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“Revisione europea”: istruzioni per l’uso
Ai fini di considerare quale ammissibile la richiesta di revisione europea deve risultare prima facie idonea per i suoi contenuti rappresentativi a disarticolare il giudizio finale di merito sulla base di una valutazione preliminare che, pur operando sul piano astratto, riguardi pur sempre la capacità dimostrativa dell’elemento di novità a ribaltare il giudizio che si chiede di revisionare.
Cass. pen., sez. V, ud. 4 febbraio 2022 (dep. 27 aprile 2022), n. 16226
Il caso. La vicenda (davvero complessa, n.d.r.) trae origine dall’applicazione di misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del ricorrente anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 159/2011.
Come è noto, anteriormente all’adozione del decreto-legge in parola, il procedimento applicativo della misura di prevenzione si svolgeva in camera di Consiglio. Il novellato art. 7 d.l. n. 159/2011 (l. n. 161/2017) dispone che “il procedimento si svolga in pubblica udienza quando l’interessato ne faccia richiesta”.
Il ricorrente, cui la misura era stata applicata in assenza di pubblica udienza si era rivolto alla Corte di Strasburgo che, con propria decisione del 13 maggio 20014, aveva recepito la Dichiarazione Unilaterale del Governo italiano di riconoscimento dell’articolo 6 della CEDU per il carattere non equo del giudizio di prevenzione.
Ottenuta la pronuncia, resa sulla scorta dell’art. 37 CEDU, il ricorrente si attivava ex art. 670 c.p.p. per ottenere dichiarazione di non esecutività della misura.
Il Tribunale competente territorialmente rigettava l’istanza e così pure la Corte d’Appello.
Avverso detta pronuncia il destinatario del provvedimento formulava ricorso per Cassazione che veniva rigettato.
In esito a detta pronuncia il ricorrente formulava istanza di revisione europea alla Corte d’Appello di Catanzaro che rigettava la richiesta, oltre che per questioni attinenti alle forme ed al tempus inerente la presentazione dell’istanza (cfr. pag. 3 della pronuncia in commento), anche, e questo è il punto di maggior interesse ai fini del presente commento, per la mancata indicazione della «rilevanza in termini di sopravvenienza degli elementi di prova nuova».
Avverso la Pronuncia della Corte d’Appello il ricorrente ha frapposto ricorso per cassazione sulla quale la Corte si è espressa con la sentenza in commento.
La revisione europea. La Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 131/2011, intervenendo in tema di revisione delle sentenze per come disciplinata dall’art. 630 c.p.p., ne ha dichiarato la illegittimità costituzionale nella parte in cui esso non contempla un diverso caso di revisione, ulteriore rispetto a quelli ivi indicati, al fine di conseguire la riapertura del processo, intesa questa come concetto di genere, funzionale anche alla rinnovazione di attività già espletate e, se del caso di quella dell’intero giudizio, quando ciò sia reso necessario per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte Europea dei diritti dell’Uomo «segnatamente nei casi di accertata violazione delle garanzie stabilite dall’articolo 6 della Convenzione».
La Corte Costituzionale ha motivato al propria decisione individuando nell’accertamento dei Giudici di Strasburgo di violazioni dell’art. 6 CEDU una prospettiva “affatto diversa” rispetto a quella tradizionale dell’istituto della revisione, configurato quale strumento volte a comporre il dissidio tra “verità processuale” e “verità storica”, risultante da elementi fattuali esterni al giudicato stesso, trattandosi piuttosto di «porre rimedio, oltre i limiti del giudicato (considerati tradizionalmente comunque insuperabili con riguardo agli errores in procedendo) a un “vizio” interno al processo, tramite una riapertura del medesimo che ponga l’interessato nelle condizioni in cui si sarebbe trovato in assenza della lesione».
La riapertura del processo deve, sempre ai sensi della pronuncia della Corte Costituzionale, essere apprezzata in rapporto alla natura oggettiva della violazione accertata tenendo naturalmente conto delle indicazioni contenute nella sentenza della cui esecuzione si tratta.
Il che significa che non è sufficiente ottenere una pronuncia di mancato rispetto del contenuto della Convenzione da parte dello Stato italiano ma anche che la “rimozione” della violazione stessa sia in rado di esperire un qualche effetto positivo circa la posizione soggettiva del ricorrente in riferimento al procedimento cui si riferisce.
Occorre cioè apprezzare l’effettiva incidenza della violazione accertata nel caso concreto.
Ovvero e fuor di metafora, se ci si lagna della irragionevole durata del processo la revisione europea non potrà certamente costituire rimedio al vulnus perpetrato dallo Stato risolvendosi in un ulteriore allungamento della durata del processo medesimo.
Sotto questo profilo la Corte di Cassazione, richiamando copiosa giurisprudenza, giunge ad affermare che la omessa celebrazione in pubblica udienza del procedimento di prevenzione ex se, pur costituendo pacifica violazione del disposto del paragrafo 6 CEDU, senza che da essa emergano violazioni dei parametri sostanziali correlati alla tutela del diritto di proprietà, ex se non sia sufficiente a dar corso alla celebrazione di nuovo giudizio in applicazione dei dettami contenuti nella sentenza n. 131/2011 della Corte Costituzionale.
La vicenda inerente il caso sottoposto all’attenzione della V sezione della Corte dunque poteva dirsi definita attraverso l’applicazione di un complesso di norme procedurali contenute nelle disposizioni del d.l. n. 159/2011, ben identificate nella parte motiva della pronuncia cui si rimanda per una completa ed esaustiva conoscenza, ma i Giudici si spingono oltre identificando quelli che paiono essere, sino alla prossima pronuncia, gli elementi oggetto di scrutinio ai fini di consentire l’accesso alla revisione europea.
La pronuncia ricorda come il giudizio di revisione si sviluppi in due fasi, l’una rescindente e l’altra rescissoria.
La prima fase è costituita dalla valutazione – de plano – dell’ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l’osservanza delle norme di legge, la seconda è invece costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all’accertamento e alla valutazione del novum (Cass. civ., sez. unite, n. 18/1997).
Il novum della revisione europea viene individuato dalla Corte nella integrazione di una norma procedurale che, prima facie, deve essere considerata idonea per i suoi contenuti rappresentativi a disarticolare il giudizio finale di merito, sulla base di una valutazione preliminare che, pur operando sul piano astratto, riguarda pur sempre la capacità dimostrativa dell’elemento di novità a ribaltare il giudizio di cui si chiede la revisione.
Ne deriva che l’ottenimento di pronuncia favorevole da parte della Corte EDU ex se non costituisce automatico accesso all’istituto della revisione europea in assenza di elementi capaci di “convincere” prima facie ed in astratto della necessità di procedere a nuovo giudizio.
Ovviamente a patto che non sia la stessa Corte EDU ad indicare nella propria pronuncia i rimedi, di natura processuale, da applicarsi concretamente al caso sottoposto al proprio esame.
Avv. Claudio Bossi