Lavoro e Previdenza

Monday 20 June 2005

Nel procedimento disciplinare la difesa del lavoratore è garantita dal principio dell’ immutabilità della contestazione

Nel procedimento disciplinare la difesa del lavoratore è garantita dal principio dellimmutabilità della contestazione

Cassazione Sezione lavoro sentenza 11 marzo- 17 maggio 2005, n. 10292

Presidente Ravagnani relatore Di Cerbo

Pm Destro conforme ricorrente Nannini controricorrente Azienda ospedaliera Salvini

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10 gennaio 2001 il Tribunale di Milano rigettava il ricorso proposto da Daniele Nannini contro lAzienda ospedaliera G. Salvini avente ad oggetto limpugnazione del licenziamento intimatogli in data 29 ottobre 1999. Il ricorrente aveva chiesto che il suddetto licenziamento fosse dichiarato nullo o fosse annullato con conseguente ripristino del rapporto dì lavoro e pagamento delle retribuzioni maturate medio tempore o, in subordine, lapplicazione della tutela reale. In particolare il Tribunale riteneva provati i fatti posti a fondamento del recesso e cioè il comportamento posto in essere dal Nannini, medico alle dipendenze dellazienda ospedaliera, comportamento consistito in espressioni volgari e minacciose nonché in violenza nei confronti di una collega (il ricorrente aveva sollevato di peso la donna, laveva scaraventata su una sedia, le aveva sputato sul vestito e laveva minacciata di spaccarle la faccia).

Avverso tale sentenza proponeva appello il Nannini lamentandone lerroneità sotto vari profili. Lazienda convenuta resisteva al gravame.

Con sentenza depositata in data 27 settembre 2002 la Corte dappello di Milano rigettava il gravame. In particolare la Corte di merito riteneva non necessaria laffissione del codice disciplinare attesa la rilevanza penale dei fatti addebitati; per le stesse ragioni non era necessaria una previsione apposita di siffatto comportamento nel codice disciplinare; la Corte condivideva inoltre le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di primo grado in tema di genericità della contestazione osservando che su richiesta del lavoratore il datore di lavoro gli aveva consegnato una copia della lettera, scritta dalla collega del Nannini che aveva subito i comportamenti allo stesso contestati, nella quale tali comportamenti erano stati descritti in modo dettagliato; poiché la consegna di tale lettera era avvenuta 15 giorni prima delladozione del provvedimento espulsivo lappellante aveva avuto la possibilità di difendersi adeguatamente; la Corte riteneva infine provati i fatti contestati e, in relazione alla gravità degli stessi, il carattere adeguato della sanzione comminata.

Per la cancellazione di tale sentenza propone ricorso il Nannini affidato a cinque motivi. Resiste con controricorso lAzienda ospedaliera intimata.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dellarticolo 7, comma primo, della legge 300/70 e dellarticolo 2106 Cc. Premesso che è pacifica lapplicabilità alla fattispecie in esame della normativa sopra citata deduce lerroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, avendo ritenuto la rilevanza penale dei comportamenti addebitati e la loro contrarietà a regole di civiltà, ha affermato lirrilevanza della mancata affissione del codice disciplinare. Ad avviso del ricorrente tale affissione era tanto più necessaria attesa la sussistenza di un rapporto di lavoro con un ente pubblico, obbligato al rispetto rigoroso dei principi di trasparenza e imparzialità cui allarticolo 97 Costituzione. A causa della mancata affissione il ricorrente non era stato messo in condizione di conoscere le conseguenze del proprio operato. Sotto altro profilo sottolinea la violazione dellarticolo 7 di cui sopra anche in relazione alla mancata predisposizione di un codice disciplinare sottolineando la genericità delle indicazioni in tema di comportamenti costituenti giusta causa di recesso contenute nellarticolo 36 del contratto collettivo di categoria.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dellarticolo 59, terzo e quinto comma, del D.Lgs 29/1993, come riformato dal D.Lgs 80/1998. Tali norme infatti prevedono che la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti collettivi. Ciò risponde, ad avviso del ricorrente, allesigenza di trasparenza e di garanzia. Avrebbe pertanto errato la Corte dAppello a richiamare la nozione legale di giusta causa per affermare la comportamento per il quale poteva essere comminata al massimo una multa.

I suddetti motivi, che in considerazione della loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, sono privi di pregio.

Per costante giurisprudenza di questa Suprema Corte (cfr, ex multis, Cassazione  6737/01; Cassazione 13906/00) la garanzia, prevista dallarticolo 7, primo comma, della legge 300/70, di predisposizione e pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti, si applica al licenziamento disciplinare soltanto quando questo sia intimato per specifiche ipotesi di giusta causa o giustificato motivo previste dalla normativa collettiva o validamente poste dal datore di lavoro, e non anche quando faccia riferimento a situazioni giustificative del recesso previste direttamente dalla legge o manifestamente contrarie alletica comune o concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro. Tale principio vale, naturalmente, anche per il rapporto di lavoro, quale quello in esame, fra un medico ed unAzienda ospedaliera i attesa lapplicabilità allo stesso (affermata anche in ricorso e comunque non oggetto di contestazione) della disciplina dì cui allarticolo 7, primo comma, della legge 300/70, ai sensi dellarticolo 59, comma 2, del D.Lgs 29/1993.

Sotto altro profilo non può condividersi la tesi della mancata considerazione, da parte della Corte di merito, della norma di cui al comma 3 dellarticolo 59 sopra citato, che demanda al contratto collettivo la definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni. Come si desume dalla stessa norma contrattuale (articolo 36 del contratto collettivo di categoria, riportata in ricorso) le parti sociali hanno definito le ipotesi di comportamenti idonei a giustificare il recesso per giusta causa mediante una sostanziale riproduzione della nozione di giusta causa formulata dallarticolo 2119 Cc.

Da ultimo deve osservarsi che i comportamenti contestati al ricorrente non sono riconducibili allipotesi di alterco fra colleghi, integrando gli stessi quanto meno la fattispecie ben più grave, penalmente rilevante, di violenza privata e minaccia. Il richiamo fatto dal ricorrente al vecchio testo unico per i dipendenti civili dello Stato deve pertanto ritenersi del tutto inconferente.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia – violazione e falsa applicazione dellarticolo 7, primo comma, della legge 300/70 richiamato dallarticolo 59, commi 2 e 5, del D.Lgs 29/1993. Deduce lerroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo ritenuto lassoluta genericità della contestazione disciplinare in data 24 settembre 1999, ha affermato che la consegna delle lettere in data 22 settembre 1999 e 28 settembre 1999 scritte dalla collega aveva ovviato alliniziale genericità della contestazione. In particolare ritiene che consentire la possibilità di integrare la contestazione significherebbe la violazione del principio, posto a garanzia del lavoratore e certamente applicabile anche al pubblico impiego privatizzato, della immodificabilità della contestazione disciplinare.

Anche tale motivo deve essere rigettato. Per costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità la contestazione degli addebiti assolve alla finalità di consentire al lavoratore, una volta presa cognizione delle accuse rivoltegli, di esercitare compiutamente il proprio diritto di difesa (cfr., ex multis, Cassazione 10019/99). In tale ottica si ritiene che il requisito della specificità della contestazione sussista ove la contestazione sia idonea a realizzare il risultato di consentire al lavoratore una puntuale difesa; a tal fine si richiede che la contestazione individui i fatti addebitati con sufficiente precisione, anche se sinteticamente, in modo che non risulti incertezza circa lambito delle questioni sulle quali il lavoratore è chiamato a difendersi (Cassazione 1562/03; Cassazione 9048/00). Tale principio deve essere coniugato con quello dellimmutabilità della contestazione che, per costante giurisprudenza (cfr., ad esempio, Cassazione, 8641/99) è finalizzato ad impedire al datore di lavoro di porre a fondamento della sanzione disciplinare e, in particolare, del licenziamento, fatti diversi da quelli contestati. In altre parole, in applicazione di questo secondo principio, è precluso al datore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazioni disciplinari, circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dellinfrazione disciplinare, dovendosi garantire leffettivo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare di cui allarticolo 7 della legge 300/70 assicura al lavoratore incolpato (Cassazione, 1265/00). Nella specie nessuno dei suddetti principi è stato violato atteso che, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, dopo la prima lettera di contestazione, ritenuta generica, su richiesta del lavoratore fu consegnata allo stesso una lettera scritta dalla collega di lavoro del Nannini, la quale, secondo lassunto della società era stata la vittima dei comportamenti contestati, nella quale detti comportamenti erano stati dettagliatamente indicati. Non cè stato pertanto alcun mutamento dei fatti contestati, ma una più precisa indicazione degli stessi su richiesta del lavoratore. Il fatto poi che si tratti di lettera redatta da altra dipendente non rileva ai fini della legittimità della procedura seguita, atteso che il datore di lavoro, nel consegnarne copia al lavoratore ne ha fatto proprio il contenuto. Tenuto conto del fatto che tale lettera fu consegnata al Nannini in data 15 ottobre 1999 e che il provvedimento dì licenziamento fu irrogato il 29 ottobre deve ritenersi che le garanzie del lavoratore in ordine alla possibilità di difendersi dalle contestazioni siano state rispettate.

Col quarto motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione su un punto fondamentale della controversia in ordine alla nullità del codice disciplinare per violazione dellarticolo 2106 Cc e dellarticolo 59 del D.Lgs 29/1993 in relazione alla mancata previsione di sanzioni conservative.

Il motivo è infondato atteso che il problema della mancata previsione dì sanzioni conservative nel codice disciplinare è irrilevante ai fini del decidere e pertanto correttamente la Corte di merito ha omesso di motivare sul punto.

Col quinto motivo il ricorrente denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un Punto essenziale della decisione. Deduce che, a fronte delle incongruenze tra i certificati medici concernenti la collega del Nannini, denunciate nella relazione allegata dal ricorrente, la Corte di merito ha erroneamente ritenuto che la modestia delle suddette incongruenze non giustificasse leffettuazione di una consulenza tecnica dufficio.

Anche questo motivo è privo di pregio. In linea di principio il vizio di omessa o insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dellarticolo 360, n. 5, Cpp, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili dufficio, ovvero quando esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire lidentificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato, attribuiti dallo stesso giudice di merito agli elementi dallo stesso vagliati, ed il valore e significato diversi che, agli stessi elementi, siano attribuiti d« ricorrente ed in genere dalle parti (Cassazione 1265/00). Ealtresì espressione di un principio consolidato quello secondo cui la valutazione delle risultanze delle prove involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad unesplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti. Consegue che il controllo di legittimità da parte della Corte dì cassazione non può riguardare il convincimento del giudice di merito sulla rilevanza probatoria degli elementi considerati, ma solo la sua congruenza dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cassazione, 12747/03). Nella specie la Corte di merito ha preso in considerazione la denunciata discrepanza fra le certificazioni mediche concernenti la collega del Nannini giudicandole di modesta entità e comunque non tali da giustificare lespletamento di una consulenza tecnica dufficio. Tale valutazione, che conferma quella fatta dal giudice di primo grado, non appare viziata e deve essere pertanto confermata.

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

In applicazione del principio della soccombenza il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in euro2.600 di cui Euro 2500 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.