Enti pubblici
Obbligo di depositare la cauzione per i ricorsi avvero sanzioni amministrative. Sollevati molti dubbi di costituzionalità della riforma del Codice della Strada. Tribunale di Rovigo – Ufficio del Giudice di Pace di Ficarolo – Ordinanza di legittimità cos
Obbligo di depositare la cauzione per i ricorsi avvero sanzioni amministrative. Sollevati molti dubbi di costituzionalità della riforma del Codice della Strada
Tribunale di Rovigo – Ufficio del Giudice di Pace di Ficarolo
Ordinanza di legittimità costituzionale 24 settembre 2003
26/2003
Sentenza.
Dott. Renato Nibbio
Svolgimento del processo
Il Giudice di Pace Dott. Renato Nibbio, ha emesso la seguente ORDINANZA nella causa civile iscritta in data 18.09.2003 al n° 175/O/03 del Ruolo Generale per gli affari contenziosi dell’anno 2003 e vertente
tra
Xxxxx Xxxx, nato xx Xxxxxxx xxxx il 08.01.1984 e residente in Xxxxxxxxxx Xxxxxx xxxx xxx Xxxxxx Xx xx xxx, in proprio
opponente;
e
Prefetto pro-tempore di Rovigo, domiciliato per la carica presso U.T.G. Prefettura di Rovigo,
opposto;
premette in fatto che in data 29.07.2003, alle ore 15.53 l’App. Xxxxxxxxx Xxxxx ed il Cre Xxxxxxx Xxxxxxxxx, in servizio presso la Stazione CC di Occhiobello, accertavano ed immediatamente contestavano con verbale serie 2002 n° xxxxxxx, in località Occhiobello (Ro) via Malcantone, che il Sig. Xxxxx Xxxx, alla guida della autovettura Fiat Bravo targata XX XXX XX, ed identificato a mezzo pat. categ. A-B n. Xx xxxxxx rilasciata il 21.12.02 dalla M.C.T.C. di Rovigo, aveva violato la norma del Codice della Strada di cui all’art. 172 comma 1 e 8 perché il <<conducente del veicolo sopra indicato, non faceva uso delle cinture di sicurezza. Lo stesso viene portato a conoscenza che il presente verbale decurterà dalla propria patente di guida 10 punti, in quanto ha conseguito la patente da meno di 5 anni>>.
Il Sig. Xxxxx Xxxx non risulta aver ritenuto di contestare immediatamente la violazione, essendo per altro espressamente specificato <<NULLA>> nello spazio riservato alle dichiarazioni del trasgressore.
Si precisa, infine, che tra le modalità di estinzione della violazione viene indicata – nel modello prestampato in uso – la facoltà di adire <<entro 60 gg. dalla constatazione & al Giudice di Pace di Ficarolo>>.
In data 18.09.2003 il Sig. Xxxxx Xxxx, con rituale deposito in Cancelleria, proponeva opposizione avverso il verbale di accertamento n° xxxxxxx elevato in data 29.07.2003 dalla Stazione Carabinieri del Comune di Occhiobello (Ro) premettendo che <<tale verbale richiede il pagamento della somma di euro 68,25 per sanzione pecuniaria; & omissis & comporta la decurtazione di n. 10 punti della patente di guida &. omissis & la suddetta sanzione accessoria appare ingiusta e gravatoria nella ragione della ricorrente &>>, e sostenendo che dalla novellata disciplina del Codice stradale <<si desume che il raddoppio dei punti per i neopatentati si applica solo per le patenti rilasciate dopo il 01.10.2003. Il neopatentato, ai fini del raddoppio del punteggio e della decurtazione, diventa solo chi ha la patente da meno di tre anni>>.
Il ricorrente precisa altresì che <<ha conseguito la patente in data 20.04.2002 (quindi prima del 01.10.2003)>> e <<previo versamento di deposito cauzionale di una somma pari alla metà del massimo della sanzione edittale prevista per la violazio-ne>> conclude per l’accoglimento della richiesta di <<sospensione dell’esecuzione>> con <<fissazione dell’udienza di comparizione delle parti>>, nonché della <<emanazione del decreto di annullamento del verbale n. xxxxxxx del 29.07.2003 elevato dalla Stazione dei Carabinieri del Comune di Occhiobello in quanto illegittimo>>, oltre alla compensazione delle spese di lite <<nel caso il ricorso non possa essere accettato>>.
La parte ricorrente non produce alcuna documentazione probatoria dell’asserito conseguimento della patente di guida in data 20.04.2002; ma offre, per altro, in comunicazione fotocopia della propria patente di guida dalla quale si evince il rilascio in data 21.12.2002 (circostanza, per altro, già acclarata nel verbale di contestazione contro cui si ricorre).
Inoltre il ricorrente provvede al contestuale deposito giudiziario presso la Cancelleria di questo Ufficio del libretto n. xxxxxx rilasciato dall’Ufficio postale di Ficarolo (Ro) in data 18.09.2003 quale <<cauzione art. 204 bis legge 214/2003 verbale n° xxxxxx Carabinieri di Occhiobello 29.07.2003>> per l’importo di euro 136,50 (centotrentasei/50).
Si osserva in diritto che per il caso di specie la sanzione da comminare al trasgressore è prevista dal decreto-legge 27 giugno 2003, n.151 recante <<modifiche ed integrazioni al codice della strada>> (G.U. n. 149 del 30.06.2003) che all’art. 3 <<modifiche alle norme di comportamento>> testualmente recita al co. 12.<<all’articolo 172 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) al comma 8 le parole: “alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 33,60 a euro 137,55” sono sostituite dalle seguenti: “alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 68,25 a euro 275,10”.
Tale previsione sanzionatoria è stata successivamente confermata nella legge di conversione; talché il testo coordinato del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 con la legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214, recante: “modifiche ed integrazioni al codice della strada” (suppl ord n. 133/l alla G.U. 12.08.2003 n. 186) nelle note al predetto art. 3 <<modifiche alle norme di comportamento>> testualmente recita <<il testo vigente dell’art. 172, commi 8 e 9, del decreto legislativo n. 285 del 1992, come modificato dalla legge qui pubblicata e’ il seguente: “8. chiunque non fa uso delle cinture di sicurezza o dei sistemi di ritenuta previsti è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 68,25 a euro 275,10. & omissis &”.
Sempre in via preliminare vale evidenziare che citato il D.L. 151/2003, all’art. 7 Disposizioni finali e transitorie, altresì, recitava <<& omissis & co 10. La tabella allegata al decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9, recante i punteggi previsti dall’articolo 126-bis del decreto legislativo 20 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, è sostituita dalla tabella allegata al presente decreto. & omissis & Allegato TABELLA DEI PUNTEGGI PREVISTI ALL’Art. 126-BIS & omissis & Norma violata Art. 172 Comma 8 Punti 5 & omissis & Per le violazioni commesse entro i primi cinque anni dal rilascio della patente di guida, i punti riportati nella presente tabella, per ogni singola violazione, sono raddoppiati.>>
La legge di conversione, ha però introdotto – per quanto d’interesse nel caso che ci occupa – una significativa e sostanziale modifica alla decorrenza della previsione sanzionatoria a carico dei c.d. “neopatentati”, come esplicitato in calce alla già richiamata “tabella-punti”. Infatti, come si legge a pag. 24 della G.U. suppl 133/L recante il testo della Legge 1° agosto 2003, n. 214, ed ancora nel TESTO COORDINATO DEL DECRETO-LEGGE 27 giugno 2003, n. 151 con la legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214, recante: “Modifiche ed integrazioni al codice della strada” (pure in suppl ord n. 133/L alla G.U. 12.08.2003 n. 186) nelle note al predetto Allegato “TABELLA DEI PUNTEGGI PREVISTI ALL’ARTICOLO 126-bis & omissis & Norma violata Art. 172 Commi 8 e 9 Punti 5 & omissis & Per le patenti rilasciate successivamente al 1° ottobre 2003 a soggetti che non siano già titolari di altra patente di categoria B o superiore, i punti riportati nella presente tabella, per ogni singola violazione, sono raddoppiati qualora le violazioni siano commesse entro i primi tre anni dal rilascio”.
Alla predetta Tabella – unico riferimento al raddoppio delle detrazioni di punteggio per i neopatentati – fa espresso rimando l’art. 126-bis (Patente a punti) del D.Lgs 285/92 <<- 1. All’atto del rilascio della patente viene attribuito un punteggio di venti punti. Tale punteggio, annotato nell’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida di cui agli articoli 225 e 226, subisce decurtazioni, nella misura indicata nella tabella allegata, a seguito della comunicazione all’anagrafe di cui sopra della violazione di una delle norme per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di cui al titolo V, indicate nella tabella medesima.
L’indicazione del punteggio relativo ad ogni violazione deve risultare dal verbale di contestazione. & omissis & >>
Risolve ulteriormente in senso chiarificatore la Circolare n. 300/A/1/44248/109/16/1 del 12 agosto 2003 Disposizioni per l’applicazione della disciplina della patente a punti con la quale il Ministero DELL’INTERNO DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA al punto <<2. Violazioni che determinano la decurtazione del punteggio>> chiarisce & omissis & 2.3. Raddoppio per neopatentati. La violazione comporta la decurtazione di punteggio in misura doppia rispetto a quella prevista nella tabella allegata all’art. 126-bis CdS, quando è commessa da neopatentati, cioè se è commessa entro i primi 3 anni dal rilascio della patente. Questa disposizione, tuttavia, riguarda solo le patenti di guida rilasciate dopo il 1 ottobre 2003 ed a condizione che il titolare non sia già in possesso di patente di categoria B o superiore prima di tale data. &omissis >>
La disposizione volta a decurtare il punteggio in misura doppia per i neopatentati non potrebbe, pertanto, ragionevolmente che entrare in vigore – a seguito delle intervenute modifiche in sede di conversione del D.L. 151/03 – solo dal prossimo 1° ottobre ed esclusivamente per le patenti rilasciate dopo tale data, e per di più a carico di chi non era già in possesso di patente di guida di altra categoria.
Vale altresì ricordare che a seguito delle modificazioni ed integrazioni apportate in sede di conversione del D.L. 151/2003 dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, recante: “Modifiche ed integrazioni al codice della strada” (suppl ord n. 133/L alla G.U. 12.08.2003 n. 186) con <<l’Art. 4. Modifiche alle norme inerenti gli illeciti amministrativi e relative sanzioni co 1-septies. Dopo l’articolo 204 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, e’ inserito il seguente: “Art. 204-bis (Ricorso al giudice di pace). – 1. Alternativamente alla proposizione del ricorso di cui all’articolo 203, il trasgressore o gli altri soggetti indicati nell’articolo 196, qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre ricorso al giudice di pace competente per il territorio del luogo in cui e’ stata commessa la violazione, nel termine di sessanta giorni dalla data di contestazione o di notificazione. 2.& omissis & 3. All’atto del deposito del ricorso, il ricorrente deve versare presso la cancelleria del giudice di pace, a pena di inammissibilità del ricorso, una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore. Detta somma, in caso di accoglimento del ricorso, è restituita al ricorrente. 4. Il ricorso é, del pari, inammissibile qualora sia stato previamente presentato il ricorso di cui all’articolo 203.>>
La previsione letterale ex co. 3 del neo-introdotto art. 204-bis D.Lgs 285/92, parrebbe, però, in evidente contrasto con il vigente art. 4 del R.D.L. 10.03.1910 n. 149 <<& i cancellieri non possono ricevere dalle parti o dai loro procuratori alcuna somma in denaro per qualsiasi titolo. Contravvenendo a questa disposizione, sono assoggettati alle pene disciplinari stabilite dalla legge sull’ordinamento giudiziario>>.
Sul punto è intervenuto il Ministero della Giustizia Dipartimento per gli Affari di Giustizia Direzione Generale della Giustizia Civile, con circolare n. 53 del 13.08.2003 puntualizzando che <<poiché, ai sensi dell’art. 4 del R.D. 10 marzo 1910 nr. 149, tutt’ora in vigore, le cancellerie non possono in alcun modo ricevere versamenti in denaro, è evidente che la formulazione letterale del testo (“deve versare presso la cancelleria& una somma..”) deve necessariamente essere interpretata alla luce della vigente normativa, individuando modalità alternative di versamento presso altri organismi abilitati a ricevere e gestire il deposito. Considerate anche le diverse fasi conseguenti al versamento della cauzione, previste dalla nuova formulazione dell’articolo, questa Direzione Generale ritiene che lo strumento più idoneo per la gestione dell’importo versato, sia il LIBRETTO DI DEPOSITO GIUDIZIARIO aperto presso l’Ente Poste. Tale strumento, infatti, oltre ad assicurare all’utenza uniformità da parte degli uffici, presenti sul territorio, ha il pregio della gratuità, senza penalizzare il ricorrente relativamente agli interessi, in quanto anche quello postale è ormai deposito fruttifero. Tale strumento è peraltro individuato anche dall’art. 2 del citato R.D. 149/1910, (“tutti i depositi in denaro che, secondo le disposizioni vigenti in materia civile e penale possono farsi presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o dai loro procuratori nell’ufficio postale incaricato”)>>.
Tutto ciò premesso, esaminati gli atti, questo Giudice preliminarmente rileva come il predetto ricorso in opposizione a sanzione amministrativa sia stato depositato in Cancelleria in data 18.09.2003 con il contestuale deposito giudiziario della somma di euro 136,50 ed a ciò, all’esito della preliminare valutazione a lui demandata, osserva come il ricorso venga proposto, con il deposito giudiziario della somma, appunto, di euro 136,50 che corrisponde al doppio del minimo della sanzione edittale prevista ed indicata nel verbale quale somma ridotta a fini estintivi (euro 68,25), ma non è pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore.
Infatti il deposito giudiziale cui avrebbe dovuto provvedere il ricorrente avrebbe dovuto essere più esattamente di euro 137,55, cioè la metà di euro 275,10.
Il ricorrente non ha, pertanto, adempiuto all’obbligo, previsto all’art. 204-bis del novellato D.Lgs 30 aprile 1992, n. 285, a pena di inammissibilità del ricorso, del versamento presso la cancelleria del giudice di pace, di una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore.
Questo Giudice ritiene, però, che l’art. 204 – bis del decreto legislativo 30/04/1992 n°285, introdotto dalla legge 01/08/2003 n°214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27/06/2003 n°151 non sia conforme a Costituzione e, pertanto, in via incidentale, rileva d’ufficio questione di legittimità costituzionale, come segue
Sulla rilevanza della questione
Nel caso di specie il collegamento giuridico, e non già di mero fatto, tra la res giudicanda e la norma di legge ritenuta in contrasto con il dettato costituzionale, è ictu oculi e fondamentale ai fini processuali; atteso il rapporto di strumentalità necessaria fra la risoluzione della questione e la decisione del giudizio principale.
Infatti, ove si ritenesse l’art. 204 – bis del decreto legislativo 30/04/1992 n°285, introdotto dalla legge 01/08/2003 n°214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27/06/2003 n°151 conforme a Costituzione, il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile de plano senza previa fissazione dell’udienza di discussione e la convocazione delle parti, ma solo con la semplice comunicazione alle stesse della decisione.
Al contrario, ove si ritenesse il predetto disposto in contrasto con la Costituzione la suddetta opposizione potrà essere esaminata nel merito.
Per altro è sottratto al Giudicante ogni e qualsiasi potere di disporre il versamento, o l’integrazione (che nel caso di specie sarebbe di un euro e cinque centesimi !), della “cauzione” ex co 3 art. 204-bis D.Lgs 285/92, dovendo egli, invece, definire il ricorso con declaratoria di non ammissibilità già all’atto della valutazione preliminare a lui demandata, senza dare pertanto luogo ad alcun ulteriore adempimento processuale
Sulla non manifesta infondatezza
Violazione degli artt. 2 e 3 Cost.
La norma in questione, disponendo il versamento di una somma pari alla metà del massimo edittale della disposizione di legge che si ritiene violata, somma che risulta essere addirittura pari al doppio di quella che consentirebbe di definire la pendenza mediante il pagamento in misura ridotta, discrimina evidentemente i cittadini, consentendo solo a quelli abbienti di ricorrere alla giurisdizione civile, ed impedendolo, di fatto, a quelli che abbienti non sono.
Si consideri, difatti, che il cosiddetto deposito cauzionale in questione può arrivare a toccare somme ingenti. Basti, a mero titolo di esempio, notare che il ricorso avverso la constatazione della violazione all’art. 179 co. 2 bis CdS, ultimo periodo, comporterebbe la “cauzione” di euro 3.200, pari alla metà del massimo edittale di euro 6.400.
Somma, anche in questo caso, addirittura ipoteticamente sovrabbondante rispetto alla sanzione che potrebbe essere determinata dal libero convincimento del giudice, ove si consideri, ulteriormente, che ex co. << 5. In caso di rigetto del ricorso, il giudice di pace, nella de-terminazione dell’importo della sanzione, assegna, con sentenza immediatamente eseguibile, all’amministrazione cui appartiene l’organo accertatore, la somma determinata, autorizzandone il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in caso di sua capienza; & omissis & La eventuale somma residua è restituita al ricorrente.>>
Appare da ciò tautologico che ritenere l’art. 204 – bis del decreto legislativo 30/04/1992 n°285, introdotto dalla legge 01/08/2003 n°214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27/06/2003 n°151 conforme al dettato costituzionale costringerebbe ad affermare che la diversa posizione che il legislatore ha riservato a cittadino e pubblica Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale.
Del tutto evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto che questo Giudice ritiene incostituzionale si presti a tale censura in quanto l’art. 3 della Costituzione della Repubblica Italiana prevede che compito della Repubblica è ri-muovere, non già creare, ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana.
Peraltro, il disposto della cui costituzionalità si dubita lede altresì l’art. 2 Cost. che sancisce il valore assoluto della persona umana, frustrando uno dei diritti fondamentali dell’individuo.
Violazione dell’art. 24 Cost.
La norma in questione, nell’imporre al cittadino che voglia ricorrere in sede giurisdizionale nei confronti di un verbale di contravvenzione al novellato Codice della Strada una cauzione, è in palese contrasto, a parere di questo Giudice, con l’art. 24 della Costituzione. Difatti, l’art. 24, assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi dinnanzi ad ogni giurisdizione, mentre l’art. 204 bis del nuovo CdS va in direzione del tutto opposta. Si consideri, altresì, il fatto che prima della “riforma” di cui si discute il ricorso al Giudice di Pace era del tutto gratuito in siffatta materia, ed il cittadino era ammesso a stare in giudizio da solo, non essendo obbligatoria la difesa tecnica.
Non vi è dubbio che, a seguito dell’imposizione della cauzione che, a ben vedere altro non è che una vera e propria nuova tassa sui ricorsi giurisdizionali, il sistema è totalmente cambiato, ponendosi in netto contrasto con il dettato costi-tuzionale.
Né vale l’obiezione che il ricorso al Prefetto continua ad essere gratuito, in quanto si tratta di ricorso gerarchico, e non di tutela giurisdiziona-le.
Peraltro, si è venuta a creare la paradossale situazione per cui l’eventuale opposizione dinnanzi alla giurisdizione ordinaria avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal Prefetto a seguito del mancato pagamento della sanzione successiva al rigetto del ricorso, non sarebbe soggetta ad alcuna cauzione !
Questo Giudicante non può, altresì, non rammentare in primo luogo a se stesso che la Corte Costituzionale si è già pronunciata, sia pure in materia di cautio pro expensis, con sentenza n° 67 decisa in data 23.11.1960 e depositata il 29.11.1960, ad esito di pubblica udienza, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 98 c.p.c., con i parametri costituzionali ex artt. 3 e 24, poiché <<dalla combinazione fra le norme contenute negli artt. 3 e 24 della Costituzione, si deduce che il principio, secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e la difesa è diritto inviolabile in ogni stato del procedimento, deve provare applicazione per tutti, indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. Con tale principio contrasta l’art. 98 Cod. proc. civ., in quanto, prevedendo la imposizione della cauzione a carico di chi non e’ ammesso al gratuito patrocinio e nell’ipotesi che l’eventuale condanna alle spese possa restare ineseguita, ricollega l’applicazione dell’istituto alle condizioni economiche dell’attore>>.
E’ chiaro come il principio secondo il quale tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi deve trovare attuazione uguale per tutti indipendentemente da ogni differenza di condizioni personali e sociali. Ed è pacifico che l’art. 204 bis CdS ricollega l’istituto alle condizioni economiche dell’attore, e quindi proprio a quelle condizioni soggettive e personali o sociali che l’art. 3 impone di considerare non influenti ai fini della tutela della eguaglianza giuridica.
Ciò anche tenuto conto delle gravi conseguenze (legate all’inibizione dell’azione in caso di mancato versamento della cauzione) rispetto all’esercizio dei diritti che l’art. 24 proclama inviolabili, nonché del fatto che la disparità di trattamento fondata sulle condizioni economiche non è necessariamente eliminata dall’esclusione dell’applicazione dell’istituto nell’ipotesi in cui l’attore sia al beneficio dell’assistenza giudiziaria, tal beneficio essendo subordinato alla dimostrazione dello stato di povertà.
Ma non si possono neppure ignorare le garanzie di cui agli art. 6 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo adottata a Roma il 04.11.1950, resa esecutiva con L 04.08.1955, n. 848 ed entrata in vigore per l’Italia il 26.10.1955. Laddove l’art. 6 par. 1 garantisce ad ogni persona un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale costituito per legge, al fine della determinazione dei suoi diritti e doveri di carattere civile; è quello che viene solitamente chiamato il diritto ad un equo processo. Elemento essenziale di tale garanzia è il diritto di adire i tribunali.
Certo, tale diritto può esser oggetto di una regolamentazione, purché questa abbia per scopo la buona amministrazione della giustizia; l’accesso ai tribunali deve però essere effettivo, e non reso illusorio da ostacoli di fatto o di diritto.
Ciò significa che, in determinati casi, il costo elevato di una procedura, sia per spese giudiziali che per l’obbligo di prestare cauzione processuale, può costituire, per delle persone non abbienti, un ostacolo che rende concretamente illusorio il diritto di adire i tribunali. Ritenuto però che gli Organi di Strasburgo, per valutare se vi sia stata violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione di Roma, esaminano la procedura nel suo insieme, tale ostacolo costituisce violazione solo se non eliminato, ad esempio, dall’istituto della assistenza giudiziaria. Anche dal punto di vista della Convenzione quindi, determinante è il coordinamento degli istituti della cauzione proces-suale e dell’assistenza giudiziaria.
La cauzione processuale imposta ad un insolvente, e quindi ad un persona che per definizione dispone di mezzi limitati, può costituire violazione dell’art. 6 par. 1 della Carta di Roma, almeno nel caso in cui la procedura da questi promossa non sia temeraria. Ciò significa che, ove sia negata l’azione e assistenza giudiziaria alla parte tenuta a prestar cauzione per motivi diversi dalla mancanza di possibilità di successo, la probabilità di violare la garanzia di un equo processo è estremamente elevata.
Alla luce di queste considerazioni appare estremamente problematica l’impossibilità per i non abbienti del diritto di adire i tribunali garantito dall’art. 6 della Carta Europea, e di conseguenza il definitivo ed oneroso ostacolo costituito dall’obbligo di prestare una cauzione processuale ove si trovino in stato d’insolvenza risulta, molto probabilmente, incompatibile con la garanzia di un equo processo.
L’art 14 della Carta di Roma pone il divieto della discriminazione nell’esercizio dei diritti garantiti dalla Convenzione. Tale norma non impone un trattamento assolutamente uguale per tutti, ma esige che, nell’esercizio dei diritti garantiti dalla Convenzione, due persone di situazione comparabile non siano oggetto di trattamento differente fondato su criteri non oggettivi e ragionevoli; una discriminazione è quindi compatibile con l’art. 14 Convenzione solo se persegue uno scopo legittimo e non è sproporzionata. Ed a titolo di esempio tale ar-ticolo cita, quale tipico criterio illegittimo a fondare una discriminazione & la ricchezza !.
Ma allora come non esser perplessi innanzi all’art 204 bis D.Lgs. 285/92 che opera una discriminazione, nel porre una condizione al dirit-to di adire i tribunali, fondata de facto proprio sulla situazione economica dell’attore ?
Pare, infine, non esiziale rammentare anche che la Legge 18 ottobre 1977, n. 793 recante Abolizione del deposito per soccombenza nel processo civile ha abrogato gli artt. 364, 381 e 651, c.p.c. in limine con la pronuncia di incostituzionalità. L’assurdità della norma dell’art. 204-bis D.Lgs 285/92 è, per altro, ben evidente atteso che nessun procedimento giurisdizionale è subordinato alla cautio iudicatum solvi. Talché neppure nel contenzioso tributario, ove in caso di ricorso contro l’atto di accertamento, le imposte o le maggiori imposte, unitamente ai relativi interessi e alle sanzioni, sono – a cura dell’Amministrazione Finanziaria – iscritte a ruolo (c.d. “riscossione a titolo provvisorio”), è richiesto alcun deposito al ricorrente a pena di inammissibilità. Né questa rileva, o peggio è rilevabile de plano (come nel caso che ci occupa), nel caso l’Amministrazione Finanziaria – accogliendo l’istanza del ricorrente – sospenda la predetta iscrizione a ruolo.
Violazione dell’art. 41 Cost.
Il 1° co. del vigente art. 2 del Regio decreto-legge 10 marzo 1910 n. 149 recita <<Tutti i depositi di denaro, che secondo le disposizioni vigenti in materia civile e penale possono farsi presso le cancellerie giudiziarie, compresi quelli per cauzione e per spese giudiziarie, debbono essere eseguiti direttamente dalle parti o dai loro procuratori nell’ufficio postale incaricato del servizio dei depositi giudiziari.>>.
A prescindere da considerazioni, sulle garanzie di libera concorrenza e mercato – che non interessano in questa sede, pur dovendosi osservare una evidente compressione per lo meno della libertà del ricorrente di utilizzare un istituto bancario (addirittura quello di propria fiducia, che, parafrasando la circolare n. 53 del 13.08.2003 del Ministero della Giustizia D.G. Giustizia Civile è certo un <<organismo abilitato a ricevere e gestire il deposito>>, al pari della S.p.a. Poste Italiane – non può non rilevarsi un palese contrasto innanzitutto con la libertà di iniziativa economica, laddove viene disposto l’esclusivo utilizzo dell’Ente Poste, attesa la privatizzazione del servizio postale con la trasformazione dal 28.02.1998 dell’Ente pubblico economico Poste – come precedentemente configurato, e come erroneamente denominato nella predetta circ. 53/03 del Ministero della Giustizia – in “azienda Poste Italiane” S.p.a., come dalla stessa pubblicizzato, con una mission di natura decisamente privatistica.
Da ciò la evidente incostituzionalità del combinato disposto di cui agli artt. 2 e 4 del R.D.L. 149/1910, e 204-bis del D.Lgs 285/92.
Violazione dell’art. 113 Cost.
Per quanto ut supra, l’imposizione della più volte richiamata cauzione di cui all’art. 204 bis CdS citato, costituisce ostacolo ovvero limitazione, almeno nei confronti dei cittadini meno abbienti, della tutela giurisdizionale.
E ciò è in aperto e palese contrasto con il secondo comma dell’art. 113 della Carta Costituzionale.
Si ritiene, quindi, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale e la rilevanza nel procedimento che non può essere deciso indipendentemente dalla risoluzione della predetta questione, per la quale appare necessario adire il giudice delle leggi
P.Q.M.
il Giudice di Pace di Ficarolo, visti gli artt. 1 L. 1/1948 e 23 L. 87/1953, rileva d’ufficio e dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del giudizio la questione di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis del decreto legislativo 30/04/1992 n°285, introdotto dalla legge 01/08/2003 n°214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 27/06/2003 n°151, nei sensi di cui in motivazione, per contrasto con gli artt. 2, 3, 24, 41 e 113 della Costituzione nella parte in cui prevede che all’atto del deposito del ricorso il ricorrente debba versare presso la cancelleria del Giudice di Pace, a pena di inammissibilità del ricorso stesso, una somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta dall’organo accertatore;
sospende il presente giudizio, n° 175/O/03 del Ruolo Generale per gli affari contenziosi dell’anno 2003;
sospende, conseguentemente, l’efficacia esecutiva della sanzione irrogata al ricorrente;
ordina la immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
dispone che copia della presente ordinanza, a cura della Cancelleria, sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera.
Ficarolo (Ro), 24 settembre 2003
Il Giudice di Pace
Dott. Renato Nibbio