Penale

Tuesday 27 January 2004

Le squadre di calcio possono avere una sorta di farmacia interna. La sentenza sul Torino Calcio. Cassazione Sezione terza penale (up) sentenza 26 novembre 2003-26 gennaio 2004, n. 260

Le squadre di calcio possono avere una sorta di farmacia interna. La sentenza sul Torino Calcio

Cassazione – Sezione terza penale (up) – sentenza 26 novembre 2003-26 gennaio 2004, n. 2601

Presidente Grassi – relatore Novarese

Pm Passacantando – ricorrente Pg di Torino

Svolgimento del processo

Il Pg presso la Corte di appello di Torino ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte territoriale emessa in data 29 gennaio 2001 con la quale Palazzetti Davide, in qualità di amministratore delegato della Torino Calcio spa, veniva assolto perché il fatto non sussiste dal reato di esercizio di attività consistente nel procurarsi, detenere in apposito magazzino e fornire medicinali per uso umano senza la prescritta autorizzazione, deducendo quali motivi:

a) la violazione e la falsa applicazione degli articoli 1 e 15 D.Lgs 538/92, giacché l’ampia definizione di distribuzione all’ingrosso di medicinali comprende qualsiasi attività consistente nel procurarsi, detenere, fornire o esportare medicinali salvo la fornitura di medicinali effettuata dalle farmacie a norma delle vigenti disposizioni di legge ed include anche chi svolga detta attività senza alcun ricarico, guadagno o lucro, perché ha acquistato detti medicinali da una farmacia sia pure a particolari condizioni, in quanto le nozioni di ricarico, guadagno e lucro esulano dalle definizione normativa, il decreto legislativo mira a tutelare la salute pubblica e, quindi, incrimina pure una distribuzione di prodotti terapeutici non effettuata in maniera corretta, perché si è venuta a creare “una farmacia” della società di calcio, cui attingere in caso di necessità;

b) l’erronea interpretazione dell’inciso “salvo la fornitura di medicinali effettuata dalle farmacie”, poiché l’attività posta in essere consistita nel procurarsi, detenere e fornire medicinali è diversa da quella del semplice acquisto di alcune medicine in farmacia per uso proprio, sicché detta eccezione alla regola deve essere oggetto di un’esegesi restrittiva e non può riguardare casi diversi da quelli considerati;

c) la violazione dell’articolo 2 D.Lgs cit., il quale, nel prescrivere l’autorizzazione per la distribuzione di medicinali all’ingrosso, si riferisce alla definizione di cui all’articolo 1 secondo comma D.Lgs cit., valida “ai fini del presente decreto”, sicché neppure da un’esegesi sistematica e logica di tutto il regime predisposto si può inferire la limitazione dell’autorizzazione solo all’operatore professionale, che eserciti quale lavoro l’attività di distribuzione di farmaci;

d) l’errata interpretazione del citato D.Lgs in relazione all’articolo 188bis Tuls e l’illogicità manifesta della motivazione sul punto, giacché la pregressa normativa non può costituire un limite all’esegesi della nuova, la quale ha esteso il campo di applicazione della nozione di distribuzione all’ingrosso di medicinali, in quanto il testo previgente non può essere logicamente posto a base di un’interpretazione restrittiva della definizione legislativamente data, conforme alla normativa comunitaria di cui è attuazione (direttiva 92/25/Ce) ed all’interpretazione effettuata dalla Corte di cassazione.

Motivi della decisione

Appare opportuno riassumere alcuni dati fattuali quali risultano dalle ragguardevoli decisioni di merito in modo da meglio chiarire la fattispecie.

Il Torino Calcio spa acquistava da una farmacia torinese a particolari condizioni numerosi medicinali senza la necessità di utilizzarli nell’immediatezza, ma per farsene una scorta in caso di bisogno per non dover ricorrere in continuazione ad una farmacia.

E’ certo che alcuni di questi farmaci sono stati acquistati e forniti senza ricetta medica, redatta dal medico sociale, pur essendo necessaria, mentre molti medicinali venivano prescritti ed acquistati senza una correlazione con uno stato patologico (cd. spersonalizzazione del momento di acquisto), senza essere prodotti di banco ed essere tesi a fronteggiare situazioni di urgenza o emergenze, giungendo, in alcuni casi, alla somministrazione a soggetti minori per i quali era vietata.

Riassunti con estrema sintesi i fatti più salienti, l’impugnazione, che trae spunto da un’articolata e diffusa decisione di primo grado, si fonda su una pronuncia di questo giudice di legittimità (Cassazione sezione terza 11322/99, Guadagnoli rv 214635), resa in un procedimento instaurato con l’imputazione di cui all’articolo 15 D.Lgs 538/92, perché un odontotecnico deteneva nel suo laboratorio in assenza della prescritta autorizzazione prodotti medicinali procurati mediante acquisto dalla casa farmaceutica Umbra spa, secondo quanto risulta dalla sentenza della Pretura di Rieti del 16 gennaio 1998, confermata dalla Corte di appello di Roma il 5 novembre 1998 e divenuta definitiva in seguito alla citata pronuncia.

L’omessa rilevanza attribuita, da parte della decisione di questa Corte, al procacciamento dei medicinali da una casa farmaceutica e l’indicazione di principi generici hanno contribuito ad assegnare alla frase, contenuta nella predetta sentenza, «senza il tramite delle farmacie, che rappresentano il veicolo normale di procacciamento di medicinali per uso proprio» un significato pregnante relativo al discrimine rispetto alla lata definizione di cui all’articolo 1 secondo comma D.Lgs in esame, limitato soltanto alla possibilità di acquistare in farmacia solamente medicinali per uso proprio, ed ad esaltare l’inciso “per uso proprio”.

Tuttavia, la decisione di questa Corte contiene l’affermazione di alcuni principi e si sofferma sulla nozione di distribuzione all’ingrosso diversa dal significato corrente, sull’irrilevanza della detenzione di dotazioni minime di medicinali e della quantità degli stessi, purché non irrisoria, e sul bene tutelato, la salute umana, che «può essere posto in pericolo o leso dalla detenzione incontrollata di medicinali indipendentemente dalla loro quantità».

Peraltro, quest’ultimo generale rilievo deve essere correlato con l’acquisto delle medicine da una casa farmaceutica senza alcuna ricetta e senza il tramite della farmacia, sicché si è in presenza di una “detenzione incontrollata”, onde non assume importanza il quantitativo dei medicinali, purché non irrisorio, e la dotazione minima di prodotto, prescritta dall’articolo 7 D.Lgs cit., anche se un maggiore approfondimento ed una più attenta valutazione del fatto sarebbe stata opportuna, soprattutto in ordine alla qualifica di imprenditore dell’imputato impugnante.

Pertanto, dall’esame dell’ipotesi criminosa sottoposta al giudizio di quel collegio della Cassazione si evince che i principi su enunciati si basano sull’acquisto di prodotti medicinali direttamente da una casa farmaceutica, sicché non sono immediatamente applicabili nella fattispecie in atti.

Tuttavia, alcune notazioni possono essere utilizzate per il loro carattere generale quali l’impossibilità di tener conto della nozione comune di grossista dinanzi ad una definizione legislativa, l’irrilevanza dei criteri, dei presupposti, dei requisiti e degli obblighi sanciti dalla disciplina di cui al D.Lgs in esame, poiché concernenti il regolare esercizio di detta attività e non quello abusivo, anche se un simile assunto non può essere considerato in maniera semplicistica, senza alcuna valutazione globale della disciplina ed un’analisi ermeneutica approfondita, logico sistematica, il necessario riferimento al principio di offensività ed il bene tutelato, la salute umana, messa in pericolo o leso dalla detenzione incontrollata di medicinali.

Perciò, l’impossibilità di richiamare ed evocare i principi affermati nella pronuncia in parola come

attinenti ad una fattispecie similare non esclude di poter pervenire egualmente all’interpretazione

sostenuta dal ricorrente oppure ad un’esegesi alternativa più conforme al principio di tassatività e di determinatezza della fattispecie, ad un’interpretazione adeguatrice tale da privilegiare la soluzione ermeneutica più favorevole all’imputato, escludendo ogni analogia “in malam partem”, ed ad una considerazione globale della disciplina sia nazionale sia comunitaria.

Ed invero, la locuzione «salvo la fornitura di medicinali effettuata dalle farmacie a norma delle

disposizioni vigenti», in astratto, potrebbe comportare la necessità di focalizzare l’attenzione sulla

parte terminale della frase cioè il rispetto della normativa vigente, che non consente di creare una sub farmacia o una succursale, se non con modalità ben precise ed in ipotesi determinate con l’assistenza di personale professionalmente preparato e munito di titolo specifico, e vieta di fornire alcune categorie di farmaci senza ricetta ripetibile oppure da rinnovare volta per volta.

A tal ultimo proposito, però, già assume importanza la previsione di una sanzione amministrativa

nel caso di violazione delle regole di prescrizione medica applicabili,a ciascuna categoria di farmaci

in virtù della disciplina predisposta dagli articoli 4 e segg. del D.Lgs 539/92, anche se ciò che

potrebbe rilevare è il sintagma “fornitura .. effettuata .. a norma delle disposizioni vigenti” inteso

quale rispetto, considerato in maniera unitaria, di quella normativa collaterale che mira a consentire un controllo sulla necessità terapeutica del farmaco e del soggetto cui deve essere somministrato al fine di evitare la possibilità di costituire una giacenza di farmaci senza alcuna correlazione con stati patologici o morbosi, senza alcun controllo medico nella somministrazione e senza alcuna particolare modalità di conservazione e di utilizzazione, nonostante il riferimento a specifiche sanzioni amministrative per la trasgressione di singoli precetti.

Ed invero le più disparate e disomogenee condizioni di conservazione dei farmaci, l’assenza di un aumento dei livelli di conoscenza e della serietà e completezza delle procedure per la fornitura e la somministrazione sono alla base dei pericoli, che possono derivare alla salute dei clienti, tanto è vero che il Dm 6 luglio 1999 si è preoccupato di fornire le linee direttrici in materia di buona pratica di distribuzione dei medicinali per uso umano, individuando i soggetti legittimati alla fornitura ed al ricevimento ed imponendo tutta una serie di accorgimenti tecnici per la conservazione sia con riferimento ai locali sia alle apparecchiature ed alle modalità di fornitura ai clienti, che non sono solo le farmacie ma anche altre strutture autorizzate a rifornirsi direttamente all’ingrosso in conformità con le vigenti disposizioni di legge (articolo 4 primo comma Dm cit.).

Questa impostazione trova una conferma da un’excursus storico sistematico della normativa di settore e da una considerazione a tutto campo della disciplina concernente la materia farmaceutica.

Infatti, il precedente disposto dell’articolo 46 Rd 1706/38, che limitava la vendita dei medicinali effettuata da produttori e grossisti alle sole farmacie autorizzate, escludendo espressamente la vendita stessa, a comunità, associazioni ed enti assistenziali per la distribuzione ai propri assistiti, ha subito un notevole ridimensionamento sia tramite l’articolo 28 terzo comma della legge 833/78 (cd. riforma sanitaria) che ha stabilito per le Usl, (ora Asl), i suoi presidi o servizi e per gli istituti o enti convenzionati (istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, istituzioni sanitarie di diritto privato) la possibilità di acquistare direttamente le preparazioni farmaceutiche comprese nel prontuario terapeutico per la distribuzione ai propri assistiti nelle farmacie di cui sono titolari gli enti pubblici, ora escluse e ridotte dalla normativa di riordino stabilita dalla legge 362/91, e sia per l’impiego diretto negli ospedali, negli ambulatori ed in tutti gli altri presidi sanitari, nonché per gli enti e le istituzioni pubbliche di beneficenza ed altri soggetti specificamente individuati dalle varie normative succedutesi nel tempo limitatamente all’ipotesi di impiego diretto dei prodotti all’interno di determinate istituzioni.

Tale estensione del campo dei soggetti abilitati a rifornirsi direttamente dei medicinali se da un lato potrebbe far ritenere legittimo l’acquisto da parte degli altri tramite la farmacia, dall’altro, attraverso la predisposizione di una serie di garanzie e di controlli per la loro conservazione e somministrazione, potrebbe dimostrare la principale preoccupazione del legislatore di controllare la distribuzione in senso lato dei farmaci, sicché l’inciso “a norma delle disposizioni vigenti” finirebbe con l’assumere un connotato importante, tanto più ove correlato con tutta la normazione del settore farmaceutico ed in particolare relativo alle farmacie.

Ed invero la pluralità di significati del termine farmacia riconducibile ad un impresa commerciale, ad un pubblico servizio ed all’esercizio di una professione sanitaria distinta dalle altre ed assoggettata a vigilanza dello Stato per l’importanza ai fini della tutela della salute pubblica connota la disciplina legislativa sul punto ed in particolare l’importanza della pianta organica, dei criteri per la sua formazione e revisione, del conferimento dell’esercizio farmaceutico mediante pubblico concorso, della presenza di un ordine professionale e della tipologia degli esercizi farmaceutici con riguardo alle cd. “farmacie interne”, contemplate per ipotesi specifiche e con una serie rigorosa di prescrizioni e di obblighi, oneri, presupposti e requisiti, nonché dal carattere professionale del suo esercizio, basato su norme di diritto pubblico, non cumulabile ed assegnato “intuitu personae”.

Non è un caso che per i superiori interessi della salute pubblica, oltre ad alcune limitazioni nella gestione in forma societaria, sono previste sanzioni amministrative o misure interdittive e penali, nell’ipotesi di esercizio di una farmacia senza autorizzazione, fermo restando il delitto di cui all’articolo 348 Cp (esercizio abusivo della professione farmaceutica), caratterizzato dalla vendita di medicinali da parte di un soggetto non abilitato.

Orbene, la complessiva disciplina, sinteticamente richiamata, dimostra come non sia possibile

sussumere la fattispecie in esame nell’ipotesi di esercizio abusivo della professione farmaceutica, poiché non si provvedeva da parte della Torino calcio spa a vendere i medicinali, e neppure in quella contravvenzionale sia perché non si è aperta una nuova farmacia, ma, al limite, si è creata “farmacia interna” o una sub farmacia o meglio una giacenza di medicinali.

Tuttavia, nell’ipotesi della sub farmacia, sarebbe possibile configurare un illecito amministrativo, ove non esistesse l’ulteriore connotato della carenza del titolo professionale specifico in chi la gestisce senza provvedere a vendere i medicinali, giacché venivano soltanto somministrati.

Pertanto, non è possibile neppure ritenere sussistenti detti illeciti, mentre la sempre maggiore rilevanza del rispetto della normazione sulla ricettazione nella fornitura dei farmaci potrebbero far assumere alla nozione ampia di distribuzione all’ingrosso il significato di una norma di chiusura, tesa alla tutela del bene fondamentale della salute, inclusiva pure di ipotesi particolari e marginali.

Perciò, la ratio dell’ampia definizione di distribuzione all’ingrosso e della disciplina predisposta dal D.Lgs 538/92 potrebbe discendere non solo dal ruolo dell’irregolare ed illegittimo sistema di ricettazione, il quale, ove fosse stato regolare, avrebbe assicurato la sua funzione di sintesi della diagnosi e della cura della malattia e di autorizzazione scritta al prelievo del medicinale da parte dell’assistito, differenziando la responsabilità del farmacista nel dispensare il farmaco prescritto a seconda della tipologia dei diversi medicamenti (D.Lgs 539/92), ma anche da una valutazione complessiva della normativa vigente in tema di fornitura di farmaci. e di farmacie e dalle plurime violazioni di questo regime, posto a difesa della salute della collettività.

Infatti, nella fattispecie, non sono state rispettate in tutti i casi le procedure della ricettazione, strumento di legittimazione alla dispensazione del medicinale, e della consegna del farmaco, anche e soprattutto per colpa del medico sociale e del farmacista, che hanno cooperato a costituire queste giacenze di medicinali, ma neppure è stata osservata la normativa concernente gli obblighi dei farmacisti e la dislocazione della farmacie, nonché la fornitura delle medicine, consentendo pure, secondo la sentenza di primo grado, uno sviamento terapeutico, ritenuto insussistente, però, secondo la sentenza impugnata, perché non rispondente alle risultanze processuali, mentre sembra permanere la più grave affermazione circa la somministrazione irregolare a minori di sostanze medicinali a loro vietate, pur se la pronuncia della Corte di appello non si sofferma sul punto

Non sembra necessario richiamare il principio di offensività per escludere l’applicazione di detta nozione a casi limite quali la presenza dei campioni di medicinali o di medicamenti in uno studio medico, peraltro giustificata dalla disponibilità delle medicine da parte di un soggetto professionalmente preparato, e la dotazione di farmaci di pronto intervento o di frequente uso o di largo consumo esistente in ogni famiglia per non reiterare acquisti di prodotti di largo consumo o da somministrare in continuazione o ciclicamente, ove esistano malattie croniche, poiché in entrambi i casi viene meno la qualifica dell’imprenditore.

L’esegesi proposta dal ricorrente potrebbe trovare conforto nella tipologia dei medicinali detenuti e nel loro acquisto solo in parte regolamentare, come ha fatto la decisione di primo grado, da cui risulta che «il 27,5 % apparteneva al regime di acquisto libero, mentre il 71% concerneva farmaci suscettibili di essere acquistati solo su ricetta ripetibile o, anche, non ripetibile, né mancavano, sia pure in percentuale di gran lunga inferiore dell’1,5% .. specialità non vendibili al pubblico perché acquistabili, detenibili e somministrabili ..esclusivamente in ambito ospedaliero».

Inoltre, ulteriore conforto potrebbe essere rinvenuto sempre nella decisione di primo grado, in cui si afferma che «tra i farmaci detenuti presso le sedi della squadra giovanile ben 69 su 128 (pari al 53%) concernevano specialità non suscettibili di somministrazione in giovani di età inferiore ai 16 anni .. stante la serietà ed irreversibilità degli effetti collaterali riscontrabili nell’impiego su soggetti nell’età dello sviluppo (Ct Pm pagg. 19 e 3 5)».

Tuttavia, la carenza di documentazione sanitaria, attestata nella decisione di primo grado è, in parte, contraddetta da quella impugnata, che ammette l’esistenza di «una ricettazione incompleta o per pochissime specialità addirittura inesistente» senza,però, specificare in che cosa consista la “incompiutezza” e senza indicare i farmaci, per i quali non esiste alcuna ricetta.

Peraltro, se è vero che in presenza di una contravvenzione di pericolo presunto non può richiamarsi l’assenza di danni ai calciatori, comunque, ad avviso di questa Corte, da verificare, ove a minori siano stati somministrati farmaci non adatti, e se devono considerarsi gli effetti potenziali derivanti dalla costituzione di dette giacenze tali da creare una messa in pericolo del bene protetto ed incomprimibile della salute, costituendo la contravvenzione un’avanzata tutela dello stesso, è necessario, però, che il reato possa essere configurabile nell’ipotesi fattuale su descritta, procedendo ad un’esegesi logico ‑ teleologica e sistematica della normativa, giacché non è consentito effettuare quel tipo di interpretazione “ad litteram” alcune volte pur sostenuto dalle sezioni unite di questa Corte (cfr. Cassazione Su 11/1999, Tucci rv 213494 e 22/1999, Sadini ed altro rv 214792) in contrasto con l’insegnamento di Illustri Maestri.

Ed invero, potrebbe già rilevarsi che, come nota l’impugnata sentenza, l’ampia nozione di distribuzione all’ingrosso di medicinali discende dalla possibilità del concorso di vari operatori settoriali professionali, giacché alcuni possono acquisirli, altri possono detenerli, altri ancora possono fornirli ed infine vi è chi si preoccupa di importarli o esportarli.

Inoltre, anche se i medicinali, secondo quanto risulta da tutta la descrizione del fatto, operata nelle sentenze dei giudici di merito, non servivano soltanto per interventi di urgenza o emergenziali, potevano essere utilizzati per venire incontro a sintomatologie frequenti in chi pratica lo sport ovvero per consentire l’immediata somministrazione di medicinali senza necessità di ricorrere continuamente ad una farmacia anche durante i ritiri e le trasferte e le attività svolte fuori sede, concernendo medicine da banco o routinarie per gli sportivi (cfr. pag.28 della sentenza impugnata). Peraltro, la carente prova dello sviamento terapeutico e la considerazione cumulativa della giacenza senza una relazione al numero degli atleti, effettuata dalla decisione di primo grado e nell’imputazione, suffragano la considerazione dell’impugnata sentenza secondo cui la dotazione non appariva eccessiva ed era ingiustificata dalla possibilità di un controllo medico, indici da cui trarre, nella fattispecie, il venir meno delle ragioni poste a base di un’interpretazione eccessivamente estensiva della nozione di distribuzione all’ingrosso.

Una simile analisi ermeneutica trova conforto dinanzi ad una possibilità di pluralità di soluzioni e di esegesi anche nella disciplina comunitaria, di cui il D.Lgs 538/92 è attuazione, sia con riguardo alla direttiva n.92/25 del 31 marzo 1992, orinai non più in vigore, sia alla n. 2001/38/Ce del 6 novembre 2001, che ha costituito un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, riunendo in un unico testo le varie precedenti direttive, perché «lo scopo principale delle norme relative, alla produzione, alla distribuzione ed all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della salute pubblica, dimostrando come sia necessaria una considerazione unitaria dei vari settori in modo da conseguire la finalità primaria, ma ponendo anche in rilevo una certa progressione che va dalla produzione alla vendita ed alla somministrazione ed ha quale stadio intermedio la distribuzione dei farmaci, intesa quale attività professionale.

Pertanto, i generali principi espressi nelle premesse del codice comunitario “farmaceutico” devono essere letti alla luce di questa ulteriore specifica considerazione, tratta dall’esame delle singole i disposizioni, dei vari titoli e capi e della loro collocazione.

Pertanto, se l’analisi ermeneutica della norma nazionale deve essere compiuta tenendo presente quella comunitaria di cui è attuazione, poiché sussiste un’interpretazione “adeguatrice comunitaria”, che occorre sempre prediligere in quanto consente di raggiungere risultati conformi al diritto comunitario, la cui preminenza rispetto a quello interno è stata sempre affermata dalla Corte costituzionale a partire dagli anni settanta ed è ora costituzionalmente recepita, secondo alcuni autori, dall’articolo 117 primo comma Costituzione, detta esegesi è ancor più necessaria dinanzi ad un testo normativo passibile di polisense interpretazioni.

Inoltre, riproducendo uno dei considerando della pregressa direttiva, il codice del 2001 afferma l’opportunità di effettuare «un controllo su tutta la catena di distribuzione dei medicinali, dalla loro fabbricazione .. fino alla fornitura al pubblico così da garantire che .. siano conservati.. e manipolati in condizioni adeguate», imponendo ai farmacisti di tenere e conservare registri nei quali siano riportate le transazioni in entrata «in modo da poter controllare tutta la catena di distribuzione fino alla fornitura e di procedere più rapidamente al ritiro dal mercato dei prodotti difettosi o contraffatti».

Proprio queste finalità indicate dalla direttiva comunitaria del 1992 e riprodotte nel codice del 2001 danno conto dell’ampia nozione di distribuzione all’ingrosso fornita dalla normativa nazionale e dell’Unione europea e spiegano la natura professionale dell’attività svolta, nonché i vari requisiti richiesti, che, in una considerazione unitaria, mal si conciliano con l’oggetto sociale della Torino calcio spa, da tener presente, giacché la‑disciplina comunitaria presuppone un’organizzazione finalizzata alla distribuzione dei medicinali ed individua nelle farmacie il punto terminale.

Non contraddice questa prima acquisizione la circostanza, risultante dalla sentenza di primo grado, non discusse sul punto da quella impugnata, relativa a varie condizioni di favore, di cui ha goduto il Torino spa: dal pagamento a 90 giorni ad ipotizzabili sconti, tanto più che venivano acquistate medicine a carico del Ssn, il cui costo economico era controbilanciato dalla certa disponibilità di farmaci senza necessità di ricorrere a ricettazione ed a farmacie in ogni luogo.

Un’esegesi restrittiva della nozione limitata ad un operatore professionale può farsi derivare, a

parere del collegio, dall’esame complessivo del D.Lgs 538/92 ed in particolare dai

requisiti, obblighi e presupposti stabiliti dagli articoli da 2 a 7, in quanto, se detta normativa riguarda un distributore all’ingrosso regolare e non abusivo, la richiesta di un insieme di caratteristiche, che mal si conciliano con l’attività del Torino spa, e di prescrizioni, requisiti ed obblighi contenuti nel D.Lgs in esame ed anche nel Dm del 1999 citato, richiama un’attività svolta professionalmente, in quanto servono per effettuare un controllo della catena di distribuzione, per consentire una più efficace tutela della salute dei cittadini e per imporre obblighi connaturati con la conservazione, la fornitura e la eliminazione dal mercato dei medicinali, prevedendo dotazioni il minime di medicinali, caratteristiche dei locali, obblighi di tenuta di registri e di documentazione (articoli 6 e 7 D.Lgs 538/92), non richiedibili a chi svolga altra attività e non eserciti professionalmente quella della distribuzione dei farmaci.

Peraltro è interessante notare come gli stessi adempimenti si riferiscano ad una fornitura all’esterno delle sostanze medicinali e non ad una dotazione e/o giacenza da utilizzare all’interno di una struttura e come la distribuzione sia come un anello intermedio della catena deputa soprattutto ad un aspetto anteriore alla fornitura alle farmacie, sicché appare esulare dal rapporto farmacia ‑ acquirente.

Perciò, la definizione, per quanto dilatata, di distribuzione all’ingrosso di medicinali, anche in vista

del bene tutelato, non sembra potersi riferire alla fattispecie concreta contestata.

Infatti, se l’estesa nozione di distribuzione all’ingrosso deve essere correlata con le irregolarità e le

illegittimità commesse dal medico sociale e dalla farmacia fornitrice, la necessità dei medicinali

deve intendersi in senso relativo cioè nella pressante opportunità di creare una giacenza tale da

poter far fronte alle evenienze più facilmente realizzabili in base all’attività svolta.

Infatti, contrariamente a quanto ritiene il primo giudice, non ogni giacenza, soprattutto se formata in

maniera lecita e regolamentare, potrebbe determinare la configurazione di una distribuzione

all’ingrosso dei medicinali, ma solo quella che tende a rifornirsi degli stessi senza il rispetto delle

disposizioni di legge in tema di prescrizioni, di posologia e di soggetti affetti da determinate patologie ed in materia eccedente le ordinarie scorte da commisurare con le singole necessità e con le specifiche attività svolte come, del resto, dimostra la stessa normativa sull’igiene del lavoro ‑richiamata dalla sentenza di primo grado (Dpr 303/56 articoli 27 e 31, Dm 28 luglio 1958), la quale prescrive le dotazioni minime, ma non esclude la possibilità di effettuare una giacenza di medicinali più estesa in relazione anche ad alcune specifiche attività e rischi lavorativi ed a qualche patologia ricorrente in quel settore o generalizzata (ex. gr. raffreddore o influenza).

E’ vero che l’unitaria considerazione delle varie fasi riguardanti il settore farmaceutico dalla produzione all’acquisto da parte del cliente, unificate dal comune interesse alla protezione del bene salute, si evince pure dall’articolo 2 del D.Lgs 538/92, che, richiamando al primo comma «la distribuzione all’ingrosso dei medicinali per uso umano» e l’obbligo di autorizzazione, lo esclude al secondo comma per chi è in possesso dell’autorizzazione alla produzione di farmaci, limitando la possibilità di distribuzione solo «alle materie prime farmacologicamente attive, alle specialità medicinali ed altri medicinali oggetto di tale autorizzazione», consentendo anche al produttore di distribuire i medicinali, purché sia stata effettuata a monte una valutazione sulla loro affidabilità, ma in questo caso si tratta di attività svolte a monte della somministrazione e da soggetti dotati di specifica professionalità ed autorizzazione, rilasciata dopo l’effettuazione di determinati controlli,

Questa disposizione, quindi, anche se dimostra il comune interesse per la salute pubblica, avvalora un’interpretazione in senso restrittivo della nozione di distribuzione, limitandola ad operazioni poste a monte di quelle di fornitura al pubblico.

Questa interpretazione è supportata pure dalla dizione dell’articolo 15 D.Lgs 538/92 e dal principio di tassatività della fattispecie, giacché il precetto penale esordisce con il configurare un reato proprio del «titolare o legale rappresentante dell’impresa che inizia l’attività di distribuzione all’ingrosso di medicinali senza munirsi di autorizzazione» e richiama, quindi, la nozione di imprenditore con i suoi connotati peculiari ricavabili dall’articolo 2082 Cc.

A tal proposito, se è vero che può essere giuridicamente irrilevante il fine di lucro, secondo l’impostazione della più recente dottrina e giurisprudenza (Cassazione 5766/94 in Giust. civ. 1995, 1, 187), è pur sempre necessaria una qualche utilità economica, ravvisabile in un risparmio di spesa o in un altro vantaggio patrimoniale, nella fattispecie non rinvenibile in maniera certa nel pagamento dilazionato e nei possibili sconti a fronte dell’acquisto di medicine concedibili senza spesa o con minimo impegno dal servizio nazionale sanitario.

Peraltro, se il requisito della professionalità non implica l’esclusività o la preminenza dell’attività (Cassazione 2321/97 in Giur. it. 1998,1,1190) , occorre pur sempre una sistematicità ed abitualità nello svolgimento dell’impresa economica, non riscontrabile nell’attività svolta dal Torino calcio, il cui oggetto è del tutto diverso rispetto alla distribuzione all’ingrosso di medicinali.

Inoltre, l’ulteriore requisito dell’organizzazione comporta un coordinamento di fattori produttivi con predisposizione di mezzi operativi idonei finalizzata alla produzione di beni o di servizi (Cassazione 10826/98) e tale attività economica non risulta svolta dal Torino calcio.

Pertanto deve affermarsi che la nozione di distribuzione all’ingrosso di medicinali per uso umano, offerta dall’articolo 1 D.Lgs 538/92, confermata dalla normativa comunitaria di cui è attuazione, dal bene protetto e dalla considerazione delle varie e distinte fasi in cui consiste l’attività farmaceutica, non può prescindere dallo svolgimento di un’attività imprenditoriale e professionale finalizzata alla fornitura di medicinali a soggetti legittimati alla dazione al pubblico, sicché non può includere pure l’effettuazione di una giacenza di medicinali tali da dar luogo ad una c. d. farmacia interna, e richiede per la tutela della salute la specifica autorizzazione, tesa ad effettuare un controllo pure sulle modalità di conservazione, di fornitura e di somministrazione, costituendo l’attività di distribuzione all’ingrosso un anello intermedio tra la produzione e la dazione al pubblico, proiettata all’esterno e connotata dall’assenza di un rapporto tra farmacia ed acquirente e da un vantaggio economico, anche se non necessariamente dal fine di lucro.

Peraltro, pur se non può escludersi che in ipotesi marginali possa verificarsi una distribuzione all’ingrosso di medicinali mediante la creazione di una sub farmacia, questa configurabilità deve correlarsi con il principio di offensività e con l’accertamento delle modalità con cui è stata posta in essere l’illegittima ed irregolare giacenza in riferimento alla normazione sulla prescrizione dei farmaci, sul trasferimento e sulla creazione di una farmacia in rapporto con la tipologia dei medicinali e con la loro necessità sia in relazione ad emergenze ed urgenze sia a specifiche patologie, che richiedono cure cicliche o continuative, sia alle normali dotazioni dei soggetti fruitori in correlazione con l’attività svolta e con le forniture di medicine di largo consumo anche per evenienze future, ma generalmente verificabili, sia con lo svolgimento di un’attività avente connotati economici, finalizzati allo svolgimento di un’attività professionale, caratterizzata dalla sistematicità e dall’abitualità, attraverso il coordinamento di vari fattori produttivi e destinata alla produzione di beni e servizi, inerenti alla somministrazione di medicinali all’esterno a soggetti legittimati e non al pubblico.

PQM

Rigetta il ricorso.