Famiglia
Non violano la privacy se prodotte nel giudizio di separazione le foto del detective che immortalano il coniuge infedele. TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE
Non violano la privacy se prodotte nel giudizio di separazione le foto del detective che immortalano il coniuge infedele
TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE
Il Tribunale di S. M. Capua Vetere, Sezione Civile, composto dai Magistrati signori:
Dott.ssa Alessandra Tabarro Presidente
Dott.. Massimo Urbano Giudice
Dott.ssa Barbara Tango Giudice Est.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella causa n. &.. di R.G. avente ad oggetto: reclamo avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di S.M.Capua Vetere il 28/2/03
TRA
Tizia, rappresentata e difesa avv.ti &&& e &&.. e presso di loro elettivamente domiciliata a in &&& alla via && n. &&.come da procura a margine dell’ atto di reclamo
Reclamante
E
Caia, rappresentata e difesa dall’avv.to Alfonso di Nuzzo e presso di lui elettivamente domiciliata in Maddaloni via Libertà 191 come da procura in calce al reclamo notificato.
Reclamata
FATTO
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 4/12/2002 Tizia, premesso che nel corso di un giudizio di separazione giudiziale vertente tra Caia e il marito Sempronio la prima aveva esibito e depositato, al fine di provare una presunta infedeltà del marito, certificazione del PRA, situazione di famiglia e 25 fotografie ove la Tizia è ritratta con lesione irreparabile del diritto alla riservatezza, alla privacy e all’immagine; ciò premesso adiva il tribunale di S.M. Capua Vetere al fine di veder emesso ogni opportuno provvedimento cautelare idoneo a far cessare e/o contenere il pregiudizio alla propria riservatezza, alla privacy e all’immagine nelle more del giudizio di merito teso all’inibitoria dell’abusivo comportamento della Caia.
Instaurato correttamente il contraddittorio, la Caia chiedeva dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e comunque suo rigetto.
Con ordinanza dell’11/2/2003 il giudice designato rimetteva le parti dinnanzi al giudice dinnanzi al quale pendeva il giudizio di separazione coniugale; quest’ultimo, con ordinanza del 28/2/2003 dichiarava inammissibile il ricorso.
Avverso tale ordinanza ha proposto reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. Tizia deducendo l’illegittimità ed ingiustizia dell’ordinanza del 28/2/2003 nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso e ne chiede l’ accoglimento nel merito.
Instaurato legittimamente il contraddittorio, si costituiva la Caia chiedendo di dichiararsi la inammissibilità del reclamo e la sua infondatezza; all’udienza del 29/4/03 il Collegio riservava la causa in decisione.
DIRITTO
Va preliminarmente precisato, in rito, che il reclamo ha natura impugnatoria e con tale strumento possono essere fatti valere vizi di merito e di legittimità nonchè la stessa inopportunità del contenuto del provvedimento; inoltre tale giudizio di gravame è permeato dal principio domanda di tal che il giudice del reclamo deve limitarsi a statuire solo nei limiti del devoluto, pena l’emissione di un’ordinanza ultra petita e senza che possano essere introdotti temi di indagine nuovi rispetto alla prima fase del giudizio.
Ciò chiarito, nel caso de quo deve rilevarsi che la reclamante Tizia ha dedotto l’illegittimità ed ingiustizia dell’ordinanza del 28/2/2003 nella parte in cui ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c. e ne chiede l’accoglimento nel merito.
Quanto alla prima doglianza , la stessa appare fondata.
Va infatti rilevato che l’ordinanza dell’11/2/2003 con la quale il giudice designato a trattare il ricorso ex art. 700 c.p.c. rimetteva le parti dinnanzi al giudice dinnanzi al quale pendeva il giudizio di separazione coniugale, non è qualificabile come una pronuncia sulla competenza atteso che l’art.83 ter disp. att. C.p.c., si limita a regolare il rilievo, da parte del giudice, dell’inosservanza delle norme fissate per la distribuzione degli affari all’interno dello stesso Tribunale; ne consegue che tale ordinanza non è impugnabile né reclamabile.
Vero è piuttosto che il giudice avrebbe dovuto disporre la trasmissione del fascicolo al Presidente del Tribunale e non rimettere direttamente le parti dinnanzi al giudice del processo di separazione coniugale ed anche quest’ultimo avrebbe dovuto procedere secondo l’art. 83 ter disp. atto c.p.c., o decidere la controversia nel merito; decidendo invece con una pronuncia di rito, di inammissibilità del ricorso ex art. 700 c.p.c., ha fatto gravare sulla parte incolpevole l’errore processuale di due giudici.
Per tali motivi il reclamo avverso la pronuncia di inammissibilità del 28/2/2003 non solo è tempestivo ma altresì fondato limitatamente alla prima doglianza.
Nel merito, il ricorso ex art. 700 c.p.c. appare infondato per difetto del fumus boni juris da intendersi come verosimile esistenza del diritto fatto valere in giudizio.
Infatti la Tizia deduce che nel corso di un giudizio di separazione giudiziale, vertente tra Caia e il marito Sempronio, la prima aveva esibito e depositato, al fine di provare una presunta infedeltà del marito, certificazione del PRA, situazione di famiglia e 25 fotografie ove la Tizia è ritratta con lesione irreparabile del diritto alla riservatezza, alla privacy e all’immagine e pertanto chiede emettersi ogni opportuno provvedimento cautelare idoneo a far cessare e/o contenere il pregiudizio alla propria riservatezza, alla privacy e all’immagine nelle more del giudizio di merito teso all’inibitoria dell’abusivo comportamento della Caia.
In realtà va osservato che i documenti incriminati e le fotografie della Tizia, sono state depositate nel corso di un processo civile nel quale la Caia vuole far valere un proprio diritto (al riconoscimento del comportamento colpevole del marito nel corso del matrimonio) e a tale scopo, se si considera il chiaro disposto degli artt. 10 comma 4, 12 lettera H), 20 lett. G) della legge n. 675/96 , nonché la circostanza che nessuno può accedere alla visione del fascicolo processuale eccetto le parti, il giudice ed i procuratori costituiti, viene meno ogni motivo di doglianza da parte della Tizia.
Né può dirsi che la Caia avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato annebbiando od oscurando l’immagine della Tizia atteso che in tal caso la prova del comportamento infedele di Sempronio sarebbe stata meno efficace; del resto anche nel corso di una eventuale prova testimoniale, la stessa richiamata dalla reclamante, nulla esclude che qualcuno dei testimoni avrebbe potuto citare il nome della Tizia, in tal caso facendo venir meno quel diritto alla riservatezza che deve necessariamente essere contemperato con esigenze di rango superiori qual è quello dell’ accertamento della verità nel corso di un processo, penale o civile che sia.
Si vuol dire che le finalità della giustizia, nei limiti strettamenti necessari qual è il caso de quo, impongono, come chiarito dalla recente legge n. 675/96, che costituisce la massima fonte di tutela della privacy e della riservatezza, una legittima violazione anche dell’immagine altrui, pena l’impossibilità di far valere un prorpio diritto dinnanzi al giudice.
Per tutti questi motivi il reclamo va rigettato ed ogni altra questione deve ritenersi assorbita.
Attesa la delicatezza della materia e l’accoglimento della prima doglianza, le spese di lite di tutte le fasi cautelari per equità vanno interamente compensate.
P.Q.M.
Rigetta il reclamo per difetto del fumus bonijuris. Compensa le spese di lite.
S. Maria Capua Vetere, lì 6 maggio 2003