Lavoro e Previdenza
Pubblico impiego: quando è possibile procedere al recupero di somme indebitamente erogate. TAR VENETO, SEZ. I – Sentenza 26 febbraio 2003 n. 1569
Pubblico impiego: quando è possibile procedere al recupero di somme indebitamente erogate.
TAR VENETO, SEZ. I Sentenza 26 febbraio 2003 n. 1569 – Pres. ed Est. Baccarini – Mirci (Avv.ti Perulli e Cagnetta) c. Provveditorato agli Studi di Venezia ed altri (Avv. Stato Gasparini) – (accoglie).
per lannullamento
del provvedimento del Provveditore agli studi di Venezia del 29 maggio 1987, con cui veniva deciso il ricorso gerarchico proposto contro il provvedimento del Preside dellI.T.C. “L.B. Alberti” di S. Donà di Piave dell11 febbraio 1987, nonché contro questultimo;
Ritenuto:
che il prof. Francesco Mirci, insegnante di educazione fisica presso lIstituto tecnico “L. B. Alberti di S. Donà di Piave”, ha proposto ricorso contro la decisione gerarchica di rigetto del Provveditore agli studi di Venezia in relazione al provvedimento dell11 febbraio 1987 con cui il Preside dellIstituto di appartenenza, in esito a decreto provveditorale di rettifica dellinquadramento, con riconoscimento di cinque anni di servizio prestato nella scuola media anziché di dodici anni, come in precedenza disposto in riferimento anche al servizio prestato in carenza di titolo specifico, stabiliva la ripetizione delle differenze retributive erroneamente corrisposte, nella misura di lire 13.124.478;
che lAvvocatura dello Stato si è costituita in giudizio per resistere per il Ministero della pubblica istruzione;
che con ordinanza cautelare 16 settembre 1987 n. 490 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dellefficacia del provvedimento impugnato;
che con un unico articolato motivo il ricorrente lamenta che il disposto recupero e la relativa decisione gerarchica non abbiano in alcun modo tenuto conto degli interessi incisi;
Considerato:
che è controversa non la questione del riconoscimento del servizio pregresso ma soltanto quella del recupero delle differenze retributive erroneamente corrisposte;
che su questultima questione la giurisprudenza amministrativa, e in particolare quella del Consiglio di Stato, è stata sempre oscillante;
che la decisione dellAdunanza plenaria 30 marzo 1976, n. 1 aveva ritenuto di precisare il fondamento della ripetizione dellindebito della amministrazione nel fatto che essa reca implicitamente lannullamento degli atti amministrativi in base ai quali il pagamento è stato fatto e deve quindi contenere una valutazione dellinteresse pubblico alla restituzione delle somme raffrontato al pregiudizio di chi è tenuto a restituirle, tenuto conto della loro quantità, dellavvenuta loro destinazione, delleventuale loro concorso in tale destinazione di altri redditi dello stesso soggetto, della incidenza che per costui la restituzione avrebbe sulle possibilità di soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita;
che successivamente lemersione di una giurisprudenza che costruiva invece la ripetizione dellindebito dellamministrazione come atto dovuto di esercizio del diritto di cui allart. 2033 c.c., estraneo allannullamento discrezionale dufficio di atti amministrativi (sez. IV, 17 maggio 1990, n. 390; 26 aprile 1990, n. 321; 16 gennaio 1990, n. 15; 30 ottobre 1989, n. 722; 6 maggio 1989, n. 286), induceva sez. VI, ord. 9 ottobre 1991, n. 625 ad una nuova rimessione allAdunanza plenaria che, con decisioni 12 dicembre 1992 nn. 20 e 21 e 30 settembre 1993, n. 11, componeva il contrasto di giurisprudenza confermando lindirizzo della sua precedente decisione del 1976;
che, ciononostante, nelle sezioni del Consiglio di Stato, accanto a pronunce allineate allindirizzo indicato dallAdunanza plenaria, nuovamente si è evidenziato un indirizzo, con il passar del tempo vieppiù prevalente, secondo cui “il recupero di somme indebitamente erogate ai pubblici dipendenti ha carattere di doverosità, nascendo direttamente dal disposto dellart. 2033 c.c., salvo lonere di procedervi con modalità tali da non incidere soverchiamente sulle esigenze di vita in caso di buona fede del debitore” (sez. V, 1 luglio 1999, n. 787; sez. VI, 4 maggio 1999, n. 574; 10 febbraio 1999, n. 120; 20 febbraio 1998, n. 155; 7 ottobre 1997, n. 1431; 24 marzo 1997, n. 287; 30 ottobre 1995, n. 1240; sez. II, par. 7 giugno 1995, n. 2927/94 e n. 2917/94);
che la questione della ripetizione dellindebito dellamministrazione va impostata indipendentemente dalla configurabilità in concreto di un annullamento dufficio di atti amministrativi, in quanto, a parte la controvertibile natura degli atti attualmente meri atti di gestione del rapporto di pubblico impiego privatizzato – posti a fondamento dei crediti pecuniari dei lavoratori pubblici, atti taluni dei quali possono avere natura di atti paritetici, tale configurazione della discrezionalità della ripetizione dellindebito appare una petizione di principio;
che infatti la ripetizione dellindebito non è necessariamente una conseguenza automatica dellannullamento dellatto attributivo di un trattamento economico (per il quale attualmente la giurisprudenza ritiene che linteresse allannullamento sia in re ipsa) ma ne è autonoma, come gli effetti già prodottisi di un atto giuridico sono in certa misura autonomi rispetto a quelli futuri;
che la discrezionalità, più che allatto di annullamento presupposto, va piuttosto ricollegata al fatto che la ripetizione dellindebito dellamministrazione è sì oggetto di unobbligazione comune del dipendente (ex art. 2033 c.c.) ma connessa allattuazione di un rapporto di lavoro con lamministrazione e che pertanto non può sottrarsi al generale principio della tutela dellaffidamento che disciplina lazione amministrativa;
che di tale principio, ricollegabile allobbligo di correttezza di cui è espressione la ponderazione degli interessi, la giurisprudenza amministrativa ha individuato numerose applicazioni di specie (provvedimenti di autotutela, convenzioni preliminari a provvedimenti, , informazioni e promesse dellamministrazione, prassi amministrativa, norme interne);
che il principio medesimo trova specifiche ragioni di applicazione nella ripetizione dellindebito dellamministrazione, in quanto:
il percipiente in buona fede ha regolato il suo comportamento su quello dellamministrazione, presunto legittimo;
lo stato soggettivo di buona fede del percipiente nellindebito oggettivo è rilevante a determinati effetti (frutti, interessi) anche secondo il diritto comune (art. 2033 c.c.);
lobbligazione di restituire somme di denaro indebitamente percepite ma che presumibilmente sono state destinate al consumo incide su esigenze primarie dellesistenza, che il principio della retribuzione sufficiente di cui allart. 36 Cost. prende in specifica considerazione e tutela;
lappartenenza ad una determinata categoria sociale (imprenditore, risparmiatore abituale, modesto consumatore, creditore occasionale) è considerata rilevante anche nel diritto privato (per la prova del maggior danno da mora nel pagamento, ex art. 1224, comma 2, c.c.: Cass., 2 agosto 1995, n. 8470);
che pertanto la ripetizione dellindebito dellamministrazione è soggetta, per il principio dellaffidamento e sul presupposto dello stato di buona fede del dipendente, a ponderazione di interessi, in relazione allentità della prestazione pecuniaria da ripetere, allappartenenza del dipendente alla categoria del modesto consumatore ed alla conseguente presumibile destinazione al consumo delle somme percepite, alla incidenza della ripetizione, ancorché graduata nel tempo, sul soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita;
che, in applicazione del suesposto principio di diritto, in relazione allo stato di buona fede del dipendente (desumibile anche dal fatto che il provvedimento di riconoscimento dei servizi pregressi era stato ammesso dalla Corte dei conti al visto ed alla conseguente registrazione), allentità della somma da ripetere (lire 13.124.478 riferita allanno 1987), alla presumibile ascrivibilità del dipendente (insegnante di scuola media superiore) alla categoria del modesto consumatore ed alla certa consistente incisione che la ripetizione avrebbe arrecato al soddisfacimento dei bisogni essenziali della vita, la decisione gerarchica impugnata che ha respinto il ricorso contro il provvedimento di ripetizione ignorando la favorevole ponderazione di interessi nel caso concreto è illegittima e va annullata, con conseguente annullamento anche del provvedimento di base ed esclusione della ripetizione;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, I sezione, definitivamente pronunciando:
1) Accoglie il ricorso e, per leffetto, annulla i provvedimenti impugnati;
2) Condanna il Ministero della istruzione, delluniversità e della ricerca a rimborsare al ricorrente le spese di giudizio, liquidate in complessivi ¬ 2000 (duemila euro), di cui ¬ 500 (cinquecento euro) per spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dallAutorità amministrativa.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio addì 19 dicembre 2002.
Il Presidente, estensore
Depositata in segreteria in data 26 febbraio 2003.