Famiglia

Thursday 12 June 2003

Niente imposta di registro per i provvedimenti di condanna al mantenimento dei figli minori. Lo dice la Corte Costituzionale. Corte CostituzionaleSentenza 3 – 11 giugno 2003 – 202/2003

Niente imposta di registro per i provvedimenti di condanna al mantenimento dei figli minori. Lo dice la Corte Costituzionale

Corte Costituzionale

Sentenza 3– 11 giugno 2003

202/2003

Sentenza.

Presidente Chieppa – Relatore Finocchiaro

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b) della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), promosso con ordinanza del 29 marzo 2002 dalla Commissione tributaria provinciale di Pordenone sul ricorso proposto da C. S. c/ l’Ufficio delle entrate di Pordenone, iscritta al n. 385 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di costituzione di Comelli Simona;

Udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2003 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1. – La Commissione tributaria provinciale di Pordenone, nel ricorso proposto da C. S. avverso l’avviso di liquidazione della imposta di registro e di bollo di complessive L. 2.004.000, notificatole dal locale Ufficio delle entrate, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), in riferimento all’art. 3 della Costituzione, laddove è “interpretata in modo da comprendere nella tassazione i provvedimenti giudiziari emessi in applicazione dell’articolo 148 del codice civile, nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli”, per disparità di trattamento rispetto agli stessi provvedimenti adottati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio.

L’avviso di liquidazione riguardava la registrazione di sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone, in accoglimento della domanda proposta dalla C. S., a norma dell’art. 148 del codice civile, di condanna di E. J. G., a corrisponderle la somma mensile di L. 350.000, per concorso al mantenimento del figlio naturale E. J., riconosciuto dal padre e affidato alla madre.

La Commissione, non ritenendo la sussistenza nell’ordinamento di un principio generale di esenzione fiscale per gli atti giudiziari attinenti al rapporto genitori-figli, e constatando l’esistenza di un regime di esenzione per gli atti giudiziari nelle procedure di divorzio e separazione (l’assoggettamento a tassazione in misura fissa non è più in vigore, in seguito all’entrata in vigore della legge 6 marzo 1987, n. 74, sul divorzio, efficace, per effetto di sentenza della Corte costituzionale n. 154 del 1999, anche nel procedimento di separazione) e per quelli relativi alle procedure di adozione e affiliazione (art. 82 della legge 4 maggio 1983, n. 184), non dubita che oggetto di tali esenzioni siano anche i provvedimenti di condanna al pagamento di assegni di mantenimento a favore dei figli, nell’ambito di quelle procedure. E, argomentando che la finalità dell’esenzione non sia tanto lo snellimento di quelle procedure, quanto evitare ostacoli alla migliore disciplina dei rapporti, di rilievo pubblico, quali quelli fondati sui doveri dei genitori, ritiene privo di ragionevolezza che dal beneficio vengano esclusi i provvedimenti del medesimo contenuto e della stessa funzione adottati al di fuori delle procedure di divorzio e separazione, il che porterebbe a privilegiare la posizione dei figli legittimi su quella dei figli naturali.

Sulla rilevanza il rimettente argomenta che la pretesa oggetto di ricorso si fonda sulla norma denunciata.

2. – Nel giudizio si è costituita tardivamente C. S., la quale chiede che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma denunciata.

Considerato in diritto

1. – Il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro, nella misura del 3%, gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale, in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, recanti condanna al pagamento di somme o valori, interpretata in modo da comprendere nella tassazione anche i provvedimenti giudiziari emessi in applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli.

1.1. – La questione è fondata.

L’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) stabilisce che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”.

Questa norma ha parzialmente abrogato l’art. 8, lettera f), della Tariffa allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, che prevedeva la sottoposizione ad imposta fissa di registro degli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, aventi ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, ancorché recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzione di beni patrimoniali già facenti parte di comunione fra i coniugi.

Su questa disposizione è poi intervenuta la sentenza n. 154 del 1999, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nella parte in cui non estende l’esenzione in esso prevista a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi.

Nel motivare la decisione questa Corte – richiamando la sentenza n. 176 del 1992 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della citata legge n. 74 del 1987 nella parte in cui non comprende nell’esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione – ha testualmente affermato che “il parallelismo, le analogie e la complementarità funzionale dei procedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e del procedimento di separazione dei coniugi sotto i profili che rilevano ai presenti fini, già sottolineati da questa Corte nella decisione richiamata, portano anche in questo caso a concludere che il profilo tributario non può ragionevolmente riflettere un momento di diversificazione delle due procedure, atteso che l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile, è con ancor più accentuata evidenza presente nel giudizio di separazione”, anche “in considerazione dell’esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole”.

L’esenzione tributaria disposta in tema di atti recanti condanna al pagamento di somme in materia di procedimenti relativi ai giudizi di separazione e divorzio ricomprende anche i provvedimenti relativi alla prole, come è dimostrato dal richiamo, nell’art. 19 della legge n. 74 del 1987, all’art. 6 della legge n. 898 del 1970, e da ciò deriva che è irragionevole la mancata estensione di tale esenzione anche ai provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 148 cod. civ., in tema di determinazione del contributo di mantenimento fissato a carico del genitore naturale obbligato ed a favore del genitore affidatario.

La mancanza del rapporto di coniugio fra le parti non può giustificare la diversità di disciplina tributaria del provvedimento di condanna, in quanto ciò che rileva è che si è in presenza di identico provvedimento di quantificazione del contributo di mantenimento a favore della prole, in relazione al quale ricorrono le stesse considerazioni che militano a favore dell’esenzione tributaria qualora lo stesso sia assunto in tema di separazione e di divorzio. La circostanza che tale provvedimento è stato adottato, in un caso, in costanza di un rapporto di coniugio esistente o esistito e, nell’altro, in mancanza di tale rapporto, non giustifica in alcun modo la diversità di disciplina fiscale.

Si deve, poi, rilevare che, in caso di divorzio e di separazione, l’esenzione è prevista anche con riferimento ai provvedimenti di revisione degli assegni e, cioè, in relazione ad ipotesi in cui il rapporto di coniugio non viene in considerazione.

L’esenzione, seppure posta a favore del destinatario delle somme, in realtà tutela il figlio minore per il cui mantenimento è disposta, con la conseguenza che la sua omessa previsione, quando si è in presenza di prole naturale, oltre ad essere irragionevole, con violazione dell’art. 3 della Costituzione, si risolve in un trattamento deteriore dei figli naturali rispetto ai figli legittimi, come esattamente rilevato dal giudice rimettente, in contrasto con l’art. 30 della Costituzione.

Né in senso contrario può invocarsi la giurisprudenza secondo cui le disposizioni legislative concernenti agevolazioni e benefici tributari di qualsiasi specie, quali che ne siano le finalità, costituiscono il frutto di scelte discrezionali del legislatore, sicché la Corte non può estenderne l’ambito di applicazione, dal momento che la stessa giurisprudenza riconosce che tale estensione è consentita quando lo esiga – come nel caso di specie – la ratio dei benefici stessi (v. sentenza n. 431 del 1997 e n. 86 del 1985; ordinanze n. 27 del 2001 e n. 10 del 1999).

2.2. – L’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli, non può, pertanto, ritenersi conforme all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di uguaglianza.

per questi motivi la Corte Costituzionale

Dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lettera b), della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nella parte in cui non esenta dall’imposta ivi prevista i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 cod. civ. nell’ambito dei rapporti fra genitori e figli.