Penale
Rimessa alla Corte Costituzionale la questione sulla utilizzabilità nel processo delle testimonianze de relato della P.G.
Rimessa alla Corte Costituzionale la questione sulla utilizzabilità nel processo delle testimonianze de relato della P.G.
Cassazione Sezione quinta penale (up) sentenza 3-30 maggio 2006, n. 19103
Presidente Calabrese Relatore Fumo
Pg De Sandro Ricorrente Labate
Fatto e svolgimento del processo
Labate Santo fu condannato alla pena di anni 12 di reclusione e lire 3.500.000 di multa (oltre pene accessorie e misura di sicurezza) dalla Corte di assise di Reggio Calabria con sentenza 16 giugno 1997 perché riconosciuto colpevole dei reati di cui allarticolo 416bis Cp, 9 legge 575/65, 56‑629 in relazione allarticolo 628 comma 3 n. 3 e 7 legge 152/91.
La Corte di assise di appello, con sentenza 9 febbraio 2001, in parziale riforma, lo assolse dal reato di tentato estorsione aggravata perché il fatto non sussiste, rideterminando in melius il trattamento sanzionatorio.
La prima sezione della Corte di cassazione, con sentenza 14 febbraio 2002, ha annullato con rinvio la pronunzia di secondo grado limitatamente alla assoluzione per tentata estorsione aggravato.
La Corte di assise di appello di Reggio Calabria, giudice di rinvio, con sentenza 2 marzo 2005, ha confermato la affermazione di responsabilità pronunziata dal giudice di primo grado con riferimento al delitto di tentata estorsione aggravata e, stante la declaratoria di estinzione del reato contravvenzionale, ha rideterminato la pena, ritenuto la continuazione, in anni 11 e mesi 9 di reclusione, convertendo in euro (1.807,59) la pena pecuniaria originariamente stabilita in lire, confermando anche le statuizioni accessorie (interdizione perpetua dai pubblici uffici, stato di interdizione legale durante espiazione pena, libertà vigilata, a pena espiata, per la durata di anni 3. Per quanto specificamente riguarda il tentativo di estorsione, Labate è chiamato a rispondere di aver commesso atti idonei diretti inequivocamente a costringere, al fine di procurarsi profitto ingiusto e con minaccia indiretto, il suo omonimo Labate Lorenzo a pagare una tangente di lire 100 milioni in relazione ad opere di sistemazione urbanistica assegnate dal Comune di Reggio Calabria al consorzio Con.Re.Ca.
La prova della penale responsabilità, in ordine a tale delitto, fu raggiunta dal giudice di primo grado sulla base delle dichiarazioni di due funzionari di polizia giudiziaria (Calabrese e Blasco), i quali riferirono che Labate Lorenzo, da loro ascoltato nellambito di indagini condotte, aveva fuori verbale riferito lepisodio poi sintetizzato nel capo di imputazione. Nel corso del dibattimento in primo grado era stato disposto confronto tra la persona offesa (che, ascoltato, aveva negato la circostanza) e il Blasco, erano stati assunti testi (lex sindaco di Reggio, Licandro Agatino, il consigliere comunale Quattrone Giuliano), le cui dichiarazioni erano state ritenute riscontro alle affermazioni rese dai due appartenenti alla Polizia di stato.
La natura informale del colloquio tra Labate Lorenzo, da un lato, Blasco e Calabrese, dallaltro, fu tuttavia ritenuta dal primo giudice di appello ragione di inutilizzabilità delle dichiarazioni dei due funzionari di polizia; conseguentemente, come anticipato, limputato fu assolto dal delitto di tentato estorsione aggravato.
Con la sentenza di annullamento, la prima sezione della Corte di cassazione ha ritenuto non corretta tale valutazione, asserendo che la sanzione processuale in questione non è prevista nellordinamento, con la conseguenza che ‑salvi ovviamente i divieti ex articoli 350 commi 6 e 7 Cpp ‑ le dichiarazioni non verbalizzate, rese dalla persona offesa potevano essere oggetto di testimonianza indiretta da parte di ufficiali di polizia giudiziario. Pertanto, rilevato che il giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuto (e dichiarata) inutilizzabilità, aveva omesso di valutare le deposizioni di Blasco e Calabrese (in una con gli altri elementi emersi), ha annullato, come premesso, la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Reggio Calabria.
Il giudice di rinvio, pur prendendo atto: a) della riforma dellarticolo 111 della Costituzione (ad opera della legge costituzionale 2/1999) e della normativa transitoria ex lege 35/2000, b) delle modifiche apportate al sistema processuale penale dalla legge 63/2001, c) di quanto stabilito dalle Su della Corte di cassazione con sentenza 36747/03, ric. Torcasio, ha ritenuto di essere vincolato, ci sensi del comma 3 dellarticolo 627 Cpp, dalla pronunzia della Corte di legittimità, intervenuta prima della sentenza Torcasio, ma dopo la introduzione delle modifiche apportate dalla ricordato legge 63/2001. Essa ha insomma ritenuto che la Suprema corte avesse statuito tenendo conto dello jus superveniens ed avesse assunto la suo decisione sulla base di un orientamento giurisprudenziale antecedente alla detta pronunzia delle Su, orientamento che, in tema di inutilizzabilità della testimonianza indiretta della polizia giudiziario, faceva differenza tra la ipotesi in cui le dichiarazioni del teste erano state verbalizzate (come la legge impone) e quella in cui tele verbalizzazione non era avvenuta.
Valutando dunque le testimonianze de relato dei due funzionari di polizia, unitamente cigli altri elementi emersi nel corso del dibattimento, il giudice di rinvio è giunto alla affermazione di responsabilità di Labate Santo, anche in ordine al delitto di estorsione aggravata.
Ricorso
Ricorre per cassazione il difensore dellimputato, eccependo innanzitutto la incostituzionalità dellarticolo 195 comma 4 Cpp, cosi come modificato dalla legge 63/2001, nella parte in cui non prevede che non siano utilizzabili le dichiarazioni acquisite da parte della polizia giudiziario da persone informate sui fatti, anche senza le modalità di cui agli articoli 351 e 357 comma 2 lettera a) e b) Cpp. Il ricorrente critica in sostanza la interpretazione della norma data dal giudice di rinvio e la conseguente ritenuto utilizzabilità delle dichiarazioni de relato dei verbalizzanti, in ossequio al dictum della sentenza di annullamento; sostiene, conseguentemente, che la Corte di assise di appello avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale della norma per violazione degli articoli 3, 111 e 24 della Carta fondamentale. Il giudice di rinvio infatti ha reso la sua sentenza, come premesso, dopo il deposito della sentenza Su Torcasio, che, come è noto, ha stabilito che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali di polizia giudiziario si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate, quanto ai casi nei quali gli operanti non abbiano provveduto alla redazione del relativo verbale, eludendo le modalità di acquisizione previste del codice di rito. Questa, per le Su, è lunica interpretazione costituzionalmente compatibile. Anche alla luce di tale pronunzia di legittimità, il giudice di rinvio avrebbe dovuto rendersi conto, secondo il ricorrente, della irragionevole disparità di trattamento tra la posizione dellimputato oggetto di dichiarazioni testimoniali verbalizzate dalla polizia giudiziario e quella dellimputato nei cui confronti un terzo abbia reso dichiarazioni ai funzionari della polizia, senza che gli stessi, venendo meno a un‑ loro preciso dovere, abbiano provveduto alla verbalizzazione.
Il giudice di rinvio, viceversa, ha ritenuto doversi conformare al principio di diritto enunziato nella sentenza di annullamento, ma non ha tenuto conto della incostituzionalità della interpretazione seguito dalla prima sezione della Corte di cassazione (resa manifesta dalla sentenza delle Su medio tempore intervenuto). Proprio per tale ragione, invece, avrebbe dovuto rimettere la questione al giudice delle leggi.
Il ricorrente deduce inoltre: 1) carenze motivazionali in relazione allarticolo 192 comma 2 Cpp e agli articoli 56, 629, 628 comma 2 Cp e 7 legge 152/91, atteso che la mera convergenza del molteplice non basta a integrare sempre e comunque la prova (che altrimenti si ridurrebbe al concetto di prova legale), dovendo comunque il giudice procedere a valutazione della chiamata in correità, laddove i giudici di rinvio hanno ritenuto di fondare il loro convincimento basandosi quasi esclusivamente sulle dichiarazioni dei funzionari di polizia Blasco e Calabrese, che avevano riferito (de relato come si è detto) su quanto avrebbero appreso dalla persona offesa, 2) mancanza di qualsiasi motivazione in ordine alla violenza o minaccia che avrebbe subito la persone offesa, 3) carenze motivazionali in relazione alla sussistenza della aggravante ex articolo 7 legge 192/91, atteso che la sentenza si limita a riportare la formula di legge, ma non chiarisce donde abbia dedotto luso di modalità mafiose o la destinazione delleventuale introito a vantaggio di clan mafioso. È poi da rilevare che il tempus commissi delicti è da retrodatare rispetto a quanto compare nel capo di imputazione (inizio esecuzione lavori di urbanizzazione) e dunque ad epoca anteriore alla entrata in vigore della legge 152/91, 4) carenze motivazionali in ordine alla applicazione degli articoli 62bis e 133 Cp e al conseguente trattamento sanzionatorio.
Diritto e motivi della decisione
La questione di costituzionalità sollevato dai ricorrente è rilevante.
E invero il convincimento del giudice di rinvio (e conseguentemente la condanno dellimputato) è fondato proprio sullutilizzo delle dichiarazioni dei funzionari di polizia Blasco e Calobrese, che riferirono quanto affermarono aver appreso dalla persona offesa. Tanto ciò è vero, che il primo giudice di appello, ritenendo di non dover utilizzare dette testimonianze, assolse il Labate (si badi bene: proprio e solo dalla imputazione di tentata estorsione aggravato) per insussistenza del fatto (scil. per mancanza di prova sulla suo sussistenza). In altre parole: la utilizzazione delle testimonianze de relato dei due ufficiali di polizia giudiziaria è il perno sul quale ruota lintero apparato argomentativo esibito dal giudice di rinvio. La eventuale dichiarazione di non conformità a Costituzione della interpretazione dellarticolo 195 comma IV cpp operata dalla sentenza di annullamento (stante, come si vedrà, la impossibilità per il giudice di rinvio di fornire, nel caso in esame, diversa interpretazione) si riverbererebbe inevitabilmente sulla selezione del materiale probatorio utilizzabile, orientando in maniera diversa la decisione giudiziale.
La questione inoltre non è manifestamente infondata e, conseguentemente, merito di essere sottoposta al vaglio della Corte costituzionale,(per le ragioni che di seguito si espongono.
È noto lorientamento di questa Corte di legittimità in tema di giudizio di rinvio e jus superveniens. È stato infatti chiarito che il giudice di rinvio non è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto affermato nella sentenza di annullamento nellipotesi in cui la norma, della quale quel principio è stato tratto, sia stato, nelle more del giudizio, abrogato ‑espressamente o anche implicitamente‑ per effetto di una nuova legge che abbia disciplinato diversamente la materia (cosi Cassazione Sezione secondo sentenza 1635/04, ric. Stati, rv 227797, conf. Sezione quinta, sentenza n. 11990/02, ric. Agosto, rv 221722).
Nel caso in esame, tuttavia, come premesso, la sentenza di annullamento emesso da questa Corte (14.2.2002), non precede, ma segue il novum legislativo (la riformulazione del comma 4 dellarticolo 195 Cpp), del quale deve dunque necessariamente aver tenuto conto nel fornire la interpretazione imposta al giudice di rinvio, cui è stato richiesto di far differenza tre dichiarazioni rese a funzionari di polizia e da costoro verbalizzate e dichiarazioni rese agli stessi soggetti, ma non verbalizzate. Queste ultime, secondo parte della giurisprudenza allepoca vigente (cfr. Cassazione Sezione seconda, sentenza 855/00, ric. Lanzillotta, rv 216514, conf. Sezione prima, sentenza 4582/99, ric. Santoro, rv 214017, conf. Sezione quinta, sentenza 6251/99, ric. Tinnirello, rv 213073), ben potevano essere oggetto di testimonianza indiretto da parte degli appartenenti alla polizia giudiziaria.
Sennonché, come sopra ricordato, prima ancora che il giudice di rinvio assumesse la suo decisione, emettendo sentenza di condanno e carico di Labate (2.3.2005), le Su di questa Corte, con sentenza depositato il 24 settembre 2003 (n. 36747, ric. Torcasio), risolvendo un contrasto giurisprudenziale, affermavano che il divieto di testimonianza indiretta da parte di soggetti appartenenti alla polizia giudiziario ha carattere assoluto e riguarda, come correttamente osserva il ricorrente, tanto le dichiarazioni verbalizzate, quanto quelle non verbalizzate, essendo questa lunica interpretazione conforme a Costituzione, anche a seguito delle intervenute, recenti modifiche apportate alla Carte fondamentale in tema di giurisdizione (legge costituzionale 2/1999).
Non si è dunque al cospetto di un semplice mutamento di giurisprudenza (rectius alla composizione ad opera delle Su di un contrasto giurisprudenziale), ma ci uno interpretazione costituzionalmente orientato (operato oltretutto dopo un significativo mutamento dellimpianto costituzionale), tese a individuare e affermare il c.d. diritto vivente. Di talché il principio, a suo tempo, affermato da Su sentenza 4460/94, ric. Cellerini, rv 196893, in base al quale lobbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di cassazione, per ciò che concerne ogni questione di diritto con esso decisa, è assoluto ed inderogabile, anche se sia intervenuto un mutamento di giurisprudenza dopo la detto sentenza, non sembra possa trovare applicazione nel caso di specie.
E tuttavia un temperamento di tale asserzione sembra inevitabile.
Invero è certamente esatto affermare che anche la statuizione giurisdizionale più elevato, come quella delle Su, pur assolvendo a una specifica funzione nomofilattica, non per questo, assurge ci vincolo giuridico vero e proprio, anche perché non può modificare la regiudicata; essa infatti è tale perché si è già perfezionata sul punto di diritto deciso nella sentenza di annullamento della Corte di cassazione, atteso che il principio affermato, appunto, dalla sentenza di annullamento, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto a ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno per il caso di specie (in tal senso, invero, la Corte costituzionale ‑cfr sentenza 50/70, 21/1982, 247/95, 294/95, 224/96‑ si è più volta pronunziata, affermando con forzo la presenza nellordinamento di un principio di definitività delle sentenze di cassazione, funzionale ad evitare il regressus in infinitum dei giudizi; vedesi anche Cassazione Sezione terza, sentenza 12947/98, ric. Schiavone, rv 212423).
E tuttavia, quando la funzione di nomofilachia esercitata dalle Su fa perno su quella che viene ritenuta ed enunziata come lunica interpretazione costituzionalmente compatibile, sembra incongruo, irragionevole e iniquo che il giudice di rinvio debba ritenersi vincolato a uninterpretazione contra Constitutionem fornita dal giudice di legittimità e smentita da successiva sentenza delle Su.
Sicché un primo aspetto della questione da sottoporre al giudice delle leggi è quello della conformità degli articoli 627 comma 3 e 628 comma 2 Cpp agli articoli 3, 24 e 111 Costituzione, anche alla luce di quanto a suo tempo enunziato dallo stesso Giudice con ordinanza 501/00, con la quale, nel respingere, per manifesta infondatezza, la questione allepoca sollevata (si dubitava allora della costituzionalità del divieto in generale per il giudice di rinvio di non uniformarsi al dictum della sentenza di annullamento della Corte di cassazione), si faceva salva la facoltà del giudice di rinvio di mettere in discussione, sotto il profilo della legittimità costituzionale, non già le norme che limitano i contenuti del giudizio rescissorio, ma ‑eventualmente‑ quelle che sarebbe tenuto ad applicare nella lettura datane dai giudice di legittimità.
Né potrebbe, a sua volta, questa Corte di cassazione, investito della impugnazione proposta avverso la sentenza di rinvio dallimputato soccombente proprio in virtù di quella lettura non costituzionalmente corretto, applicare esso il diritto vivente, individuato dalla sentenza delle Su (successiva, come si è detto, a quella di annullamento da parte del Giudice di legittimità), in quanto, se si ritiene che il giudice di rinvio sia vincolato ci sensi del disposto del comma 3 dellarticolo 627 Cpp, non si vede come non debba ritenersi vincolato (di riflesso e a maggior ragione) la Corte di cassazione, giudice di una impugnazione proposta entro i ristretti limiti consentiti dal comma 2 dellarticolo 628 dello stesso codice.
Si tratto, con ogni evidenza, di un cortocircuito interpretativo che, ci parere di questo Collegio, solo una pronunzia della Corte costituzionale potrebbe neutralizzare.
Daltronde, se, non aderendo a tale impostazione, si ritenesse che il giudice di rinvio sia comunque vincolato ai dettami indicatigli con la sentenza di annullamento, anche quando essi siano ictu oculi contrastanti con ben individuate direttrici costituzionali (nel nostro caso, certamente, oltre che con il diritto di difesa, con il principio del contraddittorio nella formazione della prova, in quanto verrebbe attribuito valore di prova a dichiarazioni raccolte unilateralmente da organi investigativi, cfr. sentenza costituzionale 32/2002), allora risulterebbe inevitabilmente violato (anche) il principio di eguaglianza ex articolo 3 Costituzione, atteso che ‑evidentemente‑ si verificherebbe unirragionevole disparità di trattamento tra il lindagato/imputato, a carico del quale siano state rese alla polizia giudiziaria dichiarazioni, diligentemente verbalizzate dallaccipiente e colui nei cui confronti tale verbalizzazione (per impossibilità, dimenticanza, colpevole o dolosa inerzia) non sia stata effettuato. Questultimo, paradossalmente ‑e come nel caso in esame‑ si troverebbe in posizione peggiore in conseguenza delle minori garanzie che lordinamento finirebbe per approntargli.
In sintesi dunque sembra legittimo dubitare.
1) della conformità e costituzione dellarticolo 627 comma 3 Cpp (per contrasto con gli articoli 3, 24, 111 Costituzione) nella parte in cui non consente al giudice di rinvio di rilevare e sollevare eventuale eccezione di incostituzionalità con riferimento ai principi di diritto impostigli dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento, quando lo stesso giudice di legittimità, in dato successiva ci detto sentenza, ma anteriore alla sentenza del giudice di rinvio, abbici poi abbandonato, in quanto costituzionalmente incompatibile, il principio di diritto enunziato nel giudizio rescindente,
2) della conformità e costituzione (ove non si accedesse alla tesi sub 1) dellarticolo 195, comma 4 Cpp, dopo lintervenuto modifica legislativo apportato con la legge 63/2001 (sempre per contrasto con gli articoli 3, 24, 111 Costituzione), nella parte in cui consente agli appartenenti alla polizia giudiziario di riferire circa notizie apprese da persone informate sui fatti, le cui dichiarazioni non siano state verbalizzate, mentre non consente tele testimonianza de relato, nel caso in cui la verbalizzazione sia avvenuta.
Si impone dunque, previa sospensione del presente procedimento, la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
La Cancelleria si farà carico delle comunicazioni di legge.
PQM
La Corte, visto larticolo 23 comma 3 della legge 87/1953, dichiara di ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione degli articoli: a) 195 comma 4 Cpp come modificato dalla legge 63/2001, nella parte in cui non prevede che siano inutilizzabili le dichiarazioni acquisite da parte della polizia giudiziario da persone informate sui fatti, senza le modalità di cui agli articoli 351 e 357 comma II lettera a) e b) Cpp, 9) 627 comma 3 Cpp, nella parte in cui non consente di rilevare e sollevare questione di costituzionalità con riferimento ci principi di diritto enunziati dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio.