio’, previsto un premio di maggioranza da assegnare
a colui che avesse ottenuto la vittoria nel primo o secondo turno e
maggiori attribuzioni di poteri alla giunta rispetto al consiglio in
un’ottica di rovesciamento della precedente disposizione che
conferiva alla competenza residuale del consiglio e non della giunta,
come accade ora, i compiti che non fossero stati espressamente
conferiti ad uno dei due organi, scegliendo cosi’ la strada di un
esecutivo piu’ forte.
Si e’ voluto, pero’, mantenere un doppio sistema e conservare,
percio’, un notevole valore al vecchio principio proporzionale
introducendo, anche, la possibilita’ del voto disgiunto tra il
candidato a sindaco e le liste che lo sostengono.
Il sistema ha, poi, subito delle modi.che, anche a seguito della
pronuncia n. 197/1996 della Corte costituzionale, le cui motivazioni
che hanno portato al rigetto della questione sottopostagli, hanno
indotto, pero’, il legislatore a modificare la percentuale di voti
necessaria al primo turno per disporre il premio di maggioranza; di
recente, poi, dopo, percio’, che la Corte si era gia’ pronunciata, e’
stata introdotta una norma la quale, per evitare che si
riproducessero i guasti della eccessiva frammentazione del voto, ha
escluso dalla ripartizione dei seggi quelle liste che, non
appartenendo a nessuna coalizione, non avessero raggiunto al primo
turno almeno il 3% dei voti validi.
Il collegio deve subito osservare che il principio in realta’ ha
scarsa consistenza e poco importa se una lista possa ottenere un
seggio nella coalizione, quando abbia effettuato la scelta di
appartenere ad un raggruppamento, mentre assume rilevante importanza
proprio nel caso che la lista abbia effettuato una scelta di autonoma
presentazione dinanzi all’elettorato.
Nel primo caso, infatti, ai sensi di quanto previsto dall’art. 73
del decreto legislativo n. 267 del 2000, l’appartenenza ad un gruppo
di liste che comunque abbia superato la soglia del 3%, provoca
effetti favorevoli anche nei confronti di quelle liste che tale
soglia non abbiano raggiunto.
E’ questo il significato della norma in questione la quale,
appunto, esclude dall’ammissione all’assegnazione dei seggi solo
quelle liste che, non avendo ottenuto al primo turno almeno il 3% dei
voti validi, non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia
superato tale soglia.
Effettuata tale indispensabile premessa osserva il collegio come
l’argomento posto a base dell’indirizzo giurisprudenziale piu’
recente, ovvero che i raggruppamenti che non si sono presentati uniti
al primo turno hanno sostenuto diversi candidati con differenti
programmi, sicche’ non e’ possibile sapere come il singolo elettore
si sarebbe regolato per l’ipotesi che fosse chiamato a scegliere tra
raggruppamenti diversi, incide sul libero esercizio del diritto
costituzionale all’elettorato attivo, e’ valido non solo nell’ipotesi
di liste che non abbiano raggiunto la soglia del 3%, ma anche di
quelli che tale soglia abbiano superato e che comunque vengano
indirizzate nel turno di ballottaggio a favore di una o dell’altra
delle liste.
In entrambi i casi, cioe’, la scelta dell’apparentamento operata
dai delegati di lista non e’ pacifico che corrisponda alla scelta dei
singoli elettori.
In alcuno dei due casi, cioe’, la soluzione ipotizzata garantisce
all’elettorato una scelta consapevole.
Non sembra, pertanto, questo un elemento sufficiente a
giustificare l’attribuzione della possibilita’ di apparentamento solo
nel caso di raggiungimento della soglia del 3%.
E’, invece, molto piu’ degna di considerazione l’argomentazione
che rimanda ad elementi letterali di interpretazione delle norme le
quali consentono di individuare una netta distinzione tra le due
tornate elettorali, dato che il voto di lista e’ richiamato solo nel
primo turno, mentre nel turno di ballottaggio il voto e’ espresso con
riguardo al solo candidato a sindaco.
Nella sentenza n. 152/2003 della quinta sezione del Consiglio di
Stato si legge, in effetti, che «dal punto di vista di elementi
letterali d’interpretazione che consentono d’individuare una netta
distinzione tra le due tornate elettorali (primo turno e
ballottaggio) impedendo l’utilizzazione dei risultati del primo turno
per una fase successiva e relativa all’effettuazione del
ballottaggio, si osserva che: a) il voto di lista si riferisce solo
al primo turno elettorale (cfr. l’articolo 73, comma terzo 1 del
decreto legislativo n. 267/2000) mentre nel turno di ballottaggio il
voto si esprime con riguardo al solo nome del candidato prescelto
(cfr. art. 72, comma 1) rimanendo ininfluenti le liste collegate ai
fini dell’espressione del voto; b) la cifra elettorale e’ costituita
dai voti di lista e, quindi, ragionevolmente dai voti conseguiti
dalle liste del primo turno, l’unico nel quale esse sono rilevanti
direttamente (cfr. art. 73, comma 5); c) l’assegnazione dei seggi e’
effettuata avendo riguardo alla cifra elettorale aperte «nel turno di
elezioni del sindaco» che, appunto e’ il primo nel quale assumono
rilievo le liste, singole o collegate, che hanno riportato i voti che
compongono la cifra elettorale (art. 73, comma 8); d) lo sbarramento
si riferisce al primo turno e comporta l’esclusione dalla
assegnazione dei seggi. In tale ultimo procedimento il primo momento
e’, pero’, costituito dall’individuazione della cifra elettorale
operazione cui rimangono estranee le liste che lo sbarramento non
hanno superato (art. 73, comma 7); e) la disposizione che contempla
il procedimento per l’assegnazione dei seggi (art. 73, comma 8) si
riferisce solo al primo turno e non al ballottaggio che, a ben
vedere, non e’ in alcun modo considerato dalle norme
sull’assegnazione dei seggi».
A questi elementi di carattere lessicale va aggiunto che anche
l’interpretazione del Ministero degli interni, rilevabile, del resto,
dai modelli di verbale prestampati, e’ quella gia’ considerata
nell’indirizzo piu’ recente del Consiglio di Stato, visto che
l’ufficio elettorale e’ stato costretto a modificare il verbale per
sostenere l’interpretazione da esso adottata.
Queste considerazioni, difficilmente contestabili sul piano
letterale, posto anche che l’interprete nell’applicazione della legge
non puo’ ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole, come si esprime l’art. 12 delle
disposizioni sulla legge in generale, condurrebbero necessariamente
all’accoglimento del ricorso in aderenza con questo orientamento del
Consiglio di Stato.
D’altro canto che questa debba essere l’interpretazione piu’
conforme al dettato legislativo e’ dimostrato dal fatto che,
altrimenti, ove fosse consentito cioe’ l’apparentamento al secondo
turno, la norma non avrebbe significato o meglio lo avrebbe soltanto
in quei casi, peraltro piuttosto limitati, nei quali uno dei
candidati a sindaco abbia raggiunto la maggioranza direttamente al
primo turno.
Ma se queste considerazioni fanno propendere il collegio per una
siffatta interpretazione della norma, lo inducono, tuttavia, in
perplessita’ sul fatto che l’introduzione della soglia di
sbarramento, disposta dall’art. 5 della legge 30 aprile 1999, n. 120,
sia del tutto conforme all’ordinamento costituzionale in ordine al
principio di parita’ e di uguaglianza di cui all’art. 3 della nostra
carta fondamentale, dato che si inserisce in un ordinamento basato su
un doppio turno elettorale nel quale alcune formazioni verrebbero del
tutto escluse dal secondo turno; si pensi alla circostanza che anche
due o tre gruppi politici potrebbero arrestarsi poco prima della
soglia del 3%, permettendo, in tal modo, l’esclusione di una parte
consistente dell’elettorato pari, in consimili casi, a circa il 9%.
In questo caso, tra l’altro, la questione di illegittimita’
costituzionale, che il collegio non ritiene manifestamente infondata,
assumerebbe certo rilevanza.
A siffatto riguardo, poi, non varrebbe ribattere alla tesi di
possibile incostituzionalita’ che, comunque, gli elettori sarebbero
chiamati ad esprimersi. Infatti, il loro voto sarebbe indirizzato
solo alla indicazione del sindaco e si verificherebbe una netta
divaricazione nel calcolo del numero complessivo degli elettori tra
il primo e il secondo turno, con conseguenze distorte rispetto alla
composizione del consiglio.
Ne’ va dimenticato che sussiste anche una palese
contraddittorieta’ insita nella norma di preclusione perche’ consente
l’apparentamento a quelle formazioni che hanno raggiunto il 3% e non
alle altre, impedendo la valutazione di una sola parte
dell’elettorato espressosi al primo turno.
Si potrebbe anche a questo obiettare che si tratta di una scelta
del legislatore che ha voluto impedire una eccessiva frammentazione
del voto, ma questa obiezione non convince dal momento che, una volta
disposto un apparentamento, la frammentazione verrebbe comunque
evitata.
Il Consiglio comunale, poi, con un’operazione di dubbia
legittimita’, viene composto dal numero dei votanti al primo turno,
con esclusione di una parte dell’elettorato, e con inevitabili
aggiustamenti rispetto al totale dei voti gia’ espressi al primo
turno che necessariamente finirebbero per individuare una percentuale
diversa da quella gia’ calcolata per evitare l’attribuzione del
premio di maggioranza.
E’ vero, come ha gia’ affermato il Consiglio di Stato nella
richiamata sentenza n. 3083/03, che la norma tende ad incentivare le
aggregazioni delle forze politiche, prevedendo la possibilita’ di un
accorpamento dei voti e risponde, come gia’ accennato dalla Corte
costituzionale, ad una precisa scelta del legislatore ma, ad avviso
del collegio, se si giustifica in un sistema proporzionale puro, e’
dubbio che possa trovare una logica collocazione in un sistema
elettorale maggioritario che e’ indirizzato a garantire la
governabilita’ dell’ente locale per tutto il mandato; tale
sbarramento, infatti, non consentendo la valutazione al secondo
turno, finisce col lasciare fuori dalle scelte, comunque, una parte
dell’elettorato e stravolge o quanto meno incide in modo reale sul
principio di governabilita’.
Tali considerazioni sono, poi, avvalorate da un ulteriore
disposizione presente nel sistema elettorale vigente e, cioe’, dalla
condizione apposta nel comma 8 dell’art. 73 del Testo unico sugli
enti locali, la quale prevede che non possa scattare il premio di
maggioranza per il sindaco eletto, quando un altro gruppo di liste
abbia superato nel primo turno il 50% dei voti validi.
A siffatto riguardo va, poi, considerato che le argomentazioni
introdotte dalle sentenze del Consiglio di Stato piu’ innanzi
richiamate sono state formulate proprio in rapporto a fattispecie
nelle quali non si era verificata la condizione di cui al comma 8
dell’art. 73 del testo unico n. 267/2000, consentendo in quel caso
l’attribuzione del premio di maggioranza.
Tale aspetto della questione va indubbiamente considerato perche’
fa emergere ulteriori elementi in ordine alla possibile
incostituzionalita’ di tutto il sistema, cosi’ come oggi risulta
conformato, per quanto riguarda il principio di ragionevolezza e il
principio cardine del buon andamento della Pubblica amministrazione
di cui all’art. 97 della Costituzione.
Ne costituisce evidente dimostrazione la circostanza che il
presente ricorso sia stato presentato non soltanto da colui che
aspira alla posizione di consigliere ma da molti di coloro che,
appartenendo al gruppo di opposizione al sindaco eletto, hanno
cercato in qualsiasi modo di ottenere la maggioranza in consiglio con
l’evidente intento di porre in difficolta’ il governo del sindaco
eletto e, quindi, del Comune di Pescara.
Infatti, l’apparentamento delle liste, operato dall’ufficio
elettorale, ha consentito ad entrambe le formazioni che appoggiavano
i due candidati del turno di ballottaggio di ottenere venti
consiglieri, determinando, quindi, in favore del sindaco eletto, una
maggioranza anche nell’organo consiliare, attraverso l’utilizzazione
della sua posizione di ventunesimo consigliere.
Di qui anche la ragione del ricorso.
E’ certamente vero che l’apparentamento si sarebbe potuto
indirizzare anche nei confronti del candidato a sindaco non eletto ma
tale elemento avvalora ancor piu’ la possibilita’ che la
governabilita’ dell’ente locale in questo caso potesse ancor piu’
essere posta in notevoli difficolta’.
Si deve ritenere, quindi, che la condizione di cui all’art. 8
costituisca un ulteriore elemento per censurare le scelte legislative
e rimettere la questione al giudice delle leggi per valutame la
costituzionalita’.
A suffragare, infatti, l’ipotesi del collegio che la condizione
di cui al sesto comma dell’art. 73 del Testo unico sugli enti locali
possa in qualche modo rappresentare un contrasto con il buon
andamento dell’amministrazione ed il principio di ragionevolezza, e’
la innanzi richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 197 del
4 aprile 1996, la quale, pur chiamata ad esprimersi su questione
diversa, ha comunque effettuato alcune considerazioni che possono
essere prese in esame sia a favore che contro la tesi del collegio.
Si legge in un passo di questa decisione che «una volta che non
e’ contestato – come il giudice a quo non contesta – la legittimita’
costituzionale del principio del voto disgiunto, e si ammette che
l’adozione di tale principio rientra nei possibili modelli elettorali
che il legislatore puo’, nell’esercizio della sua discrezionalita’,
disegnare, deve necessariamente riconoscersi anche che la
governabilita’ dell’ente locale non e’ assunta come un valore
assoluto, ma e’ apprezzata come valore specificamente tutelabile
(giustificandosi l’alterazione del criterio proporzionale) soltanto
nel caso, di maggior allarme, della, frammentazione dei consensi
espressi, che e quello del sindaco «debole» collegato ad una o piu’
liste «deboli» (nel senso sopra precisato). D’altra parte, che la
governabilita’ non sia un valore assoluto e’ dimostrato proprio
dall’ipotesi, che puo’ verificarsi e della cui legittimita’ non si
dubita, della maggioranza assoluta conseguita (al primo turno) dalla
lista contrapposta, o comunqe non collegata, al candidato eletto
sindaco. In questo caso (in cui il rischio della cosiddetta in
governabilita’ e’ massimo) il sindaco, salva la facolta’ di
dimettersi cosi’ provocando lo scioglimento del consiglio, deve
convivere con una maggioranza a lui contrapposta; ma cio’ e’
conseguenza della divaricazione del consenso espresso dall’elettorato
con il voto disgiunto, divaricazione che il legislatore intende
rispettare per non premiare (se non proprio penalizzare) il sindaco
che si e’ collegato alla lista che non riscuote sufficienti
consensi».
In altri termini sembrerebbe di comprendere dalla sentenza della
Corte che il legislatore ha stabilito che la governabilita’ e’
maggiormente meritevole di tutela in ordine all’eventuale
frammentazione dei voti piu’ che dalla presenza di un sindaco debole.
Cio’ e’ fonte di ulteriore perplessita’ per la contraddittorieta’
intrinseca che manifesta tale soluzione, se questo e’ stato veramente
l’intento del legislatore.
Non si comprende, infatti, visto il sistema elettorale in
questione nel suo contesto perche’ la governabilita’ possa essere
meglio garantita se esiste un sindaco debole rispetto ad un quadro
politico frammentato.
Sulle argomentazioni delle decisioni della Corte, osserva il
collegio che il giudice delle leggi, ha preso, pero’, in esame una
situazione diversa da quella proposta oggi al giudizio del collegio
ed ha considerato come il giudice a quo abbia omesso ogni riferimento
ad eventuali problemi di legittimita’ costituzionale del voto
disgiunto o della condizione di cui al sesto comma dell’art. 73 del
Testo unico oggi vigente.
Pur ritenendo, poi, astrattamente possibile e conseguente ad una
scelta legislativa la possibilita’ del voto disgiunto, sul quale,
peraltro, non era stata chiamata ad esprimersi, ha affermato che la
governabilita’ non e’ stata assunta come un valore assoluto, ma e’
comunque apprezzata come valore specificamente tutelabile; ha fatto
discendere la sua considerazione proprio dalla circostanza che puo’
verificarsi l’ipotesi in cui al primo turno vi sia la maggioranza
assoluta della lista contrapposta (ipotesi anche questa nella quale,
peraltro, la Corte non era stata chiamata ad esprimersi) nel qual
caso, peraltro, ha anche osservato che il rischio della
ingovernabilita’ e’ massimo.
Ritiene allora il collegio che, comunque, anche sotto siffatto
profilo, anch’esso rilevante nella presente questione, visto che non
si e’ potuta applicare la norma che consente l’attribuzione del
premio di maggioranza, vada proposta la questione alla Corte
costituzionale perche’ la esamini direttamente in ordine alle due
ipotesi del voto disgiunto e della condizione posta per impedire che
scatti il premio di maggioranza nel turno di ballottaggio, ovvero
all’ipotesi che la lista che non abbia espresso il sindaco, abbia
comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi.
La tesi del collegio scaturisce da alcune considerazioni che
attengono alla specificita’ della questione in esame e alla
possibilita’ che, in fondo, un esame dettagliato proprio sulla
questione cosi’ com’e’ gli e’ stata sottoposta, possa determinare
nella Corte costituzionale un convincimento diverso da quello che
sembrava nascere dalla sentenza cui il collegio si richiama, ma che,
pero’, si ribadisce riguardava un aspetto che non era stato preso in
esame in via diretta, ma costituiva, come e’ evidente dalle
motivazioni della decisione n. 197/ 1996, un mero obiter dictum.
In effetti, se il voto disgiunto non e’ in se’ un male e puo’
anche essere giustificato, e’ evidente che tale aspetto del problema
non puo’ non tener conto del sistema nel quale esso si inserisce.
Situazioni nelle quali una maggioranza di segno politico diverso
dall’esecutivo espresso non e’ una novita’ assoluta e trova
corrispondenza in alcuni ordinamenti democratici. Tuttavia, la
situazione va sempre valutata in rapporto all’ordinamento nel quale
si inserisce e (come lo stesso giudice delle leggi riconosce nella
sentenza citata), nel caso che e’ stato sottoposto al collegio il
rischio di ingovernabilita’ e’ massimo e potrebbe essere addirittura
piu’ grave la’ dove le liste non collegate al primo turno abbiano
deciso di spostare i loro voti (senza riuscire a esprimere il
sindaco), in favore della maggioranza del consiglio.
In una siffatta ipotesi la divaricazione tra maggioranza e
sindaco sarebbe ancora maggiore per cui non resterebbe, come la
stessa corte osserva, che la soluzione di dimissioni del sindaco
eletto e di scioglimento conseguente del consiglio.
Pero’, tale soluzione non sembra corrispondere al principio di
buon andamento del governo della cosa pubblica, perche’ verrebbe
completamente frustrata la volonta’ dell’elettorato il quale vedrebbe
compromesse le sue scelte e chiamato nuovamente alle urne.
Anche un eventuale tentativo di governo troverebbe continui
ostacoli e la spada di Damocle della mozione di sfiducia, contenuta
nella disposizione dell’art. 52 del Testo unico n. 267/2000 la quale
prevede, appunto, che il sindaco e le rispettive giunte cessano dalla
carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia della
maggioranza assoluta dei componenti del consiglio.
D’altronde, che la contemporanea presenza delle due disposizioni,
che si rimettono al giudizio della Corte, possa creare degli effetti
distorti, e’ emblematicamente rappresentata da alcune situazioni che,
come accennato piu’ avanti, possono in pratica verificarsi.
Si’ esaminino i casi seguenti, prendendo in considerazione 5
liste come e’ accaduto nel caso sottoposto al collegio:
IPOTESI A.
1) – I gruppo di liste apparentate 50,01%;
2) – II gruppo di liste apparentate 41,29%;
3) – lista autonoma 2,90%;
4) – lista autonoma 2,90%;
5) – lista autonoma 2,90%.
In questa fattispecie non sarebbe possibile alcun apparentamento
al secondo turno e se il sindaco risultato eletto fosse il candidato
della lista con il 41,20% dei voti, il Consiglio comunale
risulterebbe cosi’ composto: I gruppo di liste apparentato 22, II
gruppo di liste apparentato 18, per il gioco dei resti. In effetti,
rapportando a 100 le percentuali calcolabili, in un comune di 40
consiglieri, ad ogni lista doveva essere assegnato un seggio ogni
2,28 voti percentuali, anziche’ 2,25.
In questo caso, cioe’, sarebbero state penalizzate, cosi’ come
voluto dal legislatore le liste non apparentate, ma, nello stesso
tempo, avrebbe avuto un premio, al di la della stessa percentuale
ottenuta, la lista che non avesse espresso il sindaco. Sarebbe,
cioe’, scattato un premio di maggioranza alla rovescia.
Si consideri, invece il caso che il I gruppo di liste non avesse
raggiunto al primo turno il 50,01% dei voti ma, per ipotesi solo il
49,09%; in questo caso l’altro raggruppamento avrebbe conseguito il
premio di maggioranza, ottenendo 24 seggi su 40 mentre il I, per una
differenza % di solo 0,2, ben 6 seggi in meno.
IPOTESI B.
1) – I raggruppamento di liste 50,01%;
2) – II raggruppamento di liste 40,09%;
3) – Lista autonoma 3%;
4) – Lista autonoma 3%;
5) – Lista autonoma 3%.
In questo caso ognuno dei due raggruppamenti, ove le liste
autonome, le quali in un caso di questo tipo si potrebbero
apparentare, avessero espresso il loro consenso per il II
raggruppamento, avrebbe ottenuto 20 consiglieri.
A riprova, poi, che le scelte legislative non sembrano dettate da
una logica stringente, mutuando dalle considerazioni della Corte
nella richiamata sentenza n. 197 del 1996, si puo’ osservare che
l’eletto sindaco sarebbe maggiormente tutelato in una posizione di
partenza piu’ debole, quella cioe’ nella quale al primo turno avesse
ottenuto il 40,09 anziche’ il 41,29.
E’ vero, come afferma il Consiglio di Stato nella sua decisione,
che in questo caso si sarebbe verificata l’ipotesi che, in pratica,
gli elettori, potendo essi, comunque, manifestaieil loro voto,
avrebbero cosi confermato le indicazioni del delegato di lista, ma si
dovrebbe pur sempre spiegare come mai questa conferma, con le
inevitabili conseguenze sulla composizione del consiglio, e’
possibile in un caso e non nell’altro.
Resta, cioe’, difficile accettare un principio che esclude
comunque dal gioco delle elezioni per uno degli organi eletti, una
parte dell’elettorato dal secondo turno che, in ogni caso,
rappresenta anch’esso un momento di consenso del corpo elettorale.
Ma vi e’ un’ulteriore considerazione da fare: si consideri che
nell’ipotesi B, le liste non apparentate decidano di spostare,
attraverso i delegati di lista, sul I raggruppamento il loro consenso
ma che gli elettori spostino il loro voto, comunque, sul candidato
de1 II che ottenga cosi’ l’elezione a sindaco nel turno di
ballottaggio.
Orbene, in questo caso il Consiglio sarebbe composto da 24
consiglieri della «minoranza» e da 16 della «maggioranza», facendo
verificare cioe’ quell’ipotesi di assoluta ingovernabilita’
individuato dalla Corte nella sua precedente sentenza ed in contrasto
palese con le scelte dell’elettorato che, avendo individuato nel
turno di ballottaggio il sindaco nel candidato del II raggruppamento,
ha indubbiamente con cio’ manifestato la sua preferenza.
Verrebbero, percio’, completamente frustrate le scelte
dell’elettorato facendo verificare proprio quell’ipotesi che il
Consiglio di Stato, scegliendo il suo ultimo orientamento, aveva
paventato che si potessero altrimenti verificare.
Di qui, secondo il parere del collegio, l’illogicita’ del sistema
e la violazione di ogni principio di ragionevolezza.
Ritiene, percio’, il collegio che la questione debba essere
sottoposta alla Corte costituzionale sotto il duplice profilo della
violazione del principio di eguaglianza, nella misura in cui non
permette al turno di ballottaggio che alcune formazioni politiche
trovino la loro considerazione nel secondo turno elettorale il quale,
comunque, puo’ modificare le scelte gia’ effettuate dagli elettori,
e, sotto il profilo della non manifesta infondatezza della
illegittimita’ costituzionale, per violazione del principio di
ragionevolezza e del buon andamento dell’amministrazione, della
condizione, posta nell’ottavo comma di cui all’art. 73 del Testo
unico, nella misura in cui, qualora la componente che non abbia
espresso il sindaco abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti
validi al primo turno, impedisca l’attribuzione di qualsiasi premio
di maggioranza al sindaco risultato eletto; sembra, infatti,
necessaria una modifica del sistema in modo da evitare, quanto meno,
che non si verifichi il rischio della cosiddetta ingovernabilita’
assoluta, rilevato, del resto, dalla stessa Corte costituzionale.
Una circostanza peculiare e poi emblematica della situazione
particolare che si e’ verificata e potrebbe verificarsi in futuro nel
sistema cosi’ com’e’ studiato attualmente, e’ costituito dal fatto,
verificatosi nella presente fattispecie, che al primo turno, il
numero dei voti ottenuti dalle liste, che hanno poi ottenuto la
maggioranza in consiglio, e’ inferiore alla manifestazione
complessiva di voto che ha ottenuto il sindaco eletto nel turno di
ballottaggio, in conseguenza del sistema del voto disgiunto e delle
condizioni assunte per stabilire quando scatti il premio di
maggioranza.
Questo, pertanto, in siffatti casi, risulterebbe eccessivamente
penalizzato rispetto alla volonta’ espressa dagli elettori laddove la
condizione gia’ richiamata di cui all’art. 73, non attribuisca in
qualche modo la possibilita’ di valutare in modo piu’ favorevole il
risultato elettorale ottenuto dall’eletto nel turno di ballottaggio,
limitando adeguatamente la condizione di cui al n. 8 dell’art. 73 del
Testo unico sugli enti locali, contenuto nel decreto legislativo 18
agosto 2000.
Ritiene, pertanto, il collegio che, cosi come esposto nelle
considerazioni innanzi avanzate, si possa ritenere rilevante nella
fattispecie e non manifestamente infondata una questione di
costituzionalita’, delle norme di cui ai numeri 7 e 8 dell’art. 73
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per contrasto con gli
articoli 3 e 97 della Costituzione.
La prima perche’ tratta in modo difforme alcune liste di
candidati nel primo e secondo turno in dipendenza dell’avvenuto o
meno apparentamento al primo turno, la seconda perche’ porre
condizioni per evitare l’attribuzione del premio di maggioranza, non
soltanto costituisce una violazione del desiderio degli elettori, non
valutando le scelte da questi operate in un secondo turno di
elezione, ma comporta inevitabilmente un forte pericolo di
ingovernabilita’ dell’ente locale.
Il giudizio deve, pertanto, essere sospeso con remissione degli
atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M.
Rilevata d’ufficio la non manifesta infondatezza della possibile
illegittimita’ costituzionale delle norme di cui ai numeri 7 e 8
dell’art. 73 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per
contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione, e ritenuta la
sua rilevanza nel caso di specie, sospende il presente giudizio e
rimette gli atti alla Corte costituzionale.
Ordina alla segreteria della sezione di trasmettere gli atti alla
Corte costituzionale e copia della ordinanza alle parti in causa, ai
Presidenti dei rami del Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei
ministri e al Ministero degli interni.
Cosi’ deciso in Pescara, il 15 gennaio 2004.
Il presidente estensore:Cantoni