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Monday 16 May 2005

Nel processo societario la competenza è del giudice della sede legale della società . SENTENZA N. 194 – ANNO 2005

Nel processo societario la competenza è del giudice della sede legale della società.

SENTENZA N. 194 – ANNO 2005

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

– Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente

– Fernanda CONTRI Giudice

– Guido NEPPI MODONA "

– Annibale MARINI "

– Franco BILE "

– Giovanni Maria
FLICK "

– Francesco AMIRANTE "

– Ugo DE SIERVO "

– Romano VACCARELLA "

– Paolo MADDALENA "

– Alfio FINOCCHIARO "

– Alfonso QUARANTA
"

– Franco GALLO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimita’
costituzionale dell’art. 25, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di
intermediazione finanziaria, nonche’ in materia
bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre
2001, n. 366), promosso con ordinanza del 17 giugno 2004 dal Tribunale di
Agrigento nel procedimento civile vertente tra Curatela del Fallimento So.Ge.Im. s.p.a. e la Sicilcantieri s.r.l., iscritta al
n. 845 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6
aprile 2005 il Giudice relatore Annibale Marini.

Ritenuto in fatto

1.– Il Tribunale di
Agrigento, nel corso di un procedimento camerale in materia societaria,
con ordinanza del 17 giugno 2004
ha sollevato, in riferimento agli artt.
3 e 76 della Costituzione, questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 25, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche’
in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3
ottobre 2001, n. 366), «nella parte in cui individua il giudice
territorialmente competente solo in base al luogo in cui la societa’
ha la sede legale, anziche’ secondo le regole
generali».

Premette il Tribunale rimettente di
essere investito, ai sensi degli artt. 2485 e 2487
del codice civile, della richiesta, avanzata dal socio totalitario di una societa’ a responsabilita’
limitata, di adozione dei provvedimenti idonei ad ovviare
alla inerzia degli amministratori, a seguito della chiusura della procedura
fallimentare per essere la societa’ tornata in bonis.

Disposta la comparizione delle parti,
la societa’ resistente ha eccepito l’incompetenza per
territorio del giudice adito, ai sensi del citato art. 25, comma 1, del decreto
legislativo n. 5 del 2003, avendo essa la propria sede legale in Roma.

L’eccezione, tempestivamente
sollevata, sarebbe – ad avviso del rimettente – fondata, non consentendo la
norma evocata altra interpretazione se non quella secondo la quale la
competenza per territorio spetta in via esclusiva, nei procedimenti camerali in
materia societaria, al Tribunale del luogo ove la societa’
ha la sede legale, che risulta nella specie essere
effettivamente Roma.

Ritiene tuttavia il giudice a quo che
la norma suddetta violi, sotto tale aspetto, il criterio direttivo di cui
all’art. 12, comma 1, della legge 3 ottobre 2001, n. 366 (Delega al Governo per
la riforma del diritto societario), costituito dal divieto di modifica della
competenza per territorio.

In base al combinato disposto degli artt. 19 del codice di procedura civile e 46, secondo
comma, del codice civile, infatti, il foro generale delle persone giuridiche,
comprese le societa’, e’
rappresentato, indifferentemente, dal luogo ove esse hanno la sede legale
ovvero da quello ove hanno la sede effettiva. La novella legislativa,
escludendo la competenza del giudice del luogo ove la societa’
ha la sede effettiva, avrebbe dunque modificato, in violazione della delega, la
competenza per territorio, quanto ai procedimenti camerali nelle materie
riguardate dal decreto legislativo.

Sotto diverso profilo, la norma
impugnata violerebbe altresi’ il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, determinando
un’irragionevole diversita’ di trattamento tra
fattispecie processuali omogenee.

Osserva al riguardo il rimettente che, in base agli artt.
2, comma 1, e 1, comma 4, dello stesso decreto
legislativo n. 5 del 2003, resta ferma, per i procedimenti ordinari di
cognizione nella medesima materia societaria, la competenza per territorio
individuata in base alle regole generali.

Ne discenderebbe, dunque, la coesistenza di regole di competenza per territorio diverse
tra procedimenti di cognizione ordinari e procedimenti camerali, pur
riguardando controversie attinenti alla medesima materia societaria, sottoposte
all’uno o all’altro rito in base alla discrezionale valutazione del
legislatore.

Aggiunge il giudice a quo che la
disciplina introdotta dalla norma impugnata si porrebbe oltretutto in contrasto
con la tendenza di fondo dell’ordinamento in materia
di controversie con enti societari. Per le societa’
non personificate vige, infatti, il principio secondo
cui la competenza spetta al giudice del luogo in cui esse svolgono attivita’ in modo continuativo (art. 19, secondo comma, del
codice di procedura civile); nelle leggi speciali sull’insolvenza delle imprese
collettive sarebbe «predominante il riferimento alla sede principale per
radicare la competenza per territorio»; in sede comunitaria rappresenterebbe,
infine, diritto vivente il prevalente rilievo attribuito, ai medesimi fini, al
luogo in cui e’ situato il centro degli interessi principali della societa’, che solo si presume coincidente, salva la prova contraria,
con la sede statutaria.

2.– E’ intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, secondo il quale la questione «sembra risolvibile in via
interpretativa».

La parte pubblica, premesso che la Relazione illustrativa
al decreto legislativo dimostra che il legislatore delegato era ben consapevole
del divieto di modificazione dei criteri di competenza territoriale, osserva
che il tenore della norma impugnata e’ sostanzialmente
uguale a quello della disposizione codicistica
relativa al foro generale delle persone giuridiche ed assume, pertanto, che la
norma stessa possa e debba essere interpretata nel senso di ritenere competente
anche il giudice del luogo ove la societa’ ha la sede
effettiva.

Considerato in diritto

1.– Il Tribunale di
Agrigento dubita, in riferimento agli artt. 3
e 76 della Costituzione, della legittimita’
costituzionale dell’art. 25, comma 1, del decreto legislativo 17 gennaio 2003,
n. 5 (Definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche’
in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3
ottobre 2001, n. 366), secondo cui la competenza per territorio, nei
procedimenti camerali relativi alle materie riguardate dal predetto decreto
legislativo, spetta al giudice del luogo ove la societa’
ha la sede legale.

Ad avviso del rimettente la norma –
escludendo il criterio generale di competenza che ha riguardo al luogo ove la societa’ ha la sede effettiva – violerebbe il principio
direttivo rappresentato dal divieto di introdurre modifiche alla competenza per
materia o per territorio ed introdurrebbe una ingiustificata
disparita’ di trattamento rispetto ai procedimenti
ordinari di cognizione nella medesima materia societaria, per i quali
rimarrebbe invece applicabile il suddetto criterio generale.

2.– La questione non e’ fondata.

2.1.– Va premesso che
l’interpretazione da cui il rimettente muove – secondo la quale la norma
impugnata esclude la competenza per territorio di giudici diversi da quello del
luogo ove la societa’ ha la propria sede legale – e’ sicuramente l’unica compatibile con il dato letterale,
tenuto conto dell’espresso riferimento, da parte del legislatore delegato, alla
«sede legale» della societa’ e non genericamente alla
sua «sede», secondo la terminologia utilizzata dall’art. 19 del codice di
procedura civile.

Deve pertanto escludersi che la
questione possa risolversi – cosi’ come prospetta la
parte pubblica – in via interpretativa, mediante cioe’
una lettura della disposizione che sostanzialmente ne neghi la portata
innovativa.

2.2.– Con riferimento al prospettato
vizio di eccesso di delega, giova osservare che il
principio direttivo contenuto nell’art. 12, comma 1, della legge 3 ottobre
2001, n. 366 (Delega al Governo per la riforma del diritto societario),
costituito dal divieto di modifiche della competenza per territorio e per
materia, trova la propria spiegazione e la propria ratio – come risulta con
chiarezza dai lavori preparatori della legge – nel dibattito sviluppatosi, a
livello politico, riguardo ad una possibile, radicale modifica delle regole di
competenza, nel senso di attribuire i procedimenti in materia societaria alla
competenza esclusiva di sezioni specializzate istituite presso i tribunali
delle citta’ sede di corte di appello ovvero, secondo
altra proposta, presso i tribunali delle citta’
capoluogo di provincia.

Fu, infatti, con specifico riguardo
all’esito di tale dibattito – essendo infine prevalsa la tesi contraria alla
prospettata modifica – che il legislatore delegante introdusse, tra i principi
della delega, il divieto di cui si tratta, al quale quindi non sarebbe ermeneuticamente corretto attribuire il significato di una
previsione di assoluta e generalizzata intangibilita’ di tutte le regole di competenza
precedentemente vigenti; cio’ tanto piu’ se si considera che, con specifico riguardo ai
procedimenti camerali, il comma 2, lettera f), dello stesso art. 12 detta quale
criterio direttivo prevalente quello della «rapidita’»
di tali procedimenti, nel rispetto dei principi del giusto processo.

2.3.– Alle osservazioni che precedono
occorre, altresi’, aggiungere, sempre al fine di
escludere con certezza la violazione dell’art. 76 della Costituzione,
l’assorbente rilievo che la norma impugnata non individua un diverso criterio
di competenza per territorio, ma interviene sul criterio gia’ utilizzato dall’art. 19
del codice di procedura civile, sostanzialmente precisandone il significato,
nel senso che – ai fini del procedimento camerale – per sede della societa’ deve intendersi soltanto la sede legale, con
esclusione della cosiddetta sede effettiva.

La ratio di
tale intervento si ricollega, con ogni evidenza, al richiamato criterio
direttivo della rapidita’ del procedimento camerale,
essendo ben noto come l’onere – gravante sull’attore – di dimostrare
l’esistenza della sede effettiva della societa’ nel
luogo ove siede il giudice adito determini il piu’
delle volte un incongruo appesantimento dell’istruttoria, con ovvio pregiudizio
delle esigenze di celerita’ che sono viceversa alla
base stessa del rito camerale.

2.4.– La sottolineata specificita’ del rito camerale determina, sotto altro
aspetto, l’infondatezza della
censura riferita all’art. 3 della Costituzione, non sussistendo tra il processo
ordinario di cognizione ed il procedimento camerale la omogeneita’
necessaria a rendere comparabili le rispettive discipline ai fini dello
scrutinio riferito al principio di eguaglianza.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 25, comma 1, del
decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5 (Definizione dei procedimenti in
materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonche’ in materia bancaria e creditizia, in attuazione
dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366), sollevata, in riferimento
agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Agrigento con l’ordinanza in epigrafe.

Cosi’ deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio
2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Annibale MARINI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10
maggio 2005.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA