Penale
Non cosmeette reati il genitore affidatario che non porta il figlio malato dall’altro genitore
Cassazione – Sezione sesta – sentenza 14 ottobre 2009 – 11 gennaio 2010, n. 736
Presidente Di Virginio – Relatore Paoloni
Motivi della decisione
1. – L. B. era tratta a giudizio innanzi al Tribunale di Enna per rispondere del reato di elusione continuata dei provvedimenti adottati dal giudice civile di quello stesso Tribunale nell’ambito della causa di separazione dal coniuge M. L. F. e concernenti la possibilità per il L. F. di tenere con sé, in giorni ed ore determinati, il figlio minore F. L., affidato alla madre. Condotta protrattasi, come da accusa contestata, dal omissis all’omissis.
Con sentenza del 27.1.2006 il Tribunale di Enna dichiarava la B. colpevole del reato ascrittole e, concesse generiche circostanze attenuanti, la condannava alla pena condizionalmente sospesa di due mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno (da liquidarsi in separato giudizio) in favore della costituita parte civile M. L. F.. La decisione focalizzava l’affermata responsabilità dell’imputata su due unici episodi di condotta elusiva verificatisi il omissis e l’omissis, giorni nei quali la B. impediva al coniuge separato di tenere con sé il figlio minore, producendo certificati medici (acquisiti in atti) registranti in entrambi i casi uno stato di malattia del bambino. Certificati che attestavano, secondo la sentenza, “patologia non oggettivamente riscontrata dal medico sul minore, ma semplicemente riferita verbalmente dalla B. e limitata ai soli giorni previsti per l’affidamento del minore al padre”. In siffatta condotta della donna il giudice di primo grado ravvisava l’attuazione di una sua consapevole volontà elusiva, nelle due circostanze, del previsto affidamento temporaneo del bambino al padre.
L’imputata proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale.
Con la sentenza resa il 28.9.2007, in epigrafe indicata, la Corte di Appello di Caltanissetta in parziale riforma della sentenza del Tribunale ha assolto la B. per insussistenza del fatto dall’incriminato episodio dell’omissis (il medico curante del bambino avendo testimoniato di aver visitato in tale occasione il piccolo, consigliando di tenerlo in casa al riparo da sbalzi di temperatura). La Corte ha confermato “nel resto” l’impugnata decisione con conseguente riduzione della pena ad un mese di reclusione (pena dichiarata per intero condonata ai sensi della legge n. 241/2006).
Per la parte in cui ha confermato la condanna della B. la sentenza di secondo grado evidenzia la attendibilità delle dichiarazioni dibattimentali della persona offesa, l’ex coniuge dell’imputata M. L. F., secondo il quale la B. “in più occasioni” si era rifiutata di consegnargli il bambino nei termini definiti dal giudice civile, “adducendo come scusa il fatto che il bambino era ammalato, mostrandogli con iattanza dei certificati medici e in talune occasioni sostenendo al contrario che non era tenuta ad esibire alcuna certificazione sanitaria attestante la patologia dalla quale il minore era affetto”.
2. – Contro la sentenza della Corte territoriale L. B. ha proposto, con l’ufficio del difensore, ricorso per cassazione, adducendo vizi di violazione di legge (processuale e sostanziale) e di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, come di seguito sintetizzati.
1. Violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza (artt. 516, 521 cpp) e difetto di motivazione sulle reali connotazioni dell’accusa ex art. 388 co. 2 cp.
La sentenza di appello ha alterato il paradigma dell’accusa, poiché – disattendendo in peius la sentenza di primo grado, che ha circoscritto l’antigiuridica condotta omissiva della donna ai soli due episodi verificatisi il omissis e l’omissis – ha escluso la responsabilità dell’imputata da detto secondo episodio, ma ha ritenuto per il resto consumato il reato in più episodi oltre quello del omissis. In tal modo i giudici nisseni hanno travisato le emergenze dibattimentali, tralasciando di precisare in quali altre occasioni intermedie, dopo quella del omissis, si sarebbe verificato un supposto analogo contegno elusivo della B..
2. Erronea applicazione degli artt. 388 co. 2 cp e 192 cpp.
I giudici di appello hanno valorizzato, ai fini della confermata parziale (se pur alterata nei termini anzidetti) responsabilità della B., la credibilità delle dichiarazioni accusatorie dell’ex coniuge persona offesa. Ma tale assunto si mostra, da un lato, incompleto e fuorviante, dal momento che trascura di rilevare che lo stesso L. F. ha ammesso di essere al corrente del cagionevole stato di salute del bambino e di sapere che diverse volte si era reso necessario ricoverarlo in ospedale. Da un altro lato la attendibilità del padre del bambino non riveste carattere decisivo nella valutazione del comportamento dell’imputata. Sia perché detta attendibilità non esclude l’incolpevole convinzione putativa del L. F. del carattere strumentale ed elusivo degli ostacoli frapposti dalla moglie separata, con l’addurre stati di malattia del bambino per non fargli tenere con sé il figlio nei giorni stabiliti dal giudice civile. Sia perché, soprattutto, i giudici di appello – al pari del giudice di primo grado – si sono astenuti dal verificare la tesi difensiva dell’imputata (che sarebbe stata mossa dal solo intento di tutelare la salute del bambino e non da quello di impedire od ostacolare i contatti con il padre) e di analizzare la sussistenza di cause giustificative del contegno della donna, offrendo ragione dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 388 co. 2 cp.
3. Violazione degli arti. 53 e 57 L. 689/81, 133 e 133 bis cp. In subordine, tenuto conto dell’esiguità della pena inflitta, la Corte territoriale ben avrebbe potuto applicare all’imputata la sanzione della pena pecuniaria sostitutiva della pena detentiva irrogata.
3. – Il ricorso proposto da L. B. è assistito da fondamento in punto di sua confermata parziale responsabilità per il reato contestatole (il terzo motivo di censura, subordinato, è indeducibile ex art. 606 co. 3 cpp, perché attinente a presunta violazione di legge non dedotta con i motivi di appello).
A. Sul piano strettamente tecnico-giuridico il rilievo attinente alla inosservanza del principio di correlazione tra accusa e sentenza di appello per gli effetti di cui all’art. 522 cpp non è in sé fondato, poiché a ben considerare la decisione impugnata non ha dato ingresso ad una immutazione del “fatto” contestato all’imputata idoneo a vulnerarne il diritto di difesa. Per la semplice ragione che l’originaria imputazione elevata nei confronti della donna e per la quale la stessa è stata tratta a giudizio contempla formalmente (con l’esplicita enunciazione dell’art. 81 cpv. cp) e sostanzialmente (attraverso l’indicazione della data di consumazione del reato continuato: “dal omissis sino all’omissis”) la attribuzione di una pluralità di fatti reato, unificati da una medesima progettualità criminosa, integrativi della regiudicanda rappresentata dall’inosservanza delle previsioni giudiziali civili concernenti tempi e modi degli affidamenti temporanei del figlio della coppia al coniuge separato della B.. Sicché in rapporto alla sufficiente descrizione della condotta criminosa non può ritenersi violato il disposto dell’art. 521 cpp (v. Cass. Sez. 6, 16.9.2004 n. 437/05, Verdiani, rv. 230858), l’imputata avendo contezza di doversi difendere da una accusa relativa ad una serie di sue ipotizzate condotte omissive ai sensi dell’art. 388 co. 2 cp, sebbene non specificamente elencate nell’imputazione. Tuttavia con la scarna sentenza del 27.1.2006 il Tribunale di Erma ha ritenuto di dover operare tale opportuna specificazione, delimitando la latitudine dell’accusa a due soli episodi – in continuazione tra loro – realizzati, come visto, il omissis e l’omissis.
La Corte di Appello, esclusa la responsabilità della B. per il secondo episodio dell’omissis, ha ritenuto di confermarne la responsabilità per l’episodio del omissis e per altri non meglio indicati episodi succedutisi in continuazione criminosa tra loro, operando una riespansione – se così può dirsi – dell’area di rilevanza penale della complessiva condotta illecita della donna, inclusiva di altri episodi seguiti a quello, considerato iniziale, del omissis.
Ora, se lo spettro dell’accusa in tal modo dilatato non produce – per quel che si è chiarito – una violazione del principio di correlazione ex art. 521 cpp e neppure – sul piano concreto – del divieto di reformatio in peius (art. 597 co. 3 cpp) rispetto alla originaria accusa contestata, non è revocabile in dubbio che la sentenza di appello si mostra del tutto inappagante sotto il profilo della completezza motivazionale. Di tal che è fondata la speculare critica di carenza motivazionale che, nell’ambito del medesimo primo motivo di impugnazione, la ricorrente muove alla sentenza di secondo grado.
Nell’estendere l’accusa rispetto ai confini tracciatine dalla sentenza del Tribunale, che ha preso in esame due unici episodi criminosi (e per i quali ha pronunciato condanna) tra i forse più episodi ripercorribili nella generale condotta dell’imputata, la Corte di Appello non può considerare assolto l’obbligo di motivazione ex art. 546 cpp, facendo generico e solo assertivo riferimento ad una pluralità di episodi elusivi delle disposizioni del giudice civile della separazione riferibili alla B. oltre a quello del omissis (“in più occasioni”), per i quali cumulativamente ritiene debba essere in parte qua confermata la penale responsabilità della ricorrente. I giudici di appello ancor più avrebbero dovuto indicare nelle loro componenti fattuali e soggettive, pur in forma sintetica, le ulteriori specifiche manifestazioni del contegno illecito della donna integrative della parzialmente confermata sussistenza della fattispecie di cui all’art. 388 co. 2 cp, sol che si osservi che la confermata responsabilità dell’imputata è basata – oltre che sulle dichiarazioni della persona offesa – sulle tracce documentali costituite per la vicenda del omissis dal certificato medico esibito nell’occasione dalla donna, che semplicisticamente si assume essere stato provocato dalle strumentali indicazioni della medesima sui disturbi lamentati dal figlioletto. In additiva rilevante contraddizione con il vaglio dell’omologo certificato medico (in forma vaga surrogato dalla testimonianza del sanitario redattore, che pur ha richiamato le indicazioni materne sullo stato di malattia del bambino) relativo all’episodio dell’omissis, per il quale i giudici di secondo grado hanno reputato di dover mandare assolta la B. con ampia formula liberatoria (insussistenza del fatto reato).
B. Ma, se carente deve stimarsi la sentenza impugnata quanto ad esauriente ricostruzione dei singoli fatti di reato ascritti all’imputata, altrettanto evidente è la lacunosità della decisione nel dare risposta alle censure formulate con l’atto di appello avverso la sentenza del Tribunale, sì che interamente fondato è il secondo motivo di ricorso dell’imputata. Se la sentenza di primo grado si segnala per la concisione del percorso valutativo in essa enunciato, è agevole constatare che altrettanto deficitario risulta il testo della sentenza di appello, che – nel richiamarsi alla menzionata credibilità delle accuse provenienti dal marito dell’imputata – omette di prendere in esame i passaggi referenziali della tesi difensiva esposta dalla B. nell’atto di appello, a proposito della quale nessuna traccia è rinvenibile nel corpo della motivazione, neppure in lato senso di inidoneità a scalfire la tesi accusatoria imperniata sulle accuse dell’ex marito della donna.
La sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, tralasciando di rispondere alle censure proposte dall’appellante imputata nei confronti della sentenza di primo grado, è venuta meno all’obbligo di motivazione (art. 606 – co. 1, lett. e – cpp) connesso alla sua funzione di giudice del gravame di merito e la conseguenza non può che essere quella dell’annullamento con rinvio per un nuovo giudizio (cfr., ex plurimis, da ultimo: Cass. Sez. 6, 12.6.2008 n. 35346, Bonarrigo, rv. 241188; Cass. Sez. 6, 12.2.2009 n. 12148, Giustino, rv. 242811).
La decisione impugnata, muovendosi nella scia della sentenza del Tribunale, al pari di questa non ha in alcun modo valutato, a tacer d’altro, l’effettiva sussistenza dell’elemento psicologico del reato ascritto all’imputata (si tratti del solo episodio del omissis o anche di altri successivi analoghi episodi non meglio individuati). Posto che la B. ha sostenuto di non aver voluto impedire al marito di avere contatti con il bambino, essendosi soltanto preoccupata di tutelare la salute del piccolo (esigenza che, in definitiva, costituisce criterio ispiratore della norma incriminatrice di cui all’art. 388 co. 2 cp: v. Cass. Sez. 6, 16.3.1999 n. 7077, Antonietti, rv. 214690), i giudici di appello non si sono curati di verificare la consistenza di tale assunto difensivo (rispetto al quale effettivamente le accuse provenienti dal marito della donna non acquistano decisivo valore escludente). Né i giudici di secondo grado hanno accertato il configurarsi o meno di eventuali situazioni suscettibili di ricondurre il contegno antigiuridico della B. nell’area di un presunto stato di necessità (o altra scriminante putativa) in rapporto alla asserita esigenza di tutelare l’effettivo interesse del bambino, piuttosto che coltivare il proposito di vulnerare l’interesse del marito a frequentarlo nei modi previsti in sede di separazione.
La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta perché proceda a nuovo giudizio, nel quale colmerà le omissioni valutative palesate dalla motivazione come dianzi indicate, uniformandosi – per gli effetti di cui all’art. 627 cpp – alla soluzione delle questioni di diritto incidentalmente vagliate con l’odierna decisione di legittimità. Non senza osservarsi che, avendosi riguardo al combinato disposto degli artt. 157 e 161 cp (come novellati dalla L. 251/2005), ai fini della prescrizione del reato deve essere computato un complessivo termine di sospensione (dovuto a differimenti di udienze per motivi non istruttori) pari a tre mesi e ventisette giorni (sicché, salve ulteriori sospensioni del termine, il reato continuato e i suoi eventuali singoli segmenti attuativi sono destinati a prescriversi in epoca non anteriore al 6.5.2010).
P.Q.M.
La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Caltanissetta