Enti pubblici
Per cambiare nome al Comune è sempre necessario procedere con referendum. SENTENZA della Corte costituzionale N.237 dell’ ANNO 2004
Per cambiare nome al Comune è sempre necessario procedere con referendum
SENTENZA della Corte costituzionale N.237
dell’ANNO 2004
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Valerio ONIDA Presidente
– Carlo MEZZANOTTE Giudice
– Fernanda CONTRI "
– Guido NEPPI MODONA "
– Piero Alberto CAPOTOSTI "
– Annibale MARINI "
– Franco BILE "
– Giovanni Maria FLICK "
– Francesco AMIRANTE "
– Ugo DE SIERVO "
– Romano VACCARELLA "
– Paolo MADDALENA "
– Alfonso QUARANTA
"
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 1 (recte: articolo unico)
della legge della Regione Campania 7 luglio 2003, n. 14, recante "Cambio
di denominazione del ‘Comune di Ascea’ in ‘Comune di Ascea-Velia’", promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei ministri, notificato il 10 settembre 2003, depositato in
cancelleria il 19 successivo ed iscritto al n. 69 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione della
Regione Campania;
udito nell’udienza pubblica del 6 luglio
2004 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e
l’avvocato Maria d’Elia per la Regione Campania.
Ritenuto in fatto
Con ricorso
notificato il 10 settembre 2003 e depositato il 19 settembre 2003 (reg. ric. n. 69 del
2003) il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato in via principale questione
di legittimità costituzionale dell’articolo 1 (recte:
articolo unico) della legge della Regione Campania 7 luglio 2003, n. 14 (Cambio
di denominazione del "Comune di Ascea" in
"Comune di Ascea-Velia"), in relazione
all’articolo 133, secondo comma, della Costituzione e all’articolo 60 dello
statuto della Regione Campania, approvato con legge 22 maggio 1971, n. 348
(Approvazione, ai sensi dell’art. 123, comma secondo, della Costituzione, dello
Statuto della Regione Campania).
La legge impugnata consiste di un
solo articolo, con il quale la denominazione del Comune campano di Ascea viene mutata in quella di
"Ascea-Velia".
Lo Stato, premesso che la legge non è
stata preceduta da alcun referendum consultivo presso la popolazione
interessata, ne deduce per tale ragione la illegittimità
costituzionale, giacché detto referendum sarebbe richiesto sia dall’articolo
133, secondo comma, della Costituzione, sia dall’articolo 60 dello statuto
regionale, secondo le modalità previste e disciplinate dalla legge regionale 30
aprile 1975, n. 25 (Referendum popolare).
Si è costituita in giudizio la
Regione Campania, chiedendo che il ricorso sia
rigettato.
La Regione osserva che la legge impugnata è stata preceduta
dall’approvazione, con delibera del Consiglio comunale di Ascea n. 23 del 23 marzo 2000, del nuovo statuto comunale,
con il quale sarebbe stata "ravvisata la necessità di prevedere
l’aggiunta, al nome del Comune di Ascea, del toponimo
Velia, attesa la notorietà internazionale di tale nome, traino e richiamo per
la valorizzazione turistica, sociale ed economica del Comune". Ciò, alla
luce dell’articolo 7 della legge della Regione Campania 29 ottobre 1974, n. 54
(Norme sulla istituzione di nuovi Comuni e sul
mutamento delle circoscrizioni territoriali dei Comuni della Regione), per il
quale "le denominazioni comunali possono essere variate ove ricorrano
esigenze toponomastiche, storiche, culturali o turistiche".
In seguito il Comune avrebbe invitato
la Regione ad
avviare il conseguente iter legislativo.
La legge impugnata sfuggirebbe,
pertanto, alle censure oggetto di ricorso: in primo luogo, essa avrebbe non già
modificato, ma meramente "integrato" la denominazione del Comune,
tramite l’"esplicitazione" del toponimo
Velia "in armonia con l’origine (greca) della città di Ascea".
In secondo luogo, la delibera del
Consiglio comunale, quale ente esponenziale degli interessi della collettività,
varrebbe a superare l’obbligo di sentire le popolazioni interessate, poiché,
"quando l’iniziativa della eventuale variazione
sia assunta dal Comune interessato (…) non vi è alcuna possibilità di
compressione o lesione delle prerogative e dell’autonomia dell’ente
territoriale minore", a tutela delle quali sarebbe previsto il referendum
consultivo.
D’altro canto, la legge della Regione
Campania n. 54 del 1974, che prevede espressamente l’obbligo di procedere a
referendum, dopo aver acquisito i pareri dei Consigli comunali interessati e
del Consiglio provinciale in ordine ai disegni e alle
proposte di legge regionale, atterrebbe "alla sola ipotesi di iniziativa
assunta dalla Regione".
Considerato in diritto
1.– E’ impugnato dal Governo
l’articolo unico (erroneamente indicato nel ricorso come articolo 1) della
legge regionale della Campania 7 luglio 2003, n. 14 (Cambio di denominazione
del "Comune di Ascea"
in "Comune di Ascea-Velia"), che dispone il
mutamento della denominazione del Comune di Ascea, in
provincia di Salerno, in quella di Ascea-Velia.
Secondo il ricorrente
la legge sarebbe stata deliberata in violazione dell’art. 133, secondo
comma, della Costituzione, e dell’art. 60, primo comma, dello statuto della
Regione, in quanto non è stata preceduta dalla consultazione referendaria della
popolazione interessata.
2.– La questione è fondata.
Nella giurisprudenza di questa Corte
è consolidato il principio secondo cui l’art. 133, secondo comma, della
Costituzione, che nell’attribuire alla Regione il potere, con legge, di
"istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro
circoscrizioni e denominazioni", prescrive di sentire "le popolazioni
interessate", comporta, per le Regioni a statuto ordinario, l’obbligo di
procedere a tal fine mediante referendum (cfr. sentenze
n. 204 del 1981; n. 107 del 1983; n. 279 del 1994).
Tale principio non è mai stato
oggetto di applicazione giurisprudenziale in tema di
mutamento della denominazione di un Comune: ma il tenore testuale dell’art.
133, secondo comma, della Costituzione non consente di escludere questa ipotesi
da quelle, unitariamente contemplate dalla norma costituzionale, in cui è
obbligatorio il ricorso al referendum. Ipotesi nella quale la volontà della
popolazione ha motivo di esprimersi riguardo ad un elemento non secondario
dell’identità dell’ente esponenziale della
collettività locale.
Del resto, anche lo statuto della
Regione Campania non fa alcuna distinzione, stabilendo che "è ammesso il
referendum consultivo per l’istituzione di nuovi Comuni, la modificazione delle
circoscrizioni e delle denominazioni dei Comuni". La legge generale della
Regione che detta "norme sulla istituzione di
nuovi Comuni e sul mutamento delle circoscrizioni territoriali dei Comuni della
Regione", vale a dire la legge regionale 29 ottobre 1974, n. 54, dopo aver
disposto all’art. 1, primo comma, che alla istituzione di nuovi Comuni e alla
modifica delle circoscrizioni dei Comuni esistenti si provvede con legge
regionale, aggiunge al secondo comma dello stesso articolo che "con legge
regionale sono altresì disposte le variazioni delle denominazioni
comunali"; all’art. 8 disciplina unitariamente la presentazione dei
disegni e delle proposte di legge "per la istituzione di nuovi Comuni, per
il mutamento delle circoscrizioni territoriali di quelli esistenti e per la
variazione delle denominazioni comunali" e l’acquisizione dei pareri
obbligatori su di essi; e all’art. 9, disciplinando il seguito del procedimento,
stabilisce che "qualora il progetto sia ritenuto proponibile, il Consiglio
regionale delibera, a norma dell’art. 60 dello statuto, la indizione del
referendum consultivo di cui al secondo comma dell’art. 133 della
Costituzione".
A sua volta la legge regionale della
Campania 30 aprile 1975, n. 25 (Referendum popolare), prevede all’art. 1 che il
referendum consultivo, di cui all’art. 60 dello statuto, è regolato dalle norme
di detta legge ed è proponibile, per quanto qui interessa, "per la istituzione di nuovi Comuni, la modificazione delle
circoscrizioni e delle denominazioni dei Comuni".
3.– Nemmeno può condividersi la tesi
della Regione resistente, secondo cui nella specie il referendum non sarebbe stato obbligatorio trattandosi di una "mera
integrazione" della denominazione originaria del Comune, richiesta dal
Consiglio comunale.
Anche la integrazione
della denominazione ne costituisce infatti una modifica, come tale soggetta
alla previa consultazione della popolazione interessata ai sensi dell’art. 133,
secondo comma, della Costituzione e della corrispondente norma dello statuto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale
dell’articolo unico della legge regionale della Campania 7 luglio 2003, n. 14
(Cambio di denominazione del "Comune di Ascea"
in "Comune di Ascea-Velia").
Così deciso in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 luglio
2004.
F.to:
Valerio ONIDA, Presidente e Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19
luglio 2004.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA