Lavoro e Previdenza

Tuesday 04 March 2003

Licenziamenti collettivi ed indicazione obbligatoria delle modalità e dei criteri di scelta dei lavoratori da sottoporre al provvedimento (l. 223/91). Cassazione – Sezione Lavoro – Sentenza 8 gennaio 2003 – 86/2003

Licenziamenti collettivi ed indicazione obbligatoria delle modalità e dei criteri di scelta dei lavoratori da sottoporre al provvedimento (l. 223/91)

Cassazione – Sezione Lavoro

Sentenza 8 gennaio 2003

86/2003

Sentenza.

Presidente V. Mileo – Relatore R. Di Lella

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 29/3/1996 innanzi al Pretore di Roma, C. L. aveva impugnato il licenziamento collettivo intimatole denunciandone la illegittimità, per violazione dell’art. 4, comma nono, della legge 23 luglio 1991 n. 223, in relazione alla comunicazione del 10/1/1996 alle OO.SS., all’URLMO e alla Commissione Regionale per l’impiego, in quanto non recante la indicazione delle concrete modalità di applicazione dei criteri di scelta adottati.

Il Pretore rigettava la domanda.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza impugnata, ha accolto l’appello proposto dalla L., ed in riforma della sentenza pretorile, ritenuta la illegittimità del licenziamento ai sensi dell’art. 5, comma terzo, della legge n. 223 del 1991, per violazione dell’art. 4, comma nono, ha condannato la società datrice di lavoro a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno.

A fondamento della decisione, il Tribunale di Roma, premesso che la (omissis), nella comunicazione del 10/1/1996 alle OO.SS., all’URLMO e alla Commissione Regionale per l’impiego aveva indicato quale criterio di scelta utilizzato quello della anzianità di servizio, ha osservato che la suddetta comunicazione era priva di indicazioni circa le modalità di applicazione di detto criterio, essendo stato omesso ogni riferimento comparitivo in relazione ai dipendenti fra i quali la scelta era stata effettuata, e si era risolta pertanto in un mero adempimento formale, inidoneo a consentire la verifica della effettiva applicazione del criterio di scelta.

Ha rilevato ancora che, peraltro, nel caso di specie, in base alle stesse affermazioni della società attualmente ricorrente (che in sede di giudizio aveva evidenziato la esigenza di sopprimere la posizione lavorativa di segretaria della Direzione Amministrativa, ricoperta dalla L., che, in quanto unica addetta, era stata destinataria del provvedimento di licenziamento) era emerso che nei confronti della menzionata lavoratrice non era stato utilizzato il criterio di scelta della anzianità di servizio, pur indicato, anche con riferimento alla Lucchetti, nella comunicazione del 10/1/1996, bensì, per quanto evidenziato, quello delle esigenze tecnico-produttive, indicato per la prima volta in sede di giudizio.

Avverso tale decisione la (omissis) propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, illustrato con successiva memoria.

C. L. resiste con controricorso, ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivo della decisione

Con l’unico motivo del ricorso (omissis) denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge 23 luglio 1991 n. 223, nonché errata o insufficiente motivazione.

Sostiene la società ricorrente che erroneamente il giudice del merito ha ritenuto che la indicazione del criterio delle esigenze tecniche produttive non fosse mai stato indicato nel corso della procedura per licenziamento collettivo, pervenendo a tale erroneo convincimento sulla base del solo esame della comunicazione del 10/1/1996 alle OO.SS., all’URLMO e alla Commissione Regionale per l’impiego, senza considerare la complessità del procedimento che ha portato al licenziamento impugnato, costituito da una serie di atti fra loro collegati. In particolare il giudice del merito non ha preso in considerazione la comunicazione del 2 febbraio 1995, che aveva dato inizio alla procedura, nella quale si denunziava “una persistente crisi di mercato e di lavoro” ed una “caduta di ordini di fatturato con conseguente esubero di posizioni lavorative nei vari settori operativi”, fra cui anche la posizione di addetto alla segreteria della Direzione Amministrativa.

Da tale documento si evincerebbe la indicazione della L. quale dipendente sulla quale doveva necessariamente ricadere la scelta per una esigenza tecnica produttiva, e cioè in quanto unica addetta alla suddetta posizione lavorativa, per cui il criterio della anzianità non poteva avere alcuna influenza, mancando il presupposto per la applicabilità dello stesso, e cioè la pluralità di addetti a quella posizione lavorativa, fra cui individuare quello con minore anzianità.

Il ricorso è privo di pregio.

In forza delle disposizioni di cui alla legge 23 luglio 1991 n. 223, la materia della mobilità dei il lavoratori, ed in generale dei licenziamenti collettivi è subordinata, come comunemente si afferma, oltre che alla ricorrenza di indici di rilevanza sociale, anche alla previsione di un controllo preventivo del programma che l’imprenditore intende attuare, esercitato dalle organizzazioni sindacali di categoria e da organismi pubblici. In proposito, posto che i licenziamenti collettivi non possono riguardare la persona dei lavoratori, la legittimità o illegittimità del recesso dipendono non tanto dalle ragioni addotte dal datore di lavoro e dalle scelte di politica aziendale, essendo queste del tutto insindacabili ai sensi dell’art. 41 Cost., quanto dalla regolarità formale del procedimento instaurato per la selezione del personale da licenziare. I1 controllo della legittimità del recesso, nella materia dei licenziamenti collettivi disciplinati dalla legge 23 luglio 1991 n. 223, e collegato dunque al regolare svolgimento di una serie di adempimenti formali (o fasi procedurali), che il datore di lavoro deve porre in essere per l’attuazione del programma di riduzione del personale eccedente. Tale procedura prevede una prima fase, costituita dalla comunicazione preventiva, disciplinata nei commi da 2 a 4 dell’art. 4 della legge n. 223 del 1991.

A tal fine è previsto l’avviamento delle procedure di mobilità con la comunicazione scritta agli organismi sindacali indicati nella norma, che deve contenere la specificazione dei dati elencati dal comma 3° dello stesso art. 4 (motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale e non consentono di evitare la dichiarazione di mobilità, numero, collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente, tempi di attuazione del programma di mobilità ed eventuali misure ulteriori programmate).

Una copia della comunicazione deve essere inviata all’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione (comma 4°).

Si apre così la fase dell’esame congiunto in sede sindacale, con l’eventuale intervento, in caso di mancato accordo, del suddetto ufficio (commi 6, 7 e 8).

Il 9° comma prevede lo specifico obbligo di comunicare all’ufficio regionale del lavoro, alla I, commissione regionale per l’impiego e alle associazioni sindacali di categoria, l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5, comma 1.

Ciò premesso va osservato che l’inosservanza di ciascuna delle fasi (previste e disciplinate dai primi nove commi dell’ art. 4 della legge 23 luglio 1991 n. 223) della procedura collettiva incide sullo stesso potere dell’imprenditore di ridurre il personale, in modo da causare l’inefficacia dei singoli licenziamenti (art. 5 comma 3), tale inefficacia ben potendo essere fatta valere da ciascun lavoratore interessato.

Nel caso di specie il richiamo da parte della società ricorrente alla comunicazione del 2 febbraio 1995, che dava inizio alla procedura, (e cioè alla comunicazione di cui al secondo, terzo e quarto comma dell’art. 4, ed al riferimento nella stessa contenuto alle posizioni lavorative del personale eccedente) appare privo di rilevanza ai fini della decisione della vicenda oggetto del giudizio. Infatti ciò di cui si discute non è la regolarità della suddetta comunicazione, che correttamente indicava i motivi che avevano disciplinato la situazione di eccedenza, nonché il numero, la collocazione aziendale e le posizioni lavorative del personale eccedente, secondo quanto prescritto dall’art. 4 comma terzo, (e che peraltro non può in alcun caso assumere il significato di una indicazione nominativa dei lavoratori da licenziare, essendo essi individuabili solo a seguito del successivo eventuale esame congiunto, di cui al comma quinto dell’art. 4 e della specificazione dei criteri di scelta adottati e delle modalità di applicazione degli stessi).

Ciò di cui si discute è la inosservanza della procedura prevista dall’art. 4, comma nono; e che, al pari della inosservanza che riguardi ciascuna delle fasi procedurali di cui ai precedenti commi, determina, ove sussistente, la inefficacia del licenziamento.

La fase procedurale in esame prevede, come si è già accennato, che il datore di lavoro, dopo avere individuato i criteri di scelta da utilizzare (concordati con le organizzazioni sindacali o unilateralmente predisposti), debba darne comunicazione, precisandone le modalità di applicazione, alle organizzazioni sindacali ed ai menzionati organismi amministrativi (Cass. S.U. 302 del 13/1/2000).

Nel caso di specie il giudice del gravame ha evidenziato che, attraverso la mera indicazione dei nominativi dei lavoratori licenziati, dei loro dati anagrafici, della anzianità aziendale e della precisazione del criterio di scelta applicato (l’anzianità di servizio), non può considerarsi soddisfatto l’onere della puntuale indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta, poichè la omessa valutazione comparativa dei dipendenti fra i quali la scelta è stata operata rende la comunicazione inidonea a consentire la verifica della effettiva applicazione dei criteri stessi, ed integra pertanto violazione del citato art. 4, comma nono.

Il rilievo esposto appare corretto e rispettoso dei principi affermati da questa Corte, secondo cui la indicazione delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta, rispondendo all’esigenza di consentire ai sindacati, ed al giudice, un sollecito ed immediato controllo, evitando che l’imprenditore possa, ex post, giustificare le sue scelte in relazione a quanto sostenuto dai lavoratori in sede contenziosa, presuppone necessariamente la evidenziazione della valutazione comparativa fra tutti i dipendenti nell’ambito dei quali la scelta va operata, così da permettere una vera e propria graduatoria derivante dal raffronto fra tutti i lavoratori interessati al provvedimento espulsivo, in relazione ai quali è intervenuta la scelta, onde consentire di verificare come e perchè i lavoratori licenziati siano stati scelti, dovendosi osservare che in assenza della suddetta comparazione, la comunicazione si riduce ad un inutile rituale, non consentendo di verificare, nel rispetto della finalità della previsione normativi, in esame, la effettiva e corretta applicazione dei criteri di scelta (Cass. 4685 del 27/5/1997; Cass. 5718 del 10/6/1999).

Egualmente corretto appare l’ulteriore considerazione con la quale il giudice del gravame ha evidenziato che, nel caso di specie, la mancata indicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta è ulteriormente e platealmente confermata dal rilievo che dalla suddetta comunicazione, indicativa del criterio di scelta della anzianità di servizio, non risultava che nei confronti della L. il suddetto criterio di scelta era stato pretermesso, ed utilizzato in sua vece quello delle esigenze tecniche produttive (come precisato dalla società ricorrente, nel corso del giudizio), senza che di tale modalità di applicazione, concretizzatasi nella adozione di un criterio di scelta diverso da quello dichiarato, vi fosse traccia nella comunicazione di cui all’art. 4, comma nono.

Nè a tali conclusioni può opporsi che il giudice del gravame avrebbe privilegiato l’aspetto formale delle denunciate carenze della comunicazione di cui all’art. 4, comma nono, dimenticando che le esigenze giustificative della scelta della L. già emergevano dalla comunicazione di apertura della procedura del 2/2/1995.

A parte quanto già osservato in proposito, va inoltre rilevato che la censura in esame finisce con il far valere una tesi per così dire sostanzialistica, secondo la quale le disfunzioni procedurali darebbero luogo a mere irregolarità, prive di incidenza sull’atto finale, quando il controllo sociale è stato comunque garantito.

Si tratta di un’impostazione che non può essere condivisa, perché la legge sanziona con l’inefficacia il recesso, qualora sia intimato “in violazione” delle procedure, cosicché, come si è già evidenziato, l’inosservanza della procedura collettiva incide sullo stesso potere dell’imprenditore di ridurre il personale.

Il ricorso va dunque rigettato, rimanendo per quanto precede superata ogni ulteriore questione concernente la specifica posizione lavorativa della dipendente.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i1 ricorso;

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese d giudizio che si liquidano in euro16,00 oltre euro 3.000 (tremila) per onorari.