Penale
Riparazione per ingiusta detenzione. La Consulta estende il diritto agli eredi dell’ indagato quando il procedimento sia stato archiviato per morte del reo e l’ assoluzione dei coimputati non lasci dubbi circa l’ innocenza dello stesso SENTENZA N. 413
Riparazione per ingiusta detenzione. La Consulta estende il diritto agli
eredi dell’indagato quando il procedimento sia stato
archiviato per morte del reo e l’assoluzione dei coimputati non lasci dubbi
circa l’innocenza dello stesso
SENTENZA N. 413 – ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Valerio ONIDA Presidente
– Carlo MEZZANOTTE Giudice
– Guido NEPPI MODONA "
– Piero Alberto CAPOTOSTI "
– Annibale MARINI "
– Franco BILE "
– Giovanni Maria FLICK "
– Francesco AMIRANTE "
– Ugo DE SIERVO "
– Romano VACCARELLA "
– Paolo MADDALENA "
– Alfonso QUARANTA
"
– Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 314, comma 3, del codice di procedura penale,
promosso, nell’ambito di un procedimento per la riparazione della ingiusta
detenzione, dalla Corte di cassazione con ordinanza del 28 marzo-5 giugno 2003,
iscritta al n. 817 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Udito nella camera
di consiglio del 27 ottobre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi
Modona.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 28 marzo 2003
la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento
agli artt. 2, 3, 13 e 24, terzo (recte: quarto)
comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.
314, comma 3, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede,
in caso di archiviazione del procedimento per morte
del reo, la spettanza della riparazione per ingiusta detenzione qualora nello
stesso procedimento o comunque sulla base dello stesso materiale probatorio si
accerti nei confronti dei coimputati che il fatto non sussiste».
La rimettente riferisce:
– che le
figlie di persona sottoposta agli arresti domiciliari dal 21 febbraio al 15
maggio 1992, la cui posizione era stata archiviata per morte (avvenuta il 6
dicembre 1992) nell’ambito di un procedimento all’esito del quale tutti i
coimputati erano stati poi assolti (con sentenza di primo grado pronunciata il
5 luglio 2000, divenuta irrevocabile) con la formula ’il fatto non sussiste’, avevano avanzato domanda di riparazione per
l’ingiusta detenzione subita dal padre, sul presupposto che anch’egli sarebbe
stato assolto se non fosse morto prima della pronuncia della sentenza sul
merito dell’accusa;
– che la Corte di appello
aveva rigettato la richiesta, rilevando che l’ipotesi di archiviazione per
morte del reo non rientra tra i casi di proscioglimento che consentono l’equo
indennizzo;
– che avverso tale
decisione le eredi dell’indagato avevano proposto ricorso per
cassazione, deducendo la violazione di legge per non essere stato applicato
l’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, che impone il
ricorso alle norme che regolano casi simili o analoghi allorché una
controversia non può essere decisa sulla scorta di una precisa disposizione.
Tanto premesso, la Corte di
cassazione osserva, in punto di rilevanza, che sussiste «la legittimazione delle istanti, in virtù dell’art. 644, comma 1, cod. proc. pen.,
richiamato dall’art. 315, comma 3, cod. proc. pen.» e che «nessun problema si
pone […] in ordine alla tempestività del ricorso, in
quanto il termine iniziale di decadenza per la proposizione dell’istanza riparatoria decorre dalla notificazione del provvedimento
di archiviazione, notificazione che in caso di morte non è prevista».
Nel merito, la rimettente ritiene che
correttamente la Corte
di appello ha escluso che potessero ’estendersi’ i
casi di riparazione tassativamente previsti, che «costituiscono ius singulare, stante la loro
natura indennitaria e non risarcitoria», e che il tenore testuale della
disposizione censurata imporrebbe di dichiarare infondato il ricorso. In
particolare, poiché l’art. 314, comma 3, cod. proc. pen. regola le ipotesi in cui un
provvedimento di archiviazione fa sorgere il diritto alla riparazione per
ingiusta detenzione facendo rinvio alle disposizioni dei commi l e 2 dello
stesso articolo, qualora non venga in discussione l’ingiustizia formale della
detenzione a norma del comma 2 del medesimo articolo, ma esclusivamente, come
nel caso in esame, la sua ingiustizia ’sostanziale’, soltanto l’archiviazione
pronunciata perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto,
perché il fatto non costituisce reato o perché il fatto non è previsto come
reato potrebbe, in base alla disciplina positiva, dare luogo alla riparazione.
2. – Secondo la rimettente, tuttavia,
se in via generale e di principio appare conforme alla logica del sistema che
la riparazione per l’ingiustizia (sostanziale) della detenzione debba
discendere dall’adozione di una delle formule di proscioglimento anzidette, non
è altrettanto ragionevole che la riparazione debba essere negata in relazione alla detenzione subita dall’indagato la cui
posizione sia stata archiviata per morte quando, proseguendo il procedimento
nei confronti dei coindagati, l’insussistenza del
fatto risulti accertata da sentenza irrevocabile. «L’insussistenza del fatto,
per la sua essenza ontologica», non può difatti non riguardare anche colui nei
cui confronti il reato è dichiarato estinto per morte, «ovviamente a condizione
che l’accertamento dell’insussistenza del fatto avvenga nello stesso
procedimento, o in altro procedimento, ma comunque
sulla scorta del medesimo materiale probatorio».
Sulla base dei principî affermati
dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 310 del 1996 (con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale
dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede la riparazione
per ingiusta detenzione patita a causa di erroneo ordine di esecuzione) e n.
109 del 1999 (con la quale la medesima norma è stata dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la riparazione in
caso di arresto o fermo non convalidato dal giudice con decisione
irrevocabile), primo fra tutti quello per cui «l’ingiusta detenzione va
comunque ristorata», la disciplina censurata risulterebbe perciò affetta da
plurimi profili di illegittimità costituzionale.
In particolare, ad avviso della Corte
di cassazione la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., perché disciplina in modo ingiustificatamente deteriore
la situazione relativa alla posizione di chi, privato della libertà personale
in forza di una misura custodiale ingiusta, e quindi
deceduto, non ha potuto ottenere il proscioglimento nel merito con una delle
formule che consentono l’indennizzo, e perché irragionevolmente non permette
neppure di porre a base della riparazione l’accertamento, operato a posteriori
nei confronti dei coimputati, che il fatto non sussiste, che l’imputato non lo
ha commesso, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla
legge come reato.
La previsione in esame violerebbe
inoltre gli artt. 2 e 13 Cost.,
posto che, come rilevato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 446 del
1997 e n. 109 del 1999, la riparazione per ingiusta detenzione ha «un
fondamento squisitamente solidaristico: in presenza di una lesione della
libertà personale rivelatasi comunque ingiusta con accertamento ex post, la
legge, in considerazione della qualità del bene offeso, ha riguardo unicamente
alla oggettività della lesione stessa».
D’altra parte, proprio al fine di
«porre riparo ai vuoti legislativi discendenti da una previsione testuale
anziché virtuale delle ipotesi di equo indennizzo»,
nella sentenza n. 109 del 1999 la
Corte costituzionale ha affermato che la materia «non tollera
franchigie temporali a favore di alcuna autorità» e che tutte le offese
arrecate alla libertà personale mediante ingiusta detenzione devono essere
riparate, indipendentemente dalla durata di questa e quale che sia l’autorità
dalla quale la restrizione provenga, sottolineando come tale esigenza fosse già
ben presente nella legge-delega n. 81 del 16 febbraio 1987, che al punto 100
dell’art. 2, comma l, recava una direttiva concernente la riparazione della
’ingiusta detenzione’ senza distinzione alcuna tra i
fattori genetici di tale ingiustizia.
Considerato in diritto
1. – La Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della
Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 314, comma 3, del
codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la riparazione
per l’ingiusta detenzione venga riconosciuta anche «in
caso di archiviazione per morte del reo», qualora successivamente sia stata
pronunciata nei confronti dei coimputati, sulla base del medesimo materiale
probatorio, sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
La Corte rimettente – chiamata a
pronunciarsi sul ricorso delle figlie di un indagato nei cui confronti era stato emesso provvedimento di archiviazione per morte –
rileva che l’estinzione del reato per ’morte del reo’
non rientra tra le formule di proscioglimento a cui è ricollegata l’ingiustizia
sostanziale della detenzione, elencate dall’art. 314, comma 1, cod. proc. pen.
e richiamate dal comma 3. Escluso che il caso in esame possa essere ricondotto
alle ipotesi di ingiustizia formale della detenzione
di cui all’art. 314, comma 2, cod. proc. pen., il giudice a quo ritiene che
la disciplina censurata, nella parte in cui esclude la riparazione nel caso di
archiviazione per ’morte del reo’, qualora
l’insussistenza del fatto addebitato all’indagato deceduto risulti accertata
dalla sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nei confronti dei
coimputati, sia intrinsecamente irragionevole.
Alla luce delle considerazioni svolte
nelle sentenze della Corte costituzionale numeri 310 del 1996, 446 del 1997 e
109 del 1999, la Corte
di cassazione rileva inoltre che la norma censurata contrasta: con l’art. 3 Cost., in quanto detta una
disciplina irragionevolmente deteriore in relazione al caso in cui l’indagato
non ha potuto, solamente perché nel frattempo deceduto, essere assolto come i
coimputati con una delle formule che avrebbero consentito di esercitare il
diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione; nonché con gli artt. 2 e 13
Cost., in quanto, avendo l’istituto
della riparazione «un fondamento squisitamente solidaristico», in presenza di
una privazione della libertà personale rivelatasi a posteriori comunque
ingiusta, si deve avere riguardo «unicamente alla oggettività della lesione».
2. – La questione non è fondata, nei
sensi di cui in motivazione.
3. – Ripetutamente chiamata a
pronunciarsi sulla sfera di applicazione dell’art. 314
cod. proc. pen.,
questa Corte ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui
non prevede il diritto all’equa riparazione per la detenzione ingiustamente
subita a seguito di erroneo ordine di esecuzione (sentenza n. 310 del 1996) e
di arresto in flagranza o di fermo (sentenza n. 109 del 1999). La Corte ha
fatto riferimento sia all’art. 3 Cost., a causa del trattamento discriminatorio riservato alle
situazioni esaminate rispetto a quella di chi abbia subito la detenzione a
seguito di una misura cautelare, sia agli artt. 2 e 13 Cost. (sentenza n. 109
del 1999), richiamando la sentenza n. 446 del 1997 nella quale erano già stati
posti in luce il fondamento solidaristico della riparazione per l’ingiusta
detenzione e l’esigenza che, «in presenza di una
lesione della libertà personale rivelatasi comunque ingiusta, con accertamento
ex post, in ragione della qualità del bene offeso si deve avere riguardo
unicamente alla oggettività della lesione stessa».
Successivamente, sulla base dei principî affermati
nelle precedenti sentenze di accoglimento, la Corte ha ritenuto superabili in via
interpretativa altri dubbi di legittimità costituzionale prospettati in
relazione all’ambito di applicazione dell’art. 314 cod. proc.
pen.
In particolare nella sentenza n. 284
del 2003 la Corte
ha ritenuto che anche la detenzione ingiustamente patita a causa di un ordine di esecuzione relativo a una pena scontata sulla base di una
sentenza di condanna pronunciata all’estero dà diritto alla riparazione a norma
dell’art. 314 cod. proc. pen., ribadendo che tale diritto «non è precluso
dalla legittimità del provvedimento che determina la privazione della libertà
personale, né richiede che la detenzione sia conseguenza di una condotta
illecita», in quanto ciò «che rileva è l’obiettiva ingiustizia di quella
privazione che, per la qualità del bene coinvolto, postula una misura riparatoria».
Facendo appello ai medesimi principî,
con la sentenza n. 230 del 2004,
in un caso di custodia cautelare disposta per un fatto
per il quale era già intervenuta una sentenza passata in giudicato, la Corte ha affermato non
esservi ostacoli a fare rientrare tale situazione nell’ambito dell’art. 314,
comma 2, cod. proc. pen., non essendo riscontrabile alcuna differenza tra
l’ipotesi di misura cautelare disposta in presenza di scriminanti
o nei confronti di persona non punibile (situazioni previste dall’art. 273,
comma 2, cod. proc. pen., a sua volta richiamato dall’art. 314, comma 2,
cod. proc. pen.)
e il caso di chi abbia subito la custodia cautelare per un reato per il quale
l’azione penale non avrebbe potuto essere esercitata per la preclusione del ne
bis in idem prevista dall’art. 649 cod. proc. pen.
Infine, con la sentenza n. 231 del 2004 la Corte
ha rilevato che una lettura costituzionalmente orientata del complesso
normativo che regola la materia estradizionale
impone di riconoscere in via interpretativa il diritto alla riparazione per la
detenzione ingiustamente sofferta anche nel caso di arresto provvisorio e di
applicazione provvisoria della custodia cautelare su domanda di uno Stato
estero di cui venga successivamente accertata la carenza di giurisdizione.
4. – Nel caso in esame le stesse
argomentazioni svolte dalla Corte di cassazione nell’ordinanza con cui è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 314, comma 3, cod. proc. pen., emessa prima delle sentenze
interpretative alle quali si è fatto riferimento, possono essere agevolmente
addotte a sostegno di una lettura della disciplina censurata conforme a
Costituzione.
Ove si tenga
presente, alla luce dei parametri di cui agli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, Cost., che ai fini del
riconoscimento del relativo diritto rileva unicamente una privazione della
libertà personale rivelatasi a posteriori comunque ingiusta, gli effetti
dell’assoluzione con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste,
pronunciata nei confronti dei coimputati della persona la cui posizione era
stata archiviata per morte, non possono non essere estesi agli eredi di tale
soggetto qualora emerga incontrovertibilmente che anch’egli sarebbe stato
assolto con la medesima formula adottata per i concorrenti nel reato, ove non
fosse deceduto prima della conclusione del procedimento.
L’interpretazione conforme a
Costituzione è avvalorata da significative indicazioni
normative, anche di natura sovranazionale. L’art. 2,
n. 100, della legge 16 febbraio 1987, n. 81, contenente la delega legislativa
per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, enuncia la direttiva
della riparazione dell’ingiusta detenzione, senza porre alcuna limitazione
circa il titolo della detenzione stessa o le ’ragioni’ dell’ingiustizia; tra le
convenzioni internazionali ratificate dall’Italia relative ai
diritti della persona e al processo penale, la Convenzione europea
dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e
politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, prevedono il diritto ad un
equo indennizzo in caso di detenzione illegale, senza alcuna limitazione.
La questione deve pertanto essere
dichiarata non fondata, in quanto l’art. 314, comma 3, cod. proc.
pen. va interpretato nel
senso che il diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione opera anche in
favore degli eredi dell’indagato la cui posizione sia stata archiviata per
’morte del reo’, qualora nella sentenza irrevocabile
di assoluzione pronunciata nei confronti dei coimputati risulti accertata
l’insussistenza del fatto a lui addebitato.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in
motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 314, comma 3,
del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 24, quarto comma, della Costituzione, dalla Corte di
cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13
dicembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 23
dicembre 2004.