Penale
Magistrato sottoposto a procedimento penale e durata massima delle misrure cautelari. Il parere della Corte Costituzionale N. 264 SENTENZA 3 – 22 luglio 2003.
Magistrato sottoposto a procedimento penale e durata massima delle misrure cautelari. Il parere della Corte Costituzionale
N. 264 SENTENZA 3 – 22 luglio 2003.
Giudizio di legittimita’ costituzionale in via incidentale. Magistratura – Magistrato sottoposto a procedimento penale – Sospensione preventiva (dalle funzioni e dallo stipendio) discrezionalmente disposta in base a valutazione sommaria nel merito dei fatti dedotti nel procedimento penale – Omessa previsione di un termine di durata massima della misura cautelare – Prospettata disparita’ di trattamento rispetto alla durata massima quinquennale della misura cautelare sospensiva stabilita per gli altri pubblici dipendenti sospesi «a causa del procedimento penale» – Non fondatezza della questione. – Legge 7 febbraio 1990, n. 19, art. 9, secondo comma; regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, art. 31. – Costituzione, art. 3. (GU n. 30 del 30-7-2003)
La Corte Costituzionale
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli artt. 9, comma 2,
della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze,
sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici
dipendenti) e 31 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 411
(recte: 511) (Guarentigie della magistratura), promosso con ordinanza
del 12 luglio 2002 dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore
della magistratura, iscritta al n. 396 del registro ordinanze 2002 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, 1ª serie
speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 aprile 2003 il giudice
relatore Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza pronunciata il 12 luglio 2002 e pervenuta a
questa Corte il 6 agosto 2002, la sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura ha sollevato questione incidentale di
legittimita’ costituzionale degli articoli 9, comma 2, della legge
7 febbraio 1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione
condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti) e 31
del regio decreto legislativo del 31 maggio 1946, n. 411 (recte: 511)
(Guarentigie della magistratura), in relazione all’art. 3 della
Costituzione, nella parte in cui tali disposizioni non prevedono un
termine di durata massima della misura cautelare della sospensione
dalle funzioni e dallo stipendio del magistrato ordinario, sottoposto
a procedimento penale (art. 31, terzo comma, del r.d.lgs. n. 511 del
1946).
Espone il remittente di doversi pronunciare, in un procedimento
disciplinare, sull’istanza di revoca della misura cautelare sopra
indicata, proposta da un magistrato ordinario.
Premette la sezione disciplinare che tale magistrato,
destinatario di ordinanza applicativa della misura cautelare della
custodia in carcere in relazione al delitto di partecipazione ad
associazione a delinquere di stampo camorristico (art. 416-bis cod.
pen., commi primo, terzo, quarto e quinto), fu sospeso dalle funzioni
dalla stessa sezione remittente con collocamento fuori dal ruolo
organico della magistratura e con attribuzione di assegno alimentare,
in applicazione dell’art. 31, primo comma, del r.d.lgs. n. 511 del
1946, che prevede, in caso di «ordine di cattura», la sospensione «di
diritto» del magistrato.
A seguito di annullamento in sede giurisdizionale dell’ordinanza
che aveva disposto la misura della custodia in carcere (stante la
ritenuta insussistenza di esigenze cautelari), la sezione
disciplinare revoco’ il provvedimento sospensivo, ricollocando nel
ruolo il magistrato.
Successivamente questi fu rinviato a giudizio innanzi al
Tribunale di Salerno, in relazione all’imputazione originariamente
formulata e al delitto di corruzione.
La sezione disciplinare adotto’, quindi, su conforme richiesta
del Ministro della giustizia, nuovo provvedimento di sospensione, ai
sensi dell’art. 31, terzo comma, del r.d.lgs. n. 511 del 1946,
rigettando poi un’istanza di revoca di tale misura.
Il provvedimento cautelare fu annullato con rinvio dalla Corte di
cassazione a sezioni unite, che, superando il proprio precedente
orientamento, ritenne necessario che la sezione disciplinare
valutasse non la gravita’ in astratto dell’imputazione, ma la
consistenza e la serieta’ dei fatti contestati nel procedimento
penale, sia pure nei limiti di una mera delibazione allo stato degli
atti.
La sezione disciplinare, sulla base dei predetti presupposti,
sospese nuovamente il magistrato dalle funzioni ai sensi
dell’art. 31, terzo comma, del r.d.lgs. n. 511 del 1946; il ricorso
avverso tale provvedimento fu rigettato dalle sezioni unite.
Successivamente il magistrato fu giudicato colpevole in primo
grado dal Tribunale di Salerno dei reati ascrittigli e condannato
alla pena di anni 6 di reclusione, con interdizione perpetua dai
pubblici uffici.
Il 3 gennaio 2002 il magistrato, premesso che l’efficacia della
misura cautelare di sospensione dalle funzioni si era protratta oltre
il periodo quinquennale previsto dall’art. 9, secondo comma, della
legge n. 19 del 1990 (che impone, in relazione al pubblico
dipendente, la revoca di diritto della misura assunta «a causa del
procedimento penale», ove compiutosi tale termine), ha chiesto di
essere reintegrato nelle funzioni.
La sezione disciplinare ha rigettato tale ultima istanza,
osservando in primo luogo che la misura cautelare era stata disposta,
in applicazione del principio di diritto enunciato dalle sezioni
unite, a seguito di una ponderata valutazione del fumus di
commissione del delitto, cio’ che, in armonia con la giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 447 del 1995, n. 206 del 1999 e n. 454
del 2000), consentirebbe di sottrarla ad un prefissato termine di
decadenza; in secondo luogo, che, quand’anche si fosse ritenuto
applicabile al magistrato ordinario l’art. 9 della legge n. 19 del
1990, tuttavia l’art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97 (Norme sul
rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed
effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle
amministrazioni pubbliche) avrebbe dovuto condurre alla reiezione
della domanda.
Tale disposizione, infatti, stabiliva, al tempo in cui la sezione
disciplinare si e’ pronunciata, che la sospensione del pubblico
dipendente dal servizio, seguita di diritto alla condanna, anche non
definitiva, per il delitto, tra gli altri, di cui all’art. 319 cod.
pen., perdesse efficacia «decorso un periodo di tempo pari a quello
di prescrizione del reato».
In seguito, ricorda la sezione remittente, e’ sopraggiunta la
sentenza n. 145 del 2002 di questa Corte, che ha dichiarato
l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 4 della legge n. 97 del
2001, nella parte in cui disponeva che la sospensione perdesse
efficacia decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione
del reato, ed ha individuato nel termine di cinque anni di cui
all’art. 9 della legge n.19 del 1990 l’espressione di «una vera e
propria clausola di garanzia, avente portata generale e dunque
comprensiva, in difetto di diversa disciplina legislativa, di ogni e
qualsiasi ipotesi di «sospensione cautelare dal servizio a causa del
procedimento penale», sia facoltativa che obbligatoria».
Alla luce di tale pronuncia, il magistrato ha reiterato la
propria istanza di revoca della misura cautelare di natura
disciplinare per decorrenza del termine, originando cosi’ il
procedimento a quo.
Evidenzia il remittente che, con la decisione n. 145 del 2002,
questa Corte avrebbe affermato che compete al legislatore,
nell’esercizio di una non irragionevole discrezionalita’,
identificare ipotesi circoscritte nelle quali l’esigenza cautelare
che fonda la sospensione e’ apprezzata in via generale ed astratta
dalla stessa legge e che, tuttavia, nel caso di specie il
collegamento della durata della misura cautelare al termine di
prescrizione del reato si palesava irragionevole e lesivo dell’art. 3
della Costituzione.
Tale giurisprudenza, prosegue la sezione disciplinare, ha percio’
per oggetto le ipotesi di sospensione dal servizio applicata «a causa
del procedimento penale», nelle quali, vale a dire, e’ direttamente
la legge a porre l’obbligo per l’amministrazione di disporre la
misura in ragione della pendenza del procedimento penale (c.d.
sospensione automatica), ovvero nelle quali l’amministrazione, pur
chiamata ad esprimere un giudizio, tuttavia opera una «valutazione in
astratto della gravita’ dell’imputazione», incentrata sulla sola
«pendenza del procedimento (penale) in se’ e per se’ considerata».
La pronuncia da ultimo intervenuta si porrebbe, prosegue la
sezione remittente, nel solco di un consolidato orientamento della
Corte, maturato fin dalla sentenza n. 447 del 1995, e proseguito con
le decisioni n. 206 del 1999 e n. 454 del 2000.
Nel sistema normativo vigente, conclude il remittente sulla base
di tali precedenti, non e’ previsto un termine massimo di durata
della misura cautelare, legato al mero decorso del tempo, con
riguardo all’ipotesi di sospensione cautelare disposta
dall’amministrazione in relazione alla pendenza di un procedimento
penale, ma in base ad un’autonoma (sia pur sommaria) delibazione nel
merito dei fatti contestati.
La sezione disciplinare non intende negare che esista diversita’
di situazione tra tale ultima ipotesi ed il caso in cui, viceversa,
la misura cautelare sia applicata solo «a causa del procedimento
penale», nell’accezione gia’ descritta di questa espressione. Ne’
ignora la sentenza n. 454 del 2000 di questa Corte, con cui e’ stata
rigettata questione di costituzionalita’ concernente l’art. 140 della
legge notarile, posto che l’inabilitazione prevista da tale norma in
via cautelare segue ad un procedimento fondato su una valutazione,
seppur sommaria, dei fatti, viene applicata da un organo
giurisdizionale con garanzia del contraddittorio, e resta comunque
revocabile.
Tuttavia il remittente ritiene che la predetta diversita’,
dapprima stimata costituzionalmente ammissibile dalla stessa sezione
disciplinare, abbia cessato di essere «razionalmente giustificata», a
seguito della sentenza n. 145 del 2002 di questa Corte.
Premesso infatti che l’art. 9, secondo comma, della legge n. 19
del 1990 si rende applicabile ai magistrati, in virtu’ del rinvio
disposto dall’art. 276 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12
(Ordinamento giudiziario) alle disposizioni generali relative agli
impiegati civili dello Stato, ne seguirebbe che la sospensione del
magistrato disposta «automaticamente» a seguito di condanna penale,
pur non definitiva (in forza dell’art. 4 della legge n. 97 del 2001),
sarebbe destinata a perdere efficacia, decorso il termine
quinquennale, mentre la sospensione applicata sulla base di una
valutazione sommaria dei fatti non incontrerebbe alcun limite di
durata. Cio’, prosegue la sezione disciplinare, nonostante il
bilanciamento tra l’esigenza cautelare e l’interesse del dipendente
sia stato operato dal legislatore, fissando un limite massimo di
durata della sospensione dal servizio, che resterebbe invece
inapplicabile alla misura disposta ai sensi dell’art. 31 del r.d.lgs.
n. 411 del 1946, sia pure sulla base di un apprezzamento
discrezionale in ordine alla sussistenza del fumus degli addebiti e
delle esigenze cautelari, ma «pur sempre in relazione alla pendenza
di un procedimento penale ed ai fatti per i quali in esso si
procede».
Nel caso di specie, aggiunge il remittente, il magistrato e’
stato sospeso dalle funzioni a seguito di una valutazione sommaria
dei fatti addebitatigli nel procedimento penale.
Inoltre, essendo difficile immaginare mutamenti delle circostanze
poste a fondamento della contestazione, suscettibili di giustificare
una revoca della misura cautelare, non riconducibili agli sviluppi
del procedimento penale, la misura stessa finirebbe per avere una
«durata indefinita».
Pertanto, conclude la sezione remittente, la mancata previsione
nelle disposizioni censurate di un termine di durata massima della
misura cautelare applicata a seguito di delibazione dei fatti
apparirebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, in quanto
introdurrebbe una disparita’ di trattamento non giustificabile
rispetto al modo in cui e’ disciplinata l’ipotesi della sospensione
applicata «a causa del procedimento penale».
2. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che
la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Con memoria depositata in prossimita’ della camera di consiglio,
l’Avvocatura, ripercorse le tappe del procedimento penale e
disciplinare a carico del magistrato, ha osservato che il giudizio
demandato alla sezione disciplinare del CSM e’ autonomo rispetto al
processo penale per i medesimi fatti, posto che tende a «rendere
concreto il diritto all’autotutela dell’amministrazione giudiziaria»,
garantendo l’immagine e la credibilita’ dell’ordine giudiziario.
Pertanto, conclude l’Avvocatura, benche’ la mancata previsione di
un termine massimo di durata della misura cautelare comporti una
«discriminazione» tra i magistrati e gli altri pubblici dipendenti,
tuttavia quest’ultima e’ da ritenersi non irragionevole.
Vi sarebbe, infatti, la necessita’ di precludere il rientro del
magistrato nell’esercizio delle funzioni, fino a quando sia stato
fugato ogni dubbio sull’«irreprensibilita» del suo comportamento.
Considerato in diritto
1. – La sezione disciplinare del Consiglio superiore della
magistratura, chiamata a pronunciarsi sull’istanza di revoca di un
provvedimento di sospensione di un magistrato dalle funzioni e dallo
stipendio, disposto a seguito del rinvio a giudizio del medesimo con
l’imputazione di partecipazione ad associazione a delinquere di
stampo camorristico e di corruzione, ha sollevato questione di
legittimita’ costituzionale, in riferimento all’art. 3 della
Costituzione, dell’art. 9, secondo comma, della legge 7 febbraio
1990, n. 19 (Modifiche in tema di circostanze, sospensione
condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti), e
dell’art. 31 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511
(Guarentigie della magistratura), nella parte in cui non prevedono
«un termine di durata massima della misura cautelare della
sospensione discrezionalmente disposta in base a valutazione sommaria
nel merito dei fatti dedotti nel procedimento penale».
La sezione remittente premette che il magistrato imputato era
stato sospeso, ai sensi dell’art. 31, terzo comma, del r.d.lgs.
n. 511 del 1946 (secondo il quale «il magistrato sottoposto a
procedimento penale per delitto non colposo puo’ … essere
provvisoriamente sospeso dalle funzioni e dallo stipendio»), con
un’ordinanza che – a seguito dell’annullamento di un precedente
analogo provvedimento, e in conformita’ al principio di diritto
enunciato dalla Corte di cassazione – era stata adottata non gia’ sul
mero presupposto della pendenza del procedimento penale e di una
valutazione in astratto della gravita’ dell’imputazione, ma alla
stregua di una autonoma valutazione, sia pure contenuta nei limiti di
una delibazione sommaria, del merito in ordine alla responsabilita’
del magistrato, al rilievo disciplinare della condotta attribuitagli
e alla sussistenza di esigenze che in concreto rendevano inopportuna
la sua permanenza in servizio.
La sezione richiama la giurisprudenza di questa Corte, dalla
quale ricava il principio secondo cui la regola della durata massima
quinquennale della misura cautelare sospensiva, stabilita
dall’art. 9, comma 2, della legge n. 19 del 1990 in relazione ai
pubblici dipendenti sospesi «a causa del procedimento penale», vale
come clausola di garanzia di portata generale applicabile sia nelle
ipotesi in cui la sospensione e’ disposta in base ad un obbligo di
legge (c.d. sospensione «automatica»), sia in quelle in cui, pur
essendo rimesso all’amministrazione il potere di disporre la misura
cautelare, l’applicazione di questa consegua ad una valutazione in
cui e’ la pendenza del procedimento penale in se’ e per se’
considerata, in ragione della gravita’ dei fatti contestati, a
costituire la ragione giustificatrice sufficiente dell’esercizio del
potere discrezionale da parte dell’amministrazione medesima; e
sottolinea la differenza tra l’ipotesi di misura sospensiva
applicabile automaticamente e quella di sospensione c.d.
«discrezionale» conseguente ad una valutazione nel merito dei fatti,
sia pure contenuta nei limiti di una delibazione sommaria.
Tuttavia la sezione, alla luce della recente sentenza di questa
Corte n. 145 del 2002, che ha dichiarato la illegittimita’
costituzionale dell’art. 4, comma 2, della legge n. 97 del 2001 –
relativo alla sospensione obbligatoria dei dipendenti pubblici
condannati, anche non definitivamente, per determinati reati – nella
parte in cui disponeva che la sospensione perdesse efficacia solo
decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato,
rendendo cosi’ applicabile alla fattispecie la regola della durata
massima quinquennale di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 19
del 1990, reputa che non sia razionalmente giustificata, alla luce
dell’art. 3 della Costituzione, una diversita’ di disciplina per cui,
mentre la sospensione cautelare dal servizio disposta automaticamente
per effetto di una sentenza penale di condanna perde efficacia
decorsi cinque anni, e’ invece suscettibile di protrarsi anche oltre
tale termine la sospensione disposta discrezionalmente
dall’amministrazione in base ad un’autonoma e sommaria valutazione
dei fatti dedotti nel procedimento penale, e quindi pur sempre in
relazione alla pendenza del procedimento penale ed ai fatti per i
quali in esso si procede. E aggiunge che, nel caso concreto, restando
lo sviluppo del procedimento disciplinare condizionato dallo
svolgimento del procedimento penale, apparirebbe difficile ipotizzare
mutamenti di circostanze suscettibili di giustificare una revoca
della misura cautelare, che non siano sopravvenuti nel corso del
procedimento penale e non si riconducano agli sviluppi di esso.
2. – La questione non e’ fondata.
Come la stessa sezione remittente ricorda, la giurisprudenza di
questa Corte ha affermato da tempo la necessita’ che le misure
cautelari sospensive nei confronti di pubblici impiegati o di
esercenti funzioni pubbliche siano adottate, in linea di principio,
dall’amministrazione competente in base ad un apprezzamento concreto
sia degli addebiti, sia delle esigenze cautelari; ha precisato che
non puo’ pero’ negarsi al legislatore, in circoscritte ipotesi, la
possibilita’ di effettuare direttamente l’apprezzamento di tali
esigenze cautelari in relazione alla pendenza, a carico
dell’interessato, di procedimenti penali per fatti suscettibili di
avere anche rilievo disciplinare, e comunque per accuse suscettibili
di rendere inopportuna, per l’amministrazione, la permanenza
dell’interessato nell’esercizio delle funzioni; ha affermato che, ove
la misura cautelare si colleghi esclusivamente, come effetto
«automatico», alla pendenza di un procedimento penale, un corretto
contemperamento degli interessi di rilievo costituzionale in gioco
esige che sia fissata una ragionevole durata massima alla misura
cautelare (cfr. sentenze n. 766 del 1988, n. 595 del 1990, n. 239 del
1996, n. 447 del 1995, n. 206 del 1999, n. 454 del 2000, n. 145 del
2002).
L’esigenza di tale limitazione temporale e’ connessa al carattere
«automatico» della misura o quanto meno alla circostanza che la
sospensione sia disposta sulla base del mero dato formale della
pendenza del procedimento penale, cioe’ e’ connessa al fatto che
l’apprezzamento dell’esistenza delle esigenze cautelari, anziche’
essere frutto di una autonoma valutazione dell’amministrazione, e’
compiuto «in astratto» dal legislatore, e collegato all’accusa penale
«solo in quanto e’ la pendenza dell’accusa, come tale, che mette in
pericolo interessi» dell’amministrazione (sentenza n. 206 del 1999).
Quando invece la misura cautelare sia di applicazione
discrezionale, nel senso che «in tanto puo’ essere adottata, in
quanto l’autorita’ competente riscontri in concreto la sussistenza
delle esigenze cautelari che la motivano, e puo’ essere mantenuta
solo fino a quando tali esigenze permangano», allora «si deve
escludere che sia costituzionalmente necessaria la determinazione di
un limite massimo di durata, oltre il quale la misura non possa
essere mantenuta, pur permanendo, in ipotesi, le esigenze cautelari»
(sentenza n. 454 del 2000).
Da questi principi non si discosta la sentenza n. 145 del 2002,
invocata dalla sezione remittente: in essa si ribadisce che la
clausola di garanzia della durata massima della misura comprende ogni
«ipotesi di sospensione dal servizio a causa del procedimento penale,
sia facoltativa che obbligatoria», con riferimento ai casi in cui e’
la sola pendenza del procedimento penale, in quanto tale, che conduce
alla sospensione, indipendentemente da un autonomo apprezzamento
delle esigenze cautelari in concreto ad opera dell’amministrazione: e
infatti l’applicazione del principio fatta dalla Corte in quel caso
riguarda proprio una ipotesi – quella di cui all’art. 4, comma 2,
della legge n. 97 del 2000 – che prevede la sospensione obbligatoria
(c.d. «automatica») a seguito di condanna, anche non definitiva, per
determinati delitti.
In coerenza con questa impostazione, la stessa Corte, quando ha
giustificato costituzionalmente la durata limitata nel tempo della
sospensione del dipendente a causa del mero dato formale della
pendenza del procedimento penale, o ha fornito un’interpretazione
costituzionalmente conforme di norme che prevedevano siffatte ipotesi
di sospensione, ritenendole vincolate ad una durata massima limitata
nel tempo, ha sottolineato che, scaduto il termine massimo di durata
della sospensione «a causa del procedimento penale»,
all’amministrazione resta il potere di ricorrere, sussistendone i
presupposti, alla sospensione facoltativa o discrezionale, per motivi
non piu’ consistenti nella mera pendenza del procedimento penale, ma
fondati sulla cognizione sia pure sommaria dei fatti costituenti
illecito disciplinare e sull’apprezzamento in concreto delle esigenze
cautelari (sentenza n. 447 del 1995 e n. 206 del 1999; ordinanza
n. 278 del 1999, e cfr. anche sentenza n. 454 del 2000).
3. – La normativa tuttora vigente, relativa ai magistrati
ordinari, prevede che all’inizio o nel corso del procedimento
disciplinare l’organo competente (oggi la sezione disciplinare del
CSM), su richiesta del Ministro o del pubblico ministero, possa,
sentito l’incolpato, «disporne la sospensione provvisoria dalle
funzioni e dallo stipendio» (art. 30, primo comma, del r.d.lgs.
n. 511 del 1946); che il magistrato sottoposto a procedimento penale
sia sospeso di diritto dalle funzioni e dallo stipendio «dal giorno
in cui e’ stato emesso contro di lui mandato o ordine di cattura»
(art. 31, primo comma); e che il magistrato sottoposto a procedimento
penale per delitto non colposo possa «essere provvisoriamente sospeso
dalle funzioni e dallo stipendio» (art. 31, terzo comma).
Non sembra dubbio che, nell’impostazione originaria della legge,
tale ultima sospensione, pur facoltativa, si configurasse come
conseguenza del semplice dato formale della pendenza del procedimento
penale, comportando per l’amministrazione solo il potere-dovere di
apprezzare in astratto la gravita’ dell’accusa. E dunque, fino a
quando questo era il senso attribuito a tale norma – in conformita’
anche alla meno recente giurisprudenza di legittimita’ -, ad essa
avrebbe dovuto assegnarsi portata analoga a quella di altre norme
simili che prevedono la sospensione «a causa del procedimento
penale», con conseguente applicabilita’ della garanzia relativa al
termine di durata massima.
Ma non e’ questo il significato che alla norma impugnata
attribuisce la sezione remittente: la quale, fondandosi su una piu’
recente giurisprudenza di legittimita’, formatasi proprio con
riguardo al caso concreto davanti ad essa in esame, e che ha corretto
il precedente orientamento (Cass., sez. un. civ., 3 giugno 1997,
n. 4965; 8 luglio 1998, n. 6631), intende la norma in questione nel
senso che la misura cautelare puo’ essere disposta non gia’ sul mero
presupposto della pendenza del procedimento penale e sulla base di un
esame solo formale dell’accusa contestata in quel procedimento, ma in
base ad una autonoma delibazione «del merito … in ordine alla
responsabilita’ del magistrato, al rilievo disciplinare della
condotta attribuitagli e alla sussistenza di esigenze che in
concreto» renderebbero «inopportuna la sua permanenza in servizio», e
dunque in base ad un apprezzamento «in ordine alla sussistenza del
fumus degli addebiti e delle esigenze cautelari», ancorche’ pur
sempre in relazione alla pendenza del procedimento penale ed ai fatti
per i quali in esso si procede.
In tale contesto, la misura cautelare non ha piu’ nulla
dell’«automatismo» che secondo la giurisprudenza di questa Corte
comporta, per ragioni di contemperamento degli interessi
costituzionali in gioco, la necessita’ di una durata rigidamente
limitata nel tempo: essa puo’ dunque legittimamente durare fino a
quando permangano le esigenze cautelari discrezionalmente apprezzate
dall’amministrazione.
D’altra parte possono ipotizzarsi anche mutamenti di circostanze,
tali da poter comportare una revoca della misura, che non si
riconducano alle vicende del procedimento penale; e l’esigenza
cautelare puo’ e deve sempre essere rivalutata dall’amministrazione
anche in relazione al tempo trascorso e ad eventuali sviluppi del
procedimento penale che possano avere specifico rilievo a tali fini.
4. – E’ pur vero che, interpretato l’art. 31, terzo comma, del
r.d.lgs. n. 511 del 1946 nel senso fatto proprio dalla sezione
remittente e dalla piu’ recente giurisprudenza di legittimita’,
vengono a sfumare considerevolmente i confini fra questa ipotesi
normativa e quella della sospensione per gravi motivi adottata
all’inizio o nel corso del procedimento disciplinare, prevista
dall’art. 30, primo comma, dello stesso r.d.lgs. n. 511 del 1946. E
tuttavia tale circostanza, se puo’ fondare l’auspicio di un riordino
legislativo dell’intera materia, non muta i presupposti
costituzionali su cui si fonda la giurisprudenza di questa Corte,
secondo i quali la necessita’ di un termine rigido di durata massima
della misura cautelare vale solo nei casi in cui essa non sia
adottata in base ad una autonoma valutazione discrezionale
dell’amministrazione in ordine ai presupposti di fatto e alla
sussistenza delle esigenze cautelari.
Nella specie, cio’ conduce a ritenere non fondata la questione
nei riguardi delle norme impugnate, interpretate nel senso dianzi
visto e fatto proprio dalla sezione remittente.