Banca Dati
L’esdebitazione dell’imprenditore fallito
A seguito della chiusura del fallimento, il fallito resta debitore verso i creditori non soddisfatti, sia che questi abbiano ottenuto l’ammissione al passivo, sia che siano rimasti estranei al fallimento, non insinuando i loro crediti.
L’art. 120, terzo comma del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (“legge fallimentare”) stabilisce che, una volta chiuso il fallimento, “i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi, salvo quanto previsto dagli articoli 142 e seguenti”.
Questo significa che la chiusura del fallimento, di per sé sola, non produce l’effetto della “esdebitazione” del fallito.
Il capo IX del titolo II (artt. 142-144) del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (“legge fallimentare”), come modificato dall’art. 128 del D.LGS. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), ha introdotto nel sistema concorsuale il nuovo istituto della “esdebitazione”.
Esso è qualificato dall’art. 142 come “beneficio”, cui può essere ammesso “il fallito persona fisica”, e consiste nella “liberazione dai debiti residui”.
La ratio dell’istituto è individuata dalla Relazione ministeriale al decreto legislativo n. 5 del 2006 nell’obiettivo “di recuperare l’attività economica del fallito per permettergli un nuovo inizio, una volta azzerate tutte le posizioni debitorie”.
Nell’istituto convive anche un’altra finalità, che è quella di premiare il fallito “onesto, ma sfortunato” e, dunque, di incentivare l’imprenditore assoggettabile a fallimento a tenere, sia prima che durante la procedura, una condotta irreprensibile tesa a salvaguardare le aspettative di soddisfacimento dei creditori.
L’art. 143 prevede che l’esdebitazione possa essere pronunciata sia con lo stesso decreto di chiusura del fallimento sia con separato provvedimento successivo (purché la domanda del debitore sia presentata entro un anno dalla data di chiusura del fallimento).
L’accesso al beneficio dell’esdebitazione presuppone la contestuale sussistenza dei requisiti di cui all’art. 142 L.F. e, in particolare, che il fallito:
abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni;
non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura;
non abbia violato le disposizioni di cui all’articolo 48. Tale articolo 48 (sotto la rubrica “Corrispondenza diretta al fallito”) stabilisce che il fallito è tenuto «a consegnare al curatore la propria corrispondenza di ogni genere, inclusa quella elettronica, riguardante i rapporti compresi nel fallimento»;
non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta;
non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito;
non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione.
Oltre alle condizioni soggettive, l’art. 142 pone, al secondo comma, una ulteriore condizione, di carattere oggettivo, senza la quale il beneficio non è concedibile: “L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”.
L’art. 143, primo comma, stabilisce che il tribunale dichiara inesigibili «i debiti non soddisfatti integralmente», il che vuol dire che tali debiti debbono essere stati soddisfatti parzialmente e debbono essere tutti quelli aventi titolo al soddisfacimento.
Il contenuto della pronuncia di accoglimento della domanda è individuato dall’art. 143, primo comma, nella dichiarazione di inesigibilità nei confronti del debitore ex-fallito dei debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.
Si tratta di una pronuncia non meramente dichiarativa, bensì di accertamento costitutivo, atteso che in virtù di essa si produce una modificazione della situazione giuridica preesistente, consistente appunto in ciò che i debiti non soddisfatti integralmente divengono “inesigibili”.
Tale “inesigibilità” non è temporanea, ma definitiva, tant’è che il debitore consegue la “liberazione dai debiti residui” (art. 142, primo comma, primo periodo), sicché i creditori concorsuali non possono mai più pretendere alcunché da lui.
Ciò equivale a dire che i debiti residui (salvo quelli che “restano esclusi dall’esdebitazione” a norma dell’art. 142, terzo comma: obblighi di mantenimento e alimentari, debiti per risarcimento danni da fatto illecito extracontrattuale) si estinguono irreversibilmente.
Avv. Alessandra Castorio