Lavoro e Previdenza
Lavoro: la Cassazione chiarisce dove deve essere affisso il codice disciplinare.
Lavoro: la Cassazione chiarisce
dove deve essere affisso il codice disciplinare.
Cassazione – Sezione lavoro –
sentenza 16 maggio – 3 ottobre 2007, n. 20733
Presidente Ianniruberto –
Relatore Monaci
Pm Apice – Parzialmente conforme
– Ricorrente Stec Società Tipografia Editrice Capitolina Spa
Svolgimento del processo
La controversia ha per oggetto
l’impugnazione da parte di un gruppo di dipendenti delle sanzioni disciplinari
loro irrogate dalla datrice di lavoro Stec soc. Tipografica Editrice
Capitolina. Il giudice di primo grado annullava le sanzioni, e con sentenza n.
1486/03, in data 16 gennaio/9 aprile 2003, la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello della
Stec.
Avverso la sentenza, che non
risulta notificata, la società Stec ha proposto ricorso per cassazione, con due
motivi, notificato presso il domicilio eletto ai tredici intimati, in copie
separate, l’otto aprile 2004,
in termine.
Gli intimati non hanno presentato
difese in questa fase.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di
impugnazione la ricorrente società Stec deduce la violazione e falsa applicazione
dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 con riferimento agli artt. 2082 e 2086
c.c., nonché l’illogicità, la contraddittorietà e
l’erroneità della motivazione su di un punto decisivo della controversia.
L’art. 7 prescrive soltanto che
le norme disciplinari devono essere portate a conoscenza dei lavoratori
mediante affissione in un luogo accessibile a tutti.
Non era prevista, invece, nessuna
indicazione specifica sui requisiti che il luogo doveva possedere per essere
ritenuto idoneo a garantire la conoscibilità della normativa disciplinare.
L’unico elemento rilevante era il
fatto che il contratto collettivo fosse posto in un luogo facilmente
accessibile.
Non occorreva che fosse affisso
in una apposita bacheca.
La società aveva adempiuto pienamente all’obbligo a suo carico di affissione
e di comunicazione.
2. Con il secondo motivo la
società ricorrente denunzia la nullità della sentenza per omessa motivazione e
statuizione sulla legittimità dei procedimenti e delle sanzioni disciplinari.
Le sanzioni erano perfettamente
legittime e giustificate.
I dipendenti erano stati
sottoposti a sanzioni disciplinari non avendo effettuato la manutenzione
ordinaria delle macchine attraverso la raccolta delle polveri in un apposito
macchinario (bidone aspiratutto) messo a loro disposizione dall’azienda,
violando così l’obbligo, previsto a loro carico negli accordi aziendali
intervenuti tra le organizzazioni sindacali e la Stec, di provvedere ad
effettuare, nei limiti dell’orario di lavoro, la piccola manutenzione delle
apparecchiature del reparto.
Il comportamento dei lavoratori,
che non avevano adempiuto ai propri obblighi, non
poteva non essere contestato e sanzionato dall’azienda.
3. Il ricorso deve essere
accolto.
È fondato, infatti, il primo
motivo di impugnazione.
Come si legge nel testo, a pag.
2, il giudice di primo grado aveva fondato la decisione relativa alla
inidoneità dell’affissione delle sanzioni disciplinari su quattro circostanze:
che non
era stato affisso il solo codice disciplinare ma il testo integrale del
contratto collettivo,
che
quello affisso non era il contratto collettivo in vigore ma uno precedente,
che era
esposto in un luogo in cui non era più necessario il passaggio dei lavoratori,
che non era affisso nelle bacheche per i comunicati sindacali e aziendali.
Il giudice d’appello ha
riconosciuto il carattere non decisivo dei primi due argomenti, osservando,
esattamente, che era sufficiente l’affissione del contratto collettivo
contenente le sanzioni e che non era stato allegato che con il rinnovo
contrattuale fossero state modificate le norme relative alle sanzioni.
Ha ritenuto, invece, che fossero
rilevanti le altre due circostanze, che le modalità di affissione del codice disciplinare
effettuate dalla Stec non fossero state idonee, sia perché era stato affisso in
un locale in cui in precedenza erano apposti i cartellini di presenza
ma in cui ormai i lavoratori dovevano recarsi appositamente, in quanto,
a seguito di cambiamenti nei locali produttivi, non dovevano passare più
necessariamente di lì, sia perché l’affissione non era stata effettuata,
invece, nelle apposite bacheche per le comunicazioni aziendali.
Anche questi argomenti sono privi
di coerenza logica.
La disciplina in materia
prescrive, all’articolo 7, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, che
"le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in
relazione alle quali ciascuna di esse può essere
applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere
portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a
tutti."
È necessario perciò che i locali
in cui sono affisse le disposizioni siano accessibili liberamente a tutti i
lavoratori.
Questo obbligo a carico del
datore di lavoro non può essere ristretto alla necessità che i locali in cui viene effettuata l’affissione non siano chiusi e che tutti i
dipendenti abbiano piena libertà di accedervi senza impedimenti di sorta e
senza dover chiedere permessi particolari; la possibilità di recarsi nei locali
in cui sono esposte le norme disciplinari deve essere effettiva, non meramente
teorica, e perciò rientra nel concetto di libero accesso anche la comodità
dell’accesso, la necessità che non sussistano difficoltà particolari.
Non sussiste, però, un obbligo di
effettuare l’affissione in locali in cui i dipendenti devono passare
necessariamente: la norma richiede il libero accesso, quindi accesso non
impedito, non difficoltoso, non l’accesso necessitato, non evitabile.
Ugualmente la legge non richiede
che l’affissione venga effettuata nelle bacheche
aziendali, che possono mancare o essere destinate altre comunicazioni, e che
comunque non rendono più agevole la lettura delle norme.
Gli argomenti su cui si è fondato
il del giudice del merito sono infondati in diritto, mentre la motivazione
della sentenza impugnata è palesemente insufficiente.
Manca un necessario nesso logico
tra le considerazioni in fatto e le conclusioni cui è giunta la Corte d’Appello.
4. Di conseguenza il primo motivo
di impugnazione deve essere accolto, mentre il secondo motivo, sul merito
sostanziale delle infrazioni, rimane assorbito.
La sentenza impugnata deve essere
cassata, e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Roma in diversa
composizione per un nuovo esame da effettuare alla luce delle considerazioni
svolte e dei principi di diritto affermati in questa sentenza.
Il giudice di rinvio provvederà,
inoltre, alla liquidazione delle spese di questa fase di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso,
cassa la sentenza impugnata, e, rinvia, anche per le spese, alla Corte
d’Appello di Roma in diversa composizione.