Penale
Procedimento di concessione della libertà anticipata e diritto di difesa. La Consulta promuove l’ ordinamento penitenziario. N. 352 ORDINANZA 24 novembre – 5 dicembre 2003.
Procedimento di concessione della libertà anticipata e diritto di difesa. La Consulta promuove lordinamento penitenziario
N. 352 ORDINANZA 24 novembre – 5 dicembre 2003.
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Liberazione anticipata – Concessione – Disciplina – Procedura camerale e assenza di contraddittorio tra le parti – Prospettato contrasto con il diritto di difesa – Manifesta infondatezza della questione. – Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 69-bis. – Costituzione, art. 24, secondo comma. (GU n. 49 del 10-12-2003)
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 69-bis, della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e
sull’esecuzione delle misure privative e limitative della liberta),
introdotto dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge
26 luglio 1975, n. 354, in materia di liberazione anticipata),
promosso con ordinanza del 30 gennaio 2003 dal Magistrato di
sorveglianza di Vercelli sull’istanza proposta da C.G., iscritta al
n. 246 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 15 ottobre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Magistrato di
sorveglianza di Vercelli ha sollevato, in riferimento all’art. 24,
secondo comma, della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354
(Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta), nella parte in cui non prevede
che al procedimento di liberazione anticipata si applichino le
disposizioni regolative del procedimento di sorveglianza, di cui agli
artt. 666 e 678 del codice di procedura penale;
che il giudice a quo premette di essere investito della
richiesta di concessione della liberazione anticipata avanzata da un
detenuto e di dover fare quindi applicazione della nuova disciplina
dettata al riguardo dal citato art. 69-bis – aggiunto dalla legge
19 dicembre 2002, n. 277 (Modifiche alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di liberazione anticipata) – in forza della quale
il magistrato di sorveglianza provvede sull’istanza «con ordinanza,
adottata in camera di consiglio senza la presenza delle parti»;
che ad avviso del rimettente, la norma impugnata – nel
prevedere una procedura camerale caratterizzata dall’assenza di un
effettivo contraddittorio fra le parti – si porrebbe in contrasto con
il principio di inviolabilita’ del diritto di difesa, sancito
dall’art. 24, secondo comma, Cost;
che la nuova disciplina non si presterebbe, infatti, ad una
lettura «costituzionalmente orientata», atta a ricondurla nell’alveo
delle procedure garantite dal contraddittorio, non essendo prevista
ne’ quella forma «minimale» di partecipazione al procedimento che in
altri casi si attua tramite l’audizione dell’interessato; ne’ la
facolta’ di quest’ultimo di produrre memorie difensive, contemplata
viceversa in via generale per i procedimenti di sorveglianza
dall’art. 666 cod. proc. pen. (per il richiamo fattone dall’art. 678
cod. proc. pen.): omissione che non potrebbe essere d’altra parte
emendata in via di interpretazione estensiva, apparendo l’operazione
in contrasto con la ratio legis;
che, inoltre, il previsto obbligo di comunicazione o
notificazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza «ai
soggetti indicati nell’art. 127 del codice di procedura penale» non
varrebbe ad assicurare all’interessato una difesa tecnica,
trattandosi di obbligo finalizzato unicamente a consentire la
proposizione dell’eventuale reclamo al tribunale di sorveglianza
(sede nella quale soltanto sarebbe garantita dagli artt. 666 e 678
cod. proc. pen. la difesa tecnica);
che ad escludere la lesione del parametro costituzionale
evocato non varrebbe neppure il «tradizionale argomento» per cui, in
un procedimento scandito per fasi, il principio del contraddittorio
non imporrebbe che il diritto di difesa sia assicurato in ogni
singola fase, essendo sufficiente che esso sia garantito nel corso
della procedura complessivamente considerata;
che il procedimento in esame non potrebbe essere considerato,
infatti, ne’ un sub-procedimento nell’ambito di una scansione
procedimentale piu’ ampia (essendo la fase successiva, del reclamo
davanti al tribunale di sorveglianza, meramente eventuale); ne’ una
fase di tipo cautelare, in rapporto alla quale possa giustificarsi –
come per altri istituti propriamente cautelari previsti dallo stesso
ordinamento penitenziario – il differimento delle garanzie difensive
ad una fase successiva, rispetto a quella nella quale il giudice di
prima istanza decide sul provvisorio assetto del diritto azionato;
che, al contrario, il procedimento di cui all’art. 69-bis
dell’ordinamento penitenziario sarebbe «esso stesso» la fase
processuale a carattere giurisdizionale in cui si decide del diritto
azionato dall’interessato a vedersi riconosciuta la riduzione di pena
a titolo di liberazione anticipata; senza che, tuttavia, venga in
esso assicurata la garanzia defensionale contemplata dalla Carta
costituzionale;
che nel giudizio di costituzionalita’ e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che la nuova disciplina del procedimento in materia
di liberazione anticipata, che il giudice rimettente assume in
contrasto con l’art. 24, secondo comma, Cost. – disciplina in forza
della quale il magistrato di sorveglianza decide sull’istanza
dell’interessato de plano, salva una fase successiva di reclamo, a
contraddittorio pieno, davanti al tribunale di sorveglianza – e’
stata introdotta dalla legge 19 dicembre 2002, n. 277 in risposta ad
esigenze di snellimento procedurale fortemente sentite nella prassi,
anche in correlazione all’elevato numero delle istanze di cui si
discute;
che, in particolare, veniva avvertita come fonte di
ingiustificato aggravio la previsione di un procedimento in
contraddittorio, in vista dell’adozione di un provvedimento che ben
poteva essere (ed in larga parte dei casi era) di segno positivo e,
dunque, consentaneo alla richiesta dello stesso interessato:
apparendo, di contro, assai piu’ ragionevole che l’instaurazione di
un contraddittorio pieno fosse contemplata solo nel caso di eventuale
insoddisfazione del richiedente (o del pubblico ministero) per la
decisione assunta;
che, cio’ premesso, questa Corte ha peraltro reiteratamente
riconosciuto la piena compatibilita’ con il diritto di difesa di
modelli processuali a contraddittorio eventuale e differito: i quali,
cioe’, in ossequio a criteri di economia processuale e di massima
speditezza, adottino lo schema della decisione de plano seguita da
una fase a contraddittorio pieno, attivata dalla parte che intenda
insorgere rispetto al decisum (cfr., ex plurimis, rispetto al
procedimento per decreto, ordinanze n. 8 del 2003 e n. 432 del 1998
ed i precedenti ivi richiamati);
che tale conclusione si innesta sul consolidato principio
secondo cui l’esercizio del diritto di difesa e’ suscettibile di
essere regolato in modo diverso, onde adattarlo alle esigenze ed alle
specifiche caratteristiche dei singoli procedimenti: purche’ di tale
diritto siano assicurati lo scopo e la funzione (cfr., ex plurimis,
ordinanze n. 8 del 2003 e n. 203 del 2002 ed i precedenti ivi
richiamati);
che le affermazioni di principio ora ricordate sono a maggior
ragione riferibili al procedimento in esame, nel quale il giudice e’
chiamato a decidere su una domanda proposta dalla stessa parte del
cui diritto di difesa si discute: particolare che rende tra l’altro
non persuasiva la tesi – prospettata (peraltro in termini
problematici) dal giudice a quo – secondo cui la mancata previsione
espressa della facolta’ del richiedente di produrre memorie difensive
equivarrebbe a diniego della stessa; potendosi ritenere, al
contrario, che se la legge riconosce al condannato il potere di
richiedere (su base argomentativa e documentale) l’applicazione di
una determinata misura, essa lo abilita con cio’ stesso (in assenza
di un’esplicita preclusione) anche a successive produzioni a sostegno
degli argomenti addotti;
che, d’altra parte, lo stesso valore del contraddittorio –
dalla cui compromissione deriverebbe, secondo il rimettente, il
vulnus all’art. 24, secondo comma, Cost. – presuppone un contrasto
tra parti, e non gia’ tra soggetto richiedente ed organo decidente;
che nell’ipotesi in esame, dunque, piu’ che una violazione
del principio del contraddittorio, potrebbe venire semmai in rilievo,
dal lato del richiedente, solo un diretto sacrificio del diritto di
difesa: evenienza che, peraltro, non puo’ dirsi realizzata, posto che
il condannato, da un lato, e’ in grado di illustrare e «difendere» la
propria domanda di liberazione anticipata e, dall’altro, di opporsi
ad una eventuale decisione reiettiva;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente
infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 69-bis della legge 26 luglio
1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta), sollevata, in
riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal
Magistrato di sorveglianza di Vercelli con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 novembre 2003.
Il Presidente: Chieppa
Il redattore: Flick
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 5 dicembre 2003.
Il direttore della cancelleria:Di Paola
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