Penale

Friday 21 May 2004

Non potendo garantire un giusto processo in tempi ragionevoli, il Senato dichiara guerra alla prescrizione e studia una modifica della sua disciplina

Senato della Repubblica «Disposizioni in materia di prescrizione del reato alla luce del principio di “ragionevole durata” del processo» (Ddl 2699/S, primo firmatario: sen. Elvio Fassone, Ds. Articolato e relazione) Articolo 1 1. L’articolo 157 del codice penale è sostituito dal seguente: «Articolo 157. – (Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere). – La prescrizione estingue il reato: a) in venti anni se si tratta di delitto per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni; b) in quindici anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a dieci anni; c) in dieci anni se si tratta di delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore a cinque anni; d) in cinque anni se si tratta di altri delitti o di contravvenzioni punite con la pena dell’arresto, solo o congiunto a pena pecuniaria; e) in tre anni se si tratta di contravvenzioni punite con la sola pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato. Non si tiene conto delle circostanze aggravanti o attenuanti. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e dall’ammenda si applicano i termini di cui alla lettera d) del primo comma». Articolo 2 1. L’articolo 159 del codice penale è sostituito dal seguente: «Articolo 159. – (Mancata attuazione della prescrizione). – La prescrizione del reato non si verifica se, entro i termini di cui all’articolo 157, perviene all’autorità giudiziaria la notizia del reato». Articolo 3 1. Nel Titolo III del libro V della Parte seconda del codice di procedura penale, dopo l’articolo 346 sono inseriti i seguenti: «Articolo 346bis. – (Prescrizione del procedimento). – 1. Il giudice dichiara non doversi procedere per prescrizione del procedimento quando, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 346ter: a) dal momento in cui è pervenuta all’autorità giudiziaria una notizia di reato sono decorsi più di due anni senza che sia stato emesso il provvedimento con cui il pubblico ministero esercita l’azione penale; b) dal provvedimento di cui alla lettera a) sono decorsi più di due anni senza che sia stato dichiarato aperto il dibattimento; c) dalla dichiarazione di cui alla lettera b) sono decorsi più di due anni senza che sia stata emessa la sentenza che definisce il giudizio di primo grado; d) dalla sentenza di cui alla lettera c) sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata la sentenza che definisce il giudizio di appello; e) dalla sentenza che definisce il giudizio di appello sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata sentenza da parte della Corte di cassazione; f) dalla sentenza con cui la Corte di cassazione ha annullato con rinvio il provvedimento oggetto del ricorso sono decorsi più di due anni senza che sia stata pronunciata nuova sentenza da parte della Corte di cassazione. 2. I termini di cui al comma 1 possono essere aumentati sino a sei mesi. Tale ulteriore termine viene imputato a quello della fase precedente, ove non sia stato completamente utilizzato, ovvero a quello della fase successiva, che viene ridotto per la durata corrispondente. 3. Nel caso in cui sia necessaria una rogatoria internazionale, il termine di fase è aumentato del tempo necessario al suo espletamento. Articolo 346ter. – (Sospensione del corso della prescrizione del procedimento) – 1. Il corso dei termini indicati nell’articolo 346bis è sospeso: a) nei casi di autorizzazione a procedere o di questione deferita ad altro giudice, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge; b) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova; c) nell’udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l’udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori, che rendano privi di assistenza uno o più imputati; d) per il tempo necessario a conseguire la presenza dell’imputato estradando. 2. Nei casi di autorizzazione a procedere, la sospensione di cui al comma 1 si verifica dal momento in cui il pubblico ministero effettua la relativa richiesta. 3. La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione. Nel caso di autorizzazione a procedere, il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità giudiziaria riceve notizia che l’autorità competente ha accolto la richiesta. 4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 non si applicano ai coimputati ai quali i casi di sospensione non si riferiscono, se essi chiedono che nei loro confronti si proceda separatamente e se il giudice dispone la separazione, ritenendo che la stessa sia utile ai fini della speditezza del processo. 5. Quando si procede congiuntamente per più reati, la sospensione del corso della prescrizione per taluno di essi opera anche nei confronti degli altri. Articolo 346quater – (Richiesta di prosecuzione). – 1. L’imputato può richiedere che si proceda, nonostante siano maturati i presupposti per la dichiarazione di prescrizione di cui all’articolo 346bis. La richiesta è formulata personalmente in udienza, ovvero è presentata dall’interessato personalmente, o a mezzo di procuratore speciale. In quest’ultimo caso la sottoscrizione della richiesta deve essere autenticata nelle forme previste dall’articolo 583, comma 3. 2. Qualora il giudice abbia già dichiarato di non dover procedere per prescrizione del procedimento, e l’imputato non abbia avuto la possibilità di presentare previamente la richiesta di cui al comma 1, la stessa può essere presentata entro dieci giorni dalla notifica del provvedimento. In tal caso il giudice revoca la precedente declaratoria e dispone procedersi. 3. La richiesta non è revocabile e non può essere formulata solamente nei confronti di taluna delle imputazioni formulate. Se in una fase successiva del procedimento maturano nuovamente i presupposti per la dichiarazione di prescrizione, la richiesta deve essere rinnovata. 4. Ove si sia proceduto in seguito alla richiesta di cui al comma 1, la causa di improcedibilità non può più essere invocata né applicata. 5. Qualora si proceda congiuntamente nei confronti di più imputati, la richiesta di taluno non impedisce la declaratoria di improcedibilità nei confronti degli altri». Articolo 4. 1. Nel comma 2 dell’articolo 345 del codice di procedura penale le parole: «La stessa» sono sostituite dalle seguenti: «Al di fuori dei casi di cui all’articolo 346bis, la stessa». Articolo 5 1. Nei procedimenti in corso all’entrata in vigore della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, se più favorevoli all’imputato. Articolo 6 1. Gli articoli 160 e 161 del codice penale sono abrogati. Articolo 7 1. Nell’articolo 3, comma 2, del regolamento di cui al decreto del Ministro di grazia e giustizia 30 settembre 1989, n. 334, è aggiunta la seguente lettera: «dbis) una scheda, aggiornata dal cancelliere e controfirmata dal magistrato che procede, indicante le date ed i fatti rilevanti ai fini della prescrizione del procedimento, e la data secondo la quale è attualmente prevedibile che debba maturare l’improcedibilità». Relazione Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge si propone di sviluppare e modificare il precedente disegno n. 260, presentato dagli stessi firmatari, a seguito delle osservazioni e delle riflessioni scaturite in occasione della discussione del medesimo nella Commissione giustizia del Senato. Di tale disegno, pertanto, riprende le premesse e l’impianto, e ad esso intende apportare talune correzioni suggerite dal dibattito. 1. Rimangono valide le considerazioni che indussero, e oggi ancor più inducono, ad un intervento nella materia. Sempre maggiore è il numero dei processi che vengono dichiarati estinti per prescrizione. Innumerevoli sono i processi nei quali il contenzioso è privo di reale sostanza, e si sviluppa unicamente per l’interesse dell’imputato a conseguire la causa estintiva. Si accentua la disparità di condizioni tra gli imputati che possono permettersi una difesa spregiudicata e costosa, alla fine «premiata» con la pronuncia del non doversi procedere, e quelli che non possiedono le possibilità economiche e tecniche per sfruttare sino in fondo le risorse che il processo offre per giungere a tale esito. Pesante è la distorsione che patisce il lavoro giudiziario, ogni magistrato essendo principalmente impegnato a fare sì che la prescrizione non si verifichi nel segmento processuale affidato alla sua responsabilità, e assai meno attento ad una visuale complessiva del procedimento e ad un giudizio di economia del proprio operato. Alle ragioni ampiamente esposte nel disegno di legge 260, e qui riprodotte solo in sintesi, si è aggiunta una notevole elaborazione ed una crescente sensibilità al recente disposto del «novellato» articolo 111 della Costituzione, il cui secondo comma stabilisce, come è noto, che «la legge assicura la ragionevole durata del processo». Questa proposizione, a differenza delle altre, non è concepita in termini di riconoscimento di diritti in capo alla persona accusata (come invece si esprime l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 848/55, secondo la quale «toute personne a droit que sa cause soit entendue … dans un délai raisonnable»), ma quale prospettazione di un impegno e di un vincolo per il legislatore, che deve costantemente bilanciare la struttura dei vari istituti con l’esigenza che essi non costituiscano un appesantimento eccessivo del processo. Secondo un’autorevole dottrina, il disposto costituzionale ha inciso profondamente sulla dommatica delle garanzie nel processo, nel senso che la ragionevole durata deve rappresentare un valore anch’esso di rango costituzionale, e perciò deve prudentemente bilanciarsi con l’altro valore costituzionale rappresentato dal patrimonio essenziale delle garanzie che presidiano il processo penale (imparzialità del giudice, contraddittorio, diritto di difesa): non nel senso di giustificare il suo sacrificio perché il tempo speso per assicurare quel nucleo essenziale non può mai dirsi irragionevole, ma nel senso di legittimare un argine all’illimitata moltiplicazione delle garanzie in cui esso può astrattamente esprimersi. Per cui, ognuna di tali garanzie va ponderata attentamente, per valutare se rientri nel nucleo essenziale insopprimibile, ovvero se il surplus rispetto a quel nucleo possa riverberarsi sui tempi processuali, così da renderli «non ragionevoli». A questa stregua, la prescrizione non può dirsi ricompressa nel nucleo essenziale delle garanzie, trattandosi di un istituto introdotto per finalità di pace sociale e di certezza delle posizioni processuali. Per giunta, la concreta disciplina vigente ha fatto sì che essa non sia più un evento ineliminabile ma raro, bensì un traguardo normalmente raggiungibile almeno per i reati di media gravità. In conseguenza essa ha introdotto nel processo una permanente e deliberata tensione verso la sua decelerazione, una corsa a rovescio contro il tempo, non per concludere un certo percorso entro la misura assegnata, ma per fare trascorrere la misura senza che la conclusione si realizzi. Essa è quindi uno dei principali ostacoli all’attuazione del precetto sulla «ragionevole durata» del processo medesimo. 2. La necessità di un mutamento di prospettiva è resa più evidente dalla debolezza delle ragioni usualmente esposte per giustificare l’istituto della prescrizione. La più tradizionale risiede nella pretesa «indifferenza» della collettività a reprimere fatti risalenti nel tempo: decorsa una certa misura temporale, progressivamente maggiore quanto maggiore è la gravità del reato, non vi sarebbe più un interesse a perseguire fatti che la memoria comune ha già dimenticato. L’obiezione è agevole: questo disinteresse, per intanto, non può addursi se non dopo una quantità di tempo così apprezzabile da giustificare l’oblio; e pertanto esso non è invocabile quando i tempi sono quelli brevissimi previsti dai numeri 5 e 6 del primo comma dell’articolo 157 del Cp a proposito delle contravvenzioni (due o tre anni): ne è prova il rilievo che molte di queste contravvenzioni sono espressamente eccettuate dai vari provvedimenti di amnistia, come segno di un rilevante interesse alla loro punizione. Ne consegue che è illogico prevedere per esse un termine di prescrizione che è oggettivamente insufficiente per potersi parlare di oblio collettivo, e processualmente insostenibile. Il preteso disinteresse della collettività, poi, è smentito all’evidenza nelle numerose vicende giudiziarie nelle quali si assiste ad un’autentica corsa contro la prescrizione, a sforzi e strategie volte ad evitare quella conclusione che l’improvvida disciplina processuale rende inevitabile, sebbene l’apparato abbia fatto il possibile per evitarla. Non meno fragile è l’altra proposizione, anch’essa tradizionalmente posta a sostegno della prescrizione, secondo la quale dopo un certo tempo l’accusato è in difficoltà nel reperire le prove a sua difesa, le prove stesse sbiadiscono e diventano poco affidabili, e quindi è preferibile rinunciare ad un processo che avrebbe in sé un tasso troppo alto di incertezza. Anche a questo riguardo non è difficile replicare che la tesi avrebbe un senso solo quando l’imputato ricevesse notizia dell’accusa dopo molto tempo, non quando è stato posto nella condizione di contraddire a poca distanza dal fatto; che l’argomento, a tutto concedere, può valere sino al momento in cui le prove sono di fatto assunte, e non dopo (talché la prescrizione non dovrebbe più maturare nei gradi di impugnazione); e infine che, se questo è il motivo, diventa illogica la diversificazione dei termini a seconda dei reati, giacché l’affidabilità di un certo tipo di prova (ad esempio una testimonianza) non può essere ammessa se viene assunta in un processo per rapina a dieci o più anni di distanza dal fatto, e negata se resa in un processo per contravvenzione, a soli due o tre anni dal fatto. Resta, quindi, quale unico valore meritevole di tutela, la giuridica aspettativa dell’accusato a non restare sotto la soggezione del processo per un tempo troppo lungo (articolo 6 della citata Convenzione europea). Ma questa ragione modifica notevolmente l’angolo visuale sotto il quale si deve riguardare l’istituto. Di un’aspettativa legittima di prescrizione può parlarsi solo quando altri (e cioè un soggetto diverso dall’accusato) tiene in vita il processo al di là di quella «ragionevole durata» che individua il confine della soggezione. Non quando è l’accusato stesso che determina il protrarsi del processo con un proprio atto, di suo esclusivo interesse. In questa ipotesi l’aspettativa di prescrizione si colora diversamente, essendo indiscutibile il diritto dell’imputato ad esercitare la facoltà che la legge gli attribuisce, ma essendo illogico che dal compimento egli tragga un vantaggio diverso ed ulteriore (la prescrizione) rispetto a quello coessenziale alla facoltà esercitata (ad esempio, la richiesta di un rinvio o l’esperimento di un’impugnazione). 3. Rimeditati questi concetti, già svolti nel ricordato disegno di legge 260, trova conferma la principale delle innovazioni in allora proposte, e cioè la distinzione tra la nozione di «prescrizione del reato» e quella di «prescrizione dell’azione» o, più correttamente, «del procedimento» (posto che, come è noto, l’azione penale nel nostro modello processuale insorge alla conclusione delle indagini preliminari, mentre la prescrizione del procedimento può operare anche prima dell’esercizio dell’azione). La prescrizione del reato continua ad essere intesa come istituto di diritto sostanziale, cioè come estinzione dell’ipotesi di reato, che, secondo la ratio primitiva, si verifica automaticamente per effetto del decorso di una certa quantità di tempo dal fatto senza che il processo sia stato attivato. La prescrizione del procedimento, invece, si fa più propriamente espressione della sensibilità moderna, e cioè come istituto di natura processuale (cioè come non luogo a procedere) che si produce quando il processo si svolge con cadenze troppo distanziate e lente. In tal modo la prescrizione del reato recupera quel che vi è di valido nella giustificazione tradizionale dell’istituto, e cioè l’affievolirsi dell’interesse della comunità a perseguire reati commessi in data remota. Ridiventa plausibile dire che il venir meno dell’interesse a perseguire tanto prima si manifesta quanto meno grave è il reato; e l’affievolirsi dell’interesse discende esclusivamente dall’inerzia nel far giungere la notizia del reato all’autorità giudiziaria, non dalle ostruzioni che la stessa trova sul suo cammino di accertamento. Donde l’esigenza logica che questo «tempo dell’oblio» si sviluppi esclusivamente tra il fatto-reato e l’inizio del procedimento; e, per converso, che a questo istituto di diritto sostanziale rimangano estranei fenomeni di natura processuale, quali gli atti interruttivi che modulano lo svolgersi della vicenda. La prescrizione del procedimento, invece, si muove nel solco dell’esigenza di una «durata ragionevole» del processo. Essa tutela, da un lato, l’aspettativa dell’imputato a che il processo si concluda entro una certa misura di tempo; e, dall’altro lato, l’aspettativa dell’istituzione procedente a poterlo concludere senza essere penalizzata da altro che non sia la propria scarsa sollecitudine. È prevedibile l’obiezione che in tal modo si voglia introdurre surrettiziamente un raddoppio dei tempi, e che non è corretto rimediare agli esiti di prescrizione dilatando i termini anziché rendendo più spedito l’apparato. Ma l’obiezione non è fondata: la combinazione dei due istituti (prescrizione del reato e prescrizione del procedimento) non può essere vista come la somma aritmetica di due quantità di tempo, perché la notizia di reato perviene di regola all’autorità giudiziaria a poca distanza dalla commissione del reato stesso, ed a questo punto è già interamente ed irrevocabilmente consumato tutto il primo segmento temporale: per cui i cinque, dieci, quindici o più anni previsti oggi dal Cp si tradurranno normalmente in pochi giorni o in poche settimane, e il termine-base servirà unicamente ai rari casi di emersione tardiva della notizia. Quindi l’architettura complessiva si risolve in linea di massima in un accorciamento dei tempi (quanti fascicoli rimangono intonsi negli armadi per anni, oggi che il termine-base di prescrizione è molto ampio!), e l’utilizzo molto ridotto del primo termine legittima una rimodulazione del secondo. 4. Non solo: muovendoci ancora per un momento sul piano del diritto penale sostanziale, appare quanto mai opportuno introdurre una semplificazione nell’individuazione della pena massima sulla quale tarare la fascia prescrizionale. Oggi il secondo comma dell’articolo 157 del Cp attribuisce rilevanza sia alle circostanze aggravanti, sia alle attenuanti, con esiti macchinosi e contorti: la prospettazione di un certo termine di prescrizione, infatti, può discendere inizialmente da una più o meno fondata contestazione di aggravanti, mentre, al contrario, la concessione di attenuanti non oggettivamente prevedibili può fare slittare il reato in una fascia più breve, quando gli esiti di prescrizione non sono più riparabili. Eliminando invece la rilevanza di ogni circostanza, sia aggravante sia attenuante, si rimuovono gli inconvenienti predetti, e si aggiunge un argomento a sostegno della tesi che la disciplina qui proposta, impedendo artificiose dilatazioni del termine-base attraverso il gioco delle aggravanti, finisce con il ridurre, anziché ampliare, i termini reali della prescrizione nel suo complesso. 5. Passando alla descrizione analitica della disciplina della prescrizione del reato, sembra bene prospettare, quanto ai delitti, una gamma di termini molto simile a quella oggi disegnata dall’articolo 157 del Cp. La ricordata sterilizzazione delle aggravanti e il rilievo che questo segmento è utilizzato, per lo più, solo in minima parte fanno ritenere adeguate le quantità temporali oggi previste. Viceversa sembra da perseguirsi, per quanto detto nel paragrafo 1, una maggiore ampiezza quanto alle contravvenzioni, poiché esse non rappresentano affatto (soprattutto nella legislazione più moderna) dei «reati nani», ma al contrario condotte lesive di interessi diffusi e rilevanti. Appare opportuno, pertanto, definire in cinque e tre anni il termine di prescrizione dei reati contravvenzionali, a seconda che per essi sia o non sia prevista anche la pena dell’arresto. 6. Per quel che concerne, invece, la prescrizione del procedimento, la tecnica prospettata dal disegno di legge 260 conservava l’istituto dell’interruzione della prescrizione in seguito al compimento di determinati atti tassativamente individuati, ma proponeva l’abbattimento del limite della metà che il termine di base poteva subire per effetto del compimento di tali atti. In luogo del «tetto» si prospettava un meccanismo di pura interruzione, e quindi di ripristino del termine per effetto degli atti interruttivi, ma con il vincolo che ciascuno di essi si legasse al precedente secondo un intervallo contenuto (individuato in due anni). È stato obiettato che in tal modo si veniva a configurare un termine complessivo di prescrizione esageratamente lungo, in quanto frutto della somma di numerosi biennii. Tale preoccupazione, in realtà, non avrebbe fondamento nella maggior parte dei casi, poiché gli atti interruttivi elencati sono spesso alternativi fra loro o strettamente conseguenti (l’interrogatorio reso dall’indagato segue di pochissimo l’invito a presentarsi per renderlo, e la menzione del secondo serve essenzialmente per il caso che il primo non si effettui; analogamente per le varie coppie di atti che accostano la richiesta di un provvedimento e l’emanazione del medesimo). Tuttavia si può convenire che, da un lato, il termine complessivo sia comunque passibile di amplificazioni preoccupanti; mentre, sul versante opposto, si deve osservare che il meccanismo non mette neppur esso al riparo da comportamenti strenuamente ostruzionistici, tuttora allettati dal fatto che un termine rigido è comunque configurato (ad esempio, l’intervallo di due anni tra il decreto che dispone il giudizio e la sentenza che lo chiude può in effetti essere inadeguato, se il dibattimento è costellato di rinvii, di ostruzioni o di attività più o meno pretestuose). Di qui la necessità di un ripensamento che si modelli sulla tecnica già adottata da tempo a proposito dei termini massimi di custodia cautelare, cioè della combinazione di due formule: quella dell’individuazione di segmenti processuali ai quali far corrispondere un tempo massimo adeguato (il cosiddetto termine di fase); e quella della sospensione allorquando il tempo non è utilizzabile ai fini processuali. Il meccanismo non è altro che la correzione di un’anomalia, rappresentata dalla presenza di un termine il cui decorso produce effetti negativi per una parte, ma in conseguenza non già dell’inattività della parte stessa, bensì (anche) di impedimenti frapposti dalla controparte. L’anomalia è così evidente che l’istituto della sospensione è stato introdotto con ampiezza, e conservato senza contrasti, in una materia delicata come la libertà personale (articolo 304 del Cpp). La stessa disciplina della prescrizione ha già collegato, senza darne una lettura sistematica, la disciplina della sospensione e quella della custodia cautelare (articolo 159 comma 1 del Cp). E la giurisprudenza, a sua volta, sollecitata dal richiamo contenuto nel nuovo articolo 111 della Costituzione, ha provveduto ad una rilettura dell’articolo 159 del Cp, statuendo che «in tema di prescrizione del reato, la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano la sospensione dei relativi termini ogni qual volta siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta» (Cassazione, Su, 1021/01). 7. Sulla scia di questa progressiva assimilazione, si può pertanto prevedere una serie di termini di fase, e costruire un sistema di cause di sospensione, che fermano l’orologio nei casi in cui non si può addebitare al procedimento la sua momentanea stasi. Il termine di fase può essere definito singolarmente in due anni, sia per la fase delle indagini preliminari, sia per ogni grado del giudizio. Quanto alle indagini, esso si modella sul termine già previsto dall’articolo 407 del Cpp, e le eventuali accidentalità che talvolta rendono necessario un tempo maggiore (in effetti non escluso dagli articoli 407 e 430 del Cpp) possono essere adeguatamente fronteggiate attraverso il meccanismo della sospensione. Quanto al dibattimento (che soprattutto nel primo grado patisce le maggiori difficoltà, sia per la pesantezza dei ruoli, sia per la complessità dell’istruttoria) anche a questo riguardo la tecnica della sospensione finisce con il premiare i «tempi attivi» del giudizio e con il neutralizzare i «tempi di attraversamento» dovuti ai rinvii forzati, e quindi appare appropriata al contemperamento delle note opposte esigenze. La scelta delle cause di sospensione è bene sia modellata sulle esperienze già in atto. L’articolo 159 del Cp offre un primo elenco, tarato sulla sospensione del procedimento: se questo subisce un blocco radicale, o anche parziale, è logico che non decorra il tempo utile a prescrivere. È questa la situazione di più immediata evidenza, tanto che anche la legislazione più recente se ne è fatta carico: si veda l’articolo 1 della legge 248/02, in tema di rimessione dei procedimenti nonché l’articolo 3 della legge 140/03, in tema di attuazione dell’articolo 68 della Costituzione. Dunque sono cause rilevanti: a) come ipotesi di blocco totale, ogni caso in cui la sospensione del procedimento è imposta da una particolare disposizione di legge (articoli 3, 47, 71, 477, 479, 509 del Cpp; articolo 23 della legge 87/1953; articolo 35 del D.Lgs 274/00, b) come casi di blocco parziale, le situazioni in cui la sospensione della prescrizione è imposta da una disposizione di legge, a prescindere dalla sospensione del procedimento (articolo 343 del Cpp, in tema di necessità dell’autorizzazione a procedere; articolo 16 della legge 152/75; c) come situazioni non di sospensione (in cui il termine finale della stessa non dipende dalla volontà del giudice che procede), ma comunque di temporaneo ostacolo a proseguire, i casi in cui il «fermo dell’orologio» è già considerato rilevante e legittimo a proposito dei termini di custodia cautelare (articolo 304 del Cpp, e pertanto le situazioni in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa dell’impedimento o della richiesta o della mancata presentazione o partecipazione dell’imputato o del suo difensore, nei sensi ivi specificati). A queste ipotesi sembra doveroso aggiungere quelle in cui il blocco del procedimento si verifica per una causa esterna, non imputabile e non governabile dagli organi della giurisdizione, e perciò: d) i casi in cui il processo non può essere celebrato per la necessità di conseguire la presenza fisica dell’imputato estradando; e) i casi in cui è necessario espletare una rogatoria internazionale. 8. Affacciata questa costruzione dell’istituto, è però doveroso farsi carico del rilievo che essa rischia di penalizzare pesantemente la giurisdizione, sebbene incolpevole, poiché un qualche fatto impeditivo (ad esempio, la necessità di sostituire un giudice in una fase del dibattimento molto avanzata, ovvero una «novella» legislativa che costringa a ripercorrere un qualche tratto del procedimento, o simili) oggi può essere assorbito diluendone l’impatto su tutto l’arco della misura temporale prevista dall’articolo 157 del Cp, domani potrà produrre effetti estintivi immediati, non fronteggiabili sebbene l’apparato si sia mosso senza negligenza. Considerando che, a differenza del regime vigente, il «risparmio» eventualmente operato in una fase non giova alla fase successiva, e questo produce un ulteriore contenimento del termine complessivo, si può ritenere corretto ed opportuno introdurre un meccanismo di recupero, simile a quello già utilizzato dal Dl 341/00, convertito, con modificazioni, dalla legge 4/2001, che ha modificato l’articolo 303 del Cpp. In forza di tale meccanismo si stabilisce che in ogni singola fase il termine di base può essere prolungato per non oltre sei mesi, i quali vanno imputati o a quello della fase precedente, se non completamente utilizzato, ovvero al termine previsto per la fase successiva, che ne risulterà depauperata per il tempo corrispondente (ovviamente le fasi estreme, e cioè le indagini preliminari e il giudizio di cassazione, fruiranno di una sola delle due possibilità). In tal modo non si dilata il termine complessivo, ma si possono neutralizzare eventuali accidentalità negative. 9. Quanto al regime transitorio, i procedimenti in corso non saranno interessati dalla modifica di diritto penale sostanziale (vale a dire dalla prescrizione del reato nel senso qui illustrato), se ed in quanto essa rappresenti un regime meno favorevole per l’imputato. La prescrizione del reato, infatti, sebbene si configuri come una causa di non luogo a procedere (tant’è vero che è possibile la rinuncia da parte dell’imputato, il che non sarebbe coerente con un istituto di diritto sostanziale), viene considerata dalla dottrina come un aspetto del fenomeno penale sostanziale, e quindi la successione di leggi penali al riguardo deve essere regolata alla stregua dell’articolo 2, comma terzo del Cp. L’aspetto di diritto processuale (e cioè la regola della prescrizione del procedimento, quale qui introdotta) in quanto tale dovrebbe essere soggetta alla regola del tempus regit actum: ma poiché finisce anch’essa con l’interferire con l’istituto di diritto penale sostanziale, sembra inevitabile pervenire alle medesime conclusioni di cui sopra. Pertanto nei procedimenti in corso il termine di prescrizione sarà quello risultante in concreto più vantaggioso per l’imputato, a seconda che si applichi la disciplina vigente o quella di nuova introduzione, ferma restando l’impossibilità di «contaminare» i due istituti nella ricerca di una terza soluzione ancora più benevola dell’una o dell’altra. 10. Anche la prescrizione del procedimento deve essere suscettibile di rinuncia da parte dell’imputato, secondo quanto a suo tempo statuito dalla Corte costituzionale con sentenza 275/90.