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La spallata dell’ OSCE al ddl Gasparri. L’ Italia pessimo esempio per la disciplina delle comunicazione di massa
La spallata dell’OSCE al ddl Gasparri. L’Italia pessimo esempio per la disciplina delle comunicazione di massa
Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione Europea. Rapporto ordinario al Consiglio Permanente del Rappresentante per la Libertà dei Mezzi di Comunicazione di Massa
Sig. Presidente, Signore e Signori,
Questo è il mio ultimo rapporto al Consiglio Permanente dell’OSCE da quando sono stato eletto nel 1977 dagli allora 54 Ministri degli Esteri a ricoprire l’incarico di Rappresentante per la Libertà dei Mezzi di Comunicazione. Sono stato in carica per due mandati di tre anni. Sei anni fa vi erano nel mondo grandi speranze per quei Paesi che provenivano da un passato assai drammatico, laddove non esisteva libertà per gli scrittori e i giornalisti. Come editore, avevo portato a conoscenza del pubblico alcuni degli autori che erano proibiti nei loro Paesi. Negli anni novanta eravamo tutti fiduciosi che saremmo stati in grado di superare il fardello del passato negli esiti delle strutture di molti mezzi di comunicazione di massa delle nuove democrazie emergenti.
All’epoca sembrava che la libertà dei mezzi di comunicazione di massa si fosse affermata in quasi tutti gli Stati che partecipano all’OSCE e che era necessario cementare questo avvio promettente con un monitoraggio intenso e un supporto, principalmente di natura legale. E’ così che iniziò il mio doppio lavoro.
Non avevamo previsto allora che nei sei anni seguenti la situzione sarebbe cambiata non per il meglio: molti dei nuovi governi usarono metodi vecchi e nuovi per contrastare le critiche rivolte alle loro politiche. Ne è risultato un clima mutato. In alcuni Stati, l’apertura ai nuovi mezzi di comunicazione di massa è stata rimpiazzata da un atteggiamento nevrotico, di autocensura e da una paura costante di oppressione. Questa difficile situazione per i mezzi di comunicazione di massa è stata esacerbata dall’uccisione di migliaia di cittadini dell’11 settembre 2001.
Ne è conseguito uno slittamento delle priorità degli Stati aderenti all’OSCE. Le libertà civili, inclusa la libertà di espressione, furono relegate ai margini da ciò che molti Paesi ritenevano fossero bisogni più urgenti. Molte delle nuove priorità erano giustificate, ma abbiamo anche osservato l’uso improprio che certi governi hanno fatto della tragedia dell’11 settembre per propri motivi di comodo.
Nel 2003, una organizzazione che si vantava di essere una comunità di democrazie dichiarate, ha cambiato il suo orientamento politico, portandosi più sul versante delle minacce globali alla sicurezza che su quello del deterioramento dei diritti umani.
Devo dichiarare qui ed ora che lascio l’OSCE dopo sei anni portando con me il ricordo di alcuni dei nostri Stati membri dove la nuova situazione sulla libertà dei mezzi di comunicazione di massa è più problematica ora di quanto non lo fosse quando intrapresi questo incarico nel 1997. Chi avrebbe allora creduto che nello sviluppo della nuova Russia democratica il Cremlino avrebbe ancora avuto il controllo diretto o indiretto di molti giornali e della totalità dei mezzi di informazione elettronici? Chi avrebbe potuto prevedere che le elezioni politiche appena svolte per la Duma dello Stato Russo sarebbero state così ampiamente criticate per la loro mancata conformità agli standard internazionali precisamente a causa della mancanza di indipendenza nei mezzi di informazione, per l’assenza di un trattamento bilanciato delle informazioni e per l’assenza di una ampia gamma di informazioni a favore del corpo elettorale, gettando così un’ombra cupa, forse per anni a venire, sulle autentiche intenzioni democratiche della Russia? Chi avrebbe allora potuto prevedere che il Primo Ministro di un Paese fondatore dell’Unione Europea avrebbe varato una legge sui mezzi di comunicazione di massa fatta su misura per aiutare il proprio programma politico e gli interessi economici della sua famiglia?
Osservo con grande preoccupazione l’approvazione avvenuta nella settimana scorsa in Italia di una nuova legge sui mezzi di comunicazione. Per quanto mi è dato di capire, la legge consentirebbe alla società finanziaria della famiglia del Primo Ministro Silvio Berlusconi di fare acquisizioni nel campo della radio e dei quotidiani a partire dal 2009. Il Primo Ministro Berlusconi, attraverso il suo ruolo politico e i suoi interessi commerciali, già possiede una influenza diretta o indiretta su una quota del 95% della TV italiana. A questo proposito, in Italia si sta realizzando un precedente assai pericoloso che potrebbe influenzare seriamente l’assetto dei mezzi di comunicazione in altri Stati dell’OSCE, per tacere del fatto che questo fatto mina anche la posizione di questo Ufficio sulla questione dei monopoli nei mezzi di comunicazione di massa.
Vorrei ora mettere a fuoco alcuni dei metodi che sono utilizzati nell’area OSCE tanto da parte dei governi quanto del mondo imprenditoriale per soffocare il dibattito pubblico e per restringere il campo del giornalismo indipendente.
Come sapete dal 1998, dai miei primi rapporti fino a questo forum abbiamo a che fare con ciò che ho chiamato “la censura strutturale”. Molti governi, per evitare la censura esplicita hanno introdotto una serie di metodi indiretti per bersagliare i mezzi di comunicazione di massa. Metodi che hanno un effetto scoraggiante e che spesso costringono giornalisti e editori a convertirsi all’autocensura. La censura strutturale si procede con il ricorso alla guardia di finanza, ai vigili del fuoco, ai proprietari degli stabili, alle società di distribuzione e di stampa, per esercitare pressioni indebite sui mezzi di comunicazione di massa, anche per mezzo di numerose ispezioni di disturbo, con il pretesto di servizi carenti.
Alla fine, per poter continuare a pubblicare e a trasmettere, giornalisti ed editori sono costretti a compromettere la loro linea editoriale. In questo forum ho indicato dozzine di casi del genere. Non mi ripeterò, ma tutti voi sapete di che cosa sto parlando. Un quotidiano, ad esempio, in uno Stato membro dell’OSCE è sopravvisuto a quaranta ispezioni fiscali in un anno e da ultimo è stato costretto a cambiare completamente il suo orientamento nei confronti del potere politico. Da allora non siè più avuta alcuna ispezione fiscale.
La “Censura per omicidio” rimane ancora una minaccia nell’area OSCE, sebbene la nostra sia una delle aree del mondo con il numero più basso di omicidi di giornalisti: quest’anno ne sono stati uccisi due in Russia. Ciononostante, persino un singolo caso di una tale estrema forma di censura è estremamente ripugnante. Va anche rammentato che ci sono raramente degli imputati per l’omicidio di un giornalista. Accade spesso che questi casi si trascinino per anni, senza alcun arresto.
Quando queste minaccce – in particolare la “censura strutturale” – non producono l’effetto desiderato, viene messa in atto una azione di disturbo per mezzo delle norme dei codici civili e penali. L’arma scelta è allora di consueto il reato di diffamazione a mezzo stampa. E’ per questo che ho preso una posizione molto forte sulla diffamazione e sulle leggi sugli insulti che forniscono una indebita protezione ai pubblici ufficiali.
Lo scorso novembre tenni sulla questione una tavola rotonda a Parigi e insieme a Reporters sans frontieres [3] ho elaborato una serie di raccomandazioni che avete oggi ricevuto. Si appellano, tra le altre cose, alla depenalizzazione del reato di diffamazione negli Stati membri dell’OSCE. E’ per questo che continuo ad insistere che i due principali pilastri della democrazia di uno Stato sono la libertà dei mezzi di comunicazione e l’indipendenza delle istituzioni giudiziarie.
Il reato di diffamazione non è il solo mezzo legale per colpire un giornalista scomodo. Quando tutti gli altri mezzi falliscono, è possibile costruire un caso criminale che può avere a che fare con qualche sorta di attività illegale: dalla corruzione all’adescamento di minori per fini sessuali. Ancora un volta, ho portato all’attenzione di di questo forum diversi casi di questo genere. L’abisso di cinismo di alcuni dei governi che fanno parte di questa organizzazione non finirà mai di sorprendermi. I giornalisti che hanno avuto il coraggio di criticare quei governi sono incarcerati da anni per via di accuse fabbricate a tavolino, che ad evidenza non hanno nulla a che fare con il diritto all’esercizio della libertà di espressione. Appena due nomi: Sergey Duvanov corrispondente della rivista Time nel Kazakhstan e Ruslan Sharipov che è incarcerato in Uzbekistan. Continuerò a battermi per la loro libertà anche dopo aver lasciato l’incarico.
C’è un Paese nell’area OSCE dove ho sospeso tutte le funzioni del mio Ufficio. E’ il Turkmenistan, un regime dittatoriale facente parte della nostra organizzazione, dove la sola funzione dei mezzi di comunicazione è quella di glorificare il Presidente a vita e distruggere i suoi oppositori. Non vedo alcuna ragione di lavorare con quel governo fino a quando le libertà civili non saranno ripristinate. Chiaramente, continuerò a difendere quei reporter che finiscono nelle mani di quella dittatura razzista.
Ora vi esporrò una rassegna di alcuni dei temi ai quali abbiamo lavorato negli anni passati.
Libertà dei mezzi di comunicazione e di Internet. Si tratta di un tema che sta diventando importante, con i governi e la società civile che dibattono sul futuro sviluppo delle tecnologie dell’informazione ed i pro e i contro di questa rete globale. Nel passato mese di giugno ho tenuto ad Amsterdam un incontro di esperti e abbiamo tutti convenuto che i contenuti illegali debbano essere perseguiti nei Paesi di origine, ma anche che tutta la legislazione e l’attività di repressione a supporto della legge debba chiaramente colpire solo il contenuto illegale e non l’infrastruttura o Internet stessa.
Un altro tema che sto curando riguarda i mezzi di comunicazione nelle società multilinguistiche. Il nostro più recente sforzo è stato quello di realizzare una pubblicazione in diverse lingue su quanto sta accadendo a questo riguardo in cinque Paesi OSCE: la Repubblica Yugoslava di Macedonia, il Lussemburgo, la Moldova, la Serbia-Montenegro e la Svizzera. I rapporti sui cinque Paesi sono stati presentati in occasione della conferenza di marzo a Berna, in Svizzera. Li ho anche presentati in ottobre a Belgrado. Nel futuro globale di questo nuovo secolo elettronico non vi sarà alcun Paese completamente monolingue nell’area OSCE o altrove.
Quello sui giornalisti operanti negli scenari di guerra è stato un tema corrente sul quale mi sono concentrato negli anni passati. La cosa implica due dimensioni: la sicurezza di quei reporter che seguono gli eventi dal fronte, e che spesso riferiscono su conflitti in cui le linee di divisione sono incerte e in cui i combattenti rappresentano diversi gruppi e comunità. Un’altra dimensione riguarda la relazione che si stabilisce tra i giornalisti e i gli eserciti regolari, com’è stato il caso durante la guerra in Iraq.
Come bilanciare in modo equo e non prevenuto l’attività del reporter e la sua sicurezza quando si trova ad operare in un’area di guerra è un tema che tutti noi, dentro e fuori dall’OSCE, dovremmo continuare a discutere. In democrazia, ogni azione militare è preceduta da un dibattito pubblico ed è seguita con attenzione soltanto se il pubblico ha accesso a tutti i tipi di informazione provenienti da diverse fonti. Questa pratica consolidata non dovrebbe essere compromessa.
Tutti noi comprendiamo che nel momento della prova, quando una democrazia manda i suoi soldati in guerra, il dibattito sui pro e i contro si assottiglia fino al punto in cui tutti si schierano dalla parte dei propri soldati. Ma ogni democrazia esige anche che ogni azione militare debba essere dibattuta criticamente.
Dopo l’11 settembre, le questioni di sicurezza interna si sono fatte strada in modo strisciante come ragioni orientate alla censura dei mezzi di comunicazione. In diversi Stati OSCE si stanno ratificando dei provvedimenti legislativi eccessivamente invadenti. Alcune società del mondo dell’informazione avvertono il peso di essere ritenute colpevoli di presunte minacce alla sicurezza nazionale.
Quando punto il dito accusatore nei confronti di uno Stato ad est di Vienna quello Stato fa altrettanto con l’Ovest: se loro possono farla franca, perché noi no? Credo che nelle democrazie mature le pecche del sistema saranno infine risolte dagli sforzi della società civile, da un sistema giudiziario indipendente e da un sistema delle comunicazioni attento.
Comunque, queste pecche rappresentano ancora un brutto precedente per le democrazie in via di sviluppo, dove la società civile è debole, il sistema giudiziario è per lo più inesistente e i mezzi di comunicazione di massa sono perseguitati fino alla sottomissione. E’ per questo che – non importa quanto spesso sono stato criticato per aver messo in luce quanto potrebbe apparire di minore importanza – stimolerò il mio successore a fare altrettanto. Una questione di minore importanza che negli Stati Uniti verrà appianata nel giro di una settimana o due può può costituire un precedente in un altro Paese e divenire legge per gli anni a venire. Sappiamo che questo deve essere evitato.
Quest’anno ho iniziato a rivolgere la mia attenzione al versante commerciale dei mezzi di comunicazione e su come ciò possa influire sulla politica editoriale e sul giornalismo indipendente. Una volta di più non è una faccenda di bianco e nero. A prevalere sono piuttosto le sfumature di grigio, ed è per questo che è essenziale essere molto attenti nell’esprimere raccomandazioni e nell’offrire consigli. Nel passato mese di luglio ho proposto un insieme di Principi per garantire l’indipendenza editoriale dei mezzi di comunicazione nell’Europa centrale e orientale e nell’Asia centrale. Questi principi riguardano i mezzi di comunicazione che sono stati acquisiti o che sono in corso di acquisizione da parte di conglomerati Occidentali, così come accade in Bulgaria, nella ex Repubblica Yugoslava di Macedonia, nella Croazia, e in diversi altri Stati aderenti all’OSCE.
Questi principi avanzano il criterio che i proprietari dei mezzi di comunicazione comincino ad interessarsi ad aderirvi non appena siano nella posizione di controllo finanziario su una testata in una delle democrazie in via di sviluppo. Al presente, sebbene avessi invitato molti altri a sostenere questi Principi, soltanto due società di prima grandezza del mondo delle comunicazioni di massa li hanno sottoscritti: la tedesca Die WAZ-Gruppe e la norvegese Orkla Media AS. Spero che il mio successore continuerà questo sforzo di persuasione in modo tale che in tutti i nostri Paesi si affermi una gestione pluralistica dei mezzi di comunicazione di massa.
Prima di lasciare questo incarico, vi presenterò un rapporto sull’ Impatto della concentrazione dei mezzi di comunicazione sul giornalismo professionistico. E’ uno studio che fa il punto della la situazione in quattro Paesi europei: la Germania, la Finlandia, il Regno Unito e l’Italia; su tre nuovi Stati membri: l’Ungheria, la Lituania e la Polonia; e su uno Stato candidato: la Romania.
Come sapete, oltre al mio lavoro viennese, ho sviluppato – grazie alle donazioni degli Stati membri e dell’Open Society Institute – alcuni progetti molto concreti che rigurdano il futuro dei mezzi di comunicazione di massa della generazione più giovane: cinque anni fa ho avviato diverse scuole di giornalismo nell’Asia centrale.
In seguito mi sono mosso con il mio più ampio progetto per i giovani: In Difesa del nostro Futuro. Era un progetto a lungo termine che si è concluso nel 2003 dopo tre anni di on the road nell’Europa sud orientale. Come sapete, fu chiamato il container-mobil-d-cultura. Si è concentrato sempre di più sui mezzi di informazione di massa: fondando giornali studenteschi, avviando gruppi di studio su radio e video. Spero che queste iniziative continueranno ad alimentare la comprensione tra i giovani in una regione solo dieci anni fa strappata dalla guerra. E’ per questo che chiamo il nostro progetto In Difesa del nostro Futuro, un progetto ideato per la generazione dai 14 ai 18 anni che ora deve fronteggiare un dilemma: se rimanere dove è nata e aiutare a ricostruire i loro Paesi oppure emigrare. In Difesa del nostro Futuro è stato ideato per persuaderli a rimanere.
Questo rapporto, il nostro annuario 2002-2003 Libertà e Responsabilità e la nostra regolare rivista della Conferenza sull’Asia Centrale sono le ultime pubblicazioni del mio Ufficio. Nel corso del mio mandato abbiamo pubblicato più di tre dozzine di libri in diverse lingue e Paesi. Si tratta in generale di una priorità per ogni istituzione dell’OSCE.
Vorrei anche annunciare in questa sede la costituzione del Fondo Veronica Guerin per la Difesa Legale che sosterrà i giornalisti che sono sotto processo nei Paesi membri dell’OSCE. Il Fondo è intitolato alla giornalista irlandese Veronica Guerin che si occupò del crimine organizzato per conto della testata irlandese Sunday Independent. La Guerin fu uccisa il 26 giugno 1996. Lo scopo del Fondo è di assistere, attraverso donazioni volontarie dai Paesi membri OSCE, le organizzazioni per i diritti umani e individuali, nel fornire una assistenza legale adeguata ai i reporter che ne avessero bisogno. Casi rilevanti che coinvolgono giornalisti saranno portati all’attenzione del Fondo dagli operatori OSCE sul campo e da organizzazioni non governative fededegne. Il Fondo sarà amministrato dall’Ufficio del Rappresentante per la Libertà dei Mezzi di Comunicazione di Massa.
Tutti noi, arrivati a un certo punto ci rivolgiamo a nuovi pascoli ma abbiamo anche un lascito.E’ il nostro lavoro, sono le nostre pubblicazioni, le cose personali, o anche la mancanza di uno di questi elementi. Anche questo è un lascito.
Vi lascio con l’Ufficio del Rappresentante per la Libertà dei Mezzi di Comunicazione di Massa pienamente sviluppato e e ben organizzato, che lavora secondo il mandato funzionale a sostegno dei mezzi di informazione liberi dell’area OSCE. Un Ufficio che è ben noto e rispettato, composto da uno staff devoto di esperti professionisti provenienti da una mezza dozzina di Paesi. Spero davvero che il nostro lavoro non sia stato invano e che proseguirà con il nuovo Rappresentante.
Un’ultima notazione: un membro del mio staff è appena tornato da un Paese in cui l’OSCE ha osservato come i risultati elettorali siano stati pilotati in modo assai cinico. Il mio Ufficio stava osservando la terribile situazione in cui si trovavano i giornalisti. In diverse occasioni il membro del mio staff è stato informato, specialmente dai giornalisti, di quanto abbiano bisogno della vigilanza delle istituzioni dell’OSCE, della Libertà dei Mezzi di Informazione e dell’ODIHR [4] , per i loro problemi, per i pericoli che affrontano e di quanto erano delusi per lo scarso interesse che molti giornalisti e figure pubbliche hanno avuto nell’Occidente per la loro situazione estremamente pericolosa.
Grazie, e ora mi congedo da tutti voi dopo sei anni come primo Rappresentante per la Libertà dei Mezzi di Comunicazione di Massa.