Civile

Friday 10 November 2006

Niente risarcimento ai teleutenti per i troppi spot sulle TV private.

Niente risarcimento ai teleutenti
per i troppi spot sulle TV private.

Cassazione – Sezione prima civile
– sentenza 11 ottobre-9 novembre 2006, n. 23937

Presidente Losavio – Relatore De
Chiara

Pm Cafiero – conforme –
Ricorrente Cerniglia – Controricorrente Rti Spa

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 28
luglio 1994 i signori Massimo Cerniglia, Giovanni Caselli, Elio Lannutti e
Licia D’Amico convennero in giudizio la Spa Rti – Reti televisive
italiane. Dedussero di essere fruitori dei servizi televisivi delle reti
facenti capo alla società convenuta (“Retequattro”, “Canale 5” e “Italia 1”, le cui trasmissioni venivano continuamente interrotte da messaggi pubblicitari
oltre i limiti stabiliti dalla direttiva Cee 552/89 del 3 ottobre 1989, attuata
in maniera incompleta e difforme dalla legge 223/90 e quindi direttamente
applicabile nel territorio nazionale. Chiesero, pertanto, il risarcimento dei
conseguenti danni – da accertarsi in corso di giudizio – alla libera e
incondizionata formazione del pensiero, all’apprendimento senza illecite
interferenze dei contenuti dei programmi televisivi, alla libera
autodeterminazione nelle scelte commerciali, alla dignità, alla identità
personale, alla salute.

La convenuta resistette e l’adito
Tribunale di Roma rigettò la domanda.

La sentenza di primo grado fu
gravata, dai soli signori Cerniglia e Lannutti, per i tre seguenti motivi:

1) il Tribunale avrebbe dovuto
applicare la legge 327/91, che, ratificando e rendendo esecutiva la convenzione
europea sulla televisione transfrontaliera, aveva dato piena attuazione alla
direttiva comunitaria 552/89 cit., abrogando
tacitamente la legge 223/90;

2) comunque, la predetta
direttiva doveva considerarsi direttamente e immediatamente applicabile ai
rapporti intersoggettivi, indipendentemente dalla sua attuazione con legge
dello stato;

3) la medesima direttiva era in
ogni caso applicabile al rapporto dedotto in giudizio, in considerazione
dell’equiparabilità della convenuta ad un soggetto pubblico, dato che
esercitava il servizio televisivo per concessione dello stato.

Resistette ancora la Rti, eccependo, tra l’altro,
l’inammissibilità del primo motivo, recante domanda nuova per novità della
causa petendi, e la Corte
di appello di Roma, con sentenza del 17 aprile 2001, respinse tutti e tre i
motivi di gravame, osservando:

che il
primo era inammissibile, sia perché conteneva una prospettazione della domanda
del tutto nuova, avendo gli attori invocato la convenzione europea sulla
televisione transfrontaliera, e la relativa legge di ratifica, soltanto in sede
di discussione finale nel giudizio di primo grado; sia perché mancava in
proposito una statuizione del Tribunale, la cui sentenza si era limitata, sul
punto, ad una mera enunciazione dell’irrilevanza della tardiva prospettazione;

che il
secondo era infondato, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale
sia della Corte di cassazione, sia della Corte di giustizia delle Comunità
europee, secondo cui la mancata attuazione, o l’attuazione difforme o
inadeguata delle direttive europee, da parte dei singoli stati, consente, anche
allorché si tratti di disposizioni incondizionate e sufficientemente
specifiche, soltanto l’azione di responsabilità dei singoli nei confronti dello
stato inadempiente;

che del
pari infondato era il terzo, non potendosi considerare la Rti concessionaria di un
servizio pubblico, cioè rientrare nelle finalità dello Stato, sì da potersi
affermare che si tratti di attività pubblica esercitata per delega del
medesimo: la concessione statale, infatti, è richiesta al solo scopo di disciplinare
il settore televisivo e la Rti
svolge un’attività essenzialmente privata, senza alcun contributo dello Stato e
senza imposizione di canoni, onde essa non è in alcun modo equiparabile – a
differenza della Rai – a un ente pubblico di formazione.

Avverso tale
sentenza ricorrono i signori Cerniglia e Lannutti per due motivi, cui
resiste la Rti
con controricorso illustrato anche da memoria.

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente dato atto
della ritualità della notificazione dell’avvio dell’udienza ai ricorrenti,
eseguita presso la
Cancelleria di questa Corte dopo l’esito negativo della
notifica tentata presso il domicilio eletto in Roma, Largo
del Nazareno 8 (dal quale l’avvocato Cerniglia, difensore dei
ricorrenti, è risultato trasferito) e in assenza della comunicazione di un
nuovo domicilio, della quale i ricorrenti erano onerati (cfr. ex multis Cassazione 6508/04, 7309/02, 92/1999).

1.1. Con il primo motivo,
denunciando violazione degli articoli 345 e 113 Cpc e vizio di motivazione, i
ricorrenti censurano la statuizione di inammissibilità del primo motivo di
appello, emessa della Corte distrettuale sul rilievo che il motivo introduceva
una domanda nuova. Osservavano:

che essi
avevano già invocato nel giudizio di primo grado, anche se non nell’altro di
citazione, la legge 327/91, di ratifica della convenzione europea sulla
televisione transfrontaliera;

che la
sentenza di primo grado non si era posta affatto il problema – non sussistente
– della novità della domanda, ma aveva argomentato in merito alla suddetta
legge affermando, sia pure erroneamente, «l’irrilevanza del richiamo fatto
dagli attori alla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera e
all’articolo 177 del Trattato Cee (…) perché la causa petendi prospettata dagli
attori non ha ipotizzato la derivazione dell’asserito danno dagli spots
pubblicitari (rectius, dall’eccessivo affollamento pubblicitario) presenti
nelle trasmissioni transfrontaliere (quelle che in qualsiasi modo e per
qualsiasi ragione varcano i confini nazionali e sono ricevibili in un altro
stato contraente), che sono le uniche di cui si è occupata la citata
direttiva»;

che
mutamente della causa pretendi si ha soltanto allorché modifichi i fatti
costituitivi del diritto fatto valere, non già allorché integri la sola
prospettazione giuridica del medesimo, perché iura novit curia;

che,
d’altra parte, neppure è vero che la legge 327/91 non sia applicabile nel caso
di specie, in quanto: l’operatività della Convenzione di Strasburgo sulla
televisione transfrontaliera può essere esclusa soltanto da diverse
disposizioni comunitarie vigenti; la previsione di cui all’articolo 31, comma
3, della legge 223/90, che assiste l’obbligo di osservare le convenzioni
internazionali in materia di telecomunicazioni, posto a carico delle emittenti
dall’articolo 15, comma 8, della stessa legge, comporta la sanzionabilità, ad
opera del Garante, delle eventuali violazioni delle regole dettata dalla
Convenzione predetta; la
Convenzione di Strasburgo ha piena efficacia dalla data della
sua entrata in vigore (7 gennaio 1993) e la stessa legge di ratifica 327/91
stabilisce che «è fatto obbligo a chiunque spetti di osservarle e di farla osservare
come legge dello Stato», tanto che il Garante ebbe ad intimare alle emittenti
private di rispettarla anche per quanto attiene all’inserimento degli spots
pubblicitari.

1.2. Il motivo non può essere
accolto.

Il chiaro senso della statuizione
del Tribunale, testualmente riportata nel ricorso, è che l’invocazione della
Convenzione di Strasburgo e della relativa legge di ratifica, da parte degli
attori, non aveva alcun rilievo, dato che: la Convenzione si
riferisce alla sole trasmissioni transfrontaliere;
affinché, pertanto, le sue disposizioni fossero rilevanti nella fattispecie,
occorreva che gli attori avessero dedotto, appunto, il carattere
transfrontaliero delle trasmissioni generatrici del danno lamentato; essi
avevano, invece, prospettato una diversa causa petendi (non contemplare il
detto carattere delle trasmissioni).

La medesima ratio decidendi è
stata seguita dalla Ca nell’affermare che il primo motivo di gravame era
inammissibile per novità della causa petendi e che il Tribunale si era limitato
ad affermare la irrilevanza della Convenzione nella
fattispecie.

Tale ratio non è posta in crisi
dai rilievi svolti dai ricorrenti, cui può replicarsi:

che la
modificazione della causa petendi consiste nell’allegazione – che è allegazione
in fatto, non in diritto – del carattere transfrontaliero delle trasmissioni di
cui trattasi (ossia della idoneità delle stesse ad essere ricevute anche in
altri paesi parti della Convenzione), allegazione necessaria, secondo i giudici
di merito, per dare rilevanza nella specie alla Convenzione medesima, la quale
solo a tale tipo di trasmissioni si riferisce;

che i
signori Cerniglia e Lannutti hanno introdotto tale allegazione per la prima
volta nel corso della discussione finale davanti al Tribunale, come affermano i
giudici di merito, sul punto non smentiti (o quantomeno non specificamente
smentiti dai ricorrenti, i quali si limitano a far presente, genericamente, che
essi, «a seguito dell’eccezione di controparte formulata nel giudizio di primo
grado inerente i cosiddetti effetti verticali e non orizzontali delle direttive
dettagliate, avevano già invocato, anche se non nell’atto di citazione, la
norma di cui alla legge 327/91»;

che,
pertanto, la medesima allegazione era tardiva;

che, del
resto, il presupposto giuridico del ragionamento del giudizio di merito (cioè
la limitazione, ratione materiae, [omissis] non è oggetto di censure nel
ricorso del quale si limita ad esaminare la questione dell’applicabilità della
Convenzione non già sotto il profilo della materia da essa disciplinata, bensì
sotto i diversi profili della sua vigenza e della sua diretta applicabilità nei
confronti delle emittenti televisive) e trova, in ogni caso, sicuro fondamento
nell’articolo 3 della Convenzione (“Tis Convention shall apply to any programme
service transmitted or retransmitted by entites or by technical means whitin
the jurisdiction of a Party (…) and which can be received, diretctly or
indirectly, in one or more other parties”).

1.3. Con il secondo motivo,
denunciando violazione e falsa interpretazione della direttiva Cee 89/552 e
dell’articolo 189 del Trattato Cee, in relazione all’articolo 11 Costituzione,
i ricorrenti deducono che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di
appello, la richiamata direttiva era nella specie direttamente applicabile, in
quanto:

a) le direttive europee non
attuate o non correttamente attuate dai singoli stati sono direttamente
applicabili non soltanto nei rapporti tra stato e privati, ma anche nei
rapporti tra questi ultimi;

b) il
concessionario radiotelevisivo è sottoposto ad una serie di prerogative e di
limitazioni nella sua attività che lo rendono equiparabile, quanto meno, ad un
concessionario di un pubblico servizio; la Corte di giustizia delle comunità europee ha
stabilito che le società titolari di un rapporto di concessione con lo Stato si
considerano rientranti nel concetto comunitario di stato e, dunque, sono
vincolate al rispetto delle direttive non attuate; la Rti, rientrando in tale
categoria, era quindi soggetta al rispetto della direttiva in questione come
qualunque Pa.

1.4. Il motivo è infondato sotto
entrambi i profili dedotti.

1.4.1. Il primo di essi ripropone la questione dell’applicabilità “orizzontale”
(ossia nei rapporti tra privati), e non soltanto “verticale” (ossia nei rapporti
tra stato, o in genere Pa, e privati) delle direttive comunitarie non attuate
(o non compiutamente o correttamente attuate) dagli stati membri.

Tale questione è stata da tempo risolta in senso negativo dalla giurisprudenza di
questa Corte – sulla scorta di quella della Corte di giustizia europea –
chiarendo (cfr. da ultimo Cassazione 3762/04, 752/02,
4817/99, 11611/97, che le disposizioni di una direttiva comunitaria non attuata
hanno efficacia diretta nell’ordinamento dei singoli stati membri – sempre che
siano incondizionate e sufficientemente precise e lo stato destinatario sia
inadempiente per l’inutile decorso del termine accordato per dare attuazione
alla direttiva – limitatamente ai rapporti tra le autorità dello stato
inadempiente ed i singoli soggetti privati (cosiddetta efficacia verticale), e
non anche nei rapporti interpretativi (cosiddetta efficacia orizzontale).

Ciò in quanto esclusivamente in
tal senso si è pronunciata – sin dalla sentenza 26 febbraio 1986 nella causa
152/84 (Marshall/Southampton and South West Hampshire Area Health Authority) la
giurisprudenza della Corte di giustizia europea (vincolante per i giudici
nazionali) la quale non ha affatto superato il principio che le direttive
obbligano esclusivamente gli stati alla loro attuazione mediante strumenti
normativi interni, talché l’applicazione delle loro disposizioni ai singoli è
soltanto l’effetto indiretto delle disposizioni interne che le recepiscono, ma
ha – più limitatamente – stabilito che lo stato non può opporre ai singoli l’inadempimento,
da parte sua, degli obblighi impostigli dalla direttiva, per
cui risponde, nei loro confronti, dei danni derivanti da tale
inadempimento.

1.4.2. In merito al secondo
profilo, va osservato anzitutto che, affinché un soggetto privato possa essere
equiparato allo stato ai fini dell’applicabilità nei suoi confronti delle
disposizioni di direttive non attuate, non rileva che si tratti
di soggetto qualificabile come (o equiparabile ad un) concessionario di
pubblico servizio: nozione, questa, propria del diritto interno italiano, non
di quello comunitario.

Quanto, poi, al “concetto
comunitario di stato”, cui fanno riferimento i ricorrenti richiamando la
sentenza della Corte europea 12 luglio 1990 nella causa 188/89 (Foster/Britisch
Gas), va rilevato che esso è definito dalla Corte, con riguardo al problema
dell’applicabilità delle direttive inattuale, nei seguenti termini:
«Unconditional and sufficiently precise prvisions of a directive my be relied
upopne against organizations or bodies which are subject to the authority or control of the State or have special powers beyond those
which result from the normal rules applicable in relations between individuals.
They may in any event be
relied upon against a body, whatever its legal form, which has been made
responsible, pursuant to a measure adopted by the State, for providing a public
service under the control of the State and has for that purpose special powers
beyond those which result from the normal rules applicable in relations between
individuals».

Perchè, quindi, un soggetto
privato possa essere equiparato allo Stato, ai fini dell’applicabilità nei suoi
confronti delle disposizioni di direttive non attuate, è necessario non
soltanto che si tratti di organismo incaricato con atto della pubblica autorità
di prestare, sotto il suo controllo, un servizio di interesse pubblico, ma
anche che esso disponga, a tale scopo, di poteri che eccedono i limiti di
quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti tra singoli.

Di siffatti poteri sono, invece,
sprovviste le concessionarie televisive private, come la Rti.

2. Il ricorso va dunque respinto.

Le spese processuali, liquidate
in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizi di legittimità, liquidate in euro
3100 di cui euro 3000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.