Penale
Perchè, secondo la Corte Costituzionale, era illegittima la perquisizione nella sede della Lega a Milano
Corte costituzionale – sentenza 20-30 gennaio 2004, n. 58 Presidente Zagrebelsky – relatore Bile Ritenuto in fatto 1. La Camera dei deputati, con ricorso del 4 febbraio 2003, depositato l’8 febbraio successivo, ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta all’autorità giudiziaria (ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona) di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro emessi dalla Procura il 17 e 18 settembre 1996 – nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta la perquisizione del locale all’interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Corinto Marchini, ancorché lo stesso fosse nell’effettiva disponibilità dell’on. Roberto Maroni – e di tutte le operazioni di perquisizione svoltesi il 18 settembre 1996 in esecuzione dei decreti stessi. 2. La Camera espone come segue i fatti da cui il conflitto trae origine. Con decreto del 17 settembre 1996 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona ha ordinato – nei confronti di Corinto Marchini e di altri indagati per reati commessi in concorso – la perquisizione delle loro abitazioni e degli altri luoghi di cui avessero la disponibilità, al fine di acquisire elementi di prova relativi all’indagine ed in particolare l’elenco dei componenti della cosiddetta “Guardia nazionale padana”. Durante la perquisizione della sua abitazione, il Marchini riferiva che una copia dell’elenco era custodita in un locale da lui usato come ufficio, nel seminterrato della sede di Milano della Lega Nord. A seguito di tale dichiarazione, la polizia giudiziaria si recava il 18 settembre 1996 presso tale sede, dove giungevano anche il difensore del Marchini e l’on. Maroni. In particolare quest’ultimo si opponeva all’esecuzione della perquisizione perché – a suo dire – il Marchini non aveva un ufficio nella sede della Lega Nord, dove nemmeno lui, che pur era parlamentare, disponeva di alcun locale. Il funzionario procedente contattava allora telefonicamente il Procuratore della Repubblica di Verona che, nella stessa data del 18 settembre 1996, emetteva un nuovo decreto, integrativo del precedente, estendendo l’ordine di perquisizione a carico del Marchini al locale da lui indicato, nella sede della Lega Nord. All’esecuzione di questa perquisizione si opponevano vari parlamentari della Lega Nord, tra cui ancora l’on. Maroni, che tentavano di impedire l’ingresso degli agenti nella sede del partito. Vincendo l’opposizione dei presenti la polizia giudiziaria, entrata nell’edificio, perveniva ad un corridoio che portava al seminterrato e al locale da perquisire; all’ingresso di tale corridoio, su una porta a vetri chiusa a chiave, rinveniva un foglio di carta, fissato con nastro adesivo, recante, come dicitura, l’indicazione dell’ufficio dell’onorevole Maroni. Il Procuratore della Repubblica di Verona, consultato per telefono dal funzionario procedente, confermava l’ordine di eseguire la perquisizione, ritenendo che il foglio apposto sulla porta costituisse un sotterfugio. La polizia giudiziaria entrava allora nel corridoio, sul quale si affacciavano vari locali. Sulla porta di uno di questi rinveniva altro foglio di carta con la dicitura “Lega Nord – Segreteria politica – Ufficio dell’Onorevole Maroni”. La polizia entrava in questa stanza, identificata come quella nella disponibilità del Marchini, ed effettuava la perquisizione, che non aveva esito perché il locale, al di là dell’arredo, era in sostanza vuoto. Nei confronti dell’on. Maroni e di altri parlamentari ha avuto inizio un procedimento penale per resistenza a pubblico ufficiale (articolo 337 del codice penale), distinto da quello a carico del Marchini, cui si riferivano i decreti di perquisizione. Dopo la sentenza di condanna resa dal Pretore di Milano in data 16 settembre 1998, e nel corso del giudizio di appello, la Camera dei deputati ha deliberato, il 16 marzo 1999, l’insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, della Costituzione, dei comportamenti tenuti dai parlamentari in occasione dell’opposizione alla perquisizione. Nei confronti di questa delibera la Corte d’appello ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e la Corte costituzionale (sentenza 137/01) ha dichiarato che non spettava alla Camera deliberare che i fatti per i quali era in corso il procedimento penale concernessero opinioni espresse dai parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 19 dicembre 2001, ha confermato la decisione di primo grado. La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione, non ancora deciso. 3. Con il ricorso introduttivo dell’odierno conflitto di attribuzione, la Camera dei deputati – premesso che il suo interesse a ricorrere non è venuto meno per il fatto che dagli atti e dai fatti in contestazione sono passati circa sei anni, in quanto la legge non prevede alcun termine per proporre il conflitto – afferma nel merito che le operazioni di perquisizione sono state disposte ed eseguite in riferimento ad un luogo qualificabile come domicilio di un deputato, senza la preventiva autorizzazione della Camera di cui all’articolo 68, secondo comma, della Costituzione. Al riguardo sottolinea lo specifico e qualificato rapporto che intercorre tra i parlamentari e gli immobili nella disponibilità del partito di appartenenza, nel senso che gli immobili “utilizzati per le necessità” di un partito sono anche, naturaliter, un potenziale luogo di esercizio del mandato parlamentare al di fuori della sede delle Camere, e quindi esiste la ragionevole probabilità (non la mera possibilità) che uno o più locali di tali immobili (specie se destinati ad attività di livello nazionale o di primaria importanza) siano nella disponibilità di questo o quel parlamentare, costituendone così il domicilio. Da ciò discende – secondo la Camera – l’arbitrarietà e l’illegittimità della perquisizione, come eseguita su disposizione della Procura della Repubblica di Verona, che aveva ordinato di procedere nonostante la probabilità che in immobili utilizzati per le necessità di un partito vi fossero locali nella disponibilità di un parlamentare; infatti l’autorità giudiziaria – in presenza di numerosi e concordanti indizi del fatto che del locale da perquisire disponesse l’on. Maroni – avrebbe dovuto astenersi dal proseguire, ordinando alla polizia giudiziaria di soprassedere. La Camera sottolinea poi come dalla sentenza di primo grado fosse emerso che il locale perquisito era effettivamente nella disponibilità dell’on. Maroni, per cui non poteva obiettarsi che tale circostanza non risultasse chiaramente all’atto della perquisizione e fosse stata accertata solo in un secondo momento; del resto nei conflitti tra poteri dello Stato non hanno alcuna importanza l’errore o l’elemento psicologico, rilevando solo il vulnus arrecato da un potere all’altro, anche in assenza di uno specifico animus nocendi. 4. Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza 232/03. Il ricorso, unitamente all’ordinanza di ammissibilità, è stato notificato al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona in data 16 luglio 2003 ed è stato depositato presso la cancelleria di questa Corte il 17 luglio 2003. In prossimità dell’udienza la Camera ha depositato una memoria illustrativa, sviluppando le tesi sostenute negli scritti precedenti. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona ha depositato fuori termine una memoria di costituzione. Considerato in diritto 1. La Camera dei deputati chiede alla Corte di dichiarare che non spettava all’autorità giudiziaria (ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona) di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro emessi dalla Procura il 17 e 18 settembre 1996 – nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta «la perquisizione del locale all’interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Marchini Corinto», ancorché lo stesso fosse nell’effettiva disponibilità dell’on. Roberto Maroni – e di tutte le operazioni di perquisizione svoltesi il 18 settembre 1996 in esecuzione dei decreti stessi. In realtà – alla stregua dei fatti così come esposti dalla stessa Camera ricorrente – la lesione della prerogativa ad essa garantita dall’articolo 68, secondo comma, della Costituzione si sarebbe verificata in occasione dell’esecuzione dei decreti del 17 e 18 settembre 1996, con cui la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona aveva ordinato le perquisizioni, e non costituirebbe l’effetto immediato di quei decreti. In particolare il provvedimento del 17 settembre aveva ordinato – per quanto riguarda i fatti in esame – la perquisizione dell’abitazione del Marchini e degli altri luoghi di cui egli avesse la disponibilità; e quello del 18 settembre «la perquisizione del locale ubicato all’interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Marchini Corinto». Nessuno dei due decreti riguardava quindi la residenza o il domicilio dell’on. Maroni, onde essi non sono in sé lesivi della prerogativa in questione. 2. Sussistono i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’ammissibilità del conflitto, come già ritenuto da questa Corte nell’ordinanza 232/03. Su tale ammissibilità non incide il tempo trascorso dall’epoca dei fatti (settembre 1996) alla data di proposizione del conflitto (febbraio 2003). La Corte ha già avuto occasione di affermare (sentenza 116/03) che non esiste alcun termine per sollevare i conflitti di attribuzione tra poteri, ed ha individuato la ratio di questa mancanza nell’esigenza – avvertita dal legislatore in ragione del livello precipuamente politico-costituzionale di tal genere di controversie – di favorirne al massimo la composizione, svincolandola dall’osservanza di termini di decadenza. La Camera – che del resto nel suo ricorso ha ricordato come tuttora penda un giudizio penale per i fatti commessi durante l’esecuzione della perquisizione in esame – ha ancora interesse a rimuovere, attraverso la decisione della Corte sul conflitto, ogni dubbio sul punto se, nella specie, la prerogativa concernente l’inviolabilità del domicilio del parlamentare sia stata o meno rispettata. 3. Nel merito il ricorso è fondato. Il secondo comma dell’articolo 68 della Costituzione dispone (tra l’altro) che, senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare. Sotto quest’ultimo profilo la norma intende garantire al parlamentare l’inviolabilità della sua residenza ed anche di spazi ulteriori identificabili come domicilio, in vista della tutela dell’interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato. E una sede di partito ben può – come nella specie – ospitare il domicilio di un parlamentare. 4. La prerogativa in esame è lesa per il solo fatto che una perquisizione sia disposta o eseguita nel domicilio di un parlamentare senza autorizzazione della Camera di appartenenza. La lesione dedotta dal potere che propone il conflitto di attribuzione ha invero carattere oggettivo, in funzione della natura costituzionale dell’interesse al ripristino delle attribuzioni violate. E prescinde dalla sua soggettiva percepibilità da parte del potere che la commette, pur se tale profilo possa eventualmente rilevare ad altri fini. 5. Nella specie la Corte – valutate le circostanze di fatto quali risultano dagli atti versati in causa – ritiene che esse comprovino la lesione, ad opera dell’autorità giudiziaria, della prerogativa garantita alla Camera dall’articolo 68, secondo comma, della Costituzione. In particolare da tali atti emerge che, entrati nella sede della Lega Nord, di per sé non tutelata da quella prerogativa, e superati gli ostacoli frapposti, gli agenti di polizia giudiziaria, per il cui tramite la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona procedeva ai sensi dell’articolo 247, comma 3, del Cpp, hanno successivamente raggiunto prima un corridoio la cui porta di accesso recava un cartello con la scritta “Lega Nord – Segreteria politica – Ufficio dell’Onorevole Maroni”, e poi, nel corridoio, il vano che il Marchini aveva dichiarato di usare come ufficio, sulla cui porta era apposto altro cartello con identica dicitura. Questa situazione nuova così presentatasi agli agenti di polizia – anche prescindendo da quanto risulta dagli atti processuali, secondo i quali il vano in esame, qualche giorno prima dei fatti, era stato assegnato all’on. Maroni, in via provvisoria e per la durata dei lavori di ristrutturazione dell’immobile – segnalava agli agenti stessi, ed all’autorità giudiziaria procedente per il loro tramite, che il locale da perquisire in quanto ufficio del Marchini era invece nella disponibilità di un deputato, onde poteva costituirne domicilio, non sottoponibile a perquisizione senza autorizzazione della Camera. In tale contesto, l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l’esecuzione della perquisizione e chiedere alla Camera la necessaria autorizzazione; in alternativa – ove avesse nutrito dubbi sull’attendibilità del contenuto dei cartelli – avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quei cartelli aveva collocato. L’unica scelta sicuramente preclusa all’autorità giudiziaria era di confermare verbalmente alla polizia l’ordine di eseguire la perquisizione nonostante la segnalazione, ritenendola falsa senza alcuna verifica sul punto e senza neppure trarre conseguenze da tale falsità. Così comportandosi essa ha leso le attribuzioni garantite alla Camera dei deputati dal secondo comma dell’articolo 68 della Costituzione. 6. In conclusione, occorre dichiarare che non spettava all’autorità giudiziaria ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona di far eseguire, il 18 settembre 1996, la perquisizione del locale nella disponibilità del parlamentare Roberto Maroni. PQM La Corte costituzionale dichiara che non spettava all’autorità giudiziaria ed in particolare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona di far eseguire, il 18 settembre 1996, la perquisizione del locale nella disponibilità del parlamentare Roberto Maroni.