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Pubblico Impiego
(Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, Sentenza n. 14388 pubblicata il 14 luglio 2016)
Il lavoratore disabile non riesce a beneficiare dei buoni pasto aziendali; amministrazione tenuta al risarcimento del danno.
L’attribuzione dei buoni pasto, rappresenta una agevolazione di carattere assistenziale che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ambiente di lavoro, è diretta a conciliare le esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del dipendente, al fine di garantire allo stesso il benessere fisico necessario per proseguire l’attività lavorativa; ciò comporta di per sé la tutela della salute del lavoratore stesso e a maggior ragione della sua disabilità. Pertanto l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta a prendere in considerazione le esigenze dei dipendenti la cui situazione di disabilità possa impedire la concreta fruibilità dei buoni pasto corrisposti dall’amministrazione stessa. Ne consegue che le amministrazioni datrici di lavoro debbono fornire ai lavoratori disabili, che ne sono beneficiari in base alla contrattazione di settore, dei buoni pasto che risultino per i destinatari materialmente fruibili in relazione alla loro condizione di disabilità, potendo essere in caso contrario tenute, se ritualmente richieste, a risarcire i danni conseguenti.
Così affermato dalla Corte di Cassazione sezione lavoro, con la sentenza n. 14388 pubblicata il 14 luglio 2016.
La vicenda decisa: domanda di lavoratore non vedente volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dal mancato utilizzo dei buoni pasto.
Un dipendente di amministrazione pubblica adiva il Tribunale del lavoro al fine di ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata concreta utilizzabilità di buoni pasto consegnati dalla propria amministrazione, a motivo di difficoltà derivanti dalla propria condizione di disabilità (non vedente). Il Tribunale rigettava la domanda. Proposto appello, la corte di merito a sua volta lo rigettava, respingendo la domanda originaria del lavoratore disabile, il quale ricorreva così in Cassazione.
Le finalità dei buoni pasto.
La domanda originaria del lavoratore ricorrente si basa non sulla pretesa di ottenere l’equivalente in denaro dei buoni pasto non utilizzati, bensì il risarcimento dei danni derivanti dalla loro concreta inutilizzabilità da parte del lavoratore, in condizioni svantaggiate a causa del proprio handicap.
I giudici di merito di primo e secondo grado hanno affermato, conformemente agli insegnamenti della Suprema Corte, che il valore dei buoni pasto attribuiti al lavoratore non costituisce un elemento integrativo della retribuzione, ma una agevolazione di carattere assistenziale; di conseguenza, in linea con le previsioni del CCNL applicato, l’attribuzione del buono pasto non può in alcun modo ed a nessun titolo essere sostituita dalla corresponsione dell’equivalente in denaro.
I giudici di legittimità, preliminarmente, danno atto e confermano tale principio giurisprudenziale. Affermano nuovamente, conformemente all’indirizzo giurisprudenziale costante della Corte, che il buono pasto ha natura assistenziale, corrisposto affinchè vengano conciliate le esigenze di servizio con quelle quotidiane del lavoratore, al quale viene consentito, in assenza di mensa interna aziendale, la fruizione del pasto, garantendo il benessere fisico necessario per la prosecuzione della prestazione lavorativa.
Travisato l’oggetto della domanda del lavoratore.
Ribaditi gli insegnamenti giurisprudenziale in materia, la Suprema Corte osserva che sia il primo giudice, sia la Corte territoriale hanno errato nell’interpretare la domanda proposta. Entrambi infatti hanno ritenuto che il lavoratore avesse richiesto giudizialmente il corrispondente valore monetario dei buoni pasto, come integrazione della retribuzione. Viceversa la pretesa del lavoratore ricorrente era l’ottenimento del risarcimento dei danni derivanti dalla mancata fruizione dei buoni a motivo della propria invalidità.
Il ricorrente ha infatti provato in giudizio la propria condizione di non vedente, sì da rendere difficoltosa la deambulazione e lo spostamento fuori dall’ambito aziendale; la non spendibilità dei buoni pasti consegnati dall’amministrazione né all’interno dei locali aziendali, né in locali nelle immediate vicinanze, raggiungibili dal lavoratore, tenuto altresì conto della durata temporale della pausa pranzo.
Totale inutilizzabilità dei buoni tale da costringere il dipendente a restituirli all’azienda e provvedere a proprie spese ai pasti.
Così facendo l’azienda ha violato sia i principi di tutela del benessere fisico del lavoratore, sia, nel caso specifico in esame, sia le norme del D. lgs. n. 165 del 2001 volte a tutelare e favorire i dipendenti che si trovino in particolari situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare; a garantire ogni forma di discriminazione a danno dei lavoratori disabili.
Proprio i principi giurisprudenziali richiamati dalla corte di merito circa la natura assistenziale e non retributiva dei buoni pasto rendono fondata la domanda del dipendente,il quale si è trovato, nel concreto, impossibilitato a godere di quei vantaggi psico-fisici cui fa riferimento la Suprema Corte, a motivo del proprio disagio.
In conclusione, la corte territoriale, con la sentenza impugnata, ha totalmente errato nel decidere la controversia, senza centrare il fulcro delle doglianze del dipendente. Di conseguenza il ricorso proposto è stato accolto, cassata la sentenza impugnata, con rinvio ad altro collegio d’appello.
(avv. Roberto Dulio pubblicato su Diritto & Giustizia Giuffrè editore s.p.a)