Lavoro e Previdenza

Friday 23 June 2006

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA – CIRCOLARE 2 maggio 2006, n. 3 (in G.U. n. 141 del 20 giugno 2006) – Linee di indirizzo per una corretta organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane, chiarimenti sull

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA – CIRCOLARE 2 maggio 2006, n. 3 (in G.U. n. 141 del 20 giugno 2006) – Linee di indirizzo per una corretta organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane, chiarimenti sulla responsabilità della dirigenza e degli organi di controllo interno in materia di personale.

Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Segretariato generale

Alle Amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo

Al Consiglio di Stato – Ufficio del Segretario generale

Alla Corte dei Conti – Ufficio del Segretario generale

All’Avvocatura generale dello Stato – Ufficio del Segretario generale

Alle Agenzie

All’ARAN

Alla Scuola superiore della pubblica amministrazione

Agli Enti pubblici non economici (tramite i Ministeri vigilanti)

Agli Enti pubblici (ex art. 70 del decreto legislativo n. 165/01)

Agli Enti di ricerca (tramite il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca

Alle Istituzioni universitarie (tramite il Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca

Ai Nuclei di valutazione

Agli Organi di controllo interno

Alle Sezioni regionali della Corte dei conti

e.p.c. Alla Conferenza dei presidenti delle regioni

All’ANCI

All’UPI

Alla CRUI

1. Premessa.

Gli interventi legislativi degli anni più recenti sono scaturiti dalla necessità di risolvere alcune anomalie verificatesi nella gestione delle risorse umane e strumentali che hanno generato inefficienze e costi crescenti nelle pubbliche amministrazioni.

Le politiche di riduzione del costo del lavoro pubblico, perseguite dalle diverse leggi finanziarie attraverso la riduzione del personale in servizio e delle dotazioni organiche, nonché il blocco delle procedure di reclutamento, pur con limitate deroghe, debbono essere lette in stretta correlazione con i principi generali che regolano l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni. Infatti con l’imposizione di vincoli di spesa il legislatore ha, di fatto, inteso sanare situazioni spesso derivanti dall’utilizzo improprio delle diverse tipologie contrattuali chiedendo, quindi alle amministrazioni comportamenti più corretti ed efficienti nella gestione delle risorse umane.

Da ultimo l’entrata in vigore del decreto-legge 10 gennaio 2004, n. 4 e della relativa legge di conversione, 9 marzo 2006, n. 80, che si aggiunge alle diverse disposizioni in tema di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione, comporta la necessità di fornire puntuali indicazioni sul corretto utilizzo di tutti gli strumenti gestionali che l’ordinamento ha individuato e sulla responsabilità che grava sul personale dirigenziale.

Al riguardo appare utile ricordare che, per rendere effettiva l’attuazione dei principi di cui all’art. 97 della Costituzione, l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ha stabilito che l’organizzazione ed i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche devono essere finalizzati ad accrescere l’efficienza delle amministrazioni, razionalizzare il costo del lavoro pubblico, realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane, in particolare curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti.

2. Funzioni e responsabilità del personale dirigenziale e degli organi di controllo interno in materia di personale.

L’ordinamento attribuisce ai dirigenti un insieme di poteri complessi ed incisivi, con una precisa responsabilità nella gestione degli apparati e delle risorse umane, che tiene conto anche della tutela del lavoratore inteso nella sua accezione più ampia, compresi cioè il suo ottimale inserimento nell’amministrazione e la sua crescita formativa.

Nella materia di cui si tratta, pertanto, assume particolare rilevanza l’attuale disciplina del rapporto di lavoro dirigenziale, imperniata su meccanismi di riconoscimento della professionalità del dirigente e della correlata responsabilità, nonché di attribuzione delle capacità del privato datore di lavoro relativamente alla micro-organizzazione degli uffici ed alla gestione dei rapporti di lavoro.

Anche la posizione italiana per una nuova cultura della pubblica amministrazione presentata in ambito europeo, quale ad esempio il progetto sulla human governance, richiama innanzitutto i ruoli dei singoli al fine di garantire il pieno e il migliore utilizzo delle risorse con particolare attenzione a quelle maggiormente presenti nel settore pubblico quali quelle umane.

Si richiama, quindi, l’attenzione dei dirigenti sulle responsabilità derivanti dalle funzioni attribuite, qualificabili non solo come civili e contabili, ma anche di carattere datoriale.

Il personale dirigenziale, alla luce di quanto disposto anche negli articoli 16, 17 e 21 del decreto citato, deve improntare la propria attività alla migliore utilizzazione degli strumenti forniti dalla legislazione vigente, nel rispetto delle priorità e dei principi di sana gestione forniti dalla medesima onde consentire alle amministrazioni di adottare scelte operative più rispondenti alle finalità proprie, corrette dal punto di vista gestionale e non solo finanziario, nonchè attente alla valorizzazione del capitale umano.

La presente direttiva si propone di dare indicazioni, oltre che per i responsabili delle risorse umane, anche per gli organi di revisione interna, nonché per i nuclei di valutazione, al fine di individuare i presupposti basilari per la valutazione delle prestazioni dei dirigenti, con riferimento alle risorse umane, e l’insieme delle responsabilità sulla sana gestione e sul corretto utilizzo dal punto di vista della legittimità degli istituti giuridici e contrattuali in tema di organizzazione e rapporto di lavoro.

Il contenzioso registrato negli ultimi anni ed i numerosi interventi del legislatore costituiscono indicatori di problematiche e criticità che chiamano in causa le responsabilità dirigenziali e degli organi di controllo.

Al riguardo si segnala che la giurisprudenza della Corte dei conti ha ritenuto che in ipotesi di attività professionale, nel cui solco può essere inserita l’attività svolta dai componenti di un nucleo di valutazione, perchè si abbia colpa grave è sufficiente che sia tenuto un comportamento contrario a regole deontologiche elementari, quale quello di non considerare in modo corretto nella valutazione i presupposti basilari della prestazione (Corte dei conti, sez. giurisdizionale per la Regione Siciliana n. 3438/2004; Corte dei conti Lombardia, sez. giurisdizionale n. 81/2000 e n. 1133C/2000; Corte dei conti Toscana, sez. giurisdizionale n. 805/1999).

La materia del personale non rileva, quindi, per le pubbliche amministrazioni solo dal punto di vista finanziario ma anche dal punto di vista della legittimità, della sana gestione e in generale della responsabilità datoriale così come previsto dal decreto legislativo n. 165 del 2001, dal codice civile e dalle disposizioni in materia di rapporti di lavoro.

3. La programmazione e pianificazione degli interventi e la determinazione delle dotazioni organiche.

Al fine di prevenire disfunzioni ed un cattivo utilizzo delle risorse umane in servizio, nonché una errata utilizzazione delle diverse tipologie contrattuali di lavoro, è necessario adottare, in un’ottica non solo formale ma di attenta gestione, i documenti di programmazione sul personale quali la programmazione triennale dei fabbisogni – prevista dall’art. 39 della legge n. 449 del 1997 e dall’art. 91 del decreto legislativo n. 267 del 2000, per gli enti locali – e le dotazioni organiche.

Spesso sprechi e illegittimità nascono da un’adozione superficiale di questi documenti che costituiscono invece gli atti di impostazione per una sana gestione del personale.

L’attività di programmazione deve essere interpretata in correlazione con le capacità del privato datore di lavoro attribuite ai dirigenti in base alle quali sono i medesimi ad esprimere le esigenze organizzative ed il fabbisogno di personale delle strutture cui sono preposti, così definendo la microorganizzazione del sistema amministrativo.

È infatti in questa sede che il personale dirigenziale rappresenta nella fase ascendente i fabbisogni delle strutture di riferimento dal punto di vista quantitativo e qualitativo, individuandone la permanenza o temporaneità, al fine di ricorrere ai diversi istituti di provvista di personale nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di reclutamento e di rapporti di lavoro sia di fonte pubblicistica che contrattuale.

Inoltre, la programmazione del fabbisogno di personale deve realizzarsi nell’ambito di un’attività orientata a logiche di risultato, in base alla quale le amministrazioni debbono perseguire le finalità loro attribuite e gli obiettivi assegnati dagli organi di governo tenendo conto dei principi costituzionali e dei principi generali dell’ordinamento, realizzando la migliore utilizzazione delle risorse umane e garantendo, al contempo, il contenimento del costo del lavoro entro i vincoli di finanza pubblica. In tale contesto, pertanto, la individuazione degli effettivi fabbisogni assume un ruolo centrale e strategico ai fini di una gestione efficiente degli apparati, nonchè per assicurare il miglior utilizzo e valorizzazione del personale, anche attraverso la programmazione delle attività di formazione.

Si deve sottolineare, infatti, che i documenti programmatici rilevano per l’assegnazione delle risorse umane ai dirigenti, per il rispetto del principio del previo esperimento delle procedure di mobilità, per la determinazione dei rapporti di lavoro flessibile a cui ricorrere, nonchè per l’individuazione delle risorse interne e delle professionalità presenti al fine di motivare il ricorso a soggetti esterni, ovvero alle collaborazioni coordinate e continuative ed alle consulenze occasionali.

Sulla procedura da adottare per l’individuazione dell’effettivo fabbisogno è intervenuto questo Dipartimento, con lettera circolare dell’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni n. 2125-15 dell’11 aprile 2003, alla quale si rinvia per ogni necessario approfondimento sul tema.

In questa sede, tuttavia, appare utile sottolineare che la complessa attività di analisi organizzativa descritta nella citata circolare impone una preventiva ed attenta valutazione delle attività rientranti nel cosiddetto «core business» e di individuazione delle attività suscettibili di esternalizzazione, tenuto conto di quanto previsto dal comma 93 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, che invita esplicitamente a ridurre gli oneri del personale attualmente applicato in compiti logistico-strumentali e di supporto, e dai commi 187 e seguenti, nonchè dai commi 198 e 200 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, per le regioni, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.

Relativamente all’esternalizzazione si segnala che il quadro normativo di riferimento è recentemente mutato per via del recepimento delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Infatti il Consiglio dei Ministri del 23 marzo 2006 ha approvato il decreto legislativo recante il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle richiamate direttive, in corso di promulgazione.

Appare, comunque, necessario rammentare che la scelta di esternalizzare attività strumentali rispetto a quelle istituzionali può costituire una razionalizzazione delle risorse, che deve evitare qualsiasi forma di duplicazione – anche rispetto ad enti, istituzioni ed organismi esistenti nelle amministrazioni – e tener conto di aspetti tecnici, economici, giuridici e gestionali. Essa richiede cioè da parte dell’amministrazione un’attenta analisi costi benefici, alla luce delle decisioni di politica aziendale adottate nei documenti programmatici pluriennali e annuali, anche con riferimento alle politiche sul reclutamento ed alla riqualificazione del personale, attraverso cui accertare la convenienza di far gestire ad altri ciò che in precedenza si gestiva in proprio.

È evidente che in sede di programmazione triennale dei fabbisogni si deve tenere conto di aver esternalizzato alcune attività in quanto ciò comporta, inevitabilmente, una riorganizzazione della struttura interna.

Si ritiene inoltre opportuno ricordare che nell’ambito delle attività rientranti nel core business l’amministrazione può valutare la possibilità di ricorrere ai contratti di sponsorizzazione ed agli accordi di collaborazione con soggetti pubblici e privati, disciplinati dall’art. 43, comma 1, della legge 27 dicembre 1997, n. 449. Quest’ultimi hanno per oggetto attività rientranti nei compiti istituzionali propri dell’amministrazione e consentono, attraverso gli apporti di altri soggetti, di reperire beni o servizi. In tal modo, oltre a perseguire le finalità indicate dalla legge medesima di favorire l’innovazione organizzativa delle amministrazioni ed il miglioramento dei servizi prestati, è possibile realizzare economie di spesa.

Una volta individuate puntualmente le attività istituzionali, da svolgere in proprio, è possibile concentrarsi su di esse individuando la natura dei fabbisogni di personale e gli strumenti più idonei da adottare. Le funzioni rientranti nel core business necessitano di personale stabilmente inserito nella struttura e caratterizzato da competenze correlate e definite. Vi possono essere poi attività rispondenti ad esigenze temporanee seppure istituzionali, le quali possono essere svolte da personale acquisito con tipologie lavorative diverse dal contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Le rideterminazioni in riduzione delle dotazioni organiche adottate negli ultimi anni derivano sostanzialmente dalle modifiche intervenute nel settore pubblico che comportano un mutamento sostanziale dei fabbisogni degli enti.

L’analisi, infatti, deve tener presente che gli investimenti in innovazione tecnologica, il trasferimento di competenze e l’esternalizzazione di attività non possono non avere effetti sulle programmazioni dei fabbisogni in termini di riduzione delle dotazioni organiche e di aggiornamento dei profili professionali.

Pertanto, anche ai fini della responsabilità contabile e dirigenziale, la relazione tecnica allegata ai documenti di programmazione dovrà rappresentare puntualmente la ricaduta degli investimenti e della spesa sull’organizzazione e sul personale. Ne deriva la necessità di dimostrare, attraverso i dati del controllo di gestione, gli effetti degli investimenti effettuati, nonchè i risultati in termini di produttività derivanti dalle spese per la formazione, l’innovazione e l’acquisto all’esterno di servizi.

In base agli elementi emersi in sede di programmazione le amministrazioni possono determinare le dotazioni organiche quale presupposto necessario ed indispensabile per pianificare un’efficace politica del personale. Infatti il ricorso ai più importanti strumenti gestionali relativi al personale, quali ad esempio le procedure di reclutamento, di mobilità e di progressione verticale ed orizzontale, impongono la presenza di una vacanza nella dotazione organica dell’amministrazione.

In considerazione del ruolo strategico assunto dalla determinazione delle dotazioni organiche l’art. 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ne ha dettato una disciplina puntuale e stringente. Inoltre, in questi ultimi anni il legislatore è intervenuto ad imporre un taglio delle stesse quale contromisura ai comportamenti non efficienti e al fine di adeguarli alle reali esigenze ed agli attuali compiti delle amministrazioni.

In tale quadro, la richiamata circolare di questo Dipartimento, al fine di rendere evidente e dimostrabile il collegamento tra le competenze ed i compiti istituzionali dell’amministrazione, le relative strutture organizzative gestionali e la conseguente dotazione organica suddivisa tra dirigenti (due fasce) e aree funzionali, ha specificato che le relazioni che accompagnano i provvedimenti per la rideterminazione delle dotazioni organiche devono:

– dimostrare il rispetto dei vincoli economico-finanziari:

-contenere un’analisi delle missioni/obiettivo e dei procedimenti concernenti l’attività amministrativa a cui far riferimento per la verifica dei fabbisogni di risorse umane ai fini dell’adeguamento delle dotazioni organiche;

-illustrare l’insieme delle competenze richieste, distinte per profili professionali, ed un organigramma contenente le necessarie posizioni con la loro descrizione.

Al riguardo si sottolinea che l’art. 11 del decreto-legge n. 4 del 2006 è intervenuto a modificare l’art. 6 del decreto legislativo citato, inserendo un periodo al comma 1. La novella prevede che le pubbliche amministrazioni, nell’individuare le dotazioni organiche, non possono determinare situazioni di soprannumerarietà di personale, anche temporanea, sia per quanto concerne le aree funzionali che le posizioni dirigenziali. La disposizione deve essere letta nell’ottica del miglioramento organizzativo. L’intento del legislatore risulta, infatti, quello di imporre una chiarezza effettiva sulle reali dotazioni organiche, impedendo, da un lato, situazioni di incertezza per i dipendenti coinvolti, e, dall’altro, costringendo le amministrazioni a definire precisamente la consistenza delle risorse umane necessarie con le quali fare fronte ai compiti di istituto.

È necessario sottolineare che i responsabili del personale devono tenere conto della previsione richiamata anche nel momento in cui dovranno valutare la possibilità di avviare le procedure di progressione verticale. Infatti, anche secondo quanto recentemente affermato dal Consiglio di Stato, Commissione speciale pubblico impiego nel parere del 9 novembre 2005, «il lemma assunzione – come da ultimo confermato anche nella recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, n. 14259 del 7 luglio 2005 – deve essere correlato alla qualifica che il candidato va conseguire e non all’ingresso iniziale nella pianta organica del personale, dal momento che, oltretutto, l’accesso nell’area superiore del personale interno o esterno implica, esso stesso, un ampliamento della pianta organica».

Altra importante novità introdotta dal decreto-legge è costituita dalla disposizione che impone alle amministrazioni, ai fini della mobilità collettiva, di effettuare annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica o profilo professionale. Tale rilevazione appare strumentale all’obiettivo di perseguire il migliore utilizzo delle risorse umane assegnate e garantire una ottimale distribuzione attraverso la coordinata attuazione dei processi di mobilità e di reclutamento del personale. In tal modo alla determinazione della dotazione organica complessiva si aggiunge una precisa individuazione della stessa distinta a livello territoriale. Ne consegue che le amministrazioni, ai fini di una maggiore trasparenza e leggibilità del dato complessivo, dovranno definire anche la microorganizzazione delle risorse umane.

Infine si ritiene utile rammentare che il comma 93 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, recepito per le regioni e gli enti locali con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 febbraio 2006, ha previsto che per rideterminare le dotazioni organiche le amministrazioni adottino misure di razionalizzazione e riorganizzazione degli uffici mirate ad una razionale riallocazione del personale ed alla ottimizzazione dei compiti direttamente connessi con le attività istituzionali. Pertanto le amministrazioni regionali e gli enti locali, nonché gli enti del servizio sanitario nazionale dovranno, in tale sede, considerare anche le previsioni di cui al comma 198 della legge n. 266 del 2005, relativo alla riduzione delle spese di personale, e rivedere i fabbisogni dal punto di vista quantitativo e qualitativo. A tal fine si precisa che nella rideterminazione delle dotazioni organiche non può essere considerata la spesa per il personale a tempo determinato o impegnato in attività socialmente utili o in assegnazione temporanea.

4. La natura delle esigenze e gli strumenti per la provvista di personale.

La pianificazione delle attività di provvista di personale deve essere il risultato di un’analisi volta ad individuare il carattere permanente o temporaneo delle esigenze.

Il legislatore ha, infatti, disegnato in maniera puntuale il percorso organizzativo e gli strumenti per una migliore gestione degli apparati, ancorando gli strumenti gestionali alle diverse esigenze dell’amministrazione, nel rispetto delle cause tipiche dei singoli contratti, della contrattazione collettiva e delle leggi sul mercato del lavoro.

Le amministrazioni, inoltre, possono ricorrere a forme contrattuali atipiche, i cui presupposti devono essere attentamente valutati, che possono essere utilizzate per fronteggiare esigenze diverse. Tali contratti saranno trattati separatamente in considerazione del fatto che non costituiscono rapporti di lavoro subordinato.

4.1 Le esigenze permanenti.

Le esigenze permanenti possono essere soddisfatte con vari strumenti quali la mobilità ed il reclutamento di personale con contratto a tempo indeterminato o di formazione lavoro.

4.1.1 La mobilità.

La mobilità è uno dei più importanti strumenti per la corretta gestione delle risorse umane. Essa consente di perseguire una migliore distribuzione organizzativa del personale nell’ambito della pubblica amministrazione globalmente intesa, di gestire le eccedenze di personale e di consentire lo scambio delle differenti professionalità.

L’ordinamento propone due tipologie di mobilità. La prima prevede la possibilità per le amministrazioni di ricoprire i posti vacanti in organico mediante cessione del contratto di lavoro di dipendenti in servizio presso altra amministrazione, che facciano domanda di trasferimento (art. 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001). La seconda è diretta a tutelare la conservazione del posto di lavoro di quei dipendenti che si trovino in posizione eccedentaria presso l’amministrazione di appartenenza a causa, ad esempio, di processi di riorganizzazione (articoli 33, 34 e 34-bis del decreto citato).

È necessario sottolineare che l’istituto della mobilità è dal legislatore preferito rispetto alle ordinarie misure di reclutamento. Infatti, per quanto attiene la mobilità volontaria, l’art. 30, comma 2, come integrato dalla legge 28 novembre 2005, n. 246, dispone la nullità degli accordi, atti o clausole dei contratti collettivi volti ad eludere l’applicazione del principio del previo esperimento di mobilità rispetto al reclutamento di nuovo personale. Per la mobilità d’ufficio, invece, il comma 5 dell’art. 34-bis sancisce che le assunzioni effettuate in violazione del previo esperimento delle procedure di mobilità sono nulle di diritto.

Tale principio è stato ulteriormente ribadito dall’art. 9 del decreto-legge n. 4 del 2006, come convertito, che ha previsto l’istituzione di una banca dati informatica, ad adesione volontaria, finalizzata all’incontro fra domanda e offerta di mobilità, da tenersi presso il Dipartimento della funzione pubblica con l’intento di agevolare la mobilità volontaria dei pubblici dipendenti.

La previsione richiamata consente, peraltro, di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nel comma 2-bis dell’art. 30, aggiunto dal decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7 come convertito, la quale è finalizzata a garantire in via prioritaria, rispetto alle procedure concorsuali, l’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando.

Relativamente alla mobilità d’ufficio la già menzionata modifica dell’art. 6 del decreto legislativo n. 165 del 2001, prevede che ai fini della mobilità collettiva le amministrazioni effettuino annualmente rilevazioni delle eccedenze di personale su base territoriale per categoria o area, qualifica o profilo professionale. Con tale disposizione appare chiara l’intenzione del legislatore di dare più celere attuazione a tutte le disposizioni in tema di mobilità, in quanto l’amministrazione ricevente effettua un monitoraggio periodico delle vacanze per ogni singola sede e profilo o qualifica, agevolando così anche le attività svolte dalle strutture preposte a gestire le liste del personale in disponibilità.

In ultimo appare utile svolgere alcune considerazioni in ordine all’efficacia del principio del previo esperimento delle procedure di mobilità rispetto al reclutamento di personale tramite l’avvio di processi di progressione verticale.

Come noto la pubblica amministrazione può ricoprire parte dei propri fabbisogni con il ricorso a procedure di riqualificazione del personale interno, nel rispetto dell’adeguato accesso dall’esterno, previo superamento di apposita procedura selettiva.

Il problema si pone relativamente alla qualificazione della progressione verticale in termini di nuova assunzione.

Al riguardo è necessario sottolineare che per quanto concerne i passaggi di area il Consiglio di Stato, Commissione speciale pubblico impiego, nel parere del 9 novembre 2005, ha avuto modo di affermare che rientrano «nel blocco delle assunzioni anche le progressioni verticali da un’area ad un’altra, poiché, anche in tal caso, si verifica una novazione del rapporto di lavoro, in quanto si tratta di accesso a funzioni più elevate, qualsiasi sia il nomen della posizione funzionale attribuita dalla contrattazione collettiva, che può divergere da contratto a contratto».

Tale costante giurisprudenza non ignora comunque che la decisione, correttamente assunta, di avviare procedure di progressione professionale nasce da un’attenta analisi organizzativa che l’amministrazione deve compiere in sede di programmazione triennale dei fabbisogni verificando anche l’esistenza, al proprio interno, di professionalità utili. È in tale sede, infatti, che si devono valutare i percorsi per una razionale riallocazione del personale ed ottimizzazione dei compiti direttamente connessi con le attività istituzionali e dei servizi da rendere all’utenza, con eventuale riduzione del personale impiegato in compiti logistico strumentali e di supporto (si veda l’art. 1, comma 93, della legge n. 311 del 2004).

Nei processi di riconversione del personale trova ampio spazio la possibilità di valorizzare le professionalità interne che meglio rispondono al fabbisogno dell’ente, così costituendo una valida alternativa, anche in termini di acquisizione di competenze specifiche e di costi, al reclutamento dall’esterno.

In quest’ottica si ritiene che non trovi applicazione alle procedure di progressione verticale l’art. 34-bis ed il principio del previo esperimento della mobilità, in quanto le medesime costituiscono una diretta e più favorevole conseguenza di una precisa scelta organizzativa assunta in sede di programmazione triennale dei fabbisogni.

Al riguardo si sottolinea che l’analisi sulla presenza all’interno di professionalità da valorizzare è riservata alla dirigenza e ai competenti uffici del personale, anche attraverso l’utilizzo di sistemi di rilevazione delle competenze e delle professionalità.

4.1.2 Il reclutamento.

Per le esigenze di carattere permanente le amministrazioni possono procedere al reclutamento di personale a tempo indeterminato, i cui principi sono stabiliti dall’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001. In particolare il comma 4 dell’articolo citato prevede che le determinazioni per l’avvio di procedure di reclutamento sono adottate sulla base della programmazione triennale dei fabbisogni e che l’avvio delle procedure concorsuali, per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, compresa l’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, con organico superiore alle 200 unità, sono subordinate all’emanazione di un apposito DPCM, su proposta del Ministro per la funzione pubblica di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Per le medesime esigenze è possibile reclutare personale attraverso i contratti di formazione lavoro, tenuto conto che il personale così acquisito è destinato ad essere inserito stabilmente nell’amministrazione. Anche per tale tipologia contrattuale è necessario oggi, come previsto dall’integrazione dell’art. 35 effettuata dall’art. 4 del decreto-legge n. 4 del 2006, richiedere l’autorizzazione ad avviare la procedura di reclutamento e la medesima deve essere considerata sia in sede di programmazione triennale dei fabbisogni, sia in sede di programmazione annuale. Infatti, occorre osservare come tali contratti prevedano due momenti, uno temporaneo di formazione e l’altro permanente di inserimento stabile nella struttura.

Le amministrazioni interessate, ai fini della relativa autorizzazione dovranno, pertanto, fare apposita richiesta contestualmente alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica – U.P.P.A. – Servizio per la programmazione delle assunzioni e reclutamento ed al Ministero dell’economia e delle finanze, Dipartimento della ragioneria generale dello Stato – I.G.O.P.

In ultimo si rammenta la normativa relativa alle assunzioni obbligatorie dei soggetti di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 e si richiamano i datori di lavoro pubblici al rispetto della stessa, considerate le importanti conseguenze per la mancata attuazione delle norme. Al riguardo, si sottolinea che l’art. 7 del decreto-legge richiamato, al fine di monitorarne il rispetto, ha previsto che le medesime comunichino semestralmente, e comunque entro il 31 dicembre di ogni anno, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica, l’elenco del personale disabile collocato nel proprio organico e le assunzioni relative effettuate nell’anno e previste nell’ambito della programmazione triennale dei fabbisogni. In particolare, i dati da trasmettere sono relativi alla percentuale di personale assunta appartenente a tali categorie, alle modalità di reclutamento (convenzione, chiamata numerica, etc) ed ai profili attribuiti.

La previsione deve essere considerata comprensiva di tutte le categorie protette, e non solo dei disabili, in forza del rinvio esplicito alla legge che le disciplina. Inoltre, si sottolinea che le amministrazioni sottoposte a tale obbligo informativo sono quelle elencate al comma 4 dell’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Si evidenzia da ultimo, che le assunzioni di personale che rispondono ad esigenze di carattere permanente dell’amministrazione vengono effettuate, a differenza di quelle che rispondono a bisogni di natura transitoria (assunzioni a tempo determinato), su corrispondenti posti vacanti in dotazione organica, esprimendo la dotazione organica, come già in precedenza evidenziato, le esigenze costanti dell’ente.

4.2 Le esigenze temporanee.

Sono da intendersi quali esigenze temporanee quelle destinate ad esaurirsi nel breve e medio periodo. Queste ultime richiedono l’utilizzo delle forme contrattuali flessibili, del comando e di altre tipologie di contratti atipici.

4.2.1 Le forme contrattuali flessibili di assunzione.

Per quanto concerne le esigenze temporanee è necessario riferirsi all’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 come modificato dal decreto-legge n. 4 del 2006, che ha inserito il comma 1-bis.

In generale occorre osservare che l’innovazione normativa relativa alle forme contrattuali flessibili riguarda due distinti profili. Il primo attiene alla tipologia delle esigenze che ne legittimano il ricorso. Il secondo attiene invece ad un profilo organizzativo che discende dalla necessità di attivare prioritariamente alcuni strumenti rispetto ad altri.

In particolare viene specificato che le pubbliche amministrazioni possono attivare le forme contrattuali flessibili, richiamate al comma 1, solo per esigenze temporane ed eccezionali e previo esperimento di procedure inerenti assegnazione di personale anche temporanea, nonché previa valutazione circa l’opportunità di attivare contratti di somministrazione a tempo determinato, ovvero di esternalizzazione ed appalto dei servizi. Al riguardo occorre sottolineare che la disposizione in commento dimostra il favor accordato dal legislatore a tali ultime tipologie contrattuali, laddove con il ricorso ad esse l’amministrazione possa soddisfare le proprie esigenze in maniera più efficiente rispetto al ricorso agli altri contratti di lavoro flessibile.

La ratio di tale intervento deve essere ricondotta alla loro utilizzazione impropria, con particolare riferimento ai contratti a tempo determinato, spesso non legata alla temporaneità delle esigenze. Infatti negli ultimi anni si è reso necessario intervenire, con diverse disposizioni, a prorogare i contratti a tempo determinato ed i contratti di formazione lavoro già in essere, nonchè ad assicurare con carattere di continuità la prosecuzione delle attività svolte dal personale così impiegato (si veda al riguardo, da ultimo, l’art. 1, comma 247 della legge n. 266 del 2005). Ciò anche in considerazione delle aspettative inopportunamente generatesi nei lavoratori reclutati temporaneamente.

L’obiettivo di evitare il ricorso eccessivo ai rapporti di lavoro a tempo determinato è motivato non solo per evidenti ragioni finanziarie ma anche per l’impatto gestionale che un utilizzo improprio dei rapporti flessibili crea. Al riguardo, è da sottolineare che il datore di lavoro pubblico viene richiamato ad assicurare il rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. In virtù di quanto stabilito al comma 2 dell’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, contrariamente a quanto avviene nel settore privato, in nessun modo è possibile la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato benché venga accertata la violazione di norme imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori. L’eventuale comportamento illegittimo delle amministrazioni, pur non comportando la possibilità di pronunciamenti aventi valore costitutivo di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, determinerà comunque l’obbligo di risarcire il lavoratore e una responsabilità del dirigente datore di lavoro.

Si rammenta con l’occasione la necessità di procedere sempre e comunque a procedure selettive quando si intende reclutare, seppur temporaneamente, il personale nel rispetto del principio di imparzialità. Sarà opportuno, pertanto, che le amministrazioni adottino appositi regolamenti sul reclutamento di personale con rapporti di lavoro flessibile nel rispetto del quale predisporre i relativi bandi di selezione.

Si ravvisa una ulteriore novità introdotta dal decreto-legge che è intervenuto a sottoporre anche le procedure di reclutamento di personale a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione lavoro, alla procedura autorizzatoria di cui all’art. 35, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la quale deve tener conto del vincolo di spesa previsto dal comma 187 della legge n. 266 del 2005.

Per una corretta interpretazione di tale ultima disposizione del decreto è necessario svolgere alcune considerazioni.

I contratti di lavoro a tempo determinato hanno, per loro natura una diversa ragione d’essere rispetto ai contratti di formazione lavoro. I primi rispondono esclusivamente all’esigenza di far fronte a fabbisogni temporanei ed hanno una durata determinata. I secondi, invece, essendo finalizzati a formare personale destinato a far parte stabilmente della struttura, a seguito della conversione del contratto in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, consentono di venire incontro ad una esigenza permanente. È da sottolineare, tuttavia, che al momento dell’avvio della relativa procedura di reclutamento l’amministrazione deve verificare la sussistenza di esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale previste dalla norma. Conseguentemente tali contratti potranno essere presi in considerazione solo nel momento in cui vi sia la presunzione che le esigenze temporanee si possano trasformare in futuro in permanenti. Per tale ultima tipologia contrattuale pertanto è necessario sempre richiedere l’autorizzazione di cui all’art. 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, anche se riferite ad una sola unità.

Per quanto concerne i contratti a tempo determinato si ritiene utile avanzare alcune considerazioni in merito alla compatibilità delle causali stabilite dall’art. 1 del decreto legislativo n. 368 del 2001 (recepimento della direttiva comunitaria 1999/70/CE) con le richiamate esigenze temporanee ed eccezionali che l’art. 36 del decreto legislativo impone alle amministrazioni pubbliche quale presupposto per l’attivazione di tali contratti.

La disciplina comunitaria, nel regolare nuovamente la materia, prescinde dal carattere temporale dell’esigenza, facendo, invece, riferimento alle necessità riconducibili alle caratteristiche proprie della singola organizzazione produttiva. Infatti tale provvedimento consente l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato «a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo».

Come chiarito dalla circolare n. 42 del 1° agosto 2002 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali le disposizioni sulle causali si caratterizzano per essere una «norma aperta, individuativa per grandi linee dei casi in cui la ricorrenza di esigenze oggettive dell’organizzazione di impresa determina l’ammissibilità del ricorso a rapporti a tempo». Inoltre nella medesima circolare si afferma che «alla stregua della nuova disciplina legale la temporaneità della prestazione è, semplicemente, la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze (…). Il contratto a termine dovrà, pertanto, essere considerato lecito in tutte le circostanze, individuate dal datore di lavoro sulla base di criteri di normalità tecnico-organizzativa, ovvero per ipotesi sostitutive, nelle quali non si può esigere necessariamente una assunzione a tempo indeterminato». Pertanto le causali individuate dal decreto legislativo n. 368 del 2001 risultano perfettamente compatibili con le citate esigenze temporanee ed eccezionali previste dal decreto-legge n. 4 del 2006 con riferimento alle pubbliche amministrazioni. Queste ultime, quindi, potranno ricorrere al contratto a tempo determinato per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di natura temporanea.

Il legislatore, in sede di conversione, ha inserito un ulteriore comma (1-bis.1), all’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nel quale è stabilito che le disposizioni contenute al comma 1-bis costituiscono norme di principio per l’utilizzo di forme contrattuali flessibili negli enti locali.

In generale occorre osservare che l’innovazione normativa relativa alle forme contrattuali flessibili riguarda due distinti profili. Il primo attiene alle causali che ne legittimano il ricorso configurandosi, dunque, come elemento dell’ordinamento civile, riservato alla legislazione statale, di diretta applicazione per tutte le amministrazioni, ivi comprese le Regioni. Diversamente occorre considerare per quanto concerne la necessità di attivare prioritariamente alcuni strumenti rispetto ad altri, riconducibile al profilo organizzativo disegnato dalla norma in questione.

Pertanto, conformemente a quanto già previsto dall’art. 27 del decreto legislativo n. 165 del 2001 relativamente ai principi di organizzazione contenuti nell’art. 4 e al Capo II del medesimo decreto, gli enti locali, nell’esercizio della propria autonomia statutaria e regolamentare, dovranno adeguare i propri ordinamenti ai principi sanciti dal legislatore statale in merito al corretto utilizzo delle tipologie di lavoro flessibile.

In conclusione, anche con l’adozione del decreto-legge n. 4 del 2006, il legislatore conferma la propria intenzione a prevedere l’utilizzo dei rapporti di lavoro flessibili nell’ottica del risparmio della spesa, al fine di non incrementare il numero dei dipendenti in servizio a tempo indeterminato in attuazione degli obiettivi di snellimento delle strutture, e di operare nel rispetto della finalità di cui all’art. 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 165 del 2001 diretta a realizzare innanzi tutto la migliore utilizzazione delle risorse umane già presenti nelle pubbliche amministrazioni. 5. Le forme contrattuali atipiche.

5.1. I lavoratori impiegati in attività socialmente utili.

I lavori socialmente utili consistono in quelle attività che hanno per oggetto opere o fornitura di servizi di utilità collettiva, tramite l’utilizzo di alcune tipologie di lavoratori in condizioni svantaggiate e la cui gestione è demandata alle Regioni, con la finalità di favorire il reinserimento di tali soggetti nel circuito lavorativo.

Considerata l’importanza dell’interesse richiamato, il legislatore è intervenuto a dettare diverse disposizioni tendenti alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili (ad esempio si vedano il decreto legislativo 28 febbraio 2000, n. 8; l’art. 50 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonchè l’art. 8-bis, comma 1, del decreto-legge n. 203 del 2005, convertito dalla legge n. 248 del 2005).

Al riguardo l’Ufficio per il personale delle pubbliche amministrazioni di questo Dipartimento ha avuto modo di ribadire come non sià possibile stabilizzare i lavoratori in questione presso le amministrazioni per le quali operano al di fuori delle disposizioni di legge, già richiamate nel paragrafo relativo al reclutamento, così sottolineando la necessità che siano avviate apposite procedure, ad esempio mediante concorsi per esami e titoli. In merito si dovrà tenere conto della rideterminazione delle dotazioni organiche di cui al comma 93 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004 e secondo le modalità e i limiti previsti dall’Accordo raggiunto in Conferenza Unificata il 24 novembre 2005 attuativo del comma 98 dell’art. 1 della citata legge 311 del 2004. Eventuali eccedenze temporanee di personale derivanti dall’esaurimento dei posti disponibili e previsti nella dotazione organica, devono essere riassorbite con le future cessazioni, oltre a dover essere rispettati gli adempimenti di cui all’art. 34-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001.

Il decreto-legge n. 4 del 2006 è intervenuto ad aggiungere un comma 1-ter all’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 nel quale viene stabilito che tutte le pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, dovranno trasmettere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della funzione pubblica ed al Ministero dell’economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato le convenzioni concernenti l’utilizzo di lavoratori socialmente utili.

La ratio di tale intervento deve essere ricercata nella necessità di consentire il monitoraggio della spesa delle amministrazioni derivante dalla stipula delle convenzioni, quale spesa rientrante in quelle indicate al comma 198 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, come richiamato dalla circolare del Ministero dell’economia e delle finanze, Ragioneria generale dello Stato, n. 9 del 2006. Infatti tale spesa grava sulle voci relative al personale (si veda il Sistema informativo delle operazioni degli enti pubblici SIOPE) e, considerato il favore del legislatore alla stabilizzazione, la stessa sembra destinata a crescere così determinando l’esigenza di un suo attento monitoraggio da parte delle amministrazioni a ciò deputate.

5.2. La somministrazione.

Le pubbliche amministrazioni possono utilizzare tale tipologia contrattuale sia per esigenze temporanee di breve che medio periodo.

Il contratto di somministrazione di lavoro è disciplinato dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. La somministrazione a tempo determinato, diversamente dallo staff leasing, si applica anche alle pubbliche amministrazioni in forza della previsione contenuta nell’art. 86, comma 9, del decreto stesso. Si tratta di un contratto di prestazione di servizi il cui oggetto è costituito dalla fornitura di prestazioni professionali di lavoratori dipendenti dell’agenzia, messi a disposizione dell’utilizzatore ed inseriti nella struttura organizzativa di quest’ultimo per tutta la durata della somministrazione. L’attività, che ha i contenuti tipici del lavoro subordinato, è svolta nell’interesse dell’amministrazione utilizzatrice, nonchè sotto la sua direzione ed il suo controllo.

Le disposizioni relative alla somministrazione a tempo determinato sono oggi pienamente applicabili alle pubbliche amministrazioni. Nella fase programmatoria, già richiamata nel paragrafo 3, le amministrazioni dovranno valutare la convenienza effettiva del ricorso ai contratti di somministrazione. A tali fini dovranno, in primo luogo, verificare la rispondenza delle proprie esigenze con le causali previste relative a ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, ed alla disciplina contrattuale. Successivamente dovranno individuare esattamente la tipologia di personale necessaria, per professionalità e qualifica di inserimento, in modo da poter individuare puntualmente il costo dei singoli lavoratori somministrati.

Pertanto occorrerà effettuare un’attenta analisi costi-benefici considerando, a tal fine, i costi ed i tempi della selezione che eventualmente l’Agenzia dovrà svolgere, nonchè là qualità del personale somministrato, il percorso formativo specifico effettuato e l’aggiornamento previsto.

Nel valutare le offerte si dovrà, inoltre, tenere conto del costo effettivo del personale quale parametro di riferimento essenziale, oltre che della professionalità del personale da fornirsi in somministrazione e della specifica formazione effettuata o da effettuarsi.

In questa sede è necessario sottolineare che il personale somministrato non è dipendente dell’utilizzatore, anche se è inserito nella sua organizzazione, bensì dell’agenzia di somministrazione. Pertanto al personale somministrato non è possibile applicare direttamente le disposizioni normative e contrattuali dirette ai lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni.

Ne consegue che sarà necessario inserire apposite clausole nel capitolato d’appalto e nel contratto di somministrazione nelle quali siano individuati specifici obblighi di riservatezza, di esclusività della prestazione e di non concorrenza. Occorre, peraltro, ricordare che lo statuto sostanziale del lavoratore somministrato deve essere sovrapponibile a quello degli altri dipendenti dell’utilizzatore, in applicazione delle precise scelte del legislatore europeo in tema di parità di trattamento. L’individuazione delle infrazioni disciplinari ed il concreto esercizio del potere disciplinare, sebbene formalmente incardinato in capo all’agenzia, non potranno che essere regolati in base alla disciplina applicabile presso l’amministrazione utilizzatrice. 6. Considerazioni conclusive.

A termine di quanto fino ad ora rappresentato si ritiene necessario avanzare alcune considerazioni conclusive in merito alla organizzazione e funzionamento delle pubbliche amministrazioni e alla gestione delle risorse umane

La cultura che deve guidare gli amministratori pubblici in materia di gestione del personale, volta al perseguimento dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa, impone necessariamente un’attenta analisi dell’organizzazione del lavoro e degli strumenti gestionali proposti dall’ordinamento nonché una valutazione degli stessi da svolgersi con un approccio innovativo volto a sfruttare le migliori esperienze e sperimentare nuove tecnologie.

In un contesto di scarsità di risorse, anche umane, si impone un maggiore sfruttamento delle nuove tecnologie e della comunicazione (ICT) che le pubbliche amministrazioni possono applicare ad un vasto campo di funzioni amministrative. «In particolare, il potenziale networking offerto da internet e dalle sue tecnologie ha il potenziale di trasformare le strutture e le procedure amministrative» (OECD/PUMA, 2001).

Infatti, i nuovi strumenti rappresentati dal e-government (protocollo informatico, informatizzazione flussi documentali e dei processi, comunicazione digitale), dal e-procurement, e dall’e-learning consentono importanti economie di scala e risparmi di spesa, nonchè tempistiche nettamente inferiori, che comportano, necessariamente, una particolare attenzione alla riallocazione delle risorse umane ed alla loro valorizzazione.

Al riguardo acquista particolare rilevanza l’attività di formazione ed aggiornamento del personale che deve essere oggetto di una precisa programmazione e pianificazione da parte dei dirigenti, in quanto strumento utile a rendere effettiva l’attuazione del principio della migliore utilizzazione delle risorse umane e della acquisizione delle necessarie professionalità all’interno della stessa amministrazione.

In sintesi una efficiente gestione delle risorse umane costituisce un aspetto essenziale delle organizzazioni produttive, in particolar modo di quelle basate sul lavoro, quali sono le pubbliche amministrazioni, sulla quale si imperniano tutti gli strumenti gestionali a disposizione della dirigenza, e dalla quale, in sostanza, discende la possibilità di perseguire le finalità istituzionali attribuite alle strutture pubbliche.

Roma, 2 maggio 2006

Il Ministro per la funzione pubblica

Baccini

Registrata alla Corte dei conti il 30 maggio 2006 Ministeri istituzionali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 6, foglio n. 325