Lavoro e Previdenza

Thursday 31 March 2005

Rito del lavoro, mobbing e deducibilità d’ ufficio nel corso del giudizio Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 17 febbraio-23 marzo 2005, n. 6326

Rito del lavoro, mobbing e deducibilità dufficio nel corso del giudizio

Cassazione Sezione lavoro sentenza 17 febbraio-23 marzo 2005, n. 6326

Presidente Mattone relatore Figurelli

Pm Destro conforme ricorrente Banca Popolare di Verona e Novara Scarl

Svolgimento del processo

1.1. Con ricorso depositato il 21 giugno 2000 il signor Alberto Lazazzera proponeva appello avverso la sentenza del Giudice del lavoro del tribunale di Roma 7106/00, con cui, in parziale accoglimento della domanda proposta nei confronti della Banca Popolare di Novara, era stata dichiarata la sua illegittima adibizione a mansioni inferiori a quelle originariamente svolte, dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998, con condanna della resistente a risarcire nei suoi confronti il danno liquidato, in via equitativa, in misura pari al 30% del trattamento economico corrisposto nello stesso periodo, oltre accessori, e rigettata la domanda di risarcimento del danno biologico e quella volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità delle note caratteristiche del 1996. Deduceva, al riguardo, che, a seguito di incorporazione dellINCE nella banca resistente, il 12 dicembre 1995 era divenuto dipendente della società convenuta e che, dopo aver avuto dei buoni giudizi per gli anni 1991‑1995 (culminati nel 1994 e 1995 in distinto), aveva ricevuto, per lanno 1996, il giudizio di mediocre. Deduceva, altresì, che, per quasi quattro anni, era stato adibito a mansioni dequalificanti, rispetto a quelle originarie. Censurava limpugnata sentenza in ordine alla quantificazione del danno professionale – non avendo il primo giudice tenuto debitamente conto del demansionamento subito, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo – al mancato riconoscimento del danno biologico ed al rigetto della domanda concernente le note caratteristiche per il 1996.

Concludeva: a) in via preliminare per la revoca dellordinanza, del giudice di primo grado in data 29 ottobre 1999, con la quale era stato dichiarato inammissibile il deposito dei documenti allegati alla memoria depositata nella  data predetta (e venuti ad esistenza dopo linizio della causa), in quanto portatori di una domanda nuova nel presente giudizio, e con la quale era stata negata lammissione della CTU sulla persona del ricorrente al fine di quantificare il danno biologico; b) nel merito, condannare la BPN a risarcire il danno professionale da dequalificazione e illegittimo esercizio dello jus variandi derivato al dipendente Lazazzera dallillegittima assegnazione a mansioni inferiori, da liquidarsi in misura non inferiore ad una mensilità di retribuzione, calcolata al lordo, per ogni mese di declassamento (dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998, giorno di effettiva reintegra in posizione equivalente), oltre interessi e rivalutazione calcolati sul periodo considerato; condannare la B.P.N. al risarcimento del danno biologico e del danno psichico derivato al ricorrente per stato ansioso depressivo insorto nel 1994, sovrapponibile al codice 300.40 del DSM III-R con complicazioni ansiose, danno da determinarsi in via equitativa e comunque m misura non inferiore a lire 50.000.000; accertare e dichiarare la illegittimità delle note caratteristiche espresse dalla società per lanno 1996 e, conseguentemente, revocare il provvedimento ordinando la ripetizione del procedimento di valutazione, con vittoria di entrambi i gradi dei giudizio.

Lappellata chiedeva il rigetto dellappello di controparte e proponeva a sua volta appello incidentale, volto al rigetto integrale anche della domanda di risarcimento del danno da dequalificazione.

1.2.1.Con sentenza in data 4 aprile 2002 ‑ 14 aprile 2003 la Corte dappello di Roma, non definitivamente pronunciando, in accoglimento per quanto di ragione dellappello principale e, così, in riforma della sentenza gravata, condannava la Banca Popolare di Novara al risarcimento del danno da dequalificazione professionale cagionato allappellante in misura pari al 50% anziché al 30%, come statuito in primo grado del trattamento economico corrisposto per il periodo 20 gennaio 1994-12 gennaio 1998, oltre ad interessi dalle scadenze al soddisfo e rivalutazione dalle scadenze ad oggi, così assorbito lappello incidentale; dichiarava la nullità delle note caratteristiche relative al ricorrente per lanno 1996, e disponeva con separata ordinanza in ordine alla prosecuzione del giudizio.

1.2.2. Osservava la Corte territoriale:

a) Il motivo di appello principale relativo alla quantificazione del danno da demansionamento e lappello incidentale, volto alla sua, esclusione, andavano esaminati congiuntamente.

b) La sentenza impugnata aveva accertato lavvenuta adibizione a mansioni inferiori del Lazazzera per il periodo de quo (successivamente al quale il lavoratore era stato assegnato allufficio servizi contabili, con mansioni pacificamente corrispondenti a quelle in precedenza svolte), sulla base dellespletata istruzione.

c) tale accertamento non meritava censura, poiché era emerso che il lavoratore, assunto dallI.N.C.E. nel giugno del 1991, con contratto di formazione e lavoro, aveva svolto la sua attività fino al giugno del 1993 presso lufficio sistemi informatici, provvedendo alla registrazione informatica di dati, alla predisposizione dì prospetti e tabulati e, successivamente al giugno 1993, presso lufficio ragioneria, dove si occupava dellinserimento dei dati relativi al pagamento delle rate di mutuo da parte della clientela, dei censimenti anagrafici, del rilascio delle informazioni contabili, relative alla istruttoria delle pratiche dei clienti mutuatati (teste Teofili).

d) a partire dal gennaio 1994, e per circa quattro anni, fu destinato, invece, allufficio corriere, dove la sua scrivania era completamente sgombra (teste Cardarelli). La sua attività consisteva, in mancanza dì altri colleghi nellapertura e timbratura e successivo smistamento della corrispondenza in arrivo, cui fu aggiunta successivamente quella di prelievo pratiche dallarchivio e fotocopiatura dei documenti (testi Morini e Chiusi).

e) Trattavasi di mansioni meramente esecutive, sicuramente deteriori rispetto a quelle svolte in precedenza, e non corrispondenti allinquadramento contrattuale del Lazazzera (impiegato di 1 categoria), sia che si rapportassero con quelle svolte presso lufficio sistemi informatici, sia che si rapportassero con quelle espletate presso lufficio ragioneria.

f) li demansionamento, come accertato allesito dellistruttoria e rimarcato dal lavoratore in sede di gravame, aveva avuto sia carattere qualitativo (mansioni inferiori) che quantitativo, essendo emerso che lappellante era rimasto di fatto senza alcuna mansione, provvedendo alla sostituzione dei colleghi in caso di assenza.

g) Come affermato dalla Corte di Cassazione, il disposto dellarticolo 2103 Cc, concernente il diritto del lavoratore ad essere adibito a mansioni corrispondenti alla propria qualifica, è violato, non soltanto quando il dipendente sia assegnato a mansioni inferiori, ma anche quando veda modificate le proprie mansioni con una imponente riduzione in termini quantitativi delle stesse (Cassazione 10405/95).

h) A fronte di tali risultanze, la Banca Popolare di Novara s.c. a rl (di seguito indicata, per brevità, quale BPN) ‑ oltre a ribadire la sostanziale equivalenza delle mansioni ‑ sosteneva da un lato che il mutamento nellufficio di assegnazione del lavoratore era stato comunque determinato da una situazione di crisi, dallaltro che era stato lo stesso Lazazzera a richiedere lo spostamento allUfficio Protocollo.

Tali contradditorie deduzioni erano comunque prive di pregio: esclusa lequivalenza delle mansioni (quelle da ultimo svolte non comportanti attività di concetto e di applicazione intellettuale), la dedotta situazione di crisi non aveva, invece, influenzato la posizione lavorativa di altri dipendenti (teste Cardarelli), che avevano continuato a svolgere le stesse mansioni svolte in precedenza, mentre le mansioni svolte in precedenza dal Lazazzera erano state poi assegnate ad altro dipendente. Quanto alla richiesta di trasferimento da parte del Lazazzera – peraltro non espressamente indirizzata verso lufficio di nuova assegnazione -, essa non avrebbe certamente giustificato ladibizione a mansioni inferiori.

i) Alla luce di tali risultanze, il risarcimento, così come limitato nella sentenza impugnata al 30% della retribuzione, appariva non integralmente satisfattivo delle lagnanze del lavoratore e, stante la necessità di una valutazione equitativa ed onnicomprensiva del danno risarcibile, tenuto conto dei periodo in cui si era protratta la lamentata situazione di illegittimità (circa quattro anni) e di tutte le circostanze del caso, esso andava riconosciuto nella più congrua maggior misura del 50% della retribuzione per il corrispondente periodo.

l) limpugnata sentenza aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico, per mancanza di prova del nesso di causalità fra la dedotta patologia ansioso‑depressiva ed il demansionamento. Tale impostazione non era condivisibile, avendo il lavoratore, nellatto introduttivo del giudizio, posto la lesione alla sua integrità psico‑fisica in relazione non solo al subito demansionamento, ma al globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro (pag. 14), e segnalato una serie di comportamenti ed episodi verificatisi nellambito lavorativo, che avrebbero contribuito a determinare linsorgere della denunciata patologia.

m) Anche se la qualificazione di detto comportamento globale quale mobbing era successiva allintroduzione del giudizio, non trattavasi di domanda nuova, tanto più che il concetto di mobbing aveva carattere metagiuridico ed al momento mancava di una espressa previsione normativa.

Fermo restando lapprofondimento di tale tematica in sede di pronuncia definitiva, gli episodi denunciati erano stati sostanzialmente confermati nel corso dellespletata istruttoria, da cui era emersa una situazione lavorativa per il Lazazzera quanto mai difficile, in quanto i rapporti personali con gli altri dipendenti erano diventati  particolarmente tesi (teste Suppo) ed il lavoratore era continuamente soggetto a scherzi verbali, azioni di disturbo, via via appesantitisi nel tempo e di cui era certamente a conoscenza il capo contabile della ragioneria il quale non si adoperò perchè cessassero (teste Cardarelli).

n) Andava quindi ammessa, sul punto, la richiesta CIU medico‑legale, essendo la situazione lavorativa del Lazazzera, astrattamente idonea a determinare linsorgere della patologia di cui trattavasi. Alluopo andava disposta lacquisizione dei documenti di cui al verbale di udienza del 29  ottobre 1999 – non ammessi dal primo giudice ‑, trattandosi di documenti successivi ( o comunque successivamente venuti in possesso dellappellante) allintroduzione del giudizio.

o) Quanto al motivo di appello, relativo alle note di qualifica per il 1996, lappellante aveva dedotto, al riguardo, che il giudice avrebbe dovuto sindacare la legittimità dei criteri adottati nella specie in esame, perchè non attinenti esclusivamente alle specifiche qualità di prestatore dopera -bensì relativi alla disamina di motivi inerenti la sfera privata, quali i rapporti con i colleghi, latteggiamento verso il proprio lavoro – , e perchè il datore di lavoro aveva fatto riferimento a categorie, quali i già richiamati rapporti con i colleghi, nonché al comportamento e senso di responsabilità, che non attengono alla prestazione, ma alla persona.

Premesso che la valutazione espressa dal datore di lavoro, allatto della formazione delle note dì qualifica, è una prerogativa di potere – connotata da una larga disponibilità discrezionale -, che caratterizza la figura dellimprenditore nellambito del rapporto di lavoro, sta di fatto che lesercizio di tale potere imprenditoriale è assoggettato alle regole generali di correttezza e buona fede, fissate dagli articoli 1175 e 1375 Cc, di modo che i dipendenti possano controllare lattività dellimprenditore, relativa allo svolgimento del rapporto di lavoro, provocando il sindacato giurisdizionale sullosservanza di quelle regole fissate dallordinamento.

Nella fattispecie in esame detti principi erano stati violati atteso che la valutazione espressa con le note di qualifica non era improntata ad un obiettivo apprezzamento qualitativo e -per quanto emergeva ex actis – era stata espressamente adottata per ragioni attinenti non alle qualità lavorative del Cavazzana (e, in ogni caso, la valutazione era stata, comunque falsata dal fatto di riferirsi alle mansioni dequalificanti svolte nel corso del 1996 e non a quelle proprie della rivestita qualifica).

Si leggeva, infatti, nella motivazione del Comitato di valutazione: & il signor Lazazzera è stato invitato ad assumere questa valutazione come elemento di reciproca utilità per migliorare la prestazione lavorativa, evidenziando il fatto che le ansie che esprime, al di là dei motivi delle stesse, possono avere influenze negative.

Ciò esauriva la controversia sul punto, dovendosi escludere in nuce che la valutazione contestata fosse stata ancorata a dei criteri chiari e trasparenti, ed immune da qualsiasi censura, come affermato dal Tribunale.

Ad abundantiam non erano condivisibili le osservazioni della società, secondo cui il giudizio de quo sarebbe stato determinato dal mutamento della metodologia dì valutazione.

Pur, infatti, a fronte di un generale abbassamento dei giudizi espressi in relazione alla generalità dei dipendenti‑ (teste Petraglia), il giudizio assegnato al Cavazzana, senza apparente motivazione, era stato inferiore di ben tre livelli di voto su sei (da distinto a mediocre) ed era stato lunico ‑ fatta eccezione per unaltra dipendente poi licenziata per giusta causa-.

In riforma della sentenza gravata, pertanto, le note caratteristiche espresse dalla società nei confronti del Lazazzera per lanno 1996 andavano annullate, essendo, al giudice investito della relativa controversia, concesso solo tale potere, con esclusione di quello relativo allattribuzione di una diversa qualifica, ritenuta conforme alla situazione accertata.

1.3. Avverso detta sentenza le società indicate in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, e depositato memoria ex articolo 378 Cpc. Lintimato Cavazzana non si è costituito in giudizio, e ha depositato  istanza per una sollecita decisione della causa.

Motivi della decisione.

1.1. Con il primo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2095 e 2103 Cc (articolo 360 n. 3 Cpc), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, le società ricorrenti, richiamata la motivazione della sentenza impugnata, di cui sub 1.2.2.e) della narrativa della presente sentenza, deducono che – come già riconosciuto dal primo giudice – la c.d. prima categoria

impiegatizia definisce un quadro del tutto generico e prossimo a quello iniziale, cioè a quello di impiegato di seconda categoria. per cui la qualifica assegnata al Lazazzera si collocava come del tutto prossimale alla stessa; che lattività del La zazzera, indicata al punto 1.2.2.d) della presente sentenza, di smistamento della corrispondenza, realizzava funzione di concetto, in quanto nessun altro ufficio curava larrivo dei pieghi nel giusto luogo di destinazione, ed a tale attività era adibito lUfficio Protocollo (c.d. corriere), appositamente concepito, come risultava dalle deposizioni dei testi Caldarelli, Teofili, Morini, Chiusi; che, in altre parole, si trattava di individuare il contenuto della corrispondenza, di selezionarla in ragione di detto suo contenuto e di inviarla allimpiegato o alla funzione appropriata (servizio legale, ufficio tecnico, servizi di accensione delle ipoteche), tutti compiti di sintesi, basati su una chiara visione del modo di maturarsi delle pratiche e, in più, vi erano compiti di addestramento nei confronti di personale meno esperto; che con ciò si voleva individuare quellindice di sviamento del potere preso in considerazione dai criteri coinvolgenti la struttura motivazionale della sentenza, tenuto anche conto che lufficio era composto oltre che da un capo reparto, da due impiegati di prima categoria e da due di seconda ‑ troppi per svolgere un compito meramente esecutivo ‑, ed il capo reparto e laltro impiegato di prima categoria non si erano mai sentiti sminuiti,  nella loro professionalità, per le mansioni loro affidate; che, in definitiva, sussistevano palesi indici di insufficiente motivazione in ordine alla valutazione delle prove ed allattribuzione di carattere meramente esecutivo delle prestazioni espletate dal Lazazzera – che svolgeva, comunque, mansioni di carattere impiegatizio ‑, e doveva escludersi un intento di demansionamento ascrivibile alla parte datoriale; che la Corte non aveva valutato la rispondenza di detti compiti allo svolgimento delle corrispondenti mansioni dellimpiegato.

1.2. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha accertato il demansionamento del Lazazzera rispetto, alle precedenti mansioni. Trattasi di giudizio di fatto, congruamente e logicamente motivato.

Le ricorrenti, comunque, non precisano neppure ‑ sebbene deducano la prossimità tra la prima e la seconda categoria ‑ quali siano i diversi profili delle categorie stesse. E, in relazione a ciò, la censura presenta aspetti di inammissibilità, per violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Comunque, indipendentemente dalle mansioni corrispondenti alla qualifica, lo jus variandi del datore di lavoro non può attribuire mansioni inferiori a quelle in precedenza svolte dal lavoratore, e ciò è, invece, avvenuto, come, nella specie, accertato nella sentenza impugnata.

La equivalenza delle mansioni che condiziona la legittimità dellesercizio dello jus variandi a norma dellarticolo 2103 Cc ‑ e che costituisce oggetto di un giudizio di fatto (della specie, come si è detto, congruamente e logicamente motivato dalla Corte di Appello, e pertanto incensurabile in cassazione) ‑ va verificata, infatti sia sul piano oggettivo, e cioè sotto il profilo della inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione, sia sul piano soggettivo, in relazione al quale é necessario che le due mansioni siano professionalmente affini, nel senso che le nuove si armonizzino con le capacità professionali già acquisite dallinteressato durante il rapporto lavorativo, consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi (Cassazione 11457/00).

2. 1. Con il secondo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2095 e 2103 Cc, in relazione anche allarticolo 1218 Cc, e degli articoli 2082 e 2086 Cc (articolo 360 n. 3 Cpc), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (articolo360 n. 5 Cpc), le società ricorrenti richiamata la motivazione della sentenza impugnata, dì cui ai punti 1.2.21) e g), cioè demansionamento del lavoratore sia qualitativo che quantitativo, deducono che sussisteva profondo stato di crisi incidente sullex INCE, per la crisi del sistema bancario, seguita da drastiche cure dimagranti nellultimo decennio- stato di crisi verificatosi anche per la B.P.N., confermato  dalla fusione dellINCE nella B.P.N., cui aveva fatto poi seguito la successiva analoga operazione, che aveva coinvolto quella che a suo tempo era stata lincorporante -; che i testi Suppo e Morini, proprio con riferimento al numero dei plichi in arrivo avevano precisato che da un giro di trenta- quaranta pratiche pro die si era giunti a livello zero – non solo, dunque, diminuzione di incarichi, ma azzeramento pure dei pieghi postali-‑; che la situazione dimostrava il crollo dellattività e limpegno della parte datoriale INCE ‑ nel mantenere integro il posto di lavoro a favore di tutti i collaboratori per evitare sfoltimenti selvaggi; che non andavano quindi imposte soluzioni rigide , ove non oggettivamente attuabili, ed andava negata la responsabilità datoriale, ove risultasse accertato che alcune opzioni concrete non dipendevano da colpa del datore di lavoro – in tal senso andavano intese Cassazione 12692/02, 11624/02, 9852/02, che rispondevano ad orientamenti equilibrati e funzionali per trovare il punto di equilibrio tra i diversi diritti -; che le riduzioni dellattività lavorativa erano state imposte dal momento economico o dalla situazione di crisi e, sul punto, i responsabili della struttura avevano attestato che, per tempi assai consistenti le sopravvenienze commerciali erano scese a livello zero; che, in tale ottica, lorientamento della Corte territoriale non era giustificato e corretto, allorchè aveva addebitato alla parte datoriale un decremento dellattività lavorativa, trascurando lindagine sulla sussistenza della crisi – emergente dalle deposizioni testimoniali, anche di parte attrice, e dalle scelte dimpresa (incorporazioni) – e che, per leffetto delle circostanze, il lavoro poteva ridursi anche a macchia di leopardo (e tanto veniva dedotto dalle ricorrenti in relazione alla motivazione della sentenza impugnata, di cui ai punti sub 1.2.2.g e h); che la Corte territoriale non aveva accertato se la minor quantificazione della prestazione fosse giustificabile rispetto allo stato dellimpresa.

2.2. Il motivo è infondato.

La Corte territoriale ha, invero, accertato che al posto del Lazazzera. era stato assegnato  altro lavoratore.

Gli argomenti addotti dalle ricorrenti sono, comunque, generici ‑ e, in quanto tali inammissibili ‑ e non escludono, peraltro, lillegittimità del demansionamento, ravvisato dalla Corte territoriale.

3.1. Con il terzo motivo, denunziando violazione elo falsa applicazione degli articoli 163, 414 e 112 Cpc (articolo 360 n. 4 Cpc), le società ricorrente richiamata la motivazione della sentenza impugnata, di cui al punto 1.2.2d), deducono che laffermazione contrasta, con quanto esposto nel ricorso introduttivo del Lazazzera, giusta il quale egli sarebbe stato assegnato al medesimo ufficio corriere nel 1995 e quivi sarebbe rimasto fino ai primi di gennaio del 1998; che sul punto specifico (periodo di assegnazione a quellufficio) non erano insorte contestazioni e non era stata espletata alcuna diversificante istruttoria; che alla pag. 7 di detto ricorso poteva invero leggersi che, dopo il giugno 1995, il Lazazzera aveva svolto…. e svolge tuttora (siamo al 1996) i propri compiti presso lufficio protocollo (o corriere, che dir si voglia) ‑ si trattava dunque di vizio di motivazione e violazione del disposto dellarticolo 112 Cpc.

3.2. Il motivo è infondato.

Si tratta di un motivo inammissibile, a fronte di congrua e logica motivazione della Corte territoriale, che ha preso atto (vedi in narrativa, al punto 1.1) che il primo giudice aveva accertato e dichiarato la illegittima, adibizione del Lazazzera a mansioni inferiori a quelle originariamente svolte, dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998, e ha altresì accertato (punto 1.2.2.d) che, a partire dal gennaio 1994 e per circa quattro anni il Lazazzera fu destinato, invece, allUfficio Corriere, dove la sua scrivania era completamente sgombra (teste Cardarelli).

Le stesse ricorrenti, poi, deducono che sul punto specifico – periodo di assegnazione del Lazazzera allUfficio protocollo – non erano insorte contestazioni, né deducono di aver in precedenza sollevato la questione – a seguito della pronuncia del Tribunale – e denunziato la violazione dellarticolo 112 Cpc.

Ma è, comunque, decisivo il fatto che, contraddicendo quanto dedotto con la presente censura (pagg. 28 e s. del ricorso), nel trattare il quarto motivo, a pag. 35 del ricorso, le ricorrenti espressamente ammettono che gli eventi si sono verificati dopo il 20 gennaio 1994, allorchè erano cessate le prestazioni del Lazazzera presso lUfficio Ragioneria per effetto di migrazione verso lUfficio Protocollo.

4.1. Con il quarto motivo, denunziando violazione e o falsa applicazione degli articoli 163, 414 e 112 Cpc, nonché degli articoli 188, 189 e 190 Cpc, e degli articoli 420 e 345 Cpc (articolo 360 n. 4 Cpc), nonché omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (articolo 360 n. 5 Cpc), le società ricorrenti deducono che, modificando le opzioni del primo giudice, i giudici di appello hanno ritenuto ammissibile una CTU, non ammessa dal primo giudice (pag. 7 sentenza impugnata); che si tratta di determinazione, che va attentamente sceverata sul piano processuale, anche per definire le componenti dellaccertamento, eventualmente caratterizzabili come sentenza dalle altre confinabili in un assetto di ordinanza (e che, secondo tale qualificazione, non sarebbero attualmente neppure suscettibili di impugnazione); che il capo di pronunzia gravato potrebbe avere natura di sentenza, laddove nega la ragione di inammissibilità individuata dal primo giudice (novità della domanda), e sembra rivestire lassetto di ordinanza, allorché si sofferma a discorrere del nesso di causalità e della eventuale responsabilità della parte datoriale, e ciò anche per la riserva contenuta nella motivazione ‑ fermo restando lapprofondimento di tale tematica in sede di pronunzia definitiva-; che è, infine, decisamente ordinanza la determinazione della Corte territoriale, laddove dispone per la CTU (Cassazione 1503/01); che, ad ogni modo – e pur nella consapevolezza della temporanea limitabilità dellimpugnazione, nei sensi sopraddetti -, vengono impugnate le diverse proposizioni contenute alla pag. 7 della sentenza.

4.2. Sulla esclusione della qualificazione del mobbing quale domanda nuova da parte della Corte territoriale, e sulla eventuale responsabilità della parte datoriale in ordine allo stesso, di cui alla motivazione della sentenza impugnata – v. punto 1.22m) della narrativa della presente sentenza -, le ricorrenti deducono che esattamente il primo giudice aveva ritenuto improponibile la domanda, come prospettata al momento della decisione, non per mere ragioni nominalistiche. ma per più complesse ragioni sostanziali, in quanto loggetto della domanda, quale prospettato dal Lazazzera nel ricorso introduttivo dei giudizio di primo grado, era ben definito – nella conclusione d) a pag. 16 del ricorso -, nel senso della richiesta di condanna della BPN al risarcimento del danno biologico e dei danno psichico derivato al ricorrente per stato ansioso/depressivo insorto nel 1994…; che la domanda formulata con detto ricorso, depositato nel giugno del 1996, non contemplava e non poteva contemplare fatti successivi al tempo del deposito; che ciò che configura il mobbing non è solo lindividualità degli episodi ma la loro considerazione finalistica, che finisce per farne una categoria separata, caratterizzata nel senso di comportamenti compositi, unificabili e finalizzati, laddove, nel ricorso introduttivo (pagg. 12 e 13) era stata solo denunciata unillegittima mutatio in pejus delle mansioni del La zazzera, in violazione dei divieto di cui allarticolo 2103 Cc, con il demansionamento del lavoratore; che certa era la novità della domanda per la diversa qualificazione del fatto giuridico posto a suo fondamento che era rilevante la circostanza che, di fronte ad unazione risarcitoria, in concreto esercitata, lindagine era stata rivolta a comportamenti considerati singolarmente, mentre, in ipotesi di mobbing. la rilevanza andrebbe assegnata alle classi comportamentali e non ai singoli episodi; che erroneamente, pertanto, la Corte territoriale ‑ contrariamente al primo giudice ‑ aveva escluso che si trattasse di domanda nuova.

4.3. In ordine allammissione della CTU medico legale ‑ di cui al punto 1.2.2n) della narrativa della presente sentenza ‑, le società ricorrenti deducono che mancava, nella sentenza impugnata, ogni discussione ed ogni accertamento sui singoli episodi (non si identificava il tipo di azione proposta e non si configurava, in funzione di questa, la fonte della responsabilità della parte datoriale), laddove era solo indicato quanto riportato al punto 1.2.2.m), relativamente alla situazione lavorativa quanto mai difficile per il Lazazzera, in relazione agli episodi di mobbing, neppure contrastati dal capo contabile della ragioneria; che la difficile situazione lavorativa del Lazazzera esprimeva un concetto ben diverso rispetto alla configurazione di un mobbing; che la motivazione fornita era quella tipica di un mezzo istruttorio, che non poteva in alcun modo comportare un accertamento definitivo, atto alla formazione di un giudicato; che lunico elemento rivolto verso la parte datoriale sembrava fondato sulla consapevolezza della situazione da parte di un capo contabile della ragioneria, che non si sarebbe adoperato per la cessazione di alcuni scherzi ma i fatti si sarebbero verificati dopo il 20 gennaio 1994, allorchè le prestazioni del Lazazzera presso lUfficio Ragioneria erano cessate, per effetto del trasferimento del medesimo allUfficio Protocollo, con la conseguenza che detto capo contabile del Servizio di Ragioneria ‑ con un grado di un certo rilievo ‑ non era più un superiore del Lazazzera, e non era, pertanto, tenuto ad assumere alcuna iniziativa nei confronti di detto lavoratore; che, comunque, leventuale comportamento omissivo del capo contabile non era atto a coinvolgere la parte datoriale.

4.4. 1. In ordine alla censura relativa allammissione di CTU, la statuizione ha effettivamente natura di ordinanza, e come tale non impugnabile con ricorso per cassazione. E, pertanto, in conseguenza, inammissibile la relativa censura, proposta tuzioristicamente dalle ricorrenti. Ha invece natura di sentenza, come indicato successivamente, la statuizione della Corte relativa al nesso di causalità ed alla responsabilità della parte datoriale in ordine alla domanda di risarcimento del danno dovuto a comportamento integrante mobbing.

4.4.2. In ordine alla dedotta novità della domanda relativa al mobbing ‑rilevato che, come è pacifico, la diversa qualificazione del fitto giuridico non comporta domanda nuova ‑ si osserva che la Corte territoriale, con motivazione congrua e logica, ha innanzi tutto, evidenziato (v., in narrativa, punto 1.2.2.lett.1) che il lavoratore, nellatto introduttivo del giudizio, ha  posto la lesione della sua integrità psico‑fisica in relazione non solo al subito demansionamento, ma al globale comportamento antigiuridico dei datore di lavoro (pag. 14).

E, successivamente (punto 1.2.2.m), ha evidenziato che, anche se la qualificazione di detto comportamento globale, quale mobbing, era successiva alla introduzione del giudizio, non trattavasi di domanda nuova, tanto più che il concetto di mobbing aveva carattere metagiuridico ed al momento mancava di una espressa previsione normativa.

Deve, peraltro, al riguardo, precisarsi che, successivamente alla sentenza impugnata (pronunziata il 4 aprile 2002 e depositata il 14 marzo 2003), come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale 359/03 – pur in assenza di una specifica disciplina a livello di normazione di rango primario – per quel che riguarda gli atti interni statali linserimento del mobbing trova conferma sia nel punto 4.9 dei Dpr 22 maggio 2003, con il quale è stato approvato il Piano sanitario nazionale 2003-2005, sia nel punto BS11 della delibera, sempre del 22 maggio 2003, contenente laccordo tra il ministro della Salute, le regioni e le province autonome sul bando di ricerca finalizzata per lanno 2003 per i progetti ex articolo 12bis del D.Lgs 502/92. Ma già, in precedenza, per quel che riguarda gli atti comunitari la risoluzione dei Parlamento europeo n. AS‑0283/01 del 21 settembre 2001, avente ad oggetto mobbing sul posto di lavoro al punto 13, esortava la Commissione ad esaminare la possibilità di chiarificare o estendere il campo di applicazione della direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro oppure di elaborare una nuova direttiva quadro, come strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie (&).

E la richiamata sentenza del giudice di legittimità delle leggi – dopo aver osservato che la giurisprudenza ha, prevalentemente, ricondotto le concrete fattispecie di mobbing nella previsione dellarticolo 2087 Cc (v., in tema, Cassazione 143/00, in motiv.) – ha affermato che la disciplina del mobbing, valutata nella sua complessità e sotto il profilo della regolazione degli effetti sul rapporto di lavoro, rientra nellordinamento civile (articolo 117, comma 2, Costituzione) e, comunque, non può non mirare a salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del lavoratore (articoli 2 e 3, comma 1, Costituzione).

4.4.3. Sul nesso causale e sulla responsabilità datoriale il provvedimento impugnato, come si è già anticipato, ha – contrariamente a quanto assumono le ricorrenti ‑ che, comunque, hanno tuzioristicamente impugnato la relativa statuizione ‑ natura di sentenza, peraltro, con le precisazioni di seguito indicate, con riferimento al nesso causale.

Non vi è dubbio che la Corte territoriale ha accertato e dichiarato che era stato posta in essere una condotta, imputabile allazienda, che era elemento costitutivo della fattispecie del mobbing.

Il giudice del merito ha, infatti accertato non solo il demansionamento del Lazazzera, ma che vi era stato un globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro consistito in una serie di comportamenti ed episodi, verificatisi nellambito lavorativo, denunziati e sostanzialmente confermati nel corso dellistruttoria espletata. Da questa era emersa ‑ come indicato in narrativa (punto 1.2.2.m) ‑ una situazione lavorativa per il Lazazzera quanto mai difficile, in quanto i rapporti personali con gli altri dipendenti erano diventati particolarmente tesi ‑ come riferito dal teste Suppo ‑, ed il lavoratore era continuamente soggetto a scherzi verbali, azioni di disturbo, via via appesantitisi nel tempo e di cui era certamente a conoscenza il capo contabile della ragioneria il quale non si adoperò perché cessassero ‑ come riferito dal teste Cardarelli.

A fronte di tali precise risultanze probatorie, evidenziate nella sentenza impugnata, sono del tutto inconsistenti i rilievi delle ricorrenti che, nel dedurre, come già in precedenza indicato, che gli eventi si sono comunque verificati dopo il 20 gennaio 1994, allorquando cioè le prestazioni dei sig. Lazazzera presso lUfficio Ragioneria erano venute a cessare per effetto di migrazione verso lUfficio Protocollo assumono di non essere coinvolte in tali episodi ‑ che, a loro avviso, non configuravano, comunque, una condotta propria del mobbing-, in quanto imputabili ai collaboratori, sebbene tra questi vi fosse anche un collaboratore con un grado di un certo rilievo indicato in ricorso quale appartenente al Servizio di Ragioneria (di fatto capo contabile della ragioneria, come leggesi nella sentenza del Tribunale, v. sopra), già superiore del Lazazzera. Linconsistenza della censura è di tutta evidenza, in quanto per la molteplicità degli episodi, a conoscenza anche di un funzionario -di un certo rilievo – che non si era adoperato perché tali comportamenti vessatori cessassero- non solo i responsabili aziendali non potevano non essere a conoscenza di tali fatti ‑ il che le ricorrenti stesse non

sembrano dedurre, allorchè affermano che gli eventi si sono comunque verificati dopo il 20 gennaio 1994-, ma essi erano pienamente coinvolti dai comportamenti scorretti dei loro collaboratori, sia per la richiamata norma dellarticolo 2087 Cc (sulla tutela delle condizioni di lavoro), che obbliga limprenditore ad adottare, nellesercizio dellimpresa, le misure che sono necessarie a tutelare lintegrità fisica e la personalità morale dei prestatore di lavoro, sia in base ai richiamati principi dì cui agli articoli 117, comma 2, e 2 e 3, comma 1, Costituzione, con particolare riguardo alla salvaguardia sul luogo di lavoro della dignità e dei diritti fondamentali del lavoratore.

A nulla pertanto rileva, ai fini dellaccertata condotta integrante elemento costitutivo del mobbing – che indica laggredire la sfera psichica.altrui (così sinteticamente, ma efficacemente, la citata Cassazione 143/00, in motiv.) – linciso, contenuto nella sentenza impugnata (Fermo restando lapprofondimento di tale tematica in sede di pronuncia definitiva) che, allevidenza, costituisce un obiter, che non può infirmare (o rinviare al definitivo) quanto è stato dalla Corte già accertato e dichiarato.

In ordine al nesso causale tra condotta integrante elemento costitutivo del mobbing ed insorgenza della denunciata patologia ansioso-depressiva (con lesione dellintegrità psico‑fisica del lavoratore) risulta, inequivocabilmente, dalla sentenza impugnata (v. punto 1.2.2.n), che la Corte sì è limitata ad affermare che la situazione lavorativa del Lazazzera (sia per il demansionamento sia per il globale comportamento antigiuridico del datore di lavoro richiamati alla lettera 1) era astrattamente idonea a determinare linsorgere della patologia di cui trattavasi, con necessità di espletamento, sul punto. della richiesta CTU medico- legale.

Chiaramente pertanto la Corte ha rimesso al definitivo laccertamento in concreto dellesistenza e della entità della denunciata patologia , e del concreto nesso causale tra (eventuale) patologia e comportamento complessivo antigiuridico ascrivibile alla parte datoriale, e, pertanto, la risarcibilità o meno del danno biologico.

4.4.4. E riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (Cassazione 16819/03; e v., pure, Cassazione 7546/02) che il danneggiato possa far valere nel corso di tutto il giudizio di primo grado, la modificazione quantitativa del risarcimento dei danno in origine richiesto, intesa anche come richiesta dei danni, provocati dallo stesso fatto che ha dato origine alla causa, che si manifestano solo nel corso dei giudizio, e quindi anche per i danni maturati per la persistenza di tale fatto, dopo linizio della lite, in quanto i termini della contestazione rimangono inalterati (nella specie, invero, il risarcimento del danno è stato richiesto per il perpetuarsi dei fatto antigiuridico, dopo la proposizione della domanda nel giugno 1996, fino al 12 gennaio 1988).

Le ricorrenti si limitano peraltro a tale infondato rilievo solo in relazione alla domanda proposta dal Lazazzera per il risarcimento del danno biologico e del danno psichico derivato al ricorrente per stato ansioso/depressivo insorto nel 1994 … (conclusione d) a pag. 16 del ricorso al Pretore dì Roma), ma nulla deducono al riguardo in ordine allaccoglimento della domanda, in primo grado ed in appello, relativa al risarcimento del danno per dequalificazione, liquidato in percentuale del trattamento economico corrisposto nel periodo dal 20 gennaio 1994 al 12 gennaio 1998.

Risulta infatti dalla sentenza impugnata che lappellata … proponeva a sua volta appello incidentale, volto al rigetto integrale della domanda di risarcimento del danno da dequalificazione.

Di tal che, non risultando che sulla questione relativa al periodo determinato dal giudice di primo grado, per la liquidazione dei danno, sia stata. proposta impugnazione, e risultando invece che per lo stesso periodo la Corte territoriale ha determinato una maggiore percentuale del danno risarcibile, in relazione al trattamento economico corrisposto, così assorbito rappello incidentale, sulla questione – sollevata, peraltro, di sfuggita, dalle ricorrenti – si è formato il giudicato interno, valido anche per leventuale liquidazione dei danno biologico (v., in tema, Cassazione  4612/99, 822/00, sulla impossibilità di dedurre per la prima volta in sede di ricorso per cassazione la violazione dellarticolo 112 Cpc, quando essa non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di appello).

5.1. Con il quinto ed ultimo motivo, denunziando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2103 e 1418 Cc, nonché degli articoli 1427 e ss. e 1441 e ss. Cc (articolo 360 n. 3 Cpc), ed omessa, e comunque insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punti decisivi della controversia (articolo 360 n. 5 Cpc), le società ricorrenti con riferimento al punto 1.2.2.o) della narrativa della presente sentenza, relativo alle c.d. note di qualifica deducono che: a) nel dispositivo la Corte romana ha ritenuto di dichiarare la nullità delle note ‑ con espressione che dovrebbe essere frutto di un lapsus calami -, laddove tutta la motivazione confluisce verso un enunciato capo , rivolto a supportare una pronuncia di annullamento (le note caratteristiche … per lanno 1996 vanno annullate…); in tal modo, integrando il dispositivo con la motivazione, sembra alle ricorrenti, che la fattispecie realizzi una pronuncia di annullamento e non una declaratoria di nullità; laddove si pervenisse, invece, allopposta affermazione – dichiarazione, da parte della Corte, proprio della nullità delle note -, la sentenza impugnata andrebbe cassata per assoluto difetto di motivazione, in quanto non identificante alcuna ipotesi di nullità; non si intendevano le ragioni del pronunciato annullamento, avendo la Banca fissato un criterio – quanto più possibile uniforme ed esteriorizzabile, correlato al comportamento dei propri collaboratori ‑, che facilitava il percorso dellorganismo chiamato a configurare le note di qualifica, che muovevano dalla proposta del capo servizio, secondo criteri uguali per tutti i collaboratori; tale percorso era stato regolarmente seguito, con lattribuzione di punteggi numerici, in relazione ai singoli comportamenti: ogni voce era stata corredata da un commento esplicativo ed il colloquio con linteressato aveva fornito risposte altrettanto esaustive; il giudizio di mediocrità – diverso da quello di insufficienza – non comportava conseguenze economiche, in occasione della sua prima attribuzione, e prevedeva una modesta incidenza sulla gratifica in occasione di una prima reiterazione, e comportava la perdita della gratifica soltanto con il terzo giudizio di mediocrità; sul complessivo assetto dei colloqui era stato sentito il teste Petraglia – già sindacalista, e che aveva assistito il Lazazzera nel colloquio esplicativo – , che aveva confermato gli assunti della Banca; quanto alla motivazione della sentenza impugnata, riportata nel primo periodo del punto 1.2.2.o) – illegittimità dei criteri adottati per la redazione delle note di qualifica per il 1996 ‑, per le ricorrenti doveva dissentirsi dallapprezzamento della Corte territoriale, stanti gli aspetti di discrezionalità, propri del datore di lavoro, anche in sede di giudizio relativo alla redazione di note caratteristiche del lavoratore; il giudizio era circoscritto alla qualità della prestazione, ma correlato anche ad eventuale comportamento scostante del lavoratore con clienti e colleghi (rapporti interpersonali verso i colleghi e la clientela; e, in particolare, nei confronti della clientela, doveva essere il modo di atteggiarsi dei lavoratore); non si intravedeva, quindi, alcuna ragione di annullamento delle predette note di qualifica, essendo state ben ponderate le specifiche componenti della prestazione del lavoratore, che non aveva neppure dimostrato – come avrebbe dovuto – spettargli una votazione più elevata; quanto allinvito rivolto al Lazazzera per il miglioramento della prestazione lavorativa (quarto periodo del punto sub 1.2.2.o), la Corte territoriale era caduta in errore, ben potendo le note di qualifica coniugarsi con un colloquio con il lavoratore, comportante incoraggiamenti e moniti; la motivazione era, quindi insufficiente e/o contraddittoria; b) quanto ai non specifici accenni di ragioni di annullabilità, sparsi nella pronunzia, essi non fornivano fattori aggiuntivi per supportare la sentenza impugnata, perché: 1) il preteso demansionamento appariva estraneo alla fattispecie; 2) laffermazione, secondo cui la valutazione non sarebbe stata, ancorata a dei criteri chiari e trasparenti ed immune da qualsiasi cenno (quinto periodo del punto sub 1.2.2.o), non era condivisibile, perché carente nel ragionamento e sostanzialmente apodittica (dovendo il vizio, in  materia di annullamento, essere dimostrato dalla parte attrice e dovendo leventuale annullamento dellatto essere disposto titolatamente dal giudice); 3) quanto alla motivazione ad abundantiam della sentenza impugnata ‑ in relazione al mutamento della metodologia di valutazione (periodi sesto e settimo di cui sub 1.2.2.o), le vicende della Banca avevano comportato che soltanto nel 1997 si era pervenuti ad una calibratura diretta dei singoli collaboratori (divenuti ormai, da poche centinaia, circa settemila dipendenti), ricevendo ognuno il volo che gli spettava, con scarti significativi per i meno meritevoli (e così distinti di basso conio avevano subito contrazioni molto consistenti); il Lazazzera aveva subito un decremento di tre livelli (ed anche il Petraglia aveva subito una contrazione di ben due livelli), ma con esplicitazione della situazione, con un ampio colloquio informatore ed altrettanto utili esortazioni; il discorso proposto era, quindi, orientato a dimostrare che un paio di livelli potevano andare persi per la semplice mutazione dei criteri di valutazione; era inefficace la comparazione tra due diversi collaboratori, non potendo il raffronto essere condotto tra due soggetti diversi, avendo ciascuno diritto alla valutazione personale.

5.2.1. Le ricorrenti non spiegano, innanzi tutto, quali siano le conseguenze derivanti dalla diversa terminologia, usata dalla Corte territoriale nel dispositivo della sentenza impugnata ‑nullità delle note caratteristiche -, e nella motivazione della stessa le note caratteristiche vanno annullate -, poiché la qualificazione giuridica (di nullità o annullamento), usata promiscuamente dalla Corte (in dispositivo e motivazione), intende, comunque, riferirisi alla invalidità dellatto datoriale, contrario alle norme di correttezza e buona fede. E, sulla invalidità di tale atto – alla quale la Corte intende sostanzialmente ed inequivocabilmente riferirsi – v. la ritenuta invalidità dellatto datoriale, in tema di promozione alla qualifica superiore, allorché contrario ai principi generali di correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 Cc (Cassazione 11291/00).

Di regola, peraltro, in relazione agli atti datoriali, contrastanti con i principi di correttezza e buona fede, la giurisprudenza usa il termine di illegittimità, dellatto. E, sulla illegittimità per abuso del comportamento della parte, in violazione dei canoni ermeneutici del principio di buona fede, v., tra le altre, Cassazione 11271/97 (e, in particolare, sulla legittimità del trasferimento del lavoratore secondo i principi generali dì correttezza e buona fede, v. Cassazione 11957/03).

Il termine illegittimità dellatto datoriale è mutuato anche dallesercizio illegittimo della funzione pubblica (v. Cassazione, Su, 5001/99).

In tema di note caratteristiche v., sulla illegittimità delle stesse, per violazione delle prescrizioni di lealtà e correttezza, Cassazione 206/01 (in particolare, nella motivazione, per il richiamo alla illegittimità, in tal caso, della nota di qualifica).

E chiaro dunque che, quale sia stata la terminologia usata, la Corte territoriale ha inteso riferirsi alla invalidità/illegittimità delle note caratteristiche, relative al Lazazzera, per lanno 1996.

5.2.2. Comunque, le ricorrenti non censurano adeguatamente la motivazione della Corte territoriale (punto 1.2.2.o) sulla violazione dei principi di correttezza e buona fede ( e, sul rispetto dellobbligo generale di correttezza e buona fede, in tema di note di qualifica del dipendente v., pure, tra le altre, Cassazione 5289/96). Risulta infatti, secondo la Corte territoriale romana, ex actis che la nota di qualifica , relativa al Lazazzera, per lanno 1996, era stata adottata non per ragioni attinenti alle qualità lavorative del medesimo, essendo, tra, laltro, la valutazione datoriale falsata dal demansionamento e dalle conseguenti mansioni inferiori svolte dal Lazazzera, che non era stato valutato, in relazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica a lui spettante. E, del resto, le stesse ricorrenti evidenziano le conseguenze negative, anche sotto il profilo economico (sia pur non immediate), derivanti da eventuale reiterazione del giudizio di mediocre, assegnato al Lazazzera per lanno 1996, giudizio che aveva comportato per il medesimo un decremento di ben tre livelli (da distinto a mediocre, nelle note di qualifica, e ciò, pur a fronte di un generale abbassamento dei giudizi espressi in relazione alla generalità dei dipendenti, dedotto dalle ricorrenti. La Corte territoriale evidenzia, però, che il giudizio assegnato al Lazazzera per lanno 1996, senza apparente motivazione, era stato lunico (ad eccezione di altra dipendente, valutata insufficiente, e poi licenziata).

5.5.3. In definitiva, anche il quinto ed ultimo motivo di ricorso è infondato.

6. 1. Consegue il rigetto del ricorso.

6.2. Nulla per le spese del giudizio, non essendo lintimato Lazazzera costituito nel presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione