Civile
Le Regioni non hanno competenza per regolamentare le pratiche terapeutiche e le discipline non convenzionali.
Le Regioni non hanno competenza per regolamentare le pratiche terapeutiche e le discipline non convenzionali.
CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 12 dicembre 2003 n. 353 – Pres. CHIEPPA, Red. CAPOTOSTI – (giudizio promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 dicembre 2002, depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2003 ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2003).
SENTENZA N. 353
ANNO 2003
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Riccardo CHIEPPA Presidente
– Valerio ONIDA Giudice
– Carlo MEZZANOTTE “
– Fernanda CONTRI “
– Guido NEPPI MODONA “
– Piero Alberto CAPOTOSTI “
– Annibale MARINI “
– Franco BILE “
– Giovanni Maria FLICK “
– Francesco AMIRANTE “
– Ugo DE SIERVO “
– Romano VACCARELLA “
– Paolo MADDALENA “
– Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 dicembre 2002, depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2003 ed iscritto al n. 2 del registro ricorsi 2003.
Visto l’atto di costituzione della Regione Piemonte;
udito nell’udienza pubblica del 14 ottobre 2003 il Giudice relatore Piero Alberto Capotosti;
uditi l’avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Enrico Romanelli per la Regione Piemonte.
Ritenuto in fatto
1. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 30 dicembre 2002, depositato il 9 gennaio 2003, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali), in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, della Costituzione.
2. — Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata reca la regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali -quali la “agopuntura”, la “fitoterapia”, la “omeopatia”, la “omotossicologia” e le altre pratiche omologhe indicate nell’art. 2, comma 1- che espressamente riconosce, al dichiarato scopo di favorire la libertà di scelta del paziente, nell’ottica del pluralismo scientifico.
La difesa erariale, anche nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, sostiene che le norme impugnate, poiché attengono all’esercizio di professioni sanitarie secondo metodi e mezzi non convenzionali, sarebbero riconducibili alla competenza legislativa di tipo concorrente, nel cui esercizio la Regione, ex art. 117 Cost., deve osservare sia i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (primo comma), sia i principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato (terzo comma) che, nella specie, risulterebbero entrambi violati.
Secondo il ricorrente, sarebbe anzitutto illegittimo il riconoscimento “regionale” di professioni aventi ad oggetto l’esercizio di pratiche terapeutiche «non convenzionali» non ancora istituite dalle norme statali, alle quali è riservata la formulazione dei principi generali nella materia. Infatti, la regione non potrebbe emanare norme aventi ad oggetto la disciplina, attraverso l’istituzione d’un registro, o albo, e la regolamentazione dei requisiti per la relativa iscrizione, di figure di operatori professionali non ancora individuate dal legislatore statale. L’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e l’art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, hanno infatti riservato allo Stato l’individuazione delle figure professionali in oggetto –quindi, degli operatori di pratiche terapeutiche “non convenzionali”- e hanno enunciato nella materia della “sanità” un principio fondamentale, da ritenersi vigente anche successivamente alla novellazione del Titolo V della Costituzione realizzata dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.
La legge impugnata si porrebbe altresì in contrasto con i «vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario» in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi. Le direttive comunitarie aventi ad oggetto la libera circolazione dei professionisti riguardano infatti anche il riconoscimento dei titoli di abilitazione conseguiti in uno Stato membro ai fini dell’esercizio della attività professionale in un altro Stato, tenuto a garantirne l’osservanza su tutto il proprio territorio. Senonché, la legge impugnata, da un canto, determina l’operatività del principio derivante dalle norme comunitarie in riferimento alle nuove figure professionali, dall’altro, inevitabilmente limita ad una parte del territorio nazionale l’esercizio del diritto alla libera circolazione, realizzando in tal modo una discriminazione «tra cittadini residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro».
3. — Nel giudizio si è costituita la Regione Piemonte, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
Secondo la resistente, sarebbe notorio che sono ampiamente diffuse le cc.dd. “terapie non convenzionali”, praticate in Europa da un numero sempre più ampio di pazienti, al punto che il Parlamento europeo, nel 1997 ha approvato una risoluzione con la quale affermava la necessità di tutelare la libertà degli utenti nella scelta delle terapie, garantendo allo stesso tempo la sicurezza e la correttezza dell’informazione in ordine alla loro innocuità. Anche in Italia, benché la materia non sia stata disciplinata, è stata prevista una aliquota IVA ridotta per i medicinali omeopatici ed il d.P.C.m. 29 novembre 2001, recante direttive in ordine ai livelli essenziali di assistenza, fa riferimento alle medicine non convenzionali; la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, in un documento del 18 maggio 2002, ha inoltre identificato nove discipline che riconduce alla pratica professionale medica (agopuntura; fitoterapia; medicina tradizionale cinese; ayurveda; osteopatia e chiropratica), mentre alcune Regioni hanno anche inserito nei piani sanitari regionali la realizzazione di programmi di sperimentazione estesi alle medicine non convenzionali, ricondotte nel novero delle prestazioni erogabili dal servizio sanitario nazionale.
La legge impugnata mirerebbe a garantire chiarezza e trasparenza di queste attività, tutte concretamente e legalmente già esercitate, anche allo scopo di assicurare una corretta informazione. La realizzazione di questa finalità sarebbe garantita dall’istituzione di una Commissione alla quale sono stati attribuiti compiti di informazione, studio e verifica del possesso dei requisiti da parte di coloro che chiedono di essere iscritti nel registro regionale degli operatori di pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali.
Secondo la Regione, le norme impugnate non istituirebbero affatto un albo professionale, ma disciplinerebbero «uno strumento assolutamente non vincolante per gli esercenti le professioni considerate», che non sostituisce, né elimina e neppure limita i titoli di abilitazione professionale e lo svolgimento dell’attività, secondo le norme vigenti.
4. — All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nelle difese scritte.
Considerato in diritto
1. — Il giudizio in via principale, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe nei confronti della Regione Piemonte, ha ad oggetto la legge regionale 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali) in riferimento all’art. 117, primo e terzo comma, della Costituzione.
Secondo la ricorrente Avvocatura erariale, il riconoscimento “regionale” di professioni aventi ad oggetto l’esercizio di pratiche terapeutiche “non convenzionali”, non ancora previste ed istituite dalle norme statali, eccederebbe la competenza della Regione, così come violerebbe i limiti della competenza regionale previsti dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dal momento che sarebbe riservata alla legislazione dello Stato la formulazione dei principi fondamentali attinenti all’individuazione, nell’ambito della materia “sanità”, delle figure professionali di operatori di pratiche terapeutiche “non convenzionali”. Sarebbero inoltre, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, violati anche i “vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario” in tema di libera circolazione dei professionisti e di riconoscimento dei titoli di abilitazione conseguiti in uno Stato membro, poiché le direttive comunitarie in materia non consentirebbero che l’istituzione di nuove figure professionali non sia garantita in tutto il territorio statale, realizzandosi altrimenti “trattamenti discriminatori tra cittadini residenti e cittadini provenienti da un altro Stato membro”.
2. — La questione è fondata.
La legge impugnata 24 ottobre 2002, n. 25, della Regione Piemonte regolamenta le “pratiche terapeutiche e le discipline non convenzionali”, prevedendo, tra l’altro, l’istituzione “nell’ottica del pluralismo scientifico e della libertà di scelta da parte del paziente” di un registro per le pratiche terapeutiche e per le discipline non convenzionali (art. 1), nonché la costituzione di una Commissione permanente presso l’Assessorato regionale alla sanità (art. 3), con compiti, in particolare, di definizione dei requisiti minimi per il riconoscimento degli istituti deputati alla formazione degli operatori, di verifica del possesso, a seguito del superamento di apposita prova teorico-pratica, dei requisiti occorrenti alla iscrizione in un apposito registro regionale (art. 4), ed altresì di verifica, nel periodo transitorio, di idoneità degli operatori, già esercenti sul territorio regionale tali pratiche non convenzionali, ai fini dell’iscrizione in tale registro (art. 7).
I contenuti precipui della legge, che si focalizzano sui requisiti dei nuovi operatori, in correlazione con le argomentazioni prospettate nel ricorso inducono a ritenere che l’oggetto della questione di legittimità costituzionale in esame vada ricondotto essenzialmente alla materia delle professioni sanitarie. A questo proposito, segnalando che già il r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, assoggettava a vigilanza statale, tra l’altro, l’esercizio delle professioni sanitarie e delle “arti ausiliarie delle professioni sanitarie”, stabilendo l’obbligo del conseguimento del rispettivo titolo di abilitazione professionale, va ricordato che dopo l’entrata in vigore della Costituzione la disciplina delle funzioni relative all’esercizio delle professioni sanitarie e delle relative professioni ed arti ausiliarie è stata riservata, ai sensi dell’art. 117, nell’ambito della materia “assistenza sanitaria”, alla competenza statale, anziché a quella regionale (cfr. sentenza n. 82 del 1997), da una serie di atti legislativi, tra cui: il d. P.R. 14 gennaio 1972, n. 4, il d. P.R. 24 luglio 1977, n. 616, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, il d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112.
In particolare, il d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, all’art. 6, comma 3, riservando alla competenza statale il relativo potere, ha disposto che le figure professionali da formare ed i connessi profili, nonché i rispettivi ordinamenti didattici fossero definiti da apposite disposizioni, secondo un principio che è stato poi confermato dall’art. 124, comma 1, lettera b), del citato d. lgs. n. 112 del 1998, nonché dall’art. 1, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, il quale ha stabilito che “il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie” è determinabile in base alle specifiche norme istitutive dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario. Infine, la legge 10 agosto 2000, n. 251, ha incluso le diverse figure professionali sanitarie, di cui al citato art. 6, comma 3, del d. lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni, in distinte fattispecie qualificatorie.
A seguito dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione, la disciplina de qua è da ricondurre, come già detto, nell’ambito della competenza concorrente in materia di “professioni”, di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione. I relativi principi fondamentali, non essendone stati, fino ad ora, formulati dei nuovi, sono pertanto da considerare quelli, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002), risultanti dalla legislazione statale già in vigore.
Non pare quindi dubbio che, anche oggi, la potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie debba rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, debba essere riservata allo Stato. Né si può dire che trattandosi di nuove pratiche terapeutiche e di discipline non convenzionali quel principio non trovi applicazione, ed infatti la legge della Regione Piemonte n. 25 del 2002 –istituendo, tra l’altro, un registro dedicato sia agli operatori medici sia a quelli non medici, prevedendo percorsi formativi di durata pluriennale, nonché il rilascio di titoli professionali- viene soprattutto ad incidere su aspetti essenziali della disciplina degli operatori sanitari senza appunto rispettare, in violazione dell’art. 117, terzo comma della Costituzione, il principio fondamentale che riserva allo Stato la individuazione e definizione delle varie figure professionali sanitarie.
Sotto questo profilo è pertanto costituzionalmente illegittima l’impugnata legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 25 (Regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.
F.to:
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Piero Alberto CAPOTOSTI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 dicembre 2003.