Penale
Nel processo penale non è illegittimo sotto il profilo costituzionale permettere la deposizione della parte civile. CORTE COSTITUZIONALE – ORDINANZA 23 febbraio – 2 marzo 2004. N. 82
Nel processo penale non è illegittimo sotto il profilo costituzionale permettere la deposizione della parte civile
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
N. 82 ORDINANZA 23 febbraio – 2 marzo 2004.
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Processo penale – Prova testimoniale – Esame come testimone della persona offesa dal reato costituita parte civile – Denunciata situazione processuale di squilibrio tra le parti, in violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa – Questioni analoghe gia’ decise nel senso della manifesta infondatezza – Manifesta infondatezza della questione. – Cod. proc. pen., art. 497, comma 2. – Costituzione, artt. 3 e 24. (GU n. 10 del 10-3-2004)
ha pronunciato la seguente
Ordinanza
nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 497, comma 2,
del codice di procedura penale, promosso, nell’ambito di un
procedimento penale, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro, con ordinanza del 12 dicembre 2002, iscritta al n. 45
del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 7, 1ª serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 497,
comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non
prevede il divieto di esaminare come testimone la persona offesa dal
reato costituita parte civile, con la conseguenza di sottoporla,
nonostante sia interessata all’esito del giudizio, all’obbligo di
dire la verita’ e di prestare «giuramento», cosi’ consentendo, «di
fatto, che la prova della colpevolezza dell’imputato si basi
esclusivamente o quasi esclusivamente sulle sue dichiarazioni»;
che il Tribunale – premesso che la questione e’ stata
prospettata dalla difesa degli imputati – ritiene che la disciplina
censurata determini una situazione processuale di squilibrio tra le
parti, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost;
che in particolare il rimettente rileva, in relazione al
valore da attribuire alla deposizione della persona offesa, che la
giurisprudenza di legittimita’ per un verso ha affermato che tale
testimonianza deve essere valutata «con ogni opportuna cautela» e che
puo’ «essere assunta, come fonte di prova, unicamente se venga
sottoposta a [un] riscontro di credibilita’ oggettiva e soggettiva»,
«sorretto da adeguata e coerente giustificazione»; dall’altro,
seguendo un indirizzo «meno rigoroso», ha ritenuto che «puo’
attribuirsi piena efficacia probatoria alla testimonianza della
persona offesa dal reato qualora ne sia accertata l’intrinseca
coerenza logica, anche quando essa costituisca l’unica prova e
manchino elementi esterni di riscontro»;
che, «nella pratica», la «stragrande maggioranza» dei
procedimenti penali che hanno origine da una denuncia-querela
presentata dalla parte lesa si fonderebbero soltanto «sulla prova
fornita dalla deposizione del querelante-persona offesa, quasi sempre
costituitosi parte civile, ovvero sulle deposizioni di prossimi
congiunti di questi, per i quali, specularmente, […] non e’
previsto il divieto di testimoniare o la facolta’ di astensione dalla
deposizione come per i prossimi congiunti dell’imputato»;
che percio’, ove il giudice applicasse i principi sulla
valutazione della testimonianza della persona offesa dapprima
menzionati, il processo penale quasi sempre «si dovrebbe concludere
con l’assoluzione dell’imputato»; di contro, se il giudice basasse la
sua motivazione di condanna esclusivamente sugli elementi di prova
forniti dalla persona offesa, «ne verrebbe (e di fatto ne viene)
fortemente inficiato il principio di uguaglianza fra le parti»;
che, in definitiva, il rimettente, pur dando atto che analoga
questione, sollevata in relazione all’art. 197, comma 1, lettera c),
cod. proc. pen., e’ stata dichiarata manifestamente infondata da
questa Corte con ordinanza n. 115 del 1992, vorrebbe che la
deposizione della persona offesa fosse assunta con modalita’ che
consentano di attribuirle lo stesso valore delle dichiarazioni
dell’imputato;
che nel giudizio e’ intervenuto il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, osservando nel merito che la questione e’ nella sostanza
uguale alle altre gia’ piu’ volte esaminate e dichiarate infondate
dalla Corte;
che, d’altra parte, dalla stessa ordinanza di rimessione
emerge come non vi sia affatto bisogno di introdurre nell’ordinamento
una preclusione alla testimonianza della parte civile, dal momento
che la giurisprudenza ha oramai individuato canoni e criteri per
scongiurare l’evenienza di un’acritica acquisizione al processo di
dichiarazioni la cui obiettivita’ non sia accertata.
Considerato che il rimettente dubita della legittimita’
costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di procedura
penale, nella parte in cui non pone il divieto di esaminare come
testimone la persona offesa dal reato costituita parte civile e
consente cosi’ che la prova della colpevolezza dell’imputato si fondi
esclusivamente su tale deposizione, determinando una situazione
processuale di squilibrio tra le parti, in violazione degli artt. 3 e
24 della Costituzione;
che questioni analoghe, sollevate, in riferimento ai medesimi
parametri, in relazione all’art. 197, comma 1, lettera c), cod. proc.
pen. – ove l’incompatibilita’ con l’ufficio di testimone e’ prevista
solo per il responsabile civile e per la persona civilmente obbligata
per la pena pecuniaria – e agli artt. 197 e 208 cod. proc. pen. – in
quanto prevedono forme diverse per l’esame della persona offesa e
dell’imputato -, nonche’ in relazione alla disciplina del codice di
procedura penale del 1930 – ove era espressamente previsto l’obbligo
della persona offesa di testimoniare, anche se costituita parte
civile -, sono state rispettivamente dichiarate manifestamente
infondate con le ordinanze n. 115 del 1992 e n. 374 del 1994, e
infondate con le sentenze n. 2 del 1973 e n. 190 del 1971;
che, in particolare, nell’ordinanza n. 115 del 1992 questa
Corte, richiamandosi alle argomentazioni svolte nelle precedenti
sentenze, ha ribadito la ragionevolezza di una scelta legislativa
fondata sul presupposto che «la rinuncia al contributo probatorio
della parte civile costituisse un sacrificio troppo grande nella
ricerca della verita’ processuale» rilevando inoltre che, alla
stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale, la
deposizione della persona offesa costituita parte civile «deve essere
valutata dal giudice con prudente apprezzamento e spirito critico,
non potendosi essa equiparare puramente e semplicemente a quella del
testimone, immune dal sospetto di interesse all’esito della causa»;
che, d’altro canto, lo stesso rimettente da’ atto
dell’orientamento della Cassazione secondo cui la deposizione
testimoniale della persona offesa costituita parte civile deve essere
sottoposta ad un riscontro di credibilita’ oggettiva e soggettiva, e
il convincimento del giudice su tale fonte di prova deve essere
sorretto da adeguata e coerente motivazione, cosi’ dimostrando di
essere al corrente dell’indirizzo giurisprudenziale che dovrebbe
fugare qualsiasi dubbio circa il rischio che la testimonianza della
persona offesa venga acriticamente assunta come prova della
responsabilita’ dell’imputato;
che, malgrado il rimettente formalmente censuri l’art. 497,
comma 2, cod. proc. pen., la questione e’ posta negli stessi termini
di quelle che hanno avuto ad oggetto gli artt. 197 e 208 cod. proc.
pen., ovvero l’analoga disciplina del codice del 1930;
che, non avendo questa Corte motivo di discostarsi dalle
ragioni poste a base delle pronunce sopra menzionate, la questione
deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 497, comma 2, del codice di
procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dal Tribunale di Venezia, sezione distaccata di
Portogruaro, con l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.
Il Presidente: Zagrebelsky
Il redattore: Neppi Modona
Il cancelliere:Fruscella
Depositata in cancelleria il 2 marzo 2004.
Il cancelliere:Fruscella
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