Lavoro e Previdenza
Pubblico Impiego: mobbing e reato di abuso d’ ufficio.
Pubblico Impiego: mobbing e reato
di abuso d’ufficio.
Cassazione – Sezione sesta penale
– sentenza 17 ottobre – 7 novembre 2007, n. 40891
Presidente Mannino – Relatore
Martella
Pm Galati – conforme – Ricorrente
Colazzo
Fatto e diritto
1. Con sentenza in data
30.10.2003, il Tribunale di Lecce dichiarava Colazzo Walter colpevole del reato
di cui agli artt. 81 c.p.v. e 323 c.p. (commesso in Scorrano il 15.9.1997) e,
in concorso con le riconosciute attenuanti generiche, lo condannava alla pena –
sospesa – di un anno di reclusione.
All’affermazione di
responsabilità seguiva la condanna al risarcimento del danno – da liquidarsi in
separato giudizio – e alla rifusione delle spese processuali in favore di Costa
Maria Rosaria, costituitasi parte civile.
Al Colazzo veniva
addebitato di avere, quale Sindaco del Comune di Scorrano, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso, abusato della sua qualifica e del suo
ufficio, adottando tre provvedimenti con cui si disponeva che la sig.ra Costa
Maria Rosaria, dipendente del Comune di Scorrano con la VI qualifica funzionale e le
mansioni di coordinatrice economa dell’asilo nido comunale, fosse destinata a
svolgere le mansioni di "prevenzione e accertamento delle violazioni in
materia di sosta", in violazione dell’art. 17, commi 132-133 L. n. 127/97, della
Circolare ministeriale n. 300/A 26467/110/26 del 25.9.97, esplicativa del
citato art. 17, commi 132-133 e dell’art. 56 D, Lvo n. 29/93 (oltre che
dell’art. 7 C.C.N.L.
approvato con DPR 593/93) per avere egli, prima di pervenire all’individuazione
della Costa quale destinataria dei citati provvedimenti, omesso di procedere ad
una comparazione fra il personale dipendente di pari qualifica, nonché di
valutarne preventivamente l’idoneità e l’indispensabile qualificazione
professionale, così recando un ingiusto danno alla nominata Costa, destinata
allo svolgimento di mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali era stata
assunta e "costretta ad esercitare un lavoro all’aperto più gravoso rispetto
a quello esercitato in precedenza".
2. Su gravame dell’imputato, la Corte di Appello di Lecce,
con sentenza in data 23.9.2005, depositata il 12 gennaio 2007, confermava
l’impugnata decisione.
Ritenevano i giudici del merito
la ricorrenza del reato contestato, sulla base del comportamento vessatorio e
persecutorio – ritenuto ampiamente provato – posto in essere dal Colazzo nei
confronti della Costa, all’uopo osservando:
– la Costa, dipendente di VI livello con funzioni di coordinatrice economa dell’asilo nido
comunale, venne, di punto in bianco, senza alcun provvedimento formale,
spostata di sede e gradatamente esautorata delle sue funzioni e costretta a
svolgere mansioni appartenenti a qualifiche inferiori: tale comportamento si
riteneva di per sé bastevole ad evidenziare l’atteggiamento tenuto nei
confronti della Costa dal Colazzo, fin dagli inizi della sua esperienza
sindacale (l’imputato era stato eletto sindaco nel novembre 1993 e il
provvedimento nei confronti della Costa risaliva al 2 febbraio 1994) culminato,
poi, nei tre provvedimenti oggetto del processo;
– la Costa fu destinataria dei
provvedimenti adottati dal Colazzo ai sensi dell’art. 17 L. 127/97, ma nessuno dei
testi escussi (meno che mai i segretari comunali succedutisi presso il Comune
di Scorrano), avevano saputo riferire come mai si
fosse giunti ad individuare nella "direttrice dell’asilo nido",
dipendente di VI livello, la persona più adatta a svolgere le mansioni di
ausiliario del traffico (senza alcuna preventiva visita medica e senza alcuna
preventiva riqualificazione professionale, in spregio alla circolare
ministeriale 25.9.1997);
– ulteriore manifestazione di
umiliazione e dequalificazione professionale della Costa, era dato constatare
dalla circostanza che dopo l’ennesima visita collegiale che aveva certificato
l’idoneità della predetta alle mansioni per cui era
stata assunta, la medesima venne restituita all’asilo nido senza che, tuttavia,
ne venissero precisate le mansioni da svolgere e che non furono, di certo,
quelle per cui era stata assunta.
Tali emergenze fattuali
inducevano i giudici del merito a ravvisare nella condotta del Colazzo, gli
estremi del mobbing, rilevabili in quei comportamenti con cui il datore di
lavoro o il superiore gerarchico esercita una sorta di terrorismo psicologico
(fatto di vessazioni, umiliazioni, dequalificazioni professionali, eccessivo
ricorso alle visite mediche di controllo anche a fronte di referti confermativi
della patologia denunciata dal lavoratore, ecc.), nei confronti di uno o più
dipendenti, così da coartarne o piegarne la volontà e che sovente è causa di
gravi patologie interessanti la sfera neuropsichica del soggetto esposto.
Tale conclusione – oltre che
utile a lumeggiare la personalità dell’imputato posta in stretta connessione
con i tre provvedimenti adottati dal Colazzo fra il 15.9.97 ed il 31.1.98 e
indicati nel capo di imputazione – valeva ad integrare, alla stregua della
valutazione espressa in sede di merito, il contestato reato di abuso d’ufficio.
Ritenuta la fondatezza delle
doglianze della Costa e la non legittimità dei provvedimenti adottati dal
Colazzo nei confronti della predetta (sia perché non rispettosi del disposto di
cui all’art. 56 d. L.vo n. 29/93 – cui l’art. 17 L. 127/97 va
necessariamente raccordato – non risultando evidenziate le ragioni sulla base
delle quali fu individuata proprio la
Costa, piuttosto che altri dipendenti comunali, a svolgere le
mansioni di ausiliario del traffico, sia perché, come detto, questi
costituirono il suggello di tutta una serie di condotte
"mobbizzanti", tese a dequalificare professionalmente la parte lesa),
veniva ravvisato un comportamento da parte del Colazzo idoneo ad integrare
altresì l’illecito di cui all’art. 2043 c.c., non potendosi dubitare che la
descritta condotta del pubblico ufficiale avesse prodotto un evidente danno
alla parte lesa, costituito dalla dequalificazione professionale conseguente
all’esercizio di mansioni inferiori rispetto a quelle di appartenenza, da cui è
derivata una serie patologia neuro-psichiatrica, analiticamente descritta dal
dott. Tornesello, consulente della parte civile (in cui si evidenzia come la
sintomatologia lamentata dalla Costa – puntate ipertensive, tachicardia, stato
d’ansia, agitazione e tensione emotiva – fosse dovuta allo stato di stress derivatole
dai fatti oggetto di giudizio).
Da tali emergenze fattuali si è,
quindi, dedotto il convincimento che il Colazzo intese recare intenzionalmente
pregiudizio alla parte lesa, "coprendo" tale
condotta sotto supposte (ma non provate) ragioni di interesse pubblico.
Di qui la sussistenza del dolo, nei termini di cui all’art. 323 c.p..
3. Con il proposto ricorso per
cassazione, l’imputato, a mezzo dei difensori avv.ti Pietro Quinto e Luigi Corvaglia, denuncia:
– violazione dell’art. 606, co.
1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 323 c.p.
Si eccepisce che, in applicazione
della normativa vigente, il provvedimento sindacale n. 12082 del 15.9.97 che,
con adeguata motivazione, disponeva che la sig.ra Costa Maria Rosaria fosse
destinata dal 16.9.97 al 29.9.97 a svolgere mansioni di "prevenzione e
accertamento delle violazioni in materia di sosta" è un atto
amministrativo legittimo e conforme alla legge, in quanto detta normativa
consentiva di adibire il dipendente a svolgere occasionalmente e ove possibile
con criteri di rotazione, compiti o mansioni immediatamente inferiori…, senza che ciò comportasse alcuna variazione del
trattamento economico.
Si richiama che, a seguito
dell’indagine integrativa disposta dal Gup, ai sensi dell’art. 421 c.p.p., veniva acquisita una nota redatta dalla segreteria
comunale di Scorrano, dalla quale si evince che, tra i dipendenti con la VI qualifica funzionale,
l’unica che potesse essere destinata a svolgere le funzioni di ausiliaria del
traffico era la sig.ra Costa Maria Rosaria, talché non poteva essere adottato
il criterio della rotazione essendosi la stessa Costa sottratta
all’espletamento del servizio.
Comunque, non è da ritenersi
configurabile, il delitto di cui all’art. 323 c.p. allorché sussista la
violazione di un contratto collettivo applicabile ai rapporti di pubblico
impiego (Cass., Sez. VI, 3.11.2005, n. 13511), per
mancanza del presupposto necessario della "violazione di legge o di
regolamento".
Peraltro, tutti i provvedimenti
che hanno interessato la sig.ra Costa e che sono stati oggetto di imputazione,
sono stati adottati in forma scritta e puntualmente motivati, mentre non può
ritenersi integrata la violazione dell’obbligo di motivazione, entrando nel
merito della stessa al fine di condividerla o meno,
poiché in tal modo si travalica il compito consentito al giudice penale, al
quale compete solo l’accertamento dell’esistenza della motivazione e non la
"qualità della stessa".
In conclusione, la condotta del
ricorrente, nell’adozione degli atti amministrativi indicati nel capo
d’imputazione, è da ritenersi legittima e conforme alle norme di legge
regolanti la materia, talché nella fattispecie non può ravvisarsi il dolo come
richiesto dall’art. 323 c.p.
4. Il reato ascritto all’imputato
– abuso d’ufficio continuato – va dichiarato estinto per prescrizione, per
essere decorso dal tempus commissi delicti (15.9.1997) il termine previsto
dalla legge, non sussistendo i presupposti per il proscioglimento nel merito,
ex art. 129 co. 2 c.p.p. – come difensivamente richiesto – poiché dagli atti
non risulta "evidente" che il fatto non sussiste o non costituisce
reato.
Osserva il Collegio: la censura
mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata è che la condotta posta in essere
dall’imputato, nella sua veste di pubblico ufficiale (quale Sindaco del Comune
di Scorrano), nei confronti della dipendente comunale Costa Maria Rosaria, non
possa sussumersi nella fattispecie delittuosa, ex art. 323 c.p., non avendo in alcun modo inciso sul buon funzionamento e
imparzialità dell’azione amministrativa, in quanto non in contrasto con norme
"specificamente mirate ad inibire o prescrivere la condotta stessa",
norme che, comunque, non presenterebbero i caratteri formali e il regime
giuridico della legge o dei regolamenti.
Tale assunto non può ritenersi
fondato, in quanto le risultanze processuali evidenziate nelle decisioni di
merito, attestano inequivocamente la ricorrenza degli elementi costitutivi del
contestato reato di abuso d’ufficio.
Quanto alla violazione delle
norme di legge, il demansionamento della dipendente comunale Costa Maria
Rosaria da economo e ragioniere presso l’asilo nido di Scorrano, a mansioni di
"prevenzione e di accertamento delle violazioni in materia di sosta",
appare essere stato adottato dal Sindaco Colazzo in evidente violazione del
disposto dell’art. 56 D.L.vo n. 29/93 sui dipendenti delle Pubbliche
Amministrazioni e dell’art. 7 CCNL dei dipendenti degli enti
locali recepito nel D.P.R. n. 593/93. Pur consentendo tali norme che un
dipendente possa essere adibito a svolgere compiti di
qualifica immediatamente inferiore, ne evidenziano, tuttavia, l’occasionalità
di tale destinazione e la possibilità che ciò avvenga con criteri di rotazione.
Tale ratio legis risulta
inosservata dal Sindaco Colazzo:
– per non avere dato conto con
adeguata motivazione dei criteri d’individuazione del dipendente da
demansionare, sia pure occasionalmente;
– per aver omesso di prevedere
una rotazione per tutti i dipendenti astrattamente idonei ad essere nominati;
– per aver omesso di motivare
sulle cause che hanno reso impossibile il ricorso a tali canoni di
comportamento espressamente richiamati dalla legge.
Quanto all’elemento soggettivo
del reato, l’avverbio intenzionalmente, che figura nel testo della norma
incriminatrice, esclude la configurabilità del dolo sotto il profilo indiretto
od eventuale; e richiede che l’evento costituito dall’ingiusto vantaggio
patrimoniale o dal danno ingiusto sia voluto
dall’agente e non già semplicemente previsto ed accettato come possibile
conseguenza della propria condotta, in ipotesi diretta ad un fine pubblico, sia
pure perseguito con una condotta illegittima. Ciò, beninteso, a patto che il perseguimento
di tale fine non rappresenti un mero pretesto, col quale venga
mascherato l’obiettivo reale della condotta.
Ne deriva che, per escludere il
dolo sotto il profilo dell’intenzionalità, occorre ritenere, con ragionevole
certezza, che l’agente si proponga il raggiungimento di un fine pubblico,
proprio del suo ufficio. Un’ipotesi del genere, in subiecta materia, è stata
motivatamente esclusa dai giudici del merito, che hanno ritenuto indubbia la
ricorrenza dell’intenzionalità dell’abuso in danno, sia per quanto dianzi
rilevato, sia perché la reiterata condotta del Sindaco Colazzo a destinare
persistentemente la Costa,
piuttosto che altri dipendenti comunali, a svolgere le mansioni di ausiliario
del traffico, appaiono costituire il suggello di tutta una serie di elementi
caratterizzanti quel fenomeno sociale noto come mobbing, consistente in atti e
comportamenti posti in essere dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico
che mira a danneggiare il dipendente, così da coartarne o da piegarne la volontà:
comportamenti tesi, nella fattispecie, a dequalificare professionalmente la
parte lesa, tali da concretare oltre che il reato di abuso d’ufficio in danno
di costei, da integrare, altresì, l’illecito di cui all’art. 2043 cod. civ., essendo derivata, quale ulteriore conseguenza di detti
comportamenti "mobbizzanti" del Colazzo, una seria patologia
neuro-psichiatrica a carico della Costa: attività amministrativa illegittima,
dunque, da cui è derivata, in una con la lesione dell’interesse legittimo in sé
considerato, quella dell’interesse al bene della vita, che risulta meritevole
di protezione, con conseguente risarcibilità del danno causato (cfr: Cass.,
Sez. VI, 24 febbraio 2000, Genazzani).
Per quanto sopra va disposto
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, ferme restando le
statuizioni civili.
Il ricorrente va, altresì,
condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo
grado di giudizio, spese che vengono liquidate in complessivi
euro 2.168,44, oltre Iva e Cpa.
PQM
La Corte annulla senza rinvio
la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Condanna il ricorrente alla
rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio,
che liquida in complessivi euro 2.168,44, oltre Iva e Cpa.