Civile

Thursday 10 April 2003

Rigoroso onere della prova per chi chiede il risarcimento del danno da perdita di chance . Cassazione – Sezione seconda civile – sentenza 4 dicembre 2002-18 marzo 2003, n. 3999

Rigoroso onere della prova per chi chiede il risarcimento del danno da perdita di chance

Cassazione Sezione seconda civile sentenza 4 dicembre 2002-18 marzo 2003, n. 3999

Presidente Spadone relatore Elefante

Pm Russo conforme ricorrente Bindi

Svolgimento del processo

Con atto di citazione 31.10.1977, Giancarlo e Grazia Bindi, premesso che erano eredi per rappresentazione del loro nonno Nello Bindi, il quale nel testamento olografo aveva nominato erede il loro padre nella percentuale del 60% del relitto, lasciando il residuo patrimonio a Rita Bindi; che essi, inoltre erano eredi per chiamata diretta di Margherita Zerbi, la quale aveva lasciato loro un appartamento sito m Padova e alla Rita Bindi delle azioni di alcune società; convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Verona, Rita Bindi al fine di sentir dichiarare lo scioglimento della comunione ed attribuire loro l’immobile sito in Cologna Veneta, già appartenente al suddetto nonno, nonché l’immobile sito in Padova lasciato dalla Zerbi.

Costituitasi, la Bindi eccepiva la nullità del testamento olografo 8.9. 1973 della propria madre Margherita Zerbi, chiedeva il riconoscimento della quota di legittima relativamente alla successione materna e l’assegnazione dell’immobile sito in Cologna Veneta.

A questa causa veniva riunita l’altra causa promossa (con citazione del 30.12.1977) da Vanna Tognoli, che agiva in nome e per conto della figlia minore Ilaria Bindi, per ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie di Margherita Zerbi, la quale aveva pretermesso Ilaria Bindi, figlia del premorto Ugo Bindi, a sua volta figlio della de cuis.

Con sentenza non definitiva (24.06/19.10.1983) il Tribunale di Verona assegnava l’immobile di Cologna Veneta congiuntamente a Giancarlo e Grazia Bindi, cui imponeva di versare a Rita Bindi la somma di lire 26.400.000, e rimetteva le parti davanti al giudice istruttore per il prosieguo del giudizio.

In data 3 aprile 1984 Rita Bindi, Vanna Tognoli, per la minore Ilaria Bindi, e Giancarlo Bindi, per sé e per la sorella Grazia Bindi, sottoscrivevano una convenzione privata, con la quale, premesso che tra le parti pendeva una causa civile «attinente la divisione dei beni caduti in successione di Bindi Nello e Zerbi Margherita», dichiaravano di voler transigere l’intera vertenza convenendo di assegnare l’immobile di Cologna Veneta a Rita Bindi e l’immobile sito in Padova a Giancarlo e Grazia Bindi, determinando i conguagli ai coeredi e condizionando l’efficacia della convenzione da parte di Ilaria Bindi alla necessaria autorizzazione del giudice tutelare.

Poiché la causa che si riteneva transatta non veniva abbandonata, in quanto Grazia Bindi, nonostante le promesse del fratello Giancarlo, si era rifiutata di sottoscrivere la convenzione datata 3 aprile 1984, Rita Bindi proponeva domanda di accertamento dell’efficacia della convenzione, sostenendo che la stessa doveva ritenersi atto transattivo e quindi efficace nei confronti del firmatario Giancarlo Bindi, almeno nei limiti di disposizione della sua quota.

Con sentenza definitiva (15.01/11.04.1991) il Tribunale di Verona qualificava detta convenzione come atto di divisione e ne dichiarava l’inefficacia per mancanza della firma di Grazia Bindi; assegnava poi anche l’appartamento sito in Padova a Giancarlo e Grazia Bindi, con l’obbligo di pagare lire 10.880.000 a Ilaria Bindi e lire 32.640.000 a Rita Bindi, alla quale attribuiva le azioni dalla Richard Ginori e altri importi a titolo di rendiconto.

Contro la sentenza del Tribunale Rita Bindi proponeva appello sostenendo che la convenzione aveva natura traslativa e che sulla base della stessa venisse ordinato al Conservatore dei Registri Immobiliari, di Verona di annotare l’avvenuto trasferimento dell’immobile di Cologna Veneta m suo favore, avvero, in subordine, che Giancarlo Bindi venisse condannato a risarcirle i danni subiti, ammontanti a lire 50.000.000.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza non definitiva (07.06/25.11.1994), in parziale riforma della decisione del Tribunale, dichiarava Giancarlo Bindi tenuto al risarcimento dei danni patiti da Rita Bindi nei limiti dell’interesse negativo e rimetteva le parti davanti al consigliere istruttore per la determinazione.

Espletata ctu, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza definitiva 21/1999, condannava Giancarlo Bindi a corrispondere a Rita Bindi la somma di lire 1.456.000, da essa pagata il 7.12.84 per la registrazione della sentenza del Tribunale, nonché la somma di lire 140.000, pagata l’8.01.1987 per Invim, con rivalutazione secondo gli indici Istat, oltre gli interessi legali, e a rimborsare le spese del doppio grado di giudizio, compensandole tra tutte le altre parti.

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione Rita Bindi in base a un solo motivo, illustrato da memoria.

Giancarlo Bindi non si è costituito.

Motivi della decisione

Con unico motivo, deducendo violazione dell’articolo 360, 3 e e 5, Cpc in relazione agli articoli 1218 e 2043 c.c., nonché contraddittoria motivazione, la ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver liquidato il risarcimento del danno, sia pure nei limiti dell’interesse negativo, maniera irrisoria, riconoscendo soltanto le spese per la registrazione della sentenza e Invim, senza considerare che andava riconosciuto anche il risarcimento per la perdita di chance, ossia per la perdita delle occasioni delle quali avrebbe potuto godere la Rita Bindi se il fratello Giancarlo avesse mantenuto l’impegno assunto. Sostiene, inoltre, la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in grave errore logico per macroscopica contraddizione fra la premessa (condanna di Giancarlo Bindi al risarcimento) e la conclusione quantificativa, limitata alle sole spese

di registrazione della sentenza e Invim, per le quali non occorreva alcun accertamento tecnico essendo documentate in atti.

Il motivo è infondato.

La parte, alla quale sia stato riconosciuto il risarcimento dei danni subiti nei limiti dell’interesse negativo, qualora voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chance, ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (vedi Cassazione 10748/96).

Invero, com’è stato evidenziato da tempo, sia da autorevole dottrina sia dalla giurisprudenza di questa Corte, la chance, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile d’autonoma valutazione, onde della sua perdita, vale a dire della perdita della possibilità di conseguire un qualsivoglia risultato utile, deve essere provata la sussistenza (cfr. Cassazione 15759/01; 11340/98).

Nel caso specifico la ricorrente ha provato soltanto gli esborsi per la registrazione della sentenza e per l’Invim; nessuna prova, né per presunzioni né in base a calcolo di probabilità, ha dato della perdita di chance, ossia della perdita delle assente occasioni che il mercato avrebbe offerto per incrementare il proprio patrimonio e non sfruttate a causa dell’inadempimento di Giancarlo Bìndi. Neppure la ctu, disposta peraltro proprio per sopperire a tale deficienza probatoria, è riuscita ad individuare (con calcolo probabilistico in relazione ai principi della causalità adeguata) la sussistenza di tale perdita.

Nell’infondatezza del proposto mezzo di doglianza, il ricorso deve essere rigettato.

Non si deve provvedere sulle spese perché il concorrente Giancarlo Bindi non si è costituito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso: