Penale

Friday 12 September 2003

Scriminata da stato di necessità la condotta della madre che sottrae il figlio minore per evitare di sottostare alle violenze del coniuge. Cassazione – Sezione sesta penale – sentenza 4 giugno-22 agosto 2003, n. 34862

Scriminata da stato di necessità la condotta della madre che sottrae il figlio minore per evitare di sottostare alle violenze del coniuge

Cassazione Sezione sesta penale sentenza 4 giugno-22 agosto 2003, n. 34862

Presidente Trojano relatore Di Virginio

Pg Veneziano ricorrente Salvaterra

Osserva

Ricorre Salvaterra Anna, a mezzo del proprio difensore, avverso sentenza della Corte dAppello di Roma in data 3 dicembre 2002, con la quale è stata confermata la sua condanna alla pena di mesi otto di reclusione, con le attenuanti generiche, e al risarcimento del danno in favore della parte civile Neri Riccardo per il reato di cui allarticolo 574 Cp, ascrittole per aver sottratto al padre il proprio figlio Neri Valerio, nato fuori dal matrimonio ma dal padre riconosciuto. La Salvaterra si era allontanata in assenza del Neri dalla comune abitazione il 21 gennaio 1996 portando con sé il bambino, allepoca in età di quattro anni. Qualche giorno dopo la Salvaterra era tornata sul posto e aveva sostituito, sempre in assenza del Neri, la serratura della porta di ingresso dellappartamento, dove si trovavano mobili ed effetti personali del Neri. Per questultimo fatto le veniva contestato anche il reato di cui allarticolo 392 Cp, dal quale veniva peraltro assolta in primo grado.

Deduce la ricorrente difetto di motivazione relativamente allinvocata scriminante dello stato di necessità, avendo ella dovuto lasciare labitazione per le continue violenze cui era sottoposta dal Neri, che non aveva alcun diritto a trattenervisi contro la sua volontà (come riconosciuto dal giudice di primo grado e anche dal giudice civile da lei adito), e dovuto parimenti portare con sé il bambino perché in caso diverso avrebbe potuto essere ravvisato a suo danno il reato di abbandono di persona incapace; violazione del principio devolutivo dellappello e del divieto di reformatio in pejus, essendo stata presa in considerazione a differenza che in primo grado anche la sua condotta successiva alla data del 6 febbraio 1996, in cui il Tribunale per i Minorenni le aveva affidato il figlio sia pure in via provvisoria, con conseguente cessazione della sua pretesa antigiuridicità (mentre la Corte dAppello ha ritenuto che la condotta antigiuridica si sia protratta addirittura fino al 9 ottobre 1997); erronea applicazione dellarticolo 574 Cp perché la pretesa sottrazione si era protratta per un lasso di tempo trascurabile e non era stata accompagnata da alcuna condotta impeditiva dellesercizio della potestà da parte dellaltro genitore; improcedibilità dellazione penale, relativamente al reato di sottrazione di minore, per difetto di querela, dal momento che il Neri aveva inteso dolersi, come risultante dal tenore dellatto, unicamente della privazione del diritto di abitazione.

Questultimo motivo ha carattere evidentemente pregiudiziale e deve perciò essere esaminato con precedenza sul motivi ulteriori di gravame. Esso non può, peraltro, ritenersi fondato. Se è vero, infatti, che in narrativa il Neri si diffonde pressoché esclusivamente sulla sostituzione della serratura e sulle sue conseguenze pregiudizievoli, è anche vero che egli dichiara poi di voler proporre querela «peri reati che saranno ravvisabili nei fatti sopra esposti»; e perciò anche ‑ si deve ritenere ‑ per la pretesa sottrazione del figlio, parimenti menzionata in narrativa, non esistendo daltronde ragioni per considerare, in base al tenore dellatto, listanza di punizione limitata agli altri fatti penalmente rilevanti in astratto.

Sussiste invece il vizio di motivazione denunciato, con riferimento sia alla astratta configurabilità del reato di cui allarticolo 574 Cp, sia al dedotto stato di necessità. Va osservato innanzi tutto che la condotta della Salvaterra deve essere presa in considerazione, come fondatamente osservato dalla ricorrente, con esclusivo riferimento al periodo compreso tra il 21 gennaio e il 6 febbraio 1996, e cioè tra la data dellallontanamento del minore dallabitazione in cui aveva vissuto sino al momento con i genitori e quella in cui lo stesso venne affidato in via provvisoria alla madre, essendo venuta meno col provvedimento del Tribunale competente la supposta antigiuridicità della condotta pregressa. Affermano invece i giudici di appello che la condotta delittuosa si sarebbe protratta fino al 9 ottobre 1997, e cioè fino alla decisione definitiva del Tribunale per i Minorenni, a seguito della quale soltanto limputata si risolse ad ottemperare alla prescrizione di non ostacolare i rapporti tra padre e figlio, «per cui il comportamento penalmente rilevante protrattosi fino allesecuzione del predetto provvedimento ha pienamente integrato da parte della odierna appellante gli estremi del reato ascrittole». Siffatta affermazione appare manifestamente erronea, inquadrando nella pretesa sottrazione di minore, anche il comportamento dellimputata successivo al provvisorio affidamento del figlio, e perciò del tutto legittimo, e prendendo in considerazione fatti nuovi, quali gli ostacoli frapposti ai contatti autorizzati tra padre e figlio, tali da integrare in ipotesi gli estremi del diverso reato di cui allarticolo 388 comma 2 Cp, peraltro mai contestato allimputata e comunque improcedibile per difetto di querela. Anche la questione dello stato di necessità è stata esaminata con esclusivo riferimento al possibile pericolo per il minore, che è stato escluso, laddove limputata aveva dedotto di essere stata determinata al fatto dal timore di gravi danni alla propria persona e dalla impossibilità di lasciare il figlio; ma su questo. assunto la motivazione della sentenza tace del tutto.

Il vizio di motivazione rilevato comporterebbe lannullamento con rinvio della sentenza impugnata; ma il rinvio risulta superfluo, dovendo essere esclusa la configurabilità stessa del reato, così come correttamente inquadrato dal punto di vista cronologico, sotto il profilo soggettivo. Ed invero, la brevità del lasso di tempo intercorso tra il trasferimento del minore e il provvedimento provvisorio che legittimava la nuova situazione di fatto, nonché le modalità della condotta dellimputata, che si rivolse immediatamente al giudice competente per sollecitarne lurgente intervento, non consentono di ravvisare una volontà diretta allillegittimo impedimento del Neri dallesercizio delle facoltà connesse alla potestà di genitore, che deve essere esclusa nel caso in cui tale esercizio venga semplicemente reso meno agevole (come è inevitabile allorquando venga meno una situazione di convivenza pregressa) e al genitore non venga preclusa in assoluto, come avviene invece quando il minore sia stato trasferito in luogo a lui ignoto o inaccessibile, la possibilità di qualsiasi contatto. Questa Corte, pur ritenendo che il reato de quo possa essere consumato anche da uno dei genitori in danno dellaltro, sia nel caso di sussistente matrimonio, sia nella ipotesi di famiglia di fatto (sezione sesta, 4 marzo 2002, Staller; 4 luglio 2002, Zanta), ha affermato infatti, mi una fattispecie del tutto analoga a quella in esame (sezione sesta, 8 aprile, Muollo), che per la configurazione del dolo è necessario che la condotta dellagente sia diretta ad una, globale sottrazione del minore alla sfera di controllo dellaltro coniuge, escludendolo quindi nella ipotesi in cui la condotta dellagente non sia stata diretta ad una globale sottrazione del minore alla sfera di controllo dellaltro genitore, ma sia stata determinata dallesigenza che il minore non fosse lasciato solo, restando così privo di cure e di assistenza. Nel caso gli stessi giudici di merito, e in particolare il giudice di primo grado, avevano daltronde dato atto che limputata aveva fornito al Neri le dovute informazioni atte ad assicurare la reperibilità del minore, ritenendo nondimeno che tale circostanza non impedisse la configurabilità del reato, così come non la impediva il limitato tempo durante il quale la condotta si era protratta. Tali affermazioni, in contrasto con lorientamento della giurisprudenza di legittimità, non possono peraltro essere condivise, finendo col far consistere lobiettività del reato e il dolo relativo nel semplice trasferimento del minore in luogo diverso dallabitazione familiare; il che è contrario alla lettera e allo spirito della norma incriminatrice.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, perché il fatto ascritto allimputata non costituisce reato.

PQM

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.