Penale
Le sorti dell’ appello dopo l’ incostituzionalità della legge Pecorella.
Le sorti dell’appello dopo l’incostituzionalità
della legge Pecorella.
Cassazione – Sezione terza penale
– ordinanza 15-27 febbraio 2007, n. 8080
Presidente Lupo – Relatore
Squassoni
Ricorrente Pg in proc.
Santaniello
Premesso
che con
sentenza 8 maggio 2006, il Tribunale di Salerno ha assolto Santaniello
Salvatore dai reati previsti dagli articoli 171bis, comma 1, 171ter, comma 1,
lettere a), c), d) e comma 2, lettera a), legge 633/41 con la formula “per non
avere commesso il fatto”;
che, per
l’annullamento della sentenza, ha proposto direttamente ricorso per Cassazione
il Procuratore Generale della Repubblica di Salerno il 23 giugno 2006,
successivamente all’entrata in vigore della legge 46/2006 ed in applicazione di
detta legge che non consentiva all’organo della accusa di appellare le sentenze
di proscioglimento (fatta eccezione per l’ipotesi di cui all’articolo 603,
comma 2, Cpp);
che in
data 24 gennaio-6 febbraio 2007, la
Consulta ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli
articoli 1, 10, comma 2, legge 46/2006, per cui è stato ripristinata la facoltà
del Pubblico Ministero di proporre appello contro le sentenze di
proscioglimento;
che
l’efficacia retroattiva delle sentenze della Consulta vale anche nel caso di
incostituzionalità di una norma processuale con l’eccezione per quei rapporti
per i quali si sono formate situazioni consolidate: nell’ipotesi in esame, non
si è esaurita la fase dell’impugnazione, che si conclude con la decisione sul
gravame, per cui la fattispecie subisce l’influenza del giudicato
costituzionale;
che il
ricorso proposto dal Procuratore Generale non può ritenersi immediato in
Cassazione, a sensi dell’articolo 569 Cpp dal momento che contiene censure in
ordine alla valutazione delle prove;
che, pertanto,
l’impugnazione va qualificata come appello, in applicazione della regola
contenuta nell’articolo 568, comma 5, Cpp, e gli atti trasmessi alla Corte
territoriale di Salerno per l’ulteriore corso di giustizia;
PQM
La Corte, qualificata l’impugnazione
del Procuratore generale come appello, dispone trasmettersi gli atti alla Corte
di appello di Salerno per l’ulteriore corso.
*****
Cassazione – Sezione terza penale
– sentenza 15-27 febbraio 2007, n. 8081
Presidente Lupo – Relatore De
Maio
Ricorrente Pg in proc.
Aboutaoufik
Motivazione
Najib Aboutaouflk fu rinviato al
giudizio del giudice monocratico del Tribunale di Matera perché rispondesse del
reato di cui agli articoli 81 cpv., 648, comma 2, e
171ter, lettere b) e c), legge 633/41, commesso in Tricarico il 15 agosto 2000
(“per aver a scopo di profitto acquistato o comunque ricevuto, da persona non
identificata e con la consapevolezza della provenienza delittuosa, n. 41
musicassette, n. 413 CD musicali e n. 52 CD di programmi software per play
station di cui all’allegato verbale di sequestro -che costituisce parte
integrante del presente decreto di citazione a giudizio ai fini della
contestazione), merce contenente opere tutelate dal diritto di autore provento
del delitto di illecita riproduzione di cui all’articolo 171,lettera a), legge
633/41 e priva del prescritto contrassegno della Siae e per avere in esecuzione
del medesimo disegno criminoso detenuto per la vendita e posto in commercio la
suddetta merce, accertato in Tricarico il 15 agosto 2000”).
Con sentenza in data 8 luglio
2005 il menzionato giudice mandò assolto l’imputato con la formula perché il
fatto non sussiste, ritenendo che mancasse la prova
dell’abusiva riproduzione e che, in base alla normativa vigente prima
dell’entrata in vigore della legge 248/00, tale requisito fosse indispensabile
per rendere punibile l’attività di detenzione per la vendita di materiale
sprovvisto del contrassegno Siae.
Avverso tale
sentenza il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Potenza
propose appello, che quella Corte d’appello con ordinanza del 6 luglio 2006
dichiarò inammissibile ai sensi della legge 46/2006. Lo stesso Procuratore
generale ha, quindi, proposto ricorso per cassazione a norma del comma 3
dell’articolo 10
della citata legge 46/2006, denunciando con unico motivo la violazione
dell’articolo 171ter 1egge 633/41 nel testo vigente prima dell’entrata in
vigore della legge 248/2000, in quanto il Tribunale non aveva “considerato che
la detenzione per la vendita di supporti privi del contrassegno Siae configura,
per i fatti commessi, come nella specie, prima dell’entrata in vigore della
legge 248/2000, il reato di cui all’articolo 171ter, lettera c), nella forma
del tentativo”, come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità.
La Corte rileva che con la
sentenza 26/2007 la
Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’articolo 1 della legge 46/2006
nella parte in cui, sostituendo l’articolo 593 Cpp, escludeva che il Pm potesse
appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi
previste dall’articolo 603, comma 2, Cpp, nonché dell’articolo 10, comma 2,
della stessa legge 46/2006, nella parte in cui prevedeva che l’appello proposto
contro una sentenza del Pm prima dell’entrata in vigore della medesima legge dovesse
essere dichiarato inammissibile.
Tale dichiarazione di
incostituzionalità, estesa espressamente anche alla disciplina transitoria
delle impugnazioni proposte prima della citata legge 46/2006, produce effetti
su tutti i processi non ancora definiti, poiché invalida sin dall’origine la
norma in contrasto con la
Costituzione, la quale non può più ricevere applicazione (articolo 30 legge 87/1953). L’effetto caducatorio della
dichiarazione di incostituzionalità è, cioè, equiparabile a quello
dell’annullamento, e non a quello dell’abrogazione, con la conseguente
inapplicabilità del principio tempus regit actum, valevole nella successione
temporale delle norme processuali. Le sezioni unite penali, con la sentenza
17179/02, hanno affermato che la sentenza dichiarativa dell’illegittimità
costituzionale di una norma processuale (nella specie in tema di notificazioni)
produce effetti anche con riferimento alle notificazioni eseguite prima della
sua pubblicazione, purché il procedimento nel quale esse sono state effettuate
non sia stato ancora definito con decisione avente
autorità di cosa giudicata (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto nulla la
notificazione del decreto di citazione a giudizio eseguita con le formalità
contemplate dall’articolo 8 della legge 890/82 prima della pubblicazione della
sentenza 346/98 della Corte costituzionale dichiarativa della sua
illegittimità).
La citata
pronunzia 26/2007 della Corte costituzionale ha ripristinato la normale
appellabilità della sentenze di proscioglimento da parte del Pm (escluse quelle
di condanna alla sola pena dell’ammenda). Questo effetto, applicato ai processi
che, essendo pendenti davanti a questa Corte, non possono considerarsi
definiti, comporta che vada annullata l’ordinanza di inammissibilità
dell’appello originariamente proposto dal Pm. Detta ordinanza è stata prevista
dall’articolo 10, comma 2, della legge 46/2006, con
riferimento agli appelli proposti anteriormente alla sua entrata in vigore, e
proprio tale dichiarazione di inammissibilità è stata ritenuta incostituzionale
dalla sentenza 26/2007. Essa, infatti, costituirebbe un ostacolo
all’instaurazione del giudizio di appello che la Corte costituzionale ha
inteso conservare, ostacolo dichiarato espressamente incostituzionale.
L’annullamento dell’ordinanza di
inammissibilità dell’appello determina la reviviscenza dell’atto di appello
originariamente proposto dal Procuratore generale nel presente giudizio, che va
pertanto deciso dalla Corte di appello competente. Si ripristina così la situazione
giuridica processuale che esisteva prima dell’entrata in vigore degli articoli 1 e 10 della legge 46/2006, coerentemente
alla invalidazione delle stesse nonne prodotte dalla sentenza di illegittimità
costituzionale.
L’annullamento dell’ordinanza di
inammissibilità e la conseguente reviviscenza dell’originario appello proposto
dal Pm non sono impediti dal presente ricorso per cassazione, il cui contenuto
è superato e reso del tutto irrilevante dalla necessaria pregiudizialità del
giudizio di appello. La proposizione di detto ricorso, a contrario, dimostra la
non acquiescenza del Pm alla sentenza qui impugnata ed ha impedito il passaggio
in giudicato della sentenza stessa.
In conclusione, va ordinata la
trasmissione degli atti alla Corte di appello di Potenza, per il giudizio
sull’originario atto di appello proposto dal Procuratore Generale presso la
stessa Corte.
PQM
La Corte annulla senza rinvio
l’ordinanza 6 luglio 2006 della Corte d’Appello di Potenza che ha dichiarato
inammissibile l’appello del Pm e ordina trasmettersi gli atti alla Corte di
Appello di Potenza.