Lavoro e Previdenza

Friday 09 January 2004

Mansioni del lavoratore e ius variandi. Per avere equivalenza di mansioni deve dimostrarsi l’ affinità professionale delle stesse. E’ il parere della Cassazione. Cassazione Sezione lavoro sentenza 10 luglio-11 dicembre 2003, n.

Mansioni del lavoratore e ius variandi. Per avere equivalenza di mansioni deve dimostrarsi l’affinità professionale delle stesse. E’ il parere della Cassazione

Cassazione – Sezione lavoro – sentenza 10 luglio-11 dicembre 2003, n. 18984

Presidente Sciarelli – relatore Curcuruto

Pm Frazzini – difforme – ricorrente Steccati – controricorrente Safta Spa

Svolgimento del processo

Paolo Steccati con ricorso al Pretore di Piacenza convenne in giudizio la società Safta, suo datore di lavoro, esponendo: ‑ che quale impiegato di livello I era stato assegnato dall’aprile 1989 a mansioni di addetto alla segreteria del servizio tecnico e di contabilità, collaborando anche con l’Ufficio Controllo Gestioni, con orario dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 17, senza mai aver ricevuto note di biasimo;

che il 10 aprile 1995 gli erano state attribuite le nuove mansioni di addetto al set up di stampa, con orario sui tre turni avvicendati, e con obbligo di operare anche presso il reparto taglio, mentre il suo posto era stato ricoperto da un’impiegata che egli stesso aveva istruito.

Lo Steccati, assumendo che l’assegnazione era illegittima data l’inferiorità delle nuove mansioni rispetto a quelle precedenti, e che gli aveva provocato notevoli disturbi e una situazione disadattativa, poi trasformatasi in depressione, con conseguente assenza dal lavoro, chiese che il provvedimento fosse annullato e che la società fosse condannata a conservargli la qualifica di assunzione e le mansioni precedenti o, in subordine, ad assegnargli mansioni equivalenti.

Nella resistenza della convenuta la domanda venne rigettata e la sentenza, su appello del lavoratore contrastato dalla società Safta, fu confermata dal Tribunale di Piacenza.

Nel pervenire a tale decisione il giudice d’appello ha premesso che il motivo di gravame riguardava la ritenuta equivalenza fra le nuove mansioni, di tipo operaio, attribuite allo Steccati e rientranti nella categoria E, posizione organizzativa 4, profilo operaio, del nuovo contratto collettivo 19 marzo 1994 del settore industria chimica, e le precedenti mansioni di profilo impiegatizio svolte in precedenza e rientranti nella medesima categoria E, posizione organizzativa 2, profilo impiegati. Secondo l’appellante il giudizio di equivalenza di tali mansioni, formulato dal primo giudice in base alla espressa previsione in tal senso degli articoli 4, 5 e 6 del contratto menzionato, era censurabile perché fondato sul solo fatto che esse, in forza delle nuove disposizioni contrattuali, rientrassero in una medesima categoria, senza tener conto che le mansioni originarie erano impiegatizie e quelle successive erano mansioni operaie.

Il Tribunale, richiamato il principio per cui il divieto di vani azioni in pejus opera anche quando nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni siano di fatto assegnate al lavoratore mansioni sostanzialmente inferiori, ha quindi confrontato i compiti in concreto assegnati allo Steccati anteriormente e successivamente all’aprile 1995, mettendo in luce che, in base all’istruttoria testimoniale, prima di tale data lo Steccati aveva svolto mansioni impiegatizie di segreteria e di archivio, quali il fare fotocopie, riordinare documenti che provenivano da altri servizi, rimetterli insieme e trasferirli ad una serie di altre funzioni, battere le lettere, raccogliere, protocollare e archiviare documenti delle ditte esterne, segnare le ore svolte dalle imprese, fare il riepilogo, usare il computer da impiegato applicativo, cioè da segretario, per inserire dati, compilare moduli.

Le nuove mansioni, di operatore di set up, consistevano invece in attività collaterali di preparazione delle macchine che servono a tagliare le bobine di cellophane già prodotte secondo la misura richiesta dai clienti.

Secondo il Tribunale, le precedenti mansioni, benché impiegatizie, avevano un carattere routinario, elementare, e meramente esecutivo, in nulla dissimile dalle nuove. Differenziarle da queste ultime, sul piano professionale, avrebbe comportato una considerazione privilegiata del lavoro impiegatizio rispetto a quello operaio, del tutto superata.

Lo Steccati chiede la cassazione di questa sentenza sulla base di tre motivi. La società resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 Cc, come novellato dall’articolo 13 della legge 300/70, mi relazione all’articolo 360, n. 3. Cpc;violazione ed erronea interpretazione dell’articolo 2103 Cc sotto il profilo della applicazione del concetto di equivalenza delle mansioni, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver giudicato della equivalenza delle mansioni precedenti e successive solo alla stregua della loro eguale esecutività e semplicità, e della loro astratta riconducibilità nella stessa categoria contrattuale, mentre in base alla consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 2103 Cc sarebbe stato necessario prendere in considerazione l’aderenza delle nuove mansioni alla specifica competenza del dipendente, con salvaguardia del livello professionale acquisito e delle potenzialità di accrescimento delle capacità professionali.

Con il secondo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2103 Cc in relazione all’articolo 360 Cpc sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, vale a dire l’asserita legittimità del provvedimento della modifica delle mansioni, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di esser partita dalla premessa che per valutare l’equivalenza mansioni dì nuova assegnazione rispetto a quelle precedenti, è necessario accertare che le nuove mansioni salvaguardino la specifica competenza del dipendente e la sua professionalità, a prescindere dalla declaratorie del contratto collettivo, e di aver tuttavia, contraddittoriamente, concluso che, non avendo il ricorrente acquisito alcuna professionalitá nello svolgimento delle mansioni impiegatizie svolte dall’assunzione, sarebbe stato sufficiente per il giudizio di equivalenza accertare il comune carattere di semplicità e ed esecutività fra le vecchie e le nuove mansioni, facendo inoltre riferimento alle comune categoria contrattuale E, la cui rilevanza era stata astrattamente negata.

Con il terzo motivo di ricorso, denunziando violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 Cpc in relazione all’articolo 360 Cpc, sotto il profilo della insufficiente e contraddittoria motivazione; insufficiente ed omessa valutazione, nel giudizio logico in fatto, di tutte le risultanze istruttorie, il ricorrente addebita alla sentenza impugnata di aver utilizzato le prove testimoniali solo per affermare e sostenere quel concetto di elementarità ed esecutività delle precedenti mansioni che costituisce il nucleo essenziale della motivazione, mentre un loro più approfondito esame avrebbe consentito di valutare sotto tutti gli aspetti indicati dalla giurisprudenza di legittimità l’equivalenza delle mansioni, soprattutto in considerazione di quel che era emerso dalla testimonianza (in particolare dell’ing. Bersani) circa i nuovi compiti, di operatore di set-up attribuiti allo Steccati.

Il terzo motivo deve essere esaminato con priorità, poiché esso censura gli accertamenti di fatto sui quali il giudice d’appello ha fondato le proprie valutazioni giuridiche.

Il motivo va disatteso.

Le dichiarazioni dei testi in esso riprodotte non differiscono affatto, in sostanza, da quelle utilizzate dal Tribunale nella ricostruzione del fatto. Quindi il motivo, senza in realtà denunziare effettive omissioni da parte del Tribunale nella valutazione del materiale istruttorio sollecita la Corte ad un nuovo apprezzamento dello stesso, che nella prospettiva del ricorrente dovrebbe condurre ad una diversa conclusione sulla equivalenza delle mansioni: operazione del tutto inammissibile in questa sede dal momento che l’articolo 360, comma 1, n. 5, Cpc non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, ani uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.(per tutte Cassazione, Sezioni unite, 5802/98):

Il primo ed il secondo motivo, palesemente connessi, possono esser esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati, nei limiti che seguono.

Il problema che essi pongono sta nella denunziata carenza di esame del profilo soggettivo dell’equivalenza della mansioni ossia della loro l’affinità professionale, intesa nel senso che le nuove devono armonizzarsi con le capacità professionali acquisite dall’interessato durante il rapporto lavorativo consentendo ulteriori affinamenti e sviluppi, criterio sempre affiancato dalla giurisprudenza di questa Corte al profilo oggettivo ossia alla inclusione nella stessa area professionale e salariale delle mansioni iniziali e di quelle di destinazione (v. fra le più recenti Cassazione 11457/00; 14150/02; 2328/03).

Tale valutazione, della cui necessità la sentenza mostra consapevolezza teorica, non può dirsi concretamente compiuta. Dopo avere individuato le specifiche mansioni del ricorrente dalla assunzione, nel 1989, alla nuova assegnazione, nell’aprile 1995, la sentenza ha accertato e più volte sottolineato la natura meramente esecutiva e il carattere elementare e di “routine”dei compiti svolti dallo Steccati. Quindi ha identificato le nuove mansioni di addetto al set up di taglio e ha concluso che anche queste avevano i medesimi caratteri di sostanziale semplicità e che quindi non vi era stata alcuna compromissione del livello e delle capacità professionali del lavoratore. In sostanza, il giudice d’appello ha ritenuto che due mansioni del medesimo livello contrattuale si equivalgono quando esse siano egualmente semplici. Questo assunto confonde però ‑ ed in ciò sta la sua erroneità ‑ la riconducibilità delle diverse mansioni ad un nucleo di professionalità comune o a nuclei diversi ma analoghi, nel che consiste l’essenza della loro equivalenza ai fini dell’articolo 2103 Cc, con un predicato quale la semplicità o la elementarità che può ben esser comune ad attività o compiti molto diversi e professionalmente tutt’altro che affini. L’erroneo presupposto del ragionamento svolto dal giudice di appello ha poi determinato un’ assoluta assenza di indagine sul modo in cui la professionalità, non importa se modesta, espressa dallo Steccati nelle mansioni che si sono già ricordate potesse venire conservata dalle nuove mansioni, all’apparenza assai lontane dalle prime. Conseguentemente, risulta anche del tutto pretermesso il profilo concernente le eventuali differenze nella possibilità di crescita professionale collegata alle une e alle altre.

In conclusione, si impone, nei limiti cui sopra, il riesame causa a parte un nuovo giudice di appello, il quale terrà conto del principio per cui in materia di equivalenza delle mansioni oltre alla loro inclusione nella stessa area professionale e salariale occorre considerare la loro affinità professionale, intesa quale nucleo di professionalità comune o almeno analogo, tale da rendere possibile l’armonizzazione delle nuove mansioni con le capacità professionali acquisite dall’interessato, durante il rapporto lavorativo e consentirne ulteriori affinamenti e sviluppi, non assumendo invece rilievo, di per sé, i comuni caratteri di elementarità o semplicità delle precedenti e delle nuove mansioni. Sulla base di tale principio il giudice di appello riesaminerà gli atti di causa, accertando in particolare come la professionalità, non importa se modesta, espressa dallo Steccati nelle mansioni che si sono già ricordate potesse venire conservata dalle nuove mansioni, all’apparenza assai lontane dalle prime e come le nuove mansioni potessero garantire al ricorrente prospettive di avanzamento professionale non dissimili da quelle collegabili alle mansioni precedenti.

Al giudice di rinvio appare opportuno rimettere anche la statuizione circa le spese del giudizio.

PQM

Accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna,  che provvederà anche sulle spese.