Imprese ed Aziende
L’audizione della Consob in Parlamento sui casi Cirio e Parmalat. (Commissioni Riunite VI e X Camera e VI e X Senato 20.1.2004)
L’audizione della Consob in Parlamento sui casi Cirio e Parmalat.
(Commissioni Riunite VI e X Camera e VI e X Senato 20.1.2004)
1. L’evoluzione del sistema finanziario italiano e lo sviluppo del mercato obbligazionario
2. Le vicende Parmalat e Cirio
2.1 – Parmalat
2.2 – Cirio
3. Il quadro normativo
3.1 – Introduzione
3.2 – Il contributo della Consob all’attuale quadro normativo
3.3 – I conflitti d’interesse
4. Il contesto internazionale
5. La possibile evoluzione del quadro normativo
5.1 – Rafforzamento dei controlli societari
5.2 – Disciplina degli intermediari e del collocamento delle obbligazioni societarie
5.3 – Il rafforzamento dei poteri e delle risorse della Consob
5.4 – La riforma delle Autorità di vigilanza
1. – L’evoluzione del sistema finanziario italiano e lo sviluppo del mercato obbligazionario
Nell’ultimo decennio il mercato finanziario italiano ha subito una graduale ma profonda trasformazione. Esso ha progressivamente perso i connotati tipici di un sistema bancocentrico soprattutto sul versante del finanziamento alle imprese – connotati che lo avevano caratterizzato per l’intero periodo postbellico – per assumere sempre più i tratti e la fisionomia di un sistema orientato al mercato.
Come è noto, i due modelli di capitalismo hanno pro e contra. Il modello cosiddetto bancocentrico è tendenzialmente più conservativo nello scrutinio dei progetti di investimento, ma proprio per questo meno soggetto ad euforie e bolle. Allo stesso tempo, però, è più propenso a sostenere le imprese nei momenti di crisi. Al contrario, un sistema orientato al mercato è più funzionale a consentire la raccolta diretta di mezzi finanziari da parte delle imprese, ma è più soggetto a shock e instabilità, come dimostrano i casi Cirio e Parmalat.
La maggiore instabilità di un sistema orientato al mercato deriva da due fenomeni in parte correlati tra loro. In primo luogo, le imprese hanno tendenzialmente una maggiore discrezionalità nelle decisioni di aumento dell’indebitamento e del grado di utilizzo della leva finanziaria rispetto a quanto avviene in un sistema bancocentrico. In secondo luogo, raccogliendo risorse attraverso il collocamento di strumenti finanziari, il rischio d’impresa può essere trasferito a famiglie o investitori non soggetti a controlli di stabilità.
E’ dunque evidente come una diffusa presenza di investitori istituzionali e un forte sviluppo dell’industria del risparmio gestito possano attenuare considerevolmente l’impatto e le ripercussioni di shock e fenomeni di instabilità, tipici di sistemi finanziari orientati al mercato. Infatti, gli investitori istituzionali, oltre ad essere soggetti a regole di comportamento e contenimento dei rischi, hanno anche le competenze necessarie per valutare adeguatamente il profilo di rischio-rendimento degli strumenti finanziari.
Prima di descrivere dettagliatamente i casi Cirio e Parmalat, è utile fornire alcuni elementi che testimoniano la trasformazione del sistema finanziario italiano alla luce delle brevissime riflessioni appena svolte.
Uno dei segni più evidenti del cambiamento è rinvenibile dai bilanci delle imprese industriali.
A partire dalla fine degli anni Novanta le maggiori imprese non finanziarie italiane hanno profondamente mutato la composizione e la struttura dei loro debiti finanziari, aumentando notevolmente il ricorso all’emissione di titoli obbligazionari.
In particolare, i principali gruppi industriali quotati hanno preferito emettere obbligazioni per raccogliere nuovo capitale di debito, piuttosto che aumentare il ricorso al sistema bancario. Non vi è stata dunque, almeno a livello aggregato, una sostituzione fra debito bancario e obbligazioni, ma piuttosto la tendenza a fare un maggiore ricorso alle obbligazioni che non al debito bancario.
La trasformazione del sistema finanziario italiano è testimoniata anche dal mutamento della struttura dei bilanci delle famiglie.
Le famiglie italiane hanno variato profondamente la composizione della propria ricchezza finanziaria. Il peso dei titoli pubblici domestici si è ridotto drasticamente. E’ aumentato, invece, il peso delle attività sull’estero, degli investimenti in fondi comuni e in obbligazioni di emittenti privati. Il peso del risparmio gestito sulla ricchezza finanziaria delle famiglie italiane rimane però ancora relativamente basso rispetto a quanto si riscontra nei principali Paesi europei e negli Stati Uniti.
L’Italia tende, dunque, ad essere più esposta ai fenomeni di instabilità tipici dei sistemi orientati al mercato, perché non vi è ancora un’adeguata diffusione degli investitori istituzionali e della cultura del risparmio gestito. Anzi, proprio queste debolezze configurano l’evoluzione del sistema finanziario italiano come un processo non ancora perfettamente compiuto.
Le cause che hanno innescato questo processo di trasformazione sono molteplici.
La più importante è forse quella connessa all’aumento della domanda di titoli obbligazionari (da parte di investitori professionali e non) collegato alla discesa dei rendimenti dei titoli pubblici. La ricerca di rendimenti nominali superiori a quelli offerti dai titoli di Stato ha indotto radicali aggiustamenti di portafoglio non solo da parte delle famiglie, come già detto, ma anche da parte degli investitori istituzionali.
Questo processo è stato facilitato dall’introduzione dell’euro, che ha enormemente favorito l’integrazione dei mercati europei dei capitali, in particolare nel segmento del reddito fisso e delle obbligazioni, attraverso l’eliminazione del rischio di cambio e la creazione di un mercato secondario più ampio e liquido.
Lo sviluppo del mercato italiano delle obbligazioni societarie si è concentrato sostanzialmente fra il 1999 e il 2002, in un contesto congiunturale caratterizzato (almeno a partire dal 2000) da una brusca correzione al ribasso dei corsi azionari e da una fase di ristagno economico tuttora in corso. E’ evidente come la probabilità del manifestarsi di fenomeni di instabilità e fallimenti societari aumenti nelle fasi negative del ciclo economico e di Borsa.
Nelle fasi congiunturali negative, come empiricamente accertato dalla letteratura economica, aumenta la propensione degli amministratori di imprese in difficoltà finanziarie ad adottare politiche di bilancio non corrette, allo scopo di mascherare la reale situazione della società. Non vi è dunque da sorprendersi se le crisi societarie (anche legate a comportamenti fraudolenti) siano più frequenti nelle fasi congiunturali recessive e, nel caso dell’Italia, in una fase particolare di transizione verso un sistema finanziario più orientato al mercato.
Nei principali Paesi europei il fenomeno dei fallimenti di emittenti con obbligazioni diffuse è di gran lunga più ampio e datato nel tempo che in Italia. Esso è inoltre fortemente concentrato nei Paesi anglosassoni, che tradizionalmente hanno sistemi finanziari più orientati al mercato.
E’ alla luce di queste considerazioni e dello scenario macro-economico che ha caratterizzato l’economia italiana negli ultimi anni che vanno inquadrati i casi Cirio e Parmalat.
Inoltre, le due vicende testimoniano come lo sviluppo del mercato italiano delle obbligazioni societarie sia avvenuto attraverso collocamenti effettuati al di fuori dei confini nazionali, sul cosiddetto euromercato. Tali collocamenti sono formalmente riservati a investitori istituzionali internazionali, ma una quota rilevante dei titoli può rifluire, più o meno rapidamente, presso famiglie e investitori non professionali residenti in Italia.
L’impetuoso e rapidissimo sviluppo dei collocamenti sull’euromercato (mercato soggetto a mera autoregolamentazione) da parte di gruppi industriali italiani ha posto problemi regolamentari rilevanti, difficili da affrontare in tempi altrettanto rapidi.
In assenza di un prospetto informativo, il presidio a tutela degli investitori non professionali si impernia sui doveri fiduciari e di correttezza che sono tenuti a rispettare gli intermediari, che fanno attività di consulenza e negoziano le obbligazioni per conto della clientela.
La probabilità che tali doveri fiduciari vengano rispettati si riduce fortemente in un sistema, quale è ormai quello italiano, caratterizzato dalla cosiddetta banca universale. Le banche hanno assunto un ruolo multiforme: finanziano le imprese; collocano e negoziano i loro titoli; li acquistano e li vendono come gestori del risparmio delle famiglie; effettuano studi per consigliarne l’acquisto o (più raramente) la vendita ai propri clienti e ad altri soggetti.
I conflitti di interessi sono quindi endemici e strutturali. Nella parte finale del mio intervento indicherò alcune ipotesi di modifiche normative, ispirate proprio a tale problema.
Infine, i casi Cirio e Parmalat mostrano come il trasferimento dei rischi di impresa dagli intermediari agli investitori finali tenda ad esasperare la centralità e l’importanza dei meccanismi di gestione dei conflitti di interessi nella vita societaria e delle regole di corporate governance. L’incentivo all’appropriazione dei cosiddetti “benefici privati” da parte dell’azionista di controllo (ma anche dei manager delle public companies, come insegna la vicenda Enron) è da ritenere ineliminabile. Operazioni con parti correlate creano possibilità di guadagni personali superiori alle perdite sopportate per la riduzione di valore inflitta alla società.
La presenza di organi di controllo cosiddetti endosocietari (sindaci, amministratori non esecutivi e revisori dei conti) realmente indipendenti rispetto alla proprietà e al management dell’impresa è il presupposto fondamentale per una corretta e tempestiva informativa al mercato e per una piena percezione e valutazione dei rischi trasferiti agli investitori finali, oltre che per una più efficace azione da parte delle Autorità di vigilanza.
Anche su questo tema fornirò alcune indicazioni quale contributo per le ipotesi di riforma della normativa oggi esistente.
2. – Le vicende Parmalat e Cirio
L’esposizione dei fatti di cui si compone la vicenda Parmalat non può che prendere le mosse da un loro corretto inquadramento.
Va detto innanzi tutto che il caso Parmalat sembra configurarsi come un fenomeno criminoso, che ci pone di fronte a condotte di rilievo penale, plurioffensive, poste in essere dolosamente da più soggetti in concorso tra loro. I comportamenti in oggetto, per quanto ad oggi è dato conoscere, sembrano essersi sostanziati, tra l’altro, nella falsificazione di documenti, nell’occultamento di informazioni, in illeciti artifici legali e contabili, attuati non solo in Italia ma anche e soprattutto all’estero in un intricato reticolo globale, che si estende ai paradisi fiscali e societari off-shore.
I magistrati inquirenti di Parma e Milano, come noto, starebbero qualificando tali condotte in vario modo: associazione a delinquere, truffa, false comunicazioni sociali (c.d. falso in bilancio), aggiotaggio, insider trading, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza delle Autorità pubbliche.
Vorrei sottolineare in particolare una delle ipotesi di reato, su cui starebbero lavorando i giudici: l’associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Tale ipotesi sottintende il fatto che un gruppo di persone – identificato, per ora, quanto meno nel vertice della società in associazione con altri, in corso di accertamento – avrebbe concepito e perseguito con determinazione un disegno criminoso al fine di mascherare la reale situazione economico-finanziaria dell’impresa.
Le indagini sono in corso. Ma quello che già adesso sembra emergere è che il crack Parmalat sia stato reso possibile da una rete di connivenze, il cui perimetro dovrà essere definito. Ad oggi tutto lascia supporre che siano state violate regole fondamentali in materia di doveri degli organi sociali e di quelli di revisione.
Dato il carattere fraudolento e la rilevanza penale dei fatti, la vicenda Parmalat presenta dimensioni e contenuti che non possono essere affrontati con certezza di successo da una singola Autorità amministrativa, quale è la Consob. E ciò indipendentemente dall’apparato normativo più o meno incisivo e penetrante di cui disponga.
Questa premessa, oltre che necessaria, aiuta ad inquadrare meglio la dinamica e la successione delle vicende che hanno caratterizzato il caso Parmalat e l’azione di vigilanza intrapresa dalla Consob. E consente di valutare meglio la necessità di intervenire in sede di riforma per evitare, per quanto possibile, il ripetersi di tali patologie e comportamenti criminosi.
Anche all’estero, del resto, sia in Europa sia Oltreoceano, si sono verificati negli ultimi anni scandali finanziari simili a quello Parmalat nonostante la presenza di organi di vigilanza dei mercati, dotati di poteri e strumenti ben più incisivi e penetranti di quelli di cui è dotata oggi la Consob.
Mi riferisco ai casi Enron, WorldCom e ad altri analoghi, verificatisi negli Stati Uniti; ma anche ai tanti casi rilevati in Europa e in particolare nel Regno Unito, che ha il triste primato del maggior numero di insolvenze nel Vecchio Continente quanto meno dal 2001 ad oggi [1]. E questo malgrado un sistema di vigilanza, che nelle discussioni delle ultime settimane è stato indicato come uno dei modelli che potrebbero essere importati in Italia.
Il dibattito pubblico scaturito dalla vicenda Parmalat e prima ancora da quella Cirio ha posto una domanda: “come sia potuto accadere quello che è accaduto e come si potrà prevenire che si ripeta in futuro”. Occorre interrogarsi e ricercare le soluzioni più idonee al fine di evitare, per quanto e al massimo del possibile, che si verifichino eventi del genere.
L’obiettivo condiviso da tutti è quello di arrivare nel più breve tempo ad un sistema dei controlli più efficace. Sarà, però, opportuno evitare scossoni traumatici o iniziative di accorpamenti, tanto vasti che potrebbero tradursi sul piano operativo, almeno in un primo periodo, in un calo di efficienza anziché in una più incisiva e rapida capacità d’intervento.
Alcuni dei più urgenti correttivi sono stati indicati da tempo e ripetutamente dalla Consob, anche nelle sedi istituzionali. Non giova, comunque, alimentare aspettative di totale sicurezza. Nessun sistema di vigilanza, quali che siano la sua architettura e i suoi strumenti, e nessuna normativa, per quanto stringente, potranno evitare del tutto fenomeni fisiologici del mercato quali i fallimenti di imprese, né i reati finanziari, che appartengono alla patologia. Come del resto nessuna polizia del mondo, neanche la più efficiente o la più repressiva, può assicurare che non vengano commessi più reati.
Il miglioramento del sistema vigente potrà però rafforzare la capacità di rilevazione dei sintomi, anticipare con tempestività l’individuazione di situazioni potenziali di instabilità finanziaria delle singole imprese, riducendo di conseguenza gli effetti dannosi per il mercato e il risparmio. Risulterebbe così più agevole raggiungere l’obiettivo del ripristino della fiducia, il bene che – come ha detto il Presidente Ciampi nel suo discorso di fine d’anno agli italiani – è il fondamento delle attività economiche.
2.1 – Parmalat
Veniamo ora più in dettaglio all’esame della vicenda Parmalat.
Parmalat Finanziaria Spa è una multinazionale, con una struttura geografica complessa, presente in cinque continenti. Attraverso un sistema di 250 controllate il gruppo opera in trenta Paesi diversi. L’attività produttiva si articola su 139 stabilimenti, in cui lavorano oltre 36.000 dipendenti sparsi in tutto il mondo.
Dal gennaio 2003 il titolo Parmalat è rientrato nel Mib30, l’indice delle società quotate a maggior capitalizzazione di Borsa in Italia, di cui aveva già fatto parte dal ’94 al ’99.
Prima di tornare nel paniere delle blue chips Parmalat apparteneva al Midex, l’indice delle imprese a media capitalizzazione quotate in Borsa
All’epoca di questo passaggio il consenso pressoché unanime degli analisti dava della Parmalat una valutazione che andava da positiva a molto positiva. Il target price, cioè l’obiettivo tendenziale stimato per il prezzo di quotazione, era al di sopra dei valori di mercato. Questo significa che a giudizio della comunità finanziaria Parmalat aveva un notevole potenziale di crescita e si presentava come una buona opportunità di investimento.
Questa valutazione trovava conferma anche nel giudizio espresso dalle principali agenzie internazionali di rating. Nelle “pagelle” di Standard & Poor’s Parmalat riportava fin dal novembre del 2000 il voto “BBB-” e godeva quindi di un giudizio di bassa probabilità di insolvenza (investment grade) [2]. Nell’estate del 2002 il barometro delle aspettative di Standard & Poor’s rispetto a Parmalat ha fatto passare il suo giudizio sulla probabilità di revisione del rating (outlook) da stabile a positivo. In altre parole il rating attribuito alla società di Collecchio rientrava nella categoria dei titoli ragionevolmente sicuri, quelli che possono essere consigliati anche ad investitori non professionali. Questo è il contesto in cui va considerata la vicenda Parmalat. Un contesto in cui Consob ha sempre esercitato una corretta attività di vigilanza.
A fine febbraio 2003 il titolo Parmalat ha avuto una breve fase di turbolenza. A fronte di ciò il titolo è stato posto sotto osservazione e sono stati presi tempestivi contatti con la società.
Parmalat aveva annunciato l’emissione di un prestito obbligazionario da collocare presso investitori istituzionali per un importo compreso fra i 300 e i 500 milioni di euro. L’annuncio ha trovato sul mercato accoglienza negativa, tradottasi in vendite consistenti. In quella occasione Consob è intervenuta, esercitando i poteri previsti dall’articolo 114 del Testo unico della finanza. Si tratta della norma in base alla quale l’Autorità di vigilanza può chiedere alle società vigilate di fornire informazioni al mercato a proposito di un evento o anche di semplici voci che il mercato giudichi rilevanti, comunque tali da influenzare i prezzi dei titoli. Tra il 26 e il 27 febbraio Parmalat, su esplicita richiesta della Consob, ha diffuso quattro comunicati stampa. L’esito finale è stato che Parmalat ha deciso di ritirare l’emissione obbligazionaria annunciata.
La breve turbolenza è rientrata e il titolo Parmalat ha ripreso a quotare con andamento stabile, caratterizzato da una lieve tendenza al rialzo.
A seguito di quell’episodio, però, la Commissione ha avviato una serie di accertamenti, svolti, come sempre, con riservatezza [3].
All’inizio di marzo del 2003 Assogestioni, in una lettera pubblica a Tanzi, all’epoca presidente e amministratore delegato del gruppo, ha lamentato una “carenza di comunicazione” da parte della Parmalat nei confronti del mercato e un contesto informativo insoddisfacente. A tale sollecitazione lo stesso Tanzi ha dato risposta, ricordando la ormai prossima scadenza di fine marzo per l’approvazione del bilancio 2002 da parte del Consiglio di amministrazione e preannunciando per l’inizio di aprile un incontro con la comunità finanziaria nel quale la società avrebbe fornito al mercato le informazioni atte a colmare il deficit di comunicazione lamentato da Assogestioni. L’incontro si tenne il 10 di aprile nella sede di Borsa Italiana Spa a Milano con il risultato di rassicurare il mercato: l’andamento del titolo si mantenne stabile, con lieve tendenza al rialzo.
A fornire motivo di ulteriori indagini è stato lo stesso Tanzi, che alla fine di marzo si è rivolto alla Consob con un esposto, in cui lamentava (sic!) un presunto aggiotaggio ai danni del titolo Parmalat. I fatti, secondo Tanzi, risalivano al febbraio precedente, quando le azioni Parmalat – come ricordato – erano state al centro di forti movimenti di mercato. Nell’esposto si sosteneva, invece, che quei movimenti erano da attribuire a manovre speculative, orchestrate da operatori di mercato a danno della società. Si chiedeva quindi alla Consob di ricostruire la dinamica dei fatti e di individuare i presunti responsabili. Partendo da quell’esposto, la Consob ha fatto gli accertamenti del caso, impegnando tempo e risorse umane. Le verifiche effettuate non hanno dato, però, conferma: la conclusione è stata che di aggiotaggio non si poteva parlare; le oscillazioni del titolo Parmalat erano da considerare riconducibili – come già detto – all’evento dell’emissione obbligazionaria annunciata e poi ritirata.
Visto con il senno di poi, l’esposto può apparire temerario e svelare la sua vera finalità, ossia l’intento di sviare verifiche di Consob su Parmalat.
Sulla base del bilancio approvato a fine marzo dal Consiglio di amministrazione della Parmalat la Commissione ha chiesto alla società una serie di chiarimenti e in particolare i motivi che giustificavano la peculiare struttura patrimoniale del gruppo.
Si voleva far luce, tra le altre cose, sui criteri di contabilizzazione dei prestiti obbligazionari, che non erano riportati separatamente rispetto al complesso dei debiti finanziari.
I bilanci evidenziavano un alto livello di disponibilità liquide (pari ad oltre 3 miliardi di euro) a fronte del quale, però, figurava un elevato grado di indebitamento (pari a circa 7 miliardi di euro). La società ha argomentato, sostenendo che l’elevato grado di liquidità era coerente con la politica di espansione del gruppo e che l’abbondanza di attività prontamente disponibili avrebbe permesso a Parmalat di cogliere opportunità d’investimento, che si potevano presentare sul mercato.
I chiarimenti forniti facevano parte di una strategia finanziaria del gruppo, che poteva essere condivisa o non condivisa, ma che al momento appariva legittima. Non può rientrare infatti nel compito di un’Autorità di vigilanza quello di sindacare le decisioni industriali, commerciali o finanziarie di un Consiglio di amministrazione, decisioni che rimangono nell’ambito di responsabilità dello stesso.
In merito alle specificità della struttura finanziaria il Collegio sindacale – nella relazione sul bilancio 2002, redatta a metà aprile 2003 – non aveva evidenziato alcun aspetto critico o fatto censurabile.
La stessa valutazione è stata confermata dalla relazione di certificazione (sempre a metà aprile 2003), predisposta dalla Deloitte & Touche S.p.A. che, nella sua qualità di revisore principale dei conti della Parmalat, ha espresso un giudizio senza rilievi critici in merito alla situazione patrimoniale e finanziaria della società e del gruppo.
In questa sede istituzionale merita segnalare che la normativa di riferimento, ovvero il Testo unico della finanza del 1998, ha voluto attribuire un ruolo essenziale, ai fini del buon governo delle imprese, ai cosiddetti “presidi endosocietari”, primo fra tutti il Collegio sindacale.
E’ questo l’organo che per legge è tenuto a comunicare senza indugio alla Consob le irregolarità riscontrate nell’operato degli amministratori grazie alla sua attività di vigilanza interna e a trasmettere i relativi verbali delle riunioni e degli accertamenti svolti, nonché ogni altra utile documentazione.
La filosofia sottostante a questa impostazione del Testo unico della finanza è che l’organo di vigilanza interno alla stessa società è in grado – meglio di quanto possa fare un osservatore esterno all’impresa – di cogliere tempestivamente possibili comportamenti scorretti da parte degli amministratori ed eventualmente segnalarli alle Autorità, Consob o Autorità giudiziaria che sia.
Questo presidio non ha funzionato, così come non ha funzionato l’altro presidio, cioè quello delle società di revisione.
A partire dall’inizio dell’estate l’azione della Consob nei confronti della Parmalat si è fatta più intensa ed incalzante.
Infatti nel corso dell’analisi dei temi connessi ai corporate bonds effettuato nella riunione del Comitato per il Credito e il Risparmio dell’8 luglio scorso in relazione alla vicenda Cirio, erano emerse altre ipotesi, utili ad estendere l’esame anche al di là del singolo caso.
Parmalat – già posta sotto osservazione – è pertanto divenuta da subito una delle maggiori priorità di lavoro per l’Istituto. All’indomani della riunione è stata avviata una serie di atti formali di vigilanza aventi il preciso obiettivo di fare piena luce sulla situazione del gruppo di Collecchio.
E’ stato fatto ricorso allo strumento previsto dall’articolo 115 del Testo unico della finanza, che attribuisce il potere di chiedere ai soggetti vigilati di fornire informazioni alla Consob ed è stato anche usato lo strumento dell’articolo 114, chiedendo di comunicare al mercato le modalità di impiego della liquidità che Parmalat dichiarava possedere.
Da quel momento l’attività di vigilanza non ha avuto tregua. E’ stato un continuo crescente di atti formali, sempre più incalzanti, sempre più incisivi e penetranti, per entrare sempre più addentro nel complesso bilancio della società.
Destinatari degli accertamenti sono stati, oltre al Consiglio di amministrazione, anche il Collegio dei sindaci e i due revisori dei conti, la Deloitte & Touche nel suo ruolo di revisore principale, e la Grant Thornton in quanto revisore secondario.
La questione centrale che si riteneva necessario chiarire era quella della asserita liquidità. Premeva anche far luce sull’entità delle emissioni obbligazionarie, per verificare, tra l’altro, eventuali carenze informative verso il mercato.
Mano a mano che Consob chiedeva più specifici chiarimenti, le risposte risultavano essere sempre meno soddisfacenti e mettevano quindi l’Istituto in condizione di dover porre nuove domande e di chiedere nuovi chiarimenti.
E’ stato un crescendo di richieste d’informazione sempre più mirate, cui facevano seguito delucidazioni ancora evasive, a volte anche imbarazzate. Per ogni domanda che trovava risposta, se ne aprivano altre, che richiedevano ulteriori approfondimenti; ci si trovava di fronte ad una società reticente, poco propensa a fornire chiare e complete informazioni sulle poste e sui segreti dei suoi bilanci.
L’attività della Consob è pertanto proseguita senza sosta anche nel pieno dell’estate.
La lista degli atti di vigilanza compiuti da Consob si è andata sempre più allungando.
Sono progressivamente venuti alla luce elementi atti a fare sospettare l’esistenza di situazioni non corrette che solo al termine della lunga e costante indagine hanno portato a svelare l’esistenza di una frode.
Messi sotto pressione dalla Consob, il Collegio dei sindaci e i revisori hanno fornito informazioni atte a far emergere dalle pieghe nascoste del bilancio Parmalat il ruolo della Bonlat Financing Corporation, ovvero – come poi è apparso – un perno importante della truffa che sta venendo a galla nella sua reale dimensione.
La Bonlat è una società controllata da Parmalat, con sede alle Isole Cayman nel Mar dei Caraibi. Come sembra emergere dalla ricostruzione dei fatti alla quale lavorano i Magistrati inquirenti, gli stessi dirigenti della Parmalat consideravano la Bonlat come una sorta di “discarica”, in cui nascondere le perdite accumulate dal gruppo.
Dalle carte di lavoro della Grant Thornton è emerso un documento che attestava l’esistenza di gran parte dell’attivo circolante dichiarato in bilancio. Era una lettera di conferma della Bank of America di New York, che comprovava le disponibilità liquide per 3,95 miliardi di euro, intestate a Bonlat.
Dalla documentazione acquisita è venuta alla luce, inoltre, l’esistenza del fondo d’investimento Epicurum, con sede alle Isole Cayman, in cui Bonlat dichiarava di aver investito oltre 500 milioni di euro.
La messa a fuoco del fenomeno Epicurum ha rappresentato un passo in avanti decisivo nelle indagini.
Il fondo, basato in un centro off-shore, non risultava quotato su alcun mercato regolamentato. Per giunta non era in condizione di presentare alcun resoconto sulla propria attività, visto che all’inizio di autunno dell’anno scorso doveva ancora chiudere il suo primo esercizio. I dubbi si sono fatti più forti.
Ma a fronte delle nostre crescenti perplessità il Collegio dei sindaci e i revisori – cioè i due interlocutori che per loro compito istituzionale devono collaborare con l’Autorità di vigilanza – hanno ribadito le proprie posizioni espresse nel bilancio 2002: carte alla mano tutto, a loro dire, risultava essere in ordine.
La Consob ha esercitato una forte pressione sui due revisori, affinché procedessero ad una diversa ripartizione del lavoro. L’obiettivo – sancito per altro, in un principio di revisione entrato in vigore l’estate scorsa [4] – era quello di responsabilizzare maggiormente il revisore principale, ampliando il perimetro di sua competenza in modo da includervi non solo, in termini quantitativi, la parte più consistente del bilancio, ma anche, in termini qualitativi, quella più sensibile e delicata, ovvero la Bonlat.
Il risultato è stato che la Deloitte, sulla base delle più approfondite e dirette verifiche svolte su Bonlat, ha espresso per la prima volta rilievi critici su Epicurum nella revisione del bilancio del primo semestre 2003.
Siamo arrivati con ciò alla fine di ottobre. E’ a quel punto che la Commissione ha tirato le fila dell’attività investigativa svolta nei mesi precedenti e ha richiesto a Parmalat di predisporre e diffondere al mercato una rappresentazione completa ed organica della situazione per come questa era stata comunicata alla Consob.
In particolare Consob ha chiesto (ex articolo 114 Tuf) di chiarire al mercato i due aspetti che più sembravano destare interrogativi: quello relativo alle “attività finanziarie non immobilizzate” e quello relativo alle emissioni obbligazionarie in scadenza sino alla fine del 2004.
In risposta alle richieste della Consob Parmalat ha fatto avere al mercato, attraverso tre comunicati stampa, parte delle informazioni sollecitate. In particolare la società ha annunciato che l’investimento in Epicurum sarebbe stato liquidato entro il successivo 4 dicembre.
Le informazioni diffuse in seguito alle richieste Consob hanno alimentato, però, nuovi interrogativi e nuove inquietudini da parte degli operatori. Per tentare di riportare il sereno, la società ha organizzato una cosiddetta conference call subito dopo la riunione del Consiglio di amministrazione del 14 novembre. Le comunicazioni fornite al mercato nel corso di quell’incontro con la comunità finanziaria italiana e internazionale non hanno soddisfatto gli operatori. Quel giorno il titolo è stato penalizzato da forti vendite.
L’evolversi degli eventi successivi non ha fatto altro che tenere gli operatori con il fiato sospeso, alimentando così timori e preoccupazioni. Il mercato si aspettava il rientro dell’investimento in Epicurum, come annunciato dalla stessa società. Ma questo evento non si verificava. Al tempo stesso si stava avvicinando la data del 9 dicembre, giorno in cui sarebbe giunta a scadenza un’emissione obbligazionaria da 150 milioni di euro.
Consob ha seguito da vicino questa fase delicatissima, imponendo alla società e al Collegio dei sindaci, ove vi fossero fatti nuovi, di tenere costantemente informato il mercato sugli sviluppi della situazione.
In assenza di novità positive il Cda del 9 dicembre scorso ha preso atto delle difficoltà insorte nella liquidazione della quota in Epicurum. Il Cda ha deciso, inoltre, di sfruttare tutto il margine di manovra previsto dal regolamento del prestito obbligazionario in scadenza, prendendo tempo fino all’ultimo giorno utile, cioè il 15 dicembre, per procedere al rimborso delle obbligazioni. Contestualmente il Cda ha conferito al Dott. Enrico Bondi un incarico di assistenza professionale per la stesura di un piano di ristrutturazione industriale e finanziaria.
Sul mercato la situazione era oltremodo tesa. Non sfuggiva agli operatori e tanto meno alla Consob l’incongruenza tra quanto dichiarato in bilancio, ovvero un attivo circolante liquido e immediatamente disponibile per quasi quattro miliardi di euro, e le palesi difficoltà dell’azienda a reperire le risorse finanziarie per il rimborso di un’emissione obbligazionaria di appena 150 milioni di euro, di cui per altro 80 milioni risultavano già riacquistati dalla stessa Bonlat.
Il 10 dicembre sono stati convocati nella sede di Roma Tanzi e il Collegio dei sindaci. L’uno e gli altri, ascoltati separatamente, si sono mostrati “sorpresi” dell’incapacità della Parmalat di rimborsare le obbligazioni. Da parte della Consob, quindi, i dubbi sono diventati sempre più forti e si sono accentuati anche sulla stessa dichiarata liquidità.
La Commissione ha convocato i revisori di Deloitte e di Grant Thornton, per fare una nuova verifica sulle carte di lavoro alla base della certificazione del bilancio 2002 e di quella già avviata per il bilancio 2003. In particolare alla Grant Thornton, che fino a dicembre 2002 copriva ancora l’area della Bonlat, è stato chiesto di fare ogni possibile, urgente accertamento a conferma dell’esistenza dell’attivo, avvalendosi anche dei propri corrispondenti a New York.
A seguito di tale cogente pressione della Consob la Grant Thornton si è rivolta il 17 dicembre alla sede di New York della Bank of America, per acclarare in modo definitivo la veridicità di una carta di lavoro datata 6 marzo 2003, in possesso del revisore e trasmessa a Consob il 20 agosto scorso. Si trattava del saldo del conto corrente intestato a Bonlat presso Bank of America. Su quel conto avrebbero dovuto esserci i 3,95 miliardi di euro di liquidità. Il giorno stesso (per motivi di fuso orario in Italia era già il 18 dicembre) la Bank of America ha fatto conoscere che il documento era falso. Con ciò si è arrivati alla scoperta decisiva.
Veniva meno, così, il presupposto su cui i revisori avevano costruito la certificazione di bilancio della Bonlat e a cascata di tutto il gruppo Parmalat. La dichiarazione della Bank of America era la prova documentale che faceva crollare il castello di carte e si delineava, per la prima volta in tutta la sua entità, il disegno criminoso che era stato costruito nel corso del tempo. Con la falsificazione del documento della Bank of America la Parmalat aveva prospettato una situazione di liquidità del tutto inesistente proponendo alle Autorità di controllo una realtà assolutamente non veritiera. Da quel momento si è dispiegata l’azione della Consob nei confronti di tutti i soggetti, mercato, Magistratura, dirigenti della Parmalat, per la conoscenza dei fatti e per gli eventuali provvedimenti di rispettiva competenza.
Appena acquisita questa drammatica informazione, la Consob ha immediatamente convocato, per metterlo al corrente dei fatti, il Dott. Bondi, nel frattempo subentrato a Tanzi nelle funzioni di amministratore delegato di Parmalat. Allo stesso Bondi, giunto nella medesima serata del 18 dicembre presso gli Uffici della Consob a Roma, è stato chiesto di informare il mercato attraverso un comunicato stampa, che è stato pertanto diffuso la mattina del 19 dicembre subito prima della riapertura delle contrattazioni di Borsa.
Nel tardo pomeriggio del 18 dicembre 2003, il Presidente della Consob ha preso contatti telefonici con i Procuratori di Milano e di Parma informandoli della scoperta e preannunciando l’invio di una segnalazione di fatti ritenuti penalmente rilevanti.
Contestualmente veniva deciso di effettuare accertamenti sulla documentazione trasmessa da Grant Thornton per il tramite dell’Autorità di vigilanza americana, la Securities and Exchange Commission (SEC), che ha ricevuto prima una segnalazione telefonica seguita in serata dall’inoltro di una lettera formale di richiesta di collaborazione internazionale ai sensi dell’accordo bilaterale tra la Consob e la SEC del maggio 1993 e dell’Accordo Multilaterale di Cooperazione della IOSCO (International Organisation of Securities Commissions) del 2002.
Nella tarda serata del 18 dicembre i Responsabili delle Relazioni Internazionali delle due organizzazioni definivano le modalità operative per dare riscontro alla richiesta di assistenza della Consob e nella successiva giornata del 19 dicembre perveniva dalla SEC una prima conferma telefonica dell’inesistenza di conti intestati a Bonlat Financing Corporation cui seguiva l’invio di attestazioni legali relative ai conti in oggetto.
Il 19 dicembre la Consob ha trasmesso alle citate Procure della Repubblica due distinte segnalazioni di fatti ritenuti penalmente rilevanti e ha illustrato l’attività di vigilanza svolta dall’Istituto. Da quelle denunce hanno preso le mosse le indagini della magistratura tuttora in corso. Nello stesso giorno Consob ha deciso anche di procedere ad un’ispezione presso le sedi di Deloitte & Touche e di Grant Thornton.
Nei giorni successivi la collaborazione con l’Autorità Giudiziaria è proseguita con l’invio di copiosa documentazione a corredo delle segnalazioni effettuate, concernente anche gli esiti della cooperazione internazionale attivata dalla Consob con analoghe Autorità di controllo di altri Paesi.
L’attività di cooperazione con la SEC è proseguita con contatti telefonici continui, con l’inoltro di altre due missive da parte della Consob (in data 22 e 23 dicembre 2003) e con l’invio da parte dell’Autorità americana di ulteriore documentazione, tra cui quella che ha poi costituito oggetto dell’azione legale intentata dalla SEC negli Stati Uniti contro Parmalat e relativa ai contatti tra esponenti della società italiana ed esponenti del gruppo Blackstone, ai quali i Tanzi avrebbero fatto conoscere la reale entità dell’indebitamento del gruppo. Tutta la documentazione messa a disposizione dalla SEC è stata trasmessa alle Autorità inquirenti.
In data 19 dicembre venivano, altresì, avviati intensi contatti telefonici con l’Autorità di vigilanza del Regno Unito, la Financial Services Authority (Fsa) al fine di far svolgere accertamenti sull’operatività di Parmalat e di altre società del gruppo. La richiesta è stata effettuata sia in base a quanto previsto dalle vigenti direttive comunitarie sia in base agli accordi multilaterali per lo scambio di informazioni riservate presi in sede Cesr (Committee of European Securities Regulators) e Iosco (International Organisation of Securities Commissions).
La Fsa, così come il giorno precedente la SEC, ha avviato immediatamente accertamenti al fine di prestare alla Consob l’assistenza necessaria.
A quel punto si è posta anche una evidente questione di inattendibilità della rappresentazione fornita nei bilanci. Fatti per scrupolo ulteriori accertamenti e raccolte altre evidenze, Consob ha deciso di impugnare il bilancio Parmalat per il 2002, esercitando così i poteri previsti dall’articolo 157 del Testo unico della finanza. Appariva, infatti, ormai chiaro che quel bilancio era stato redatto in violazione delle norme del codice civile, secondo cui i documenti contabili devono fornire una rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale e finanziaria di un’impresa.
In data 29 dicembre 2003 la Consob ha, altresì, ricevuto informazioni dall’Autorità di vigilanza olandese (Amf), mentre le Autorità delle Isole Cayman che avevano offerto in un primo tempo assistenza alla Consob hanno successivamente inoltrato documentazione all’Ufficio Italiano Cambi, che è la Fiu (Financial Intelligence Unit) italiana competente in materia di riciclaggio.
In data 29 dicembre 2003 su richiesta della SEC, che preannunciava l’avvio di un’azione civile negli Stati Uniti, il presidente della Consob prendeva contatti con le Procure di Milano e Parma, per organizzare un incontro tra Magistrati inquirenti e investigatori della SEC, incontro svoltosi tempestivamente il 31 dicembre successivo. I contatti tra la SEC e le Autorità inquirenti italiane continuano. L’Ufficio relazioni internazionali della Consob opera per favorire la collaborazione tra le predette Autorità e la SEC, in particolare per le perquisizioni e per sequestri all’estero.
In data 8 gennaio 2004, l’Autorità americana veniva nuovamente interessata formalmente dalla Consob con una richiesta di assistenza, ai sensi degli accordi di cooperazione già citati, in merito alle indiscrezioni relative all’esistenza di disponibilità riconducibili alla famiglia Tanzi e al gruppo Parmalat presso la Bank of America, diffuse a mezzo stampa la mattina dello stesso giorno. La cifra recuperata, sarebbe stata nell’ordine di grandezza dei sette miliardi di euro. La fonte citata era il Comitato Creditori Parmalat, presieduto dall’avvocato riminese Mauro Sandri, con cui la Consob si è subito messa in contatto. Al diffondersi delle indiscrezioni i mercati sono entrati in fibrillazione. In particolare i titoli del settore bancario, pesantemente penalizzati il giorno prima, hanno avuto un andamento in netto rialzo.
A fronte di dette asserzioni la Consob ha chiesto, quindi, alla società di diffondere un comunicato stampa di commento. La Parmalat ha fatto sapere di non essere a conoscenza di alcun fatto in merito al presunto ritrovamento del “tesoro”. L’asserzione circa l’esistenza di fondi riconducibili al gruppo Parmalat è stata rinnovata per cui la Consob ha concordato con il Dott. Bondi ulteriori accertamenti presso la Bank of America; alla data di domenica 18 gennaio l’asserzione non ha avuto alcun riscontro positivo. Ieri, 19 gennaio, è stata effettuata dalla Consob una ulteriore segnalazione all’Autorità Giudiziaria (di Milano e Parma).
In data 9 gennaio 2004 la Consob procedeva nuovamente ad interessare formalmente la Fsa del Regno Unito con una nuova richiesta di cooperazione relativa a transazioni su titoli emessi da società del gruppo Parmalat.
Al contempo, la Consob ha ricevuto informazioni dalle Autorità irlandesi IFSRA (Irish Financial Services Regulatory Authority) e OCDE (Office of the Director of Corporate Enforcement) in merito a società collegate al gruppo Parmalat esistenti in Irlanda.
In pari data, a seguito di espressa richiesta della Consob, l’Autorità maltese (Malta Financial Services Authority) ha inviato documenti depositati presso il registro delle imprese di Malta da società riconducibili al gruppo Parmalat.
L’attività di cooperazione è tuttora in corso e la Consob sta procedendo ad inoltrare richieste di cooperazione ad altre Autorità.
Le informazioni ricevute dalla Consob nell’ambito della cooperazione internazionale sono coperte dal segreto d’ufficio tanto ai sensi della normativa interna (art. 4, comma 4, del Testo unico della finanza) quanto ai sensi della normativa comunitaria. Le informazioni ricevute vengono, tuttavia, poste a disposizione dell’Autorità Giudiziaria ai fini delle indagini in corso.
La Commissione continua nella sua attività di vigilanza, anche nei confronti delle società di revisione, e segue da vicino gli sviluppi del caso Parmalat.
Giovedì 14 gennaio è stato convocato in Consob il Dott. Bondi sullo stato degli accertamenti in corso per definire la reale situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo e sulle iniziative in atto per ripristinare le condizioni di continuità aziendale. Il Dott. Bondi ha confermato che entro la fine di gennaio conta di essere in condizioni di tracciare un primo quadro sulla effettiva situazione economico-finanziaria del gruppo, anche alla luce degli accertamenti svolti dai consulenti Price Waterhouse Coopers, Mediobanca e Lazard.
2.2 Cirio
Nel novembre del 2002 venne dichiarato il default di uno dei prestiti obbligazionari del gruppo Cirio; scattarono quindi le clausole di “cross default” per gli altri sei prestiti obbligazionari in essere emessi per un importo complessivo di 1.125 mld _.
Gran parte dei prestiti era quotato alla Borsa di Lussemburgo, nessuno presso la Borsa Italiana. Tutti i prestiti erano privi di rating.
Il notevole importo dei crediti finanziari del gruppo quotato verso società correlate, direttamente controllate dall’azionista di maggioranza, e il venir meno di un accordo per la cessione di una società brasiliana, appaiono essere stati alla base della crisi in cui il gruppo Cirio è precipitato.
Nel “caso Cirio” i problemi di vigilanza posti dalla vicenda sono non solo riconducibili a scarsa trasparenza delle operazioni poste in essere dalla società quotata e dei bilanci relativi (con particolare riferimento alle operazioni finanziarie con parti correlate), ma anche al collocamento presso la clientela non professionale (c.d. retail) da parte di banche italiane dei prestiti obbligazionari collocati inizialmente attraverso offerte riservate a investitori istituzionali.
Nel corso degli ultimi tre anni, a partire dai primi mesi del 2000, la Consob è intervenuta ripetutamente con richieste di integrazione delle informazioni concernenti la situazione economico-finanziaria della Cirio e del suo gruppo, nell’ambito dell’attività di controllo sulla trasparenza dell’informativa al mercato. In particolare, essa è intervenuta sistematicamente in occasione delle assemblee della società che approvava il bilancio di esercizio e ciò ha fatto nonostante il T.U.F. avesse abrogato l’obbligo di trasmissione del progetto di bilancio alla Consob nei 20 giorni precedenti l’assemblea.
L’attività di vigilanza (enforcement) realizzata nei tre anni, qui considerati, si sostanzia in dodici audizioni, a livello di Commissione o di Uffici, con amministratori, sindaci e revisori; sono state effettuate inoltre, nello stesso periodo, dieci richieste di integrazione dell’informativa su poste contabili, oltre ai comunicati stampa (76 nel triennio) richiesti dalla disciplina dell’informazione continua (price sensitive information).
Le richieste fatte e i comunicati diramati hanno posto sistematicamente all’attenzione del mercato le poste critiche del bilancio del gruppo quotato e richiamato, più volte, l’attenzione degli organi preposti al controllo contabile e amministrativo della società su quelle valutazioni.
Sintetizzo di seguito i vari interventi realizzati.
In particolare, gli interventi della Consob si sono intensificati a partire dai primi mesi del 2000 a seguito del rilevante incremento (circa L/mld 550 tra il 1998 e il 1999) dei crediti finanziari netti verso società correlate facenti capo direttamente al Dott. Sergio Cragnotti. Tale incremento era imputabile all’acquisizione, da parte della Cirio, a dicembre del 1999, della Bombril S.A., società brasiliana già di proprietà dello stesso dott. Cragnotti, che in questo modo entrava a far parte del gruppo quotato italiano. Bombril già da tempo presentava una forte esposizione creditoria verso tali società correlate.
La Consob, nei mesi precedenti l’approvazione del bilancio 1999 avviò una intensa attività di acquisizione di informazioni nei confronti sia degli amministratori sia nei confronti degli organi di controllo (sindaci e revisori), culminata con una richiesta di integrazione delle informazioni da fornire in occasione dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio 1999. In tale occasione venne, fra l’altro, richiesta una approfondita trasparenza sui crediti vantati dal gruppo Cirio verso parti correlate, con particolare riguardo alle motivazioni economiche sottostanti ed alle valutazioni formulate dagli amministratori a giustificazione della loro recuperabilità.
Come ampiamente riportato dagli organi di stampa(5), nel corso della predetta assemblea gli amministratori fecero presente che i crediti in questione non risultavano assistiti da garanzie ed erano considerati interamente recuperabili sulla base delle situazioni economico-patrimoniali delle società debitrici e dei progetti di valorizzazione delle attività possedute da queste ultime.
I revisori della Deloitte & Touche, da parte loro, espressero il proprio giudizio sul bilancio 1999 senza formulare alcun rilievo sulla recuperabilità dei crediti in discorso. Tali valutazioni vennero confermate dagli stessi revisori in una memoria trasmessa alla Consob su specifica richiesta di quest’ultima.
Il quadro emerso dall’informativa resa nel corso dell’assemblea (26.6.2000) di approvazione del bilancio 1999 indusse la Consob ad acquisire informazioni direttamente dal dott. Sergio Cragnotti, allo scopo di avere indicazioni in merito alle iniziative previste per la sistemazione delle posizioni creditorie nei confronti delle società controllanti e consociate e delle garanzie concesse.
Ad esito di tale richiesta venne trasmesso alla Consob e reso pubblico un complesso piano di riassetto del gruppo brasiliano Bombril, fondato anche sulla vendita di una parte rilevante del gruppo ad una multinazionale americana, che avrebbe dovuto generare la liquidità necessaria a sistemare le posizioni debitorie. L’informativa in proposito resa al mercato, nei primi mesi del 2001, risultava comunque frammentata e incompleta; la Consob decise pertanto di richiedere, ancora in sede di approvazione del bilancio 2000, la predisposizione di una specifica memoria da mettere a disposizione dei soci.
In sede assembleare i sindaci, su specifica richiesta della Consob, dichiararono di ritenere il piano formulato dall’azionista di riferimento rispondente all’interesse sociale.
I revisori Deloitte & Touche, da parte loro, espressero il proprio giudizio sul bilancio 2000 senza formulare alcun rilievo sulla recuperabilità dei crediti verso parti correlate.
Poco dopo, a agosto del 2001, gli accordi con la società americana vennero meno in ragione di un secco rifiuto da questa opposto a richieste modificative da parte della Cragnotti & Partners Capital Investment NV, azionista indiretto di maggioranza della Cirio Finanziaria.
Anche nella relazione semestrale al 30.6.2001, resa nota il 12.9, venivano riportate informazioni sulla rottura delle trattative con la società americana e sulla circostanza che sarebbe “proseguita la ricerca di un partner industriale affidabile insieme al quale fronteggiare il mutato ed impegnativo scenario”.
Nel 2002, in occasione dell’assemblea convocata per approvare il bilancio 2001, la Consob chiedeva ancora agli amministratori della società di riferire sulla mancata realizzazione dei piani. Poiché le informazioni fornite in assemblea erano apparse poco dettagliate e non chiare, la Commissione richiese alla Cirio l’emissione di un comunicato stampa contenente le considerazioni degli amministratori in ordine allo stato dell’indebitamento finanziario a data aggiornata, alle prospettive di rientro e all’eventuale esistenza di un nuovo piano finanziario.
Anche in tale occasione la Deloitte & Touche – che pur riportava nella propria relazione di revisione un richiamo di informativa, come già nell’esercizio precedente – non sollevava dubbi circa la recuperabilità dei crediti verso parti correlate.
Gli interventi finora sintetizzati hanno consentito, in attuazione del compito istituzionale della Consob, di realizzare la massima trasparenza possibile sui punti critici della situazione finanziaria del gruppo Cirio. Le vicende successive hanno tuttavia dimostrato che anche il realizzarsi di condizioni di trasparenza non è elemento sufficiente ad impedire situazioni di crisi.
Nel novembre 2002, come è stato ricordato, veniva dichiarato il default su uno dei prestiti obbligazionari emessi, che ha costituito il primo atto di una serie di fatti che, dopo il giugno 2003, sono culminati con l’ammissione della società all’amministrazione straordinaria, tuttora in corso.
Dopo il default la Consob dava inizio a una nuova fase della propria attività volta a dare la massima trasparenza informativa alla situazione di crisi e ad individuare l’esistenza di violazioni della normativa da parte dei diversi soggetti coinvolti nella vicenda.
Alla società ed al suo presidente/amministratore delegato venne richiesto di dare al mercato un completo aggiornamento sulla situazione finanziaria, sui crediti/debiti infragruppo, su prestiti obbligazionari ancora in essere, sulle iniziative della società per superare lo stato di crisi. A fine novembre 2002 la Consob richiedeva alla società di emettere mensilmente un comunicato stampa concernente, tra l’altro, l’aggiornamento dell’indebitamento finanziario netto, delle procedure concernenti il default del prestito obbligazionario scaduto e degli altri in essere e lo stato di avanzamento di trattative per le annunciate cessioni di partecipazioni.
Contestualmente, la Consob deliberava lo svolgimento di una urgente verifica ispettiva presso la società, svoltasi nel periodo 15-28 novembre 2002.
Anche alla luce di quanto emerso da tale verifica, la Consob ha impugnato (con atto in data 20.1.2003) i bilanci d’esercizio e consolidato al 31.12.2001, avendo rilevato irregolarità nella valutazione dei crediti con parti correlate e nella descrizione degli impegni derivanti dai prestiti obbligazionari.
Nello stesso tempo, la Consob ha altresì effettuato verifiche ispettive nei confronti delle società di revisione (Deloitte & Touche e Grant Thornton); si stanno concludendo i procedimenti volti all’eventuale applicazione di provvedimenti sanzionatori.
La Consob ha posto altresì l’attenzione sul comportamento tenuto dagli amministratori della Cirio, con particolare riguardo alla relazione semestrale al 30.6.2002 (datata 13.09.2002) nella quale mancavano riferimenti alle incertezze esistenti sulla capacità del gruppo di far fronte ai propri impegni finanziari, ed in particolare al prestito obbligazionario in scadenza nel novembre 2002, ed era fornita una descrizione rassicurante della situazione economico-patrimoniale del gruppo medesimo. Su tale profilo la Consob ha messo in discussione anche la correttezza del comportamento dei sindaci che non hanno evidenziato alcuna irregolarità all’Autorità (ex art. 149, comma 3, del TUF)o ai soci [6]. Essi, infatti, sono tenuti a vigilare, fra l’altro, sulla completezza e chiarezza informativa della relazione semestrale e – avendo assistito alle riunioni dell’organo di gestione – erano a conoscenza nel caso di specie dell’esistenza di incertezze in merito al rimborso del prestito obbligazionario.
* * *
Oltre che sul fronte dell’informativa societaria, la Consob ha svolto un’intensa attività di vigilanza sul comportamento tenuto dagli intermediari che, nel triennio 2000-2002, hanno collocato o negoziato obbligazioni del gruppo Cirio. In quel periodo, infatti, il gruppo Cirio aveva emesso 7 prestiti obbligazionari sull’euromercato per un controvalore complessivo di 1,125 miliardi di euro, tutti privi di rating, collocati attraverso offerte riservate a investitori istituzionali e quotati sulla borsa del Lussemburgo.
Secondo la documentazione formale predisposta per quelle offerte (offering circular e subscription agreement), le obbligazioni erano destinate ad investitori professionali, a cui gli intermediari (lead manager e manager) incaricati del collocamento avrebbero venduto i titoli su base individuale; in quei documenti si dava conto che, proprio in ragione di tali peculiarità dell’offerta, non era stato predisposto un prospetto informativo di sollecitazione.
La Consob ha sviluppato su tali aspetti una intensa attività di vigilanza finalizzata a conoscere le effettive dimensioni del fenomeno della diffusione di corporate bonds presso investitori italiani, in particolare nella fase del cosiddetto “mercato grigio” o grey market (ossia nel periodo compreso tra la data di lancio e la data di primo regolamento dell’emissione). Partendo da un gruppo di oltre 100 intermediari, sono stati selezionati i 10 intermediari più attivi sui titoli in questione.
La Consob, nell’aprile del 2003, ha avviato accertamenti ispettivi nei confronti di sei dei dieci intermediari individuati al fine di valutare eventuali violazioni della disciplina vigente in materia di “sollecitazione all’investimento” e di “prestazione di servizi di investimento”. Per i restanti quattro intermediari, nei confronti dei quali erano già in corso, ad altri fini, accertamenti ispettivi da parte della Banca d’Italia, la Commissione ha richiesto a quest’ultima – ai sensi degli artt. 4, comma 1, e 10, comma 2 del T.U.F. (che stabiliscono la reciproca collaborazione tra le due Autorità anche in sede ispettiva) – di effettuare specifici accertamenti.
E’ appena il caso di rilevare che le sei ispezioni condotte tra il mese di aprile e il mese di settembre 2003 hanno sostanzialmente assorbito l’intera “capacità produttiva” dell’Ufficio Ispettorato, così come gli esiti ispettivi relativi ai dieci intermediari stanno ancora impegnando di fatto pressoché totalmente le risorse degli Uffici di vigilanza.
Come segnalerò più diffusamente nella parte finale del mio intervento, questo rappresenta certamente un caso particolarmente evidente della assoluta necessità di rafforzare la dotazione di uomini e mezzi della Consob.
Allo stato attuale, le ispezioni sono concluse e i documenti e le informazioni acquisiti sono in fase di sottoposizione all’esame della Commissione. Ove se ne individuino i presupposti, si procederà all’avvio di procedimenti sanzionatori a carico dei soggetti ritenuti responsabili e alla conseguente proposta al Ministero dell’Economia e delle Finanze delle relative sanzioni.
Sulle determinazioni che saranno assunte, quali che esse possano essere, la Consob dovrà comunque tempestivamente riferire all’Autorità Giudiziaria, con la quale, a partire dal marzo 2003, è in corso una vasta, puntuale e intensa attività di collaborazione.
* * *
In relazione a tale vicenda, si segnala che alcuni primari istituti di credito hanno avviato iniziative volte a rimborsare in tutto o in parte i risparmiatori che avevano acquistato obbligazioni del gruppo Cirio, sulla base di valutazioni, caso per caso, circa l’eventuale non corretta o non completa rappresentazione dei rischi dell’investimento e circa la sua adeguatezza rispetto alla situazione patrimoniale complessiva dei singoli risparmiatori; un altro istituto ha invece individuato un diverso sistema di ristoro.
3. – Il quadro normativo
3.1 Introduzione
La vicenda Cirio e ancor più quella Parmalat pongono con evidenza l’esigenza di intervenire con sollecitudine per ripristinare la fiducia dei risparmiatori e per non demonizzare uno strumento, le obbligazioni societarie (corporate bonds), che – come riferito all’inizio – costituisce una componente importante del mercato finanziario. Già nell’audizione parlamentare del 7 ottobre scorso davanti alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati ho ritenuto di sottolineare una tale esigenza e di formulare una ipotesi, fra le varie possibili, atta a concorrere al ripianamento dei danni subiti dai risparmiatori nel collocamento delle obbligazioni. Rilevo che la semplice proposta, che allora forse è apparsa azzardata, sta avendo un seguito crescente presso i più importanti intermediari bancari. Elementi di quella proposta sembrano anche confluire nelle ipotesi di riordino del sistema dei controlli, attualmente in fase di elaborazione da parte del Governo.
Detto questo, più delicato appare il problema del cosa fare per agire con tempestività ed efficienza. Nel documento consegnato agli atti delle Commissioni sono indicate a questo proposito singole proposte tecniche di riforma della legislazione.
Mi preme però fin d’ora segnalare che, quale che sia il sistema delle norme e dei controlli, eventi come quelli del crack Parmalat, in cui si sono intrecciate connivenze e soggezioni tutte finalizzate a commettere illeciti penali di rilevante fraudolenza, ben difficilmente sarebbero stati evitabili. Si tratta, quindi, di agire per spingere al massimo grado la soglia di prevenzione.
Inoltre, può essere utile considerare alcuni insegnamenti che ci vengono dallo sviluppo e dall’applicazione che la normativa sul mercato finanziario ha avuto nel nostro Paese.
3.2 Il contributo della Consob all’attuale quadro normativo
Per molti anni, a partire dalla sua costituzione nel 1974, la Consob ha operato sulla base di un disegno normativo ridotto ai minimi termini, da cui mancavano molte delle componenti necessarie per poter considerare la regolamentazione del mercato finanziario esistente almeno compatibile con quella dei principali Paesi europei. La presenza istituzionale della Consob ha, però, contribuito alla diffusione di una cultura della regolamentazione che, nel corso del tempo, anche grazie alla collaborazione con Governi e Parlamenti, ha reso possibile un progressivo rafforzamento della disciplina.
Dell’inizio degli anni Novanta sono le prime leggi sull’intermediazione finanziaria, sugli abusi d’informazione privilegiata, sulle offerte pubbliche di acquisto. Ricordo che prima di tale fase gli unici intermediari mobiliari riconosciuti erano gli agenti di cambio-persone fisiche e che gli altri soggetti attivi sul mercato non avevano alcuna regolamentazione in quanto intermediari in valori mobiliari.
Il Testo unico della finanza del 1998, a cui la Consob ha collaborato fattivamente, ha dato per la prima volta un assetto ordinato e completo alla regolamentazione del mercato finanziario, intervenendo anche su alcuni rilevanti aspetti di corporate governance delle società quotate. Per tale ragione esso è stato salutato unanimemente come un’evoluzione estremamente positiva del quadro normativo nazionale.
Sulla base del Testo unico il controllo della Consob sugli emittenti quotati è un controllo di trasparenza, finalizzato ad assicurare la corretta informazione dei risparmiatori per un consapevole compimento delle scelte di investimento o disinvestimento.
Il parametro di giudizio di tale controllo è la correttezza intesa come completezza, chiarezza, coerenza e adeguatezza delle notizie fornite al mercato. Esso è necessariamente fondato sulle informazioni di cui l’Autorità dispone, su quelle che – nei limiti consentiti dalla normativa – può acquisire e, in particolar modo, sul presupposto normativo di un corretto funzionamento dei controlli endosocietari.
Non spetta invece alla Consob giudicare della veridicità dell’informazione – un controllo siffatto sarebbe del tutto incompatibile con i tempi del mercato e rappresenterebbe un unicum nel panorama internazionale – né pronunciarsi sul merito o sulla convenienza delle operazioni societarie.
La disciplina prevede da una parte obblighi informativi che devono essere adempiuti direttamente dagli emittenti; dall’altra poteri di richiesta di diffusione di informazioni ulteriori o di acquisizione di dati e notizie, che la Consob può esercitare. Riguardo ai primi l’Autorità non svolge solo un compito di verifica dell’esatto assolvimento dell’obbligo ma contribuisce, attraverso il potere regolamentare, a definire un assetto normativo di regole che sia idoneo a soddisfare le esigenze informative del mercato e che sia rapidamente aggiornabile, anche con il contributo degli operatori.
Per perseguire l’obiettivo della correttezza e della trasparenza dei dati societari forniti al mercato, il Testo unico della finanza ha definito un articolato sistema di controlli sugli emittenti quotati. In questo sistema i revisori ed i collegi sindacali, ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze (per la prima volta chiaramente distinte), costituiscono il primo livello di controllo.
Nel sistema delineato dalla legge la Consob si attiva principalmente sulla base delle segnalazioni ricevute da sindaci e revisori, il cui corretto operare costituisce quindi il presupposto dell’intervento della Commissione. Esso è volto ad assicurare la “chiusura” del sistema dei controlli, che comprende anche la possibilità per la Consob di sanzionare i sindaci e soprattutto i revisori iscritti all’Albo da essa tenuto.
Ognuno deve fare la sua parte. Ma se coloro che agiscono all’interno della società non individuano i sintomi di una possibile criticità e, quindi, non li segnalano, allora gli ulteriori presidi saranno privi del presupposto necessario per un efficace funzionamento. Di conseguenza l’effettiva situazione dell’impresa potrebbe non emergere fino al momento dell’insolvenza.
Coerentemente con la scelta operata dal T.U.F. di prevedere diversi livelli di controlli e con le tecniche utilizzate dagli omologhi organismi europei di vigilanza sulla base di principi riconosciuti in ambito internazionale, l’intervento della Consob:
– si fonda su metodi di campionamento per selezionare gli emittenti ed i documenti da esaminare;
– è ordinariamente successivo alla diffusione dei documenti societari.
Queste scelte dipendono principalmente dal numero di risorse disponibili, che nel caso della Consob è notoriamente limitato. Del resto la definizione di un efficiente sistema di controlli non può non tener conto dei costi che gravano sulla collettività e sui soggetti controllati e dell’esigenza di non ostacolare i tempi del mercato.
La disciplina degli intermediari è essenzialmente fondata su regole di correttezza e trasparenza nei rapporti con gli investitori e sulla qualità dei servizi resi. Principi fondamentali del comportamento degli intermediari sono l’adeguata conoscenza degli strumenti finanziari trattati e la conoscenza del cliente, entrambe preliminari alla valutazione dell’adeguatezza agli interessi e agli obiettivi di investimento dei clienti delle operazioni concluse per loro conto.
Il controllo del rispetto di tali regole non può essere evidentemente concomitante, ma può essere svolto a posteriori e su base campionaria. Per tali ragioni la regolamentazione emanata dalla Consob pone un’enfasi particolare sugli aspetti organizzativi e procedurali degli intermediari, la cui efficienza ed adeguatezza è indice di un corretto svolgimento dell’attività.
Nel caso di collocamento di obbligazioni societarie, in assenza di un’offerta pubblica di vendita, sono quindi le regole di condotta e di trasparenza ad assumere rilievo e la loro osservanza costituisce il presidio essenziale per la tutela degli investitori.
Le esperienze applicative delle leggi che si sono susseguite ed il continuo contatto con l’evoluzione comunitaria ed internazionale hanno sempre indotto la Consob a evidenziare tempestivamente, nelle proprie Relazioni annuali o attraverso la propria partecipazione a sedi istituzionali, le correzioni o integrazioni necessarie. Ciò è avvenuto anche dopo l’approvazione del Testo unico del quale – fermi restando gli aspetti largamente positivi – furono da subito segnalate alcune mancanze su cui sarebbe stato il caso di intervenire tempestivamente: il mantenimento dell’opacità su alcune parti del sistema finanziario, rientranti nel mondo bancario ed assicurativo; la mancata attribuzione alla Consob di poteri ispettivi e di accertamento più forti, che pure erano stati ipotizzati sulla base di consolidate esperienze estere [7]; la debolezza dell’apparato sanzionatorio [8], elemento quest’ultimo di particolare rilievo.
L’evoluzione delle norme, il progressivo rafforzamento della tutela dell’investitore da esse perseguito e i limiti rimasti non sono d’altra parte il prodotto di attività puramente accademiche o di scelte di singole persone o istituzioni: essi sono in gran parte il frutto del lento diffondersi di una cultura di protezione del risparmio e dei cambiamenti del mercato finanziario, imposti da un’economia sempre più orientata al mercato. Ogni cambiamento, ogni minima tutela in più per gli investitori ha incontrato ostacoli, obiezioni, radicate avversità culturali. Le soluzioni che ne sono scaturite sono a volte soddisfacenti, a volte meno, ma sono in buona parte il frutto del grado di evoluzione del mercato finanziario italiano nel suo complesso.
Del resto, vi è una componente fondamentale per la buona riuscita di ogni regolamentazione che non va mai dimenticata, ed è quella della sua corrispondenza al comune sentire dell’ambiente in cui deve essere applicata e della sua convinta adesione. Come è stato detto già nella relazione Consob per l’anno 1997, “se il principio della fiducia non riceve sostegno dal mondo degli operatori finanziari e se chi lo tradisce non è colpito dalla sanzione della disistima nel suo stesso ambiente, il sistema dei controlli pubblici viene caricato di un compito impervio”.
3.3 I conflitti d’interesse
L’esperienza acquisita consente di individuare nell’esistenza di conflitti d’interessi un aspetto critico comune, riguardante tutti gli operatori del mercato finanziario, che nei casi in questione è emerso con particolare forza.
Vi è in primo luogo un forte rischio di conflitti d’interessi nell’attività di intermediazione finanziaria, nel cui svolgimento l’operatore professionale, di solito una banca, dovrebbe, secondo i principi di legge, dare priorità all’interesse del cliente.
Il rischio endemico di conflitti d’interesse nell’attività delle banche è stato ripetutamente segnalato dalla Consob nelle proprie Relazioni annuali almeno dal 1998 in poi. Tale rischio è cresciuto negli ultimi anni in conseguenza del concentrarsi nelle banche italiane di molte funzioni ulteriori rispetto a quella tradizionale del credito: prestatori di servizi d’investimento in via diretta; soci di controllo delle principali società di gestione del risparmio; organizzatori e collocatori delle più importanti emissioni azionarie ed obbligazionarie; soci di riferimento della società di gestione del mercato regolamentato (Borsa Italiana), a cui spetta secondo l’attuale normativa di pronunciarsi sulla ammissione a quotazione delle società.
Si tratta di un insieme di interessi e attività, frutto in parte dell’evoluzione naturale del mercato, su cui è possibile intervenire in modo non episodico soltanto con una decisa collaborazione degli istituti bancari stessi. Nessuno, infatti, può pensare di poterli risolvere soltanto con un intervento dall’alto, sia esso di natura normativa o repressiva.
Vi è poi un conflitto d’interessi interno alla vita delle società e al sistema dei controlli. Esso riguarda, ad esempio, i comportamenti del socio di controllo/amministratore delegato, che effettua operazioni con parti correlate; dell’amministratore non esecutivo o del sindaco che si limita a controlli formali sull’attività degli amministratori esecutivi nominati dal medesimo socio; del revisore che si preoccupa di mantenere l’incarico e/o di instaurare o ampliare rapporti di consulenza correlati.
In particolare, i titolari di funzioni di controllo interno e contabile sono i soggetti ai quali la normativa vigente assegna il compito principale di prevenzione dei comportamenti irregolari di chi gestisce le imprese. La Consob, con i poteri riconosciuti dalla legge e con le limitate risorse disponibili, ha nel corso degli anni compiuto vari interventi, talvolta regolamentari o sanzionatori, talvolta e per quanto possibile soltanto di moral suasion. Ad esempio su sindaci e amministratori non esecutivi, almeno dal 1997 e in più occasioni, la Consob ha, con proprie comunicazioni, chiaramente esplicitato dettagliati principi operativi di best practice per l’effettuazione dei controlli, pur consapevole della limitatezza dell’apparato sanzionatorio esistente in caso di loro violazione.
La prevenzione e la riduzione al minimo dei conflitti d’interessi, nelle loro diverse forme e modalità, può costituire l’obiettivo di fondo dei miglioramenti da apportare alla disciplina, sia che essi riguardino l’indipendenza degli amministratori non esecutivi, dei sindaci, degli altri titolari del controllo interno o dei revisori contabili, sia che riguardino la scelta da parte delle banche degli strumenti finanziari da vendere ai clienti o da conservare nel proprio portafoglio, o, ancora, i comportamenti da sanzionare o i tipi di sanzione più efficaci.
Possono poi ipotizzarsi altri interventi, sia di natura legislativa, ad esempio sul funzionamento del sistema di responsabilità civile e sulle sanzioni penali, sia di natura diversa, ad esempio con riguardo alle regole per la quotazione delle società. Inoltre, come dimostrato dal forte profilo internazionale delle vicende Cirio e Parmalat, alcuni problemi richiedono interventi e collaborazioni da parte di organismi e Autorità sopranazionali, anche perché soluzioni solo italiane potrebbero risultare inefficaci e/o rischierebbero di creare svantaggi competitivi per le nostre imprese; fra questi particolare rilievo ha il ruolo dei c.d. centri off-shore.
4. – Il contesto internazionale
Qualsiasi ragionamento sulla modifica degli assetti normativi vigenti non può prescindere da un’attenta valutazione degli sviluppi intervenuti in sede internazionale negli ultimi anni. Infatti, sia in sede IOSCO sia in sede europea si è registrata negli ultimi anni una crescente produzione normativa intesa a porre rimedio a talune delle disfunzioni già evidenziate ed a rafforzare la cooperazione tra Autorità di vigilanza al fine di individuare e reprimere comportamenti illeciti in un’era di finanza globale. Per quanto attiene alla IOSCO, rilevanza assumono i recenti principi in materia di analisti finanziari e agenzie di rating di cui il CESR ha raccomandato l’introduzione anche in Europa (in aggiunta ai principi generali già contenuti nella direttiva sugli abusi di mercato del 2003) e l’accordo multilaterale per lo scambio di informazioni riservate tra Autorità di vigilanza cui, nel novembre 2003, risultavano aderire 24 Autorità tra cui la Consob.
Particolare rilievo assume, inoltre, per l’importanza del mercato, la risposta che è stata data alla crisi della Enron negli Stati Uniti d’America. Il c.d. Sarbanes-Oxley Act, in particolare, ha introdotto nuovi obblighi in capo agli amministratori, ai responsabili finanziari delle società e ai revisori prevedendo importanti sanzioni sia di natura pecuniaria che di natura penale in caso di violazioni, ha portato all’introduzione di nuove regole in materia di conflitti di interessi (con particolare riguardo agli analisti finanziari) ed ha realizzato un rilevante rafforzamento della SEC, sia in termini di risorse umane che di mezzi finanziari.
In sede europea vige il principio della libera circolazione sul territorio dell’Unione di operatori e di “prodotti finanziari” in base al c.d. “controllo del Paese di origine”; importanti iniziative sono state assunte al fine di ravvicinare le normative vigenti nei diversi Paesi e di dotare le Autorità di vigilanza dei necessari poteri al fine di assicurare che gli obblighi di cui alle direttive siano rispettati.
Il nuovo corpus normativo europeo, che comprende dettagliate disposizioni adottate, nella forma di direttive o regolamenti, secondo il modello Lamfalussy e cui ha contribuito in misura rilevante anche il CESR, il Comitato che riunisce le Autorità di vigilanza di settore, pone particolare enfasi sul ruolo dell’Autorità di vigilanza e sui suoi poteri di indagine. La direttiva sugli abusi di mercato del 2003, così come la posizione comune sulla proposta di direttiva sui servizi di investimento raggiunta sotto la presidenza italiana, contengono una dettagliata lista di poteri la cui titolarità deve essere attribuita all’Autorità amministrativa indipendente di vigilanza, oggi non previsti dalla legge italiana.
Fra essi: la possibilità di chiedere informazioni ed effettuare ispezioni nei confronti di chiunque; l’accesso ai dati relativi al traffico telefonico; la richiesta o l’adozione di provvedimenti cautelari, quali il congelamento dei beni e l’inibizione alla prosecuzione di attività in violazione della norme.
La normativa europea interviene anche sugli aspetti sanzionatori, sia imponendo il ricorso a sanzioni amministrative sufficientemente dissuasive, sia prevedendo sanzioni c.c. “reputazionali”. E’ anche previsto che le Autorità di vigilanza possano pubblicizzare i provvedimenti adottati e le sanzioni irrogate nonché richiedere l’interdizione dall’esercizio di attività professionali di soggetti che abbiano violato le norme di attuazione delle direttive, con l’utilizzo del sistema, di origine inglese, del discredito reputazionale (disqualification). E’ inoltre previsto che sia consentito ad organizzazioni pubbliche di agire in giudizio nell’interesse dei consumatori e che sia favorita l’introduzione di meccanismi extragiudiziali per la risoluzione di controversie tra risparmiatori e prestatori di servizi.
Per quanto attiene alle comunicazioni societarie, particolare enfasi viene posta nei progetti in corso di predisposizione, sulla falsariga della nuova normativa statunitense, sulla responsabilizzazione dei redattori dei bilanci e degli altri documenti finanziari presso l’emittente. E’ stata poi preannunciata la preparazione di norme che impongono l’istituzione di controlli pubblici sulle società di revisione, secondo il modello già vigente nel nostro Paese, in cui la Consob esercita tale funzione.
In materia di obbligazioni, particolare rilevanza assume la nuova direttiva del 2003 sui prospetti informativi di offerta al pubblico e di ammissione alle negoziazioni in borsa, che estende l’obbligo di predisporre il prospetto per tutti i tipi di strumenti finanziari e, quindi (sebbene vengano mantenute talune semplificazioni), anche per i prodotti offerti dalle banche e prevede che nel caso di offerte riservate agli investitori qualificati i titoli non possano essere rivenduti al dettaglio se non previa predisposizione del prospetto.
Dall’altro lato, la nuova direttiva, a differenza di quanto stabilito nella proposta originaria della Commissione Europea, prevede che l’emittente di obbligazioni di valore nominale superiore a 1000 euro possa scegliere il proprio Paese di origine. Si tratta di una norma che è stata inserita su precisa e reiterata richiesta del Parlamento Europeo. Questo farà sì che gli emittenti italiani potranno continuare a scegliere il Paese nel quale effettuare l’emissione e rivendere i titoli in Italia utilizzando il prospetto approvata dall’Autorità del predetto Paese senza che la Consob possa imporre l’inclusione di informazione aggiuntiva.
Questo è un problema al quale occorrerà porre attenzione, anche perché si fanno sempre più maturi i tempi per giungere a una regolamentazione di livello sopranazionale.
5. – La possibile evoluzione del quadro normativo
Formulate queste considerazioni, indico alcuni possibili interventi, descritti più in dettaglio nel documento per gli atti, riguardanti gli emittenti, gli intermediari, i poteri e le risorse dell’Autorità di controllo.
5.1 Rafforzamento dei controlli societari
Le norme del T.U.F. sui controlli societari, pur rispondendo ad una corretta impostazione di fondo, sono in alcuni casi rimaste inattuate, mentre, in altri casi, esse, alla luce dell’esperienza maturata, vanno completate con più stringenti requisiti tra i quali si può ipotizzare di:
a) rendere obbligatoria la presenza di amministratori indipendenti, oggi suggerita dal codice di autoregolamentazione, e sanzionare in modo specifico la mancata segnalazione di conflitti d’interesse;
b) rendere effettivo l’obbligo di nominare almeno un rappresentante delle minoranze nell’organo societario deputato al controllo interno (sia esso il collegio sindacale o altro), lasciando sul punto meno spazio all’autonomia statutaria;
c) rafforzare ulteriormente le incompatibilità dei sindaci o degli altri controllori nei modelli societari alternativi, tenendo conto di quanto verrà stabilito per i revisori;
d) rendere ancora più chiaro che tali soggetti costituiscono l’interlocutore privilegiato della Consob per la tempestiva segnalazione di irregolarità e sanzionare adeguatamente il venir meno a tale obbligo di segnalazione;
e) riaffidare alla Consob il compito di approvare le delibere di revoca degli incarichi alle società di revisione e di disporne direttamente la revoca;
f) trasformare in norme cogenti i suggerimenti contenuti nel rapporto della Commissione Galgano sulla durata dell’incarico delle società di revisione, prevedendo le incompatibilità applicabili alla società stessa e al suo network e l’attribuzione alla Consob di poteri regolamentari in materia;
g) rimodulare il sistema sanzionatorio sui revisori, prevedendo una maggiore gradazione ed interventi di natura cautelare.
Nella stessa direzione appare opportuno recepire le proposte contenute in iniziative parlamentari sulle attività di predisposizione e divulgazione di studi e ricerche su strumenti finanziari (onorevole Mario Lettieri) e sulle incompatibilità tra soggetti esercenti attività d’impresa e banche (onorevoli Giorgio La Malfa e Bruno Tabacci); anche l’approvazione di un disegno di legge o di un Testo unico sulle Autorità indipendenti, per il quale esistono studi e proposte di legge di particolare valenza, potrà rappresentare un forte e chiaro sostegno a un buon modo di operare.
5.2 Disciplina degli intermediari e del collocamento delle obbligazioni societarie
In relazione all’esperienza tratta dalla vicenda Cirio, la Consob ha avviato fin dall’agosto scorso una profonda revisione del proprio Regolamento Intermediari, allo scopo di rendere più stringenti i vincoli operativi degli intermediari a tutela dei risparmiatori e di recepire in Italia i principi elaborati dal Cesr.
Oltre a tali interventi già avviati in quanto consentiti dalla normativa vigente possono ipotizzarsi ulteriori modifiche legislative, relative alla disciplina delle obbligazioni societarie che prevedano, tra l’altro:
a) limiti alla diffusione delle obbligazioni societarie presso il pubblico, consentendola solo qualora vi sia una valutazione di affidabilità (rating) da parte di agenzie indipendenti;
b) limiti civilistici ulteriori all’emissione delle obbligazioni, tenendo conto – come già segnalato dalla Consob al Parlamento nel novembre 2002 – delle emissioni realizzate a livello di gruppo e delle garanzie rilasciate dalla capogruppo;
c) il divieto temporaneo di negoziare con il pubblico le obbligazioni oggetto di collocamento privato, stabilendo un periodo minimo (ad esempio un anno) di possesso delle obbligazioni stesse da parte dell’intermediario (il cosiddetto holding period), in analogia a quanto previsto dalla regolamentazione statunitense, sempreché ciò in futuro possa essere in linea con le direttive europee.
5.3 Il rafforzamento dei poteri e delle risorse della Consob
Con riferimento più diretto ai poteri della Consob e alla possibilità per essa di svolgere in modo più efficace e tempestivo le funzioni di vigilanza che le vengono assegnate dal T.U.F. è ipotizzabile una serie di innovazioni, parte delle quali potrebbe entrare da subito nel nostro sistema di vigilanza grazie al recepimento tempestivo della direttiva sugli abusi di mercato:
a) un ampliamento dei poteri ispettivi e di richiesta di dati e notizie della Consob, stabilendo in via normativa collaborazioni con la Guardia di Finanza e consentendo che, in presenza di indici dell’esistenza di irregolarità, la Consob possa estendere a tutti i soggetti in possesso di informazioni utili le proprie capacità ispettive e di indagine;
b) l’eventuale attribuzione alla Consob di nuovi poteri di azione giudiziaria a difesa dell’interesse degli investitori;
c) la rimozione degli ostacoli tuttora presenti nei rapporti con le altre Autorità estere, che hanno talora eccepito l’assenza nell’ordinamento italiano di vincoli di segreto compatibili con gli accordi e la prassi internazionale della cooperazione.
Occorre poi operare una revisione del sistema sanzionatorio, confermando la scelta per sanzioni di tipo amministrativo, più rapide nell’attuazione e suggerite dalle più recenti indicazioni comunitarie, ma aggiornando il sistema per i seguenti aspetti: a) prevedere come primari soggetti responsabili le persone giuridiche a cui sono riferite le violazioni; b) adeguare l’entità delle sanzioni; c) semplificare il procedimento sanzionatorio, concentrando presso la Consob l’intera procedura; d) generalizzare la pubblicità delle violazioni accertate e delle sanzioni applicate; e) introdurre nuovi tipi di sanzione di natura interdittiva e reputazionale.
L’efficacia delle proposte di revisione normativa è naturalmente condizionata dalla possibilità per la Consob di avere risorse aggiuntive quantitativamente e qualitativamente adeguate ai propri compiti. Occorre, infatti, ridurre i tempi necessari per il reclutamento e per l’immediato utilizzo operativo delle nuove risorse. Tale maggior dotazione è particolarmente essenziale, se si vuole che l’Autorità possa estendere e rendere più incisiva la sua attività di vigilanza e controllo, soprattutto nei riguardi degli intermediari e degli organi di controllo endosocietari. In tal modo sarebbe possibile intervenire con maggiore tempestività, al fine di evitare che vengano a consolidarsi strutture organizzative o prassi operative non in linea con le prescrizioni, circostanze, queste, che rappresentano una delle concause più importanti dei danni arrecati ai risparmiatori.
La consistenza dell’organico della Commissione nazionale per le Società e la Borsa è stabilita per legge. L’attuale limite delle risorse di organico utilizzabili rappresenta un obiettivo vincolo alla definizione di un assetto organizzativo della Consob adeguato ai compiti ad essa attribuiti. È da aggiungere poi che eventi eccezionali, quali quelli oggetto della presente indagine parlamentare, possono comportare la necessità di destinare un considerevole numero di risorse alla loro trattazione, con effetti negativi anche sull’attività ordinaria, ma non certo di modesto rilievo, dell’Istituto.
Le difficoltà di funzionamento della Consob sono aggravate dal continuo esodo di personale, esodo che nel solo anno 2003 ha interessato 21 unità, la quasi totalità delle quali di alto profilo professionale e assegnata a settori strategici della struttura.
È stata pertanto rappresentata al Governo e al Parlamento, in occasione delle audizioni svoltesi in data 5 giugno e 7 ottobre 2003, la assoluta necessità di un aumento del numero dei posti previsto dalla pianta organica, con un incremento di almeno 150 unità [9]. Tale stima non tiene evidentemente conto della possibilità che alla Consob vengano attribuite nuove competenze, nel qual caso occorrerebbe procedere ad ulteriori incrementi della dotazione di personale in modo da fronteggiare adeguatamente gli ulteriori compiti. E’ stata richiesta anche la facoltà di acquisire, in misura prefissata, personale altamente specializzato proveniente dal mercato, con i costi – pur elevati – che tale acquisizione comporta.
Ad oggi la Consob ha ottenuto solo un incremento di 5 mln di euro (legge finanziaria 2004 – Tab. C).
La possibilità di distacco temporaneo di Magistrati – come è previsto per la COB – potrebbe rappresentare un ulteriore strumento utile per un sempre più qualificato operare.
La legge n. 216/1974, istitutiva della Consob, prevede che i regolamenti adottati dalla Commissione e concernenti la propria organizzazione ed il proprio funzionamento siano sottoposti al Presidente del Consiglio dei Ministri affinché questi, sentito il Ministro dell’Economia, ne verifichi la legittimità e li renda esecutivi con proprio decreto.
La previsione costituisce retaggio dell’originaria qualificazione della Consob quale organismo incardinato nell’Amministrazione dello Stato in senso stretto e – oltre a costituire oggi un’anomalia rispetto ai caratteri di autonomia e indipendenza che contrassegnano le Autorità amministrative indipendenti – rende difficile l’attuazione di decisioni urgenti, talvolta anche di modesto rilievo, che la Consob si trova a dover assumere. Tale forma vetusta di controllo, come più volte segnalato, andrebbe pertanto eliminata.
5.4 La riforma delle Autorità di vigilanza
L’attuazione delle modifiche sopra indicate – se accompagnata da una revisione di altre parti dell’ordinamento, intese a contrastare i conflitti di interessi fra più funzioni ed attività degli operatori e da un sostanziale adeguamento delle risorse, in uomini e mezzi, della Consob – consentirebbe di rendere più effettiva la tutela dei risparmiatori e più incisiva l’azione di vigilanza.
La Consob ritiene che il modello di vigilanza per finalità presenti indubbi vantaggi: evita i possibili conflitti di interessi fra finalità dei controlli, intrinseci ai modelli di vigilanza accentrata (regulator unico) e di vigilanza per soggetti e – attraverso la specializzazione delle Autorità rispettivamente competenti – aumenta l’efficacia dei controlli stessi. Il T.U.F. ha scelto tale modello per la vigilanza sugli intermediari. La Consob ritiene con ferma convinzione che tale modello vada mantenuto, pur se necessita di adeguamenti. In esso sono infatti presenti eccezioni non in linea con la ratio sostanziale del sistema.
Alcuni aspetti dei controlli riguardanti i fondi comuni di investimento sono stati riferiti esclusivamente alla regolamentazione prudenziale, mentre coinvolgono rilevanti profili di trasparenza e di correttezza nelle gestioni.
Anche per altri prodotti finanziari esiste nel T.U.F. una disciplina non omogenea. Come è noto, l’art. 100 del T.U.F. esonera le obbligazioni bancarie e gli altri prodotti di natura finanziaria emessi dalle banche e dalle imprese di assicurazione dalla disciplina degli obblighi di prospetto e, quindi, dai controlli di trasparenza della Consob; gli stessi prodotti sono anche sottratti, dall’art. 30 del T.U.F., alla disciplina riguardante l’offerta fuori sede, con accentuazione delle asimmetrie normative in termini di tutela degli investitori.
Oltre a tali anomalie, a parere della Consob la presenza di Autorità separate – rispettivamente competenti per tutti gli aspetti rilevanti ai fini della tutela del risparmio – richiede un ampliamento e un rafforzamento delle forme di collaborazione e di coordinamento peraltro già esistenti fra le singole Autorità in modo da orientare reciprocamente gli interventi di vigilanza. Il senso di questa proposta è quello di costruire in modo coordinato le banche dati allo scopo di soddisfare le esigenze informative di tutte le Autorità, minimizzando i costi della vigilanza a carico degli operatori. In tal modo l’accesso sarebbe diretto e tempestivo, senza necessità di richiedere specifiche collaborazioni.
Nel quadro così delineato, che potrebbe richiedere un intervento legislativo, va inquadrato l’accesso al flusso informativo sulle emissioni obbligazionarie e alla Centrale rischi, come in altra occasione ipotizzato.
Si ritiene che le riforme e i principi di coordinamento sopra indicati – parte dei quali la Consob ha più volte segnalato, anche con carattere di urgenza – consentirebbero una positiva evoluzione dell’operare della Consob stessa. In tal modo l’Istituto verrebbe ad acquisire una più ampia e migliore capacità d’intervento, mettendosi quindi nelle condizioni di assicurare una più efficace tutela del mercato e dei risparmiatori. E’ l’intero processo di vigilanza e controllo che verrebbe rafforzato. Ne risulterebbero: a) una maggiore possibilità di percepire le nuove tendenze del mercato; b) un tempestivo scrutinio della loro conformità alle regole vigenti; c) un’azione di correzione attraverso efficaci strumenti di vigilanza e un apparato sanzionatorio fortemente dissuasivo.
Il rapido recepimento della direttiva comunitaria in materia di abusi di mercato, un tempestivo potenziamento di personale e di mezzi insieme a forme più strutturate di collaborazione con le altre Autorità, Guardia di Finanza compresa, potrebbero costituire una risposta immediata, pragmatica ed efficace, per un sostanziale recupero della fiducia dei risparmiatori e per un positivo apprezzamento della comunità finanziaria.
Interventi più radicali richiederebbero tempi di avvio inevitabilmente lunghi, porrebbero problemi organizzativi di non agevole soluzione e potrebbero pregiudicare, almeno nell’immediato, la piena operatività dei sistemi di vigilanza.
* * *
Con riferimento a quanto detto e ancor più a quanto esposto nella Relazione, che chiedo possa essere messa agli atti, ho sottolineato con convinzione due elementi. Da una parte l’esigenza che venga rivisto l’attuale sistema dei controlli attribuiti alla competenza delle diverse Autorità, con un sensibile potenziamento delle funzioni della Consob in direzione della correttezza e trasparenza delle operazioni di mercato. Dall’altra la necessità di uno stretto coordinamento tra le diverse Autorità nello scambio di elementi di rispettiva conoscenza, oltre alla facoltà normativamente prevista di avvalersi anche del supporto della Guardia di Finanza, e ciò al fine di svolgere al meglio le proprie funzioni e di prevenire al massimo possibile le patologie che possono presentarsi.
Ritengo anche che solo in una più ampia prospettiva di riforma potrebbe essere presa in esame un’applicazione generalizzata del sistema della vigilanza per finalità a tutti i comparti del mercato finanziario, riducendo il numero delle Autorità oggi esistenti, ridefinendo e chiaramente specificando le competenze sulla base di un “sistema a tre teste” (Banca d’Italia, Antitrust e Consob potenziata), ma ritengo altresì che oggi una tale soluzione non potrebbe dare i risultati ricercati e necessari in tempi brevi.
Inoltre tale soluzione potrebbe creare difficoltà di accorpamento depotenziando almeno in una prima fase la funzionalità di soggetti e di settori che al presente appaiono già produrre buoni frutti o essere avviati verso un efficace operare.