Civile
Secondo le Sezioni Unite della Cassazione, qualora la compagnia assicuratrice riesca a fornire la prova che quanto contenuto nella C.A.I. (o CID) non corrisponda al vero e, pertanto, che non c’ è alcuna responsabilità a carico del proprio assicurato, anc
Secondo le Sezioni Unite della
Cassazione, qualora
la compagnia assicuratrice riesca a fornire la prova che quanto contenuto nella
C.A.I. (o CID) non corrisponda al vero e, pertanto, che non c’è
alcuna responsabilità a carico del proprio assicurato, anche
quest’ultimo, nonostante si sia assunto la responsabilità
dell’accaduto nel modulo di constatazione amichevole, non potrà
essere condannato al risarcimento dei danni. (SEZIONI
UNITE CIVILI
Sentenza 13 ottobre 2005-5 maggio
2006, n. 10311)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 13 ottobre 2005-5 maggio
2006, n. 10311
(Presidente Carbone – Relatore Lo Piano)
Svolgimento del processo
C. S.e
convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Alghero,
S. S. e la
Spa L.
I., assicuratrice per la responsabilità civile dell’auto di
quest’ultimo, e ne chiese la condanna, in solido, al risarcimento dei
danni subiti a seguito di incidente stradale, la cui responsabilità era
da attribuire al S., come dallo stesso riconosciuto con la sottoscrizione del
modulo di constatazione del sinistro (c.d. CID).
Si costituì in giudizio la compagnia di assicurazione, che chiese il
rigetto della domanda, deducendo la inattendibilità di quanto risultante
dal CID.
S. S. rimase contumace.
Il Giudice di pace, ritenuto il concorso di colpa del S., nella misura del 20%,
e del C., nella misura dell’80%, condannò il S. e la compagnia di
assicurazione, in solido, a pagare al C. il 20% dei danni da questi subiti,
condannandolo a pagare alla compagnia assicuratrice l’80% delle spese.
La sentenza fu appellata, in via principale, dal C., che chiese affermarsi
l’esclusiva responsabilità del S., con la conseguente condanna
dello stesso e della compagnia di assicurazione all’integrale
risarcimento dei danni, e, in via incidentale, dalla compagnia di
assicurazioni, che chiese l’integrale rigetto della domanda proposta nei
suoi confronti.
S. S. rimase contumace anche nel giudizio
d’appello.
Il Tribunale di Sassari, in accoglimento dell’appello incidentale,
respinse la domanda proposta dal C. nei confronti del S. e della compagnia di
assicurazione, sulla base delle seguenti considerazioni: La tesi del C.
(secondo cui l’incidente si sarebbe verificato perché
l’autoveicolo del S., che egli stava sorpassando, in un tratto di strada
rettilineo, aveva, a sua volta, iniziato una manovra di sorpasso del veicolo
che lo precedeva, intersecando cosi la traiettoria. della
propria auto e determinandone l’uscita di strada) non era provata, cosi
come non era provato il nesso di causalità tra i danni lamentati dal C.
ed il sinistro;
la ricostruzione del sinistro, contenuta nel modulo CID, non poteva costituire
prova nei confronti della compagnia assicuratrice, perché il detto
modulo non risultava essere stato ad essa tempestivamente trasmesso e
perché non risultava essersi verificato uno «scontro tra
veicoli», requisito richiesto dall’articolo 5 del Dl 857/76; gli
elementi risultanti dal modulo CID al quale poteva essere attribuita soltanto il
valore di prova atipica apparivano in insanabile contrasto con la
documentazione fotografica acquisita agli atti, con le osservazioni svolte dal
consulente tecnico d’ufficio e con la circostanza che sull’auto del
S. non erano state riscontrate tracce di collisione;
del tutto da condividere erano, quindi, le conclusioni cui era pervenuto il
consulente tecnico d’ufficio, secondo cui i danni riscontrati
sull’autoveicolo del C. non erano compatibili con la dinamica del
sinistro descritta dalle parti, cosicché, se l’incidente si era effettivamente
verificato, non si era svolto, comunque, con le modalità indicate;
pertanto, non era da ritenere sussistente la prova del fatto e del nesso di
causalità con i danni dei quali il C. aveva chiesto il risarcimento.
Per la cassazione della suddetta sentenza ha proposto ricorso C. S..
La Spa
L. I. e S.
S. non hanno svolto attività difensiva.
La causa, dapprima assegnata alla terza sezione civile, è stata rimessa
alle Su essendosi ravvisata una questione di massima di rilevante importanza in
relazione ai motivi addotti a sostegno del ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo del ricorso si
denuncia: Violazione degli articoli 112, 339, 342 Cpc
in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc.
Si deduce che la sentenza di primo grado, che aveva pronunciato la condanna in
solido del S. e della Spa L.
A., era stata impugnata solo da quest’ultima, che aveva chiesto la
reiezione della domanda contro di lei proposta dal C.; nessuna impugnazione era
stata invece proposta da S. S., con la conseguenza che il giudice
d’appello non avrebbe potuto rigettare la domanda, avanzata nei confronti
del predetto dal C. e già accolta, sia pure parzialmente, dal giudice di
primo grado.
Con il secondo motivo si denuncia: Violazione e falsa applicazione
dell’articolo 116 Cpc e degli articoli 2054,
2697 e 2735 Cc, nonché dell’articolo 5,
comma 1 e 2, del Dl 857/76 convertito nella legge 39/1977 in relazione
all’articolo 360 nn. 3 e 5 Cpc.
La censura svolge le seguenti argomentazioni:
Il Tribunale ha immotivatamente disatteso le
risultanze del modulo CID, che con riferimento al S. aveva valore di
confessione stragiudiziale, nel quale erano con precisione indicati l’ora
ed il luogo del fatto, i mezzi coinvolti, il teste presente, le modalità
del sinistro, la dichiarazione del S. di avere costretto con la sua manovra il
C. a «stringere a sinistra», nonché il punto di contatto tra
i due mezzi;
– v’era la prova della collisione tra i due veicoli e la dinamica del
sinistro era stata confermata dal teste indicato nel modulo CID ed aveva
trovato riscontro nel l’interrogatorio libero e
in quello formale del C.;
– la prova del sinistro e delle sue modalità era stata data dal C. a
mezzo di prove documentali ed orali e tale prova non poteva essere superata
dalla consulenza basata su mere deduzioni, tra l’altro, erronee e
contraddittorie;
– la prova del nesso causale tra i danni ed il sinistro era stata fornita e del
resto la sentenza del giudice di pace sul punto non era stata impugnata; il
Tribunale ha erroneamente ritenuto che l’articolo 5 del Dl 857/76 trovi
applicazione soltanto nel caso di «scontro» tra i veicoli inteso
nel senso di contatto materiale tra gli stessi idoneo a cagionare danno ad
entrambi, mentre è da considerare «scontro» «qualsiasi
contatto tra i mezzi cha causalmente provochi, di per
sé ovvero in conseguenza di manovre illegittime e colpose, un
sinistro»; il modulo CID era pienamente probante nei confronti della
compagnia assicuratrice, perché gli elementi in esso indicati avevano
trovato riscontro negli altri elementi di prova acquisiti al processo; la
valenza probatoria del modulo CID non poteva essere inficiata dal rilevato
ritardo con cui, secondo il Tribunale, esso era stata trasmesso alla compagnia
assicuratrice; ciò perché: nessun termine era previsto dalla legge
per l’invio del modulo; nessuna eccezione era stata sollevata in
proposito dalla compagnia di assicurazione; il modulo era stato consegnato
tempestivamente dal C. alla propria compagnia assicuratrice; il Tribunale ha immotivatamente ritenuto che la compagnia assicuratrice
avesse fornito la prova contraria, su di essa incombente, ai sensi
dell’articolo 5, secondo comma, Dl 857/76.
Con riferimento ai detti motivi, la terza sezione civile di questa Corte, ha
rilevato che gli stessi pongono una questione di massima di particolare
importanza (articoli 374 e 376 Cpc) e, pertanto, ha
rimesso gli atti al Primo Presidente, che ha disposto la trattazione della
causa da parte di queste Su.
L’ordinanza, richiamata la giurisprudenza di questa Corte, osserva che in
essa sono rinvenibili due principi:
uno, secondo cui il litisconsorzio previsto dall’articolo 23 della legge
990/69, che impone al danneggiato che esercita l’azione diretta (articolo
18) nei confronti dell’assicuratore di chiamare in giudizio il responsabile
del danno, «soddisfa l’esigenza che sulla responsabilità
dell’assicurato e dell’assicuratore si statuisca in un unico
contesto, in modo uniforme», cosicché l’impugnazione
proposta dal solo assicuratore impedisce che sulla responsabilità del
danneggiante, chiamato in giudizio, si formi il giudicato.
L’altro, secondo cui «il modulo di constatazione amichevole di
sinistro stradale redatto ai sensi del Dl 857/76, convertito con modificazioni
in legge 39/1977, (quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti e
completo in ogni sua parte, compresa la data) ha valore probatorio di
confessione esclusivamente nei riguardi del suo autore, mentre genera soltanto
una presunzione iuris tantum nei confronti
dell’assicuratore, come tale superabile con prova contraria», con
la possibilità, quindi, che la responsabilità
dell’assicurato venga affermata in base alla sua confessione, mentre
l’azione diretta nei confronti del l’assicuratore venga respinta
ove egli fornisca la prova contraria.
Con riferimento al caso in esame l’ordinanza osserva che il Tribunale ha
respinto la domanda proposta nei confronti del responsabile del danno che, con
la sottoscrizione del modulo, aveva ammesso fatti per sé sfavorevoli;
con ciò il Tribunale aveva fatto applicazione del primo principio,
secondo cui la decisione deve essere unitaria, sia per l’assicurato, sia
per l’assicuratore, ma aveva disatteso il secondo principio, secondo cui
la dichiarazione di fatti sfavorevoli al responsabile del danno, contenuta nel
modulo da lui sottoscritto, ha valore di confessione stragiudiziale.
Il Tribunale osserva ancora che se il Tribunale avesse affermato la
responsabilità dell’assicurato, in base alla sua confessione, e
rigettato la domanda nei confronti dell’assicuratore, ritenendo che
questi avesse offerto la prova contraria rispetto a quanto dichiarato
dall’assicurato nel modulo CID, avrebbe rispettato il secondo principio,
ma avrebbe disatteso il primo.
L’ordinanza, a questo punto, prospetta, sia pure in via dubitativa, le
seguenti possibili soluzioni:
– un’applicazione dell’articolo 2733 Cc
in linea coi primo principio, nel senso che la confessione di uno soltanto dei litisconsorti necessari sia bensì liberamente
apprezzabile dal giudice, ma in modo conforme per tutti i litisconsorti,
come affermato da Cassazione, 198/87; ma a ciò, secondo
l’ordinanza, sembra ostare la lettera e la ratio dell’articolo 5,
comma 3, Dl
857/76, che ha anche funzione dissuasiva di tentativi di frode in danno
dell’assicuratore;
– ritenersi che l’impossibilità di un apprezzamento (e di
conseguenze) difforme per il confitente e per il litisconsorte non confitente sia
da riservarsi ai soli casi di litisconsorzio sostanziale in cui sia dedotto un
unico rapporto, con la conseguente possibilità di valutare diversamente
la confessione dell’assicurato nei casi di cui all’articolo 23,
legge 990/69: ammettendosi, cioè, che la sua confessione (tramite il
modulo di constatazione amichevole) non abbia effetto solo per
l’assicuratore che abbia offerto la prova contraria ai sensi dell’articolo
5, comma 3, Dl
857/76; ciò, però, secondo l’ordinanza, comporterebbe lo
scostamento dal primo principio, dovendo allora riconoscersi la
possibilità che lo stesso fatto sia ritenuto vero per
l’assicurato, e non vero per l’assicuratore, quantomeno nei casi in
cui sia il solo assicuratore del responsabile (e non anche il solo assicurato)
a dover essere mandato indenne dalla pretesa risarcitoria
del danneggiato.
Sembra a queste Su che, al fine di dare una risposta ai quesiti posti con
l’ordinanza di cui sopra che trovano fondamento nelle questioni poste con
i motivi del ricorso occorra partire dall’analisi della struttura
dell’azione diretta del danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, disciplinata dall’articolo 18 della legge
990/69, e dall’accertamento delle ragioni del litisconsorzio che il
successivo articolo 23 impone di realizzare nei confronti del responsabile del
danno.
In particolare occorre verificare se il procedimento litisconsortile
disciplinato dai suddetti articoli tolleri che si possa giungere ad una
decisione che non sia unica per tutte le parti che vi devono necessariamente
partecipare.
Tale accertamento appare necessario perché, se ben si osserva,
più o meno consapevolmente, la tesi prevalente nella giurisprudenza,
che, pure riconoscendo nella fattispecie considerata la ricorrenza di un
litisconsorzio necessario previsto dalla legge, afferma che la confessione del
danneggiante assicurato fa piena prova nel rapporto tra questi ed il
danneggiato, mentre può essere liberamente apprezzata dal giudice nel
diverso rapporto tra assicurato ed assicuratore, si fonda sulla tesi che non in
tutti i casi in cui è necessaria la partecipazione al giudizio di una
pluralità di parti sussiste anche la necessità che la sentenza
sia unica per tutte, donde il diverso senso da attribuire all’espressione
lifisconsorzio necessario, che nell’articolo
102 Cpc, esprime solo l’esigenza che al
giudizio partecipino più soggetti, mentre nell’articolo 2733,
comma 3 del codice civile, si riferisce non a tutti i
casi di litisconsorzio ma solo a quelli in cui la decisione deve essere uguale
per tutte le parti in causa.
Ai sensi dell’articolo 19 17 Cc, che disciplina
l’assicurazione della responsabilità civile, di cui
l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità derivante dalla
circolazione dei veicoli costituisce una specie, l’assicuratore è
tenuto a tenere indenne l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del
fatto accaduto durante il tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo,
in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto.
E giurisprudenza costante di questa Corte che l’assicurazione della
responsabilità civile non può essere inquadrata tra i contratti a
favore dei terzi giacché per effetto della stipulazione non sorge alcun
rapporto giuridico diretto ed immediato tra il danneggiato e
l’assicuratore, ma l’obbligazione dell’assicuratore relativa
al pagamento dell’indennizzo all’assicurato è distinta ed
autonoma rispetto all’obbligazione di risarcimento cui l’assicurato
è tenuto nei confronti del danneggiato. Talché
quest’ultimo non ha azione diretta contro l’assicuratore (v. in tal
senso Cassazione 8382/93 e successivamente, Cassazione 2678/96; 4364/97;
4364/00; 10418/02; nonché Cassazione 8650/96, la quale ha precisato che
il principio opera anche quando l’indennità sia stata pagata
direttamente al terzo danneggiato, ai sensi dell’articolo 1917, comma 2, Cc).
In deroga a questa disciplina, l’art 18 della legge n. 990 del 1969,
dispone che il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un
veicolo o di un natante, per i quali a norma della medesima legge vi è
obbligo di assicurazione, ha azione diretta per il risarcimento del danno nei
confronti dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali
è stata stipulata l’assicurazione. Con il secondo comma, la
suddetta norma inoltre dispone che fino alle somme minime per
cui è obbligatoria l’assicurazione, indicate nella tabella
A allegata alla legge, l’assicuratore non può opporre al
danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti
dal contratto, né clausole che prevedano l’eventuale contributo
dell’assicurato al risarcimento del danno, ed altresì stabilisce
che l’assicuratore ha tuttavia diritto di rivalsa verso l’assicurato
nella misura in cui avrebbe avuto contrattualmente diritto di rifiutare o
ridurre la propria prestazione.
Fin da Cassazione Su, 5218 e 5219/83 la giurisprudenza di questa Corte è
costante nel ritenere che la legge 990/69, prevedendo l’azione diretta
del danneggiato contro l’assicuratore, ha creato accanto al rapporto,
sorto dal fatto illecito, tra il danneggiato e l’assicurato ed al
rapporto contrattuale fra il responsabile e l’assicuratore un terzo
rapporto che, sul presupposto del primo ed in attuazione del secondo, obbliga
ex lege l’assicuratore verso il danneggiato; in
sostanza l’assicuratore non resta più estraneo al rapporto tra il
suo assicurato ed il terzo danneggiato, ma viene inserito quale parte e
protagonista attivo nel rapporto risarcitorio
dipendente dall’illecito di cui l’assicurato è responsabile,
con la conseguenza che la richiesta del danneggiato lo rende contraddittore
diretto e p rimario per l’accertamento e la quantificazione
dell’obbligazione risarcitoria
dell’assicurato e lo costituisce debitore verso lo stesso terzo della
relativa prestazione.
Secondo lo schema delineato dalla legge 990/69, il danneggiato, allorquando,
trascorso inutilmente il termine di cui all’articolo 22, agisce nei
confronti dell’assicuratore per essere risarcito del danno, non chiede
che l’assicuratore sia condannato ad adempiere in suo favore
l’obbligo che il predetto ha nei confronti dell’assicurato in base
al contratto, ma fa valere un diritto suo proprio nei confronti del predetto
assicuratore. Ciò è sufficientemente provato dal fatto che,
secondo la legge, l’assicuratore non può opporre al danneggiato,
che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto,
né clausole che prevedono l’eventuale contributo
dell’assicurato al risarcimento del danno.
L’ accoglimento della domanda del danneggiato
presuppone che siano accertate:
l’esistenza di un contratto di assicurazione tra l’assicuratore
convenuto e colui che è indicato come responsabile del danno;
l’esistenza di una danno e la responsabilità del soggetto
assicurato.
Tali accertamenti, anche so non esplicitamente formulati, costituiscono oggetto
della domanda che il danneggiato propone nei confronti dell’assicuratore,
la quale ha quindi il seguente contenuto:
a) si accerti che Tizio è responsabile dei danni che Caio ha subito a
seguito di incidente stradale;
b) si accerti che Tizio è assicurato per la responsabilità civile
con la società X;
c) si condanni la società X, obbligata ai sensi dell’articolo 18
della legge 990/69, al risarcimento dei danni subiti da Caio.
L’accertamento negativo in ordine ad una sola delle indicate circostanze
importa che la domanda proposta nei confronti dell’assicuratore ai sensi
dell’articolo 18 della legge 990/69 debba essere respinta.
Infatti, in assenza di un contratto di assicurazione non sorge alcun obbligo di
indennizzo a carico del l’assicuratore convenuto e, del resto, una volta
accertata l’esistenza del rapporto assicurativo l’obbligo di
indennizzo diretto da parte del l’assicuratore non sussiste se non
sussiste anche la responsabilità dell’assicurato in ordine al
fatto dannoso, o perché questo non si è verificato, o
perché pur essendosi verificato non è connotato dalle
caratteristiche attribuitegli, ovvero ancora perché, pur essendo
connotato da quelle caratteristiche. non comporta
alcun obbligo risarcitorio.
L’articolo 18 propone una situazione di questo tipo. Vi è da un
lato un soggetto che assume di essere rimasto danneggiato da un sinistro
stradale, il quale agisce in giudizio e dall’altro l’assicuratore
che la legge costituisce come obbligato al risarcimento del danno cagionato dal
proprio assicurato. Si hanno pertanto due soggetti
danneggiato ed assicuratore legittimati rispettivamente ad agire e
resistere nel giudizio in forza di un rapporto sostanziale che prevede
un’obbligazione del secondo direttamente nei confronti del primo.
Senonché, come si è visto,
l’accertamento dell’esistenza del contratto di assicurazione e
quello relativo alla responsabilità dell’assicurato, i quali
costituiscono oggetto della domanda proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, riguardano rapporti rispetto ai quali la
titolarità è del responsabile del danno.
t, infatti l’assicurato che ha, con la stipulazione del contratto,
costituito il rapporto assicurativo che, sebbene non perda la sua
caratteristica di contratto finalizzato a tenerlo indenne dal rischio del
risarcimento dovuto a causa di una sua responsabilità civile, rende. tuttavia, l’assicuratore direttamente responsabile nei
confronti del danneggiato estraneo al rapporto contrattuale; è
d’altra parte il danneggiante l’autore dell’illecito che fa
sorgere il diritto al risarcimento da parte del danneggiato nei confronti
dell’assicuratore.
In una situazione di questo genere l’articolo 23 della legge 990/69 ha
previsto che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti del
l’assicuratore deve essere chiamato il responsabile del danno.
Si tratta di un litisconsorzio che è necessario non solo perché
è previsto dalla legge, ma anche perché l’accertamento dei
due rapporti in cui è coinvolto il responsabile del danno non
costituiscono un mero presupposto per l’accoglimento della domanda
proposta dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore, ma
costituiscono invece uno degli oggetti della domanda.
Tale accertamento non può che essere unico e uniforme per tutti e tre i
soggetti coinvolti nel processo, non potendosi nel medesimo giudizio affermare,
con riferimento alla domanda proposta dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore, che il rapporto assicurativo e la responsabilità
dell’assicurato esistano nel rapporto tra due delle parti e non per
l’altra, e ciò non soltanto in base al principio di non
contraddizione, ma soprattutto in base alla struttura dell’azione cosi
come disciplinata dagli articoli 18 e 23 della legge 990/69, se si ha presente
che l’obbligazione del l’assicuratore di pagare direttamente
l’indennità al danneggiato, non nasce se non esiste il rapporto
assicurativo e se non è accertata la responsabilità dell’assicurato.
Né è sostenibile che l’univoco accertamento che il giudice
compie in ordine all’azione promossa dal danneggiato nei confronti
dell’assicuratore vale solo con riferimento al rapporto diretto che la
legge istituisce tra i due.
Si consideri come nessuno abbia mai dubitato che l’accertamento della
esistenza del contratto di assicurazione e della responsabilità
dell’assicurato, compiuto nel giudizio promosso dal danneggiato nei
confronti dell’assi curatore, valga anche nel rapporto tra assicuratore e
responsabile del danno.
Nessuno ha mai sostenuto, infatti, che l’assicuratore condannato a
risarcire il danno, il quale, in separato giudizio svolga l’azione di
rivalsa nei confronti dell’assicurato, assumendo di aver indennizzato il
danneggiato pur avendo avuto contrattualmente il diritto di rifiutare o ridurre
la propria prestazione, possa vedersi opporre dall’assicurato che egli
non era responsabile del danno e che il contratto di assicurazione non
esisteva, quando questi fatti siano stati accertati nel giudizio promosso dal
danneggiato ai sensi dell’articolo 18, al quale abbia partecipato anche
l’assicurato.
Allo stesso modo l’assicurato che faccia valere la responsabilità
del l’assicuratore perché questi con il suo comportamento omissivo
ha fatto lievitare il danno oltre i limiti del massimale e, quindi, chiede di
essere tenuto indenne dall’assi curatore, in base al rapporto di
assicurazione tra i due esistente, di quanto abbia dovuto pagare al
danneggiato, non può vedersi opporre dell’assicuratore che il
rapporto accertato nel giudizio intercorso tra il danneggiato e
l’assicuratore e la responsabilità accertata nello stesso giudizio
non esistono.
Se ciò è vero nei rapporti tra assicurato ed assicuratore, deve
essere pure vero nei rapporti tra danneggiato e assicurato, con riferimento
all’accertata responsabilità del danno. Questa
responsabilità una volta accertata o negata nel giudizio promosso dal
danneggiato nei confronti dell’assicuratore, in contraddittorio con
l’assicurato, è accertata o negata anche nei rapporti tra
danneggiato e assicurato.
Ma, come si è detto prima, nel giudizio tra danneggiato ed assicuratore
l’esistenza del rapporto di assicurazione e la responsabilità
dell’assicurato non possono essere contemporaneamente affermate e negate.
O esistono e la domanda va accolta o non esistono ed allora la domanda va
respinta, aspetto questo ben colto da Cassazione 10693/98 laddove afferma,
richiamando Cassazione 5793/82, che la controversia si svolge in maniera
unitaria tra i tre soggetti del rapporto processuale ed abbraccia inscindibilmente
sia il rapporto di danno, originato dal fatto illecito dell’assicurato,
sia il rapporto assicurativo.
La situazione non muta se il danneggiato, nel giudizio promosso contro
l’assicuratore ai sensi dell’articolo 18 della legge 990/69, oltre
a chiedere la condanna dell’assicuratore chiede anche la condanna del
responsabile del danno; in tale caso la domanda nei confronti di
quest’ultimo si articola nei seguenti punti:
a) si accerti che Tizio è responsabile dei
danni che Caio ha subito a seguito di incidente stradale;
b) si condanni Tizio al risarcimento del danno subito da Caio.
Ma la domanda sub a) proposta dal danneggiato nei confronti del responsabile
del danno è la stessa domanda sub a) proposta dal danneggiato nei
confronti dell’assicuratore, attiene ad un medesimo fatto, impone
l’accertamento delle medesime circostanze e delle medesime conseguenze
giuridiche; ciò che la differenzia dall’altra e che alla domanda
di accertamento della responsabilità si aggiunge quella di condanna del
responsabile al risarcimento del danno. Ora, se come si è sopra
chiarito, l’accertamento della responsabilità
dell’assicurato, nell’azione diretta promossa dal danneggiato nei
confronti del l’assicuratore deve avvenire in modo unitario nei rapporti
di tutte e tre le parti che partecipano al giudizio, e tale accertamento vale
anche nei rapporti tra danneggiato e responsabile, ne consegue che
nell’azione promossa dal danneggiato nei confronti del responsabile per
ottenere da costui il risarcimento del danno, tale accertamento non può
differire da quello svolto in sede di azione diretta.
La suddetta ricostruzione dell’azione diretta e della sussistenza in essa di un litisconsorzio necessario che impone oltre alla
partecipazione al giudizio del responsabile del danno anche una decisione
unitaria nei confronti dei soggetti partecipanti allo stesso, giustifica come
nell’ipotesi di azione proposta dal danneggiante nei confronti del solo
responsabile del danno non sia prevista la necessaria partecipazione al
giudizio dell’assicuratore quale litisconsorte.
Invero in quest’ultima ipotesi il rapporto sostanziale dedotto in
giudizio intercorre tra le parti che formalmente vi partecipano e la situazione
accertata in quel giudizio solo indirettamente influisce sul rapporto
assicurativo, il quale potrebbe essere solo eventualmente introdotto mediante
una chiamata in garanzia, ovvero essere introdotto con altro giudizio, ovvero
ancora non essere mai evocato.
Se quanto sin qui detto è esatto ne discende:
a) che va ribadita la giurisprudenza di questa Corte, risalente alla Su, Cassazione, Su, 5220/83, secondo cui in tema di
assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli a motore o dei natanti, qualora il danneggiato,
esercitando l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore,
evochi in giudizio quest’ultimo ed il responsabile assicurato (articoli
18 e 23 della legge 990/69), e, chiedendo un risarcimento eccedente i limiti
del massimale di assicurazione, proponga, oltre alla domanda nei confronti
dello assicuratore, anche domanda contro l’assicurato, le domande
medesime si trovano in rapporto di connessione e reciproca dipendenza, trovando
presupposti comuni nell’accertamento della responsabilità risarcitoria dell’assicurato e
dell’entità del danno risarcibile, con la conseguenza che
l’impugnazione della sentenza per un capo attinente a detti presupposti
comuni, da qualunque parte ed in confronto di qualunque parte proposta,
impedisce il passaggio in giudicato dell’intera pronuncia con riguardo a
tutte le parti (v. di recente: Cassazione 15039/04; 10125/03; 5877/99, 255/99;
9919/98);
b) che, in materia di dichiarazioni rese dal responsabile del danno, va
respinta qualsiasi tesi che porti a concludere che, nel giudizio instaurato ai
sensi dell’articolo 18 della legge 990/69, e nel caso in cui sia stata
proposta soltanto l’azione diretta e nel caso in cui sia stata proposta
anche la domanda di condanna nei confronti del responsabile del danno, in base
a dette dichiarazioni si possa pervenire ad un differenziato giudizio di
responsabilità, in ordine ai rapporti tra responsabile e danneggiato, da
un lato, e danneggiato ed assicuratore dall’altro.
È bene che questo. punto sia affrontato e
chiarito, a prescindere dal fatto se la dichiarazione del responsabile del
danno sia contenuta o meno nel cosiddetto CID, con la precisazione che quanto
si parla di dichiarazioni confessorie si fa riferimento a quelle dichiarazioni
in cui siano ammessi fatti che, valutati alla stregua delle regole in materie
possano portare alle affermazione della responsabilità del soggetto che
le ha rese, e non quindi alle dichiarazioni che consistano in mera assunzione
di responsabilità o di colpa.
Questo secondo punto deve, inoltre, essere affrontato in relazione
all’ipotesi in cui la dichiarazione, ritenuta avente valore confessorio,
sia resa dal responsabile del danno che sia anche litisconsorte
necessario nel giudizio promosso dal danneggiato contro l’assicuratore, e
cioè dal proprietario del veicolo assicurato, secondo quella che
è la quasi unanime giurisprudenza di questa Corte. Questa ipotesi si
realizza prevalentemente nel caso, ricorrente nella specie, in cui il
conducente del mezzo si identifica con il proprietario del veicolo.
Sono estranee al presente giudizio invece le questioni che attengono alla
confessione resa dal conducente del veicolo, il quale non sia anche
proprietario del mezzo.
Orbene una volta chiarito che nel giudizio promosso dal danneggiato nei
confronti dell’assicuratore il responsabile del danno, che deve essere
chiamato nel giudizio sin dall’inizio, assume la veste di litisconsorte necessario, ed una volta affermato che la
decisione deve essere uniforme per tutti e tre i soggetti ed è, inoltre,
idonea a regolare i rapporti tra gli stessi (non quindi solo il rapporto tra
danneggiato ed assicuratore, ma anche quello tra quest’ultimo ed il
responsabile del danno, in ordine alla sussistenza del rapporto assicurativo, e
tra il predetto responsabile ed il danneggiato in ordine alla
responsabilità del sinistro), appare consequenziale che dalla
valutazione delle dichiarazioni di colui che secondo il danneggiato è il
responsabile del danno, non possono derivare conclusioni differenziate in
ordine ai rapporti sopra individuati.
La norma attraverso la quale si realizza questo effetto è quella di cui
al comma 3 dell’articolo 2733 Cc, secondo la
quale in caso di litisconsorzio necessario la confessione resa da alcuni
soltanto dei litisconsorzi è liberamente apprezzata dal giudice; questa
norma costituisce una deroga a ciò che dispone il secondo comma, secondo
cui la confessione fa piena prova contro chi
l’ha fatta; infatti viene esclusa la funzione di piena prova della
confessione, la quale assume soltanto la natura di elemento che il giudice
apprezza liberamente, e ciò non solo nei confronti di chi ha reso la
dichiarazione ma anche nei confronti degli altri litisconsorzi. La norma
è applicabile alla fattispecie in esame, poiché si verte in tema
di accertamento di fatti, da effettuarsi in modo unitario, i quali, come si
è in precedenza affermato, hanno efficacia e rilevanza comuni per tutte
e tre le parti che la legge indica come litisconsorzi necessari del giudizio
promosso dal danneggiato ai sensi dell’articolo 18 della legge 1969/90.
In applicazione dei suddetti principi perde rilievo la questione sollevata nel
secondo motivo del ricorso relativa al valore confesso rio o meno da attribuire
alle dichiarazioni rese della parti nel modello CID.
Non hanno rilievo neppure le questioni sollevate, sempre con il secondo motivo,
con riferimento alle affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo
cui l’articolo 5 della del Dl 857/76 non troverebbe applicazione nella
specie essendo mancato uno «scontro» tra i due veicoli e
perché il modello CID sarebbe stato inviato con ritardo
all’assicuratore.
Infatti, il Tribunale, nonostante abbia affermato che, per le suddette ragioni,
il modulo CID non potesse avere valore di «presunzione legale» nei
confronti dell’assicuratore, ha finito poi per prendere in esame la
ricostruzione dei fatti contenuta nel predetto modulo e con ampia ed
argomentata motivazione, basata su dati obiettivi e sulle osservazioni del
consulente tecnico, ha, in accordo con questi, concluso che i danni riscontrati
sull’auto del C. non erano compatibili con la dinamica del sinistro cosi
come descritta dalle parti e che, ammesso che il sinistro si fosse
effettivamente verificato, lo stesso era comunque avvenuto con modalità
diverse da quelle descritte.
Ora se si considera che, come da costante giurisprudenza di questa Corte di
Cassazione, il modulo CID quando è sottoscritto dai conducenti coinvolti
e completo in ogni sua parte, compresa la data, genera una presunzione iuris tantum valevole nei confronti
dell’assicuratore, e come tale superabile con prova contraria e che tale
prova può emergere non soltanto da un’altra presunzione, che
faccia ritenere che il fatto non si è verificato o si è
verificato con modalità diverse da quelle dichiarate, ma anche da altre
risultanze di causa,
ad esempio da una consulenza tecnica d’ufficio, ne consegue che la
sentenza impugnata si sottrae alle censure in diritto svolte dal ricorrente,
perché, nonostante le richiamate contrarie affermazioni, essa ha finito
per applicare di fatto correttamente la norma che si assume violata.
Le censure che. invece, si richiamano alla violazione
dell’articolo 360 n. 5 c.p.c. sono
inammissibili, atteso che esse si risolvono nella pretesa di una diversa
valutazione degli elementi di prova esaminati
dal Tribunale, il cui convincimento è sostenuto da argomentazioni immuni
da vizi logici e, come rilevato nel paragrafo che precede, anche da vizi
giuridici.
Il ricorso è rigettato. Nulla per le spese in assenza di svolgi mento di attività difensiva delle parti
intimate.
PQM
La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, rigetta il
ricorso.