Civile

Thursday 14 December 2006

Responsabilità medica e lavoro d’ equipe.

Responsabilità medica e lavoro d’equipe.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 12 luglio 2006 – 6
ottobre 2006, n. 33619

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

QUARTA SEZIONE PENALE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cosenza
condannava B. R. e I. U. alla pena ritenuta di
giustizia per aver colposamente cagionato, nella loro qualità di medici presso
l’ospedale civile di S. Giovanni in Fiore, la morte di M. M. A., nel corso di
un intervento di parto cesareo, in particolare per aver entrambi errato la
manovra di intubazione a seguito di anestesia generale introducendo per due
volte la cannula nell’esofago invece che in trachea e determinando così anossia
prolungata con exitus (evento in S. Giovanni in Fiore il 6 febbraio 1998).

A seguito di gravame ritualmente
proposto nell’interesse di B. e I., la
Corte d’Appello dì Catanzaro dichiarava inammissibile
l’impugnazione proposta dal B. – sull’asserito rilievo dell’inosservanza di
talune formalità previste dal codice di rito a pena di inammissibilità – e,
quanto a I., confermava l’impugnata decisione, motivando il proprio
convincimento con argomentazioni che possono così riassumersi:

a) era infondata l’eccezione di
prescrizione del reato posto che il decorso del relativo termine aveva subito
taluni periodi di sospensione, per un tempo complessivo di oltre 18 mesi, in
conseguenza di rinvii disposti su richiesta della
difesa di I. stesso per impedimento del difensore,
nonché (dal 17 luglio 2003 al 19 febbraio 2004) per l’eventuale esercizio della
facoltà di avvalersi del patteggiamento "allargato" ai sensi della
legge n. 134 del 2003;

b) alla visita anestesiologica
cui la M. si era
sottoposta in vista dell’intervento, non erano emerse controindicazioni di
sorta;

c) in occasione dell’intervento
di parto cesareo la paziente aveva manifestato i primi sintomi di sofferenza da
ipossigenazione dopo l’intubazione necessaria a garantire l’ossigeno, tanto da
indurre i sanitari ad una nuova introduzione del tubo nella trachea;

d) nonostante il secondo
tentativo la situazione era degenerata in arresto cardiaco che aveva portato al
decesso della paziente;

e) dalla consulenza tecnica,
disposta dal P.M. e dalla perizia autoptica era emerso che il decesso era stato
determinato da prolungata anossia conseguente a mancata intubazione: dato
conforme alle risultanze della cartella clinica, dell’esame istopatologico e
degli elementi valutativi acquisiti in occasione delle deposizioni dei vari
testimoni escussi (in particolare, tra i vari elementi, la presenza di sangue
di colore scuro – e quindi scarsamente ossigenato – pochi minuti dopo la prima
intubazione);

f) l’individuazione della causa
della morte nell’errato inserimento del tubo endotracheale poteva dirsi quale
dato acquisito e non revocabile in dubbio;

g) lo stato di salute del neonato
appariva elemento poco probante per escludere il difetto di ossigenazione della
madre posto che il chirurgo aveva provveduto pochissimi minuti dopo la prima
intubazione all’apertura della fascia addominale ed alla rapida estrazione del
feto: dunque, stante la rapidità del parto, il feto aveva potuto godere di
autonomi meccanismi di compensazione idonei ad ovviare alle carenze improvvise
della madre (mentre il bambino era stato portato alla luce
in buona salute);

h) appariva priva di pregio la tesi difensiva dello laquinta, secondo cui questi avrebbe
svolto un ruolo del tutto marginale nella vicenda mentre responsabile
dell’intervento sarebbe stato il B.; la Corte distrettuale evidenziava che secondo
l’indirizzo consolidato delineatosi in materia nella giurisprudenza di
legittimità, nel caso di interventi in “equipe” ciascun sanitario è
responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e perizia connesse
alle mansioni specificamente ed effettivamente svolte, ma deve costituire anche
una sorta di garanzia per la condotta degli altri componenti e porre quindi
rimedio agli eventuali errori altrui, purchè siano evidenti per un
professionista medio e non settoriali di una specifica disciplina estranea alle
sue cognizioni;

i) nella concreta fattispecie si
era trattato di errori piuttosto banali e comunque relativi alla comune
attività di anestesista dei due imputati: in una prima fase, relativa
all’intubazione – errata – da parte del B., lo I., procedendo all’auscultazione,
con il fonendoscopio, del torace della paziente, non si era accorto dell’errore
del collega ed aveva dato il proprio beneplacito all’inizio dell’intervento;
nella seconda fase era stato personalmente lo laquinta a procedere
all’intubazione;

l) lo
laquinta aveva partecipato dunque attivamente alle due fasi dell’anestesia,
entrambe caratterizzate da manovre errate;

m) risultava priva di fondamento
l’eccezione di violazione del principio di correlazione tra la contestazione e
la sentenza, avendo l’imputazione mossa allo laquinta fatto espresso
riferimento alla errata manovra di intubazione costituita dall’avere introdotto
per due volte la cannula nell’esofago invece che nella trachea;

n) alcuna incidenza avevano avuto
le condizioni fisiche della M., risultando dagli atti che la donna non
presentava tracce di patologie preesistenti che potessero aver contribuito per
via organica alla ipossigenazione, ed aveva caratteristiche strutturali
(conformazione del collo, diametro boccale, distanza delle corde vocali) del
tutto normali ed idonee a consentire un’agevole intubazione, come peraltro
confermato anche dalla visita pre-anestesiologica che non aveva evidenziato
alcuna anomalia.

Hanno proposto ricorso per
cassazione lo laquinta ed il B.. All’udienza del 2 febbraio
2006, essendo risultato deceduto l’avvocato Giuseppe Mazzotta, difensore di
fiducia e domiciliatario dello I., è stato disposto lo stralcio degli atti
relativi alla posizione di quest’ultimo ed è stato deciso il ricorso del solo
B..

Il procedimento relativo al
ricorso dello I. è stato
quindi rinviato all’odierna udienza, con avviso al difensore di ufficio
avvocato Falcolini ed avviso per lo laquinta, ai sensi dell’art. 161, comma
quarto,c.p.p., allo stesso avvocato Falcolini, non essendo pervenuta nomina di
altro difensore di fiducia da parte dell’imputato, in sostituzione
dell’avvocato Mazzotta deceduto, e nemmeno altra dichiarazione o elezione di
domicilio (essendo divenuta impossibile la notifica presso il precedente
domiciliatario, lo stesso avvocato Giuseppe Mazzotta, perché, appunto,
deceduto).

Le censure dedotte dallo I. possono così
sintetizzarsi: 1) asserita violazione del principio di correlazione tra
contestazione e sentenza; 2) la
Corte d’Appello avrebbe errato nel computo dei periodi di sospensione
del decorso della prescrizione avendo calcolato anche il periodo relativo al
rinvio richiesto dalla parte ai sensi della legge n. 134 del 2003; 3) vizio
motivazionale in ordine alla ritenuta colpevolezza dello laquínta poiché questi
sarebbe intervenuto dopo la comparsa del sangue scuro – segno di rilevante
anossia – e quindi allorquando la paziente doveva considerarsi già deceduta..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio rileva
l’inammissibilità del gravame per i motivi di seguito precisati.

La doglianza relativa all’omessa
correlazione tra accusa contestata e sentenza è manifestamente infondata,
giacché, secondo giurisprudenza costante di questa
Corte (Casa. sez. un. 22 ottobre 1996 n.16 rv.205619),
per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi
elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad
un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale
pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad
accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedisseguo e
mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza, perché,
vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è dei tutto
insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo,
sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine
all’oggetto dell’imputazione: nel caso in esame l’affermazione di
responsabilità dello I. risulta basata sull’imperita
auscultazione polmonare nella prima intubazione eseguita dal B. e sull’errata
intubazione effettuata una seconda volta dallo I. personalmente,
sicché si tratta di operazioni concernenti la stessa attività (intubazione),
cui si riferisce il capo di imputazione.

A ciò aggiungasi che uniforme
giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. IV 21 giugno 2004 n.27851 rv.229071,
fra le più recenti) afferma che nei procedimenti per reati colposi, quando nel
capo d’imputazione sono stati contestati elementi "generici" e
"specifici" di colpa, non sussiste violazione del principio di
correlazione tra sentenza ed accusa nel caso in cui il giudice abbia affermato
la responsabilità dell’imputato per un’ipotesi di colpa diversa da quella
specifica contestata; infatti, il riferimento alla colpa generica (nella
concreta fattispecie con l’indicazione dell’imperizia) evidenzia che la
contestazione riguarda la condotta dell’imputato globalmente considerata,
sicché questi è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti dei comportamento tenuto in occasione dell’evento di cui è
chiamato a rispondere. Parimenti destituita di qualsiasi fondamento risulta la
censura relativa alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la
declaratoria di prescrizione. Appare infatti esatto il
computo delle sospensioni del termine prescrizionale, calcolate dalla Corte
territoriale per un periodo complessivo di oltre 18 mesi (precisamente si
tratta di 18 mesi e 16 giorni), anche con riferimento al rinvio richiesto in
applicazione dell’art.5 della legge n. 134 del 2003, giacché il secondo comma
della citata disposizione espressamente prevede che "il dibattimento è
sospeso per un periodo non inferiore a quarantacinque giorni… e durante tale
periodo sono sospesi i termini di prescrizione": sicché la predetta causa
estintiva maturerà il 22 febbraio 2007.

Con riferimento al vizio
motivazionale, va ribadito che l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione essere limitato – per espressa volontà del
legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui
vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sottolineare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali (tranne che si verta nell’ipotesi introdotta con la legge n. 46 del
2006, estranea ai motivi enunciati con il ricorso).

L’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere di spessore tale da risultare percepibile
"ictu oculi", dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere
limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se
non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione
adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le
ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Cass. sez. un. 16 dicembre 1999
n. 24 rv.214794).

La Corte territoriale ha
dimostrato in maniera ineccepibile come la responsabilità del decesso sia
ascrivibile allo I.. Infatti, i giudici di seconda
istanza, rispondendo a tutte le doglianze mosse, hanno evidenziato che
l’annerimento del sangue, constatato subito dopo l’inizio dell’intervento, fu
il sintomo iniziale della sofferenza acuta da ipossigenazione; ed hanno altresì
sottolineato che, in materia di colpa professionale di "equipe", ogni
sanitario è responsabile non solo del rispetto delle regole di diligenza e
perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma deve anche
conoscere e valutare le attività degli altri componenti dell’
"equipe" in modo da porre rimedio ad eventuali errori posti in essere
da altri, purché siano evidenti per un professionista medio, giacché le varie
operazioni effettuate convergono verso un unico risultato finale; la Corte d’Appello non ha
mancato infine di precisare che, nella concreta fattispecie, si è trattato di
errori piuttosto banali e comunque relativi proprio alla attività di
anestesista dello I.. Questi non si è avveduto della prima manovra di
intubazione eseguita dal B., ed ha provveduto ad effettuare la seconda,
erronea; sicché "ha partecipato attivamente alle due fasi della anestesia,
entrambe errate" (per come si legge testualmente nell’impugnata sentenza);
ciò costituisce elemento tranciante rispetto all’affermazione dello laquinta
secondo cui questi sarebbe intervenuto solo allorquando si era già verificato
il decesso della M. (affermazione peraltro priva di qualsiasi fondamento alla
luce di quanto ritenuto accertato in sede di merito dalla Corte territoriale:
quest’ultima ha precisato, infatti, che la situazione degenerò in arresto
cardiaco dopo la seconda introduzione del tubo nella trachea della M.).

Contrariamente a quanto affermato
dal ricorrente (peraltro con argomentazioni generiche ed assertive), il
convincimento espresso dalla Corte distrettuale si pone anche del tutto in sintonia
con i princìpi enunciati in materia da questa Corte a Sezioni Unite (Sez. Un., 10 luglio 2002, Franzese): si è trattato infatti di un
banalissimo intervento di taglio cesareo, eseguito su persona del tutto sana e
priva di controindicazioni alla anestesia, deceduta soltanto a causa di
un’errata manovra di intubazione, posta in essere dallo I. per
le ragioni già illustrate. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per
legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè
(trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a
colpa, dei ricorrente: cfr. Corte Costituzionale,
sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento a favore della cassa delle
ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro mille.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso
e condanna il ricorre e al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00= in favore della cassa delle
ammende.

Roma, 12 luglio 2006.

Il Presidente

(Giovanni
Silvio Coco)

Il Consigliere estensore

(Vincenzo
Romis)