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Per la prova dell’incollocazione al lavoro basta la domanda alla commissione medica di accertamento
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 12451/16; depositata il 16 giugno)
In materia di assegno di invalidità civile, il requisito della incollocazione al lavoro, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l’entrata in vigore della l. n. 68/1999, e l’entrata in vigore della l. n. 247/2007, può dirsi sussistente qualora l’interessato provi di non aver svolto attività lavorativa e di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della l. n. 68/1999 da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. Nel caso in cui tale accertamento sia precedente rispetto alla data di decorrenza del requisito sanitario per l’invalidità (riduzione della capacità lavorativa del 74% o superiore), sarà necessaria la prova di aver ottenuto o quanto meno richiesto l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della l. n. 68/1999.
Così deciso dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 12451, pubblicata il 16 giugno 2016.
La vicenda. Domanda di riconoscimento di assegno di invalidità civile, contestata dall’INPS per mancanza di prova circa il requisito necessario di in collocazione al lavoro.
Un lavoratore aveva richiesto al Tribunale del lavoro l’accertamento del diritto all’assegno di invalidità previsto dall’articolo 13 della l. n. 118/1971. Il Tribunale adito accoglieva la domanda. Proponeva appello l’INPS e la Corte d’appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, accertando il diritto all’assegno a far tempo dal 1 gennaio 2008. Entrambe le parti ricorrevano in cassazione.
Inammissibile il ricorso della lavoratrice
Il ricorso proposto dalla lavoratrice viene ritenuto inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione. Il Supremo Collegio ribadisce il principio più volte affermato secondo cui, il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte. Nel caso specifico la ricorrente non aveva indicato esattamente in quale fascicolo di parte fosse il documento posto a fondamento della doglianza, né lo aveva trascritto nel ricorso.
L’assegno di invalidità ex art. 13, l. n. 118/1971. Il ricorso proposto dall’INPS è fondato sull’applicazione dell’articolo 13 della l. n. 118/1971, in materia di riconoscimento ad un soggetto non più collocabile al lavoro dell’assegno di invalidità, che così recita: “Agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74 per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso, a carico dello Stato ed erogato dall’INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità, con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo 12”.
Al caso specifico si applica la normativa ante 2007. La Corte d’appello, con la sentenza impugnata, aveva riconosciuto il diritto del ricorrente all’assegno con decorrenza dal 1 gennaio 2008, ritenendo applicabile alla fattispecie in decisione l’articolo 1 della l. n. 247/2007, che prevede quale requisito per la concessione dell’assegno, l’astensione da attività lavorativa; situazione comprovabile con dichiarazione sostitutiva di atto notorio. E conseguentemente, non era più richiesta la prova del requisito dell’incollocazione al lavoro.
Il motivo di censura introdotto dall’INPS riguarda l’applicabilità al caso in esame di tale ultima norma. Secondo l’ente previdenziale, questa è entrata in vigore il 1 gennaio 2008 e dunque per il periodo precedente, occorreva fare riferimento alla l. n. 118/1971, che richiedeva la dimostrazione dell’incollocazione al lavoro per poter beneficiare dell’assegno di invalidità.
Necessaria pertanto la prova della incollocazione al lavoro.
Nel caso esaminato, il beneficio dell’assegno ricade sotto la disciplina della l. n. 118/1971, con onere a carico del richiedente di fornire la prova dell’incollocazione (il ricorso introduttivo venne depositato nell’anno 2004). Secondo precedenti decisioni della Suprema Corte, il requisito della “incollocazione al lavoro” – previsto dall’art. 13 della legge n. 118/1971, prima della sostituzione ex art. 1, comma 35, della l. n. 247/2007, può essere integrato, nel regime introdotto dalla legge n. 68/1999, anche dalla domanda rivolta alle commissioni sanitarie per l’accertamento dello stato di invalidità, presupposto di iscrizione negli elenchi degli aspiranti al collocamento agevolato. Tale requisito, nello specifico contesto normativo che caratterizza il periodo di tempo tra l’entrata in vigore della l. n. 68/1999, e l’entrata in vigore della l. n. 247/2007, può dirsi sussistente qualora l’interessato provi di non aver svolto attività lavorativa e di aver richiesto l’accertamento di una riduzione dell’attività lavorativa, in misura tale da consentirgli l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della n. 68/1999 da parte delle commissioni mediche competenti a tal fine. Nel caso in cui tale accertamento sia precedente rispetto alla data di decorrenza del requisito sanitario per l’invalidità (riduzione della capacità lavorativa del 74% o superiore), sarà necessaria la prova di aver ottenuto o quanto meno richiesto l’iscrizione negli elenchi di cui all’art. 8 della l. n. 68/1999.
La Corte ha così accolto il ricorso dell’INPS rinviando ad altra corte di merito per la decisione in conformità al principio di diritto enunciato.
(avv. Roberto Dulio pubblicato su Diritto & Giustizia Giuffrè editore s.p.a)