Civile
La sosta a pagamento potrebbe essere costituzionalmente illegittima.
La sosta a pagamento potrebbe
essere costituzionalmente illegittima.
Giudice di pace di Roma – Sezione
sesta – ordinanza 28 ottobre 2003
Giudice Claudio – Ricorrente
Petrangolo
Premesso in fatto
Il sig. avv. A. Petrangolo ha
proposto ricorso avverso sanzione amministrativa inflittagli per avere omesso
il pagamento del ticket relativo al parcometro
(articolo 7, lettera f) Cds).
Deduceva il ricorrente
l’incompetenza dell’ausiliario del traffico che aveva elevato la relativa
contravvenzione. Il Giudice d’ufficio sollevava eccezione di incostituzionalità,
come appresso motivata per violazione articolo 76, 16, 3, 23 Costituzione.
Diritto
Violazione articolo
76 della Costituzione: eccesso di delega.
Il potere dei Comuni, quali
proprietari delle strade comunali, di subordinare il parcheggio e la sosta
nelle strade al pagamento di una somma, trova il suo titolo nella legge delega
al Governo per la formazione del Cds 190/91, articolo 2, lettera d), che nello
stabilire l’oggetto dell’emanando Cds, sancisce, tra l’altro: «d) previsione
della facoltà dell’ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio
e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma», senza nell’altro aggiungere
e/o specificare in ordine ai principi e criteri
direttivi di tale subordinazione, né in ordine ai criteri impositivi.
Eppure
la Costituzione ha circoscritto entro limiti ben precisi il ricorso alla delega
legislativa, al fine di impedire le cosiddette deleghe in bianco. È per questo che l’articolo 76 Costituzione, stabilisce in
maniera esplicita quali limiti insormontabili alla delega della funzione
legislativa:
1) la
determinazione esclusivamente da parte del Parlamento, dei principi e criteri
direttivi;
2) il tempo limitato;
3) l’oggetto che deve essere ben
definito e circoscritto.
Nella fattispecie, risulta del tutto omessa la determinazione dei principi e
criteri direttivi e di valutazione che possono rendere una zona di tale
eccezionale rilevanza, rispetto al tessuto urbanistico e alle caratteristiche
ordinarie dello stesso, da rendere necessario il pagamento del cosiddetto
ticket.
Omesso è altresì ogni criterio di
determinazione della tariffa di pagamento neppure nei suoi limiti minimi e
massimi: siamo in realtà, in presenza di una vera
delega in bianco, che priva il cittadino di ogni garanzia, a fronte di
decisioni spesso arbitrarie del potere esecutivo, sia in ordine alle località
sottoposte a vincolo, sia in ordine alle somme da pagare.
Né tali criteri possono essere
individuati nel generico riferimento alle esigenze di tutela della sicurezza
stradale di cui al comma 1, articolo 2 legge 190/91: tale criterio è invero
riferito genericamente alla disciplina generale dell’intero codice della
strada, ma non è riferito, né importa ex se, alcuna implicazione
precisa e determinata in ordina alla scelta dei luoghi determinati da
sottoporre all’onere del pagamento, né ai criteri di determinazione delle somme
da imporre.
L’impossibilità di assumere
quello della sicurezza della circolazione quale criterio, per la fattispecie
che interessa, risulta del resto dalla intrinseca
mancanza di ragionevolezza, illogicità e inadeguatezza dello strumento, giacché
la stessa auto, parcheggiata nel medesimo posto, non rende la circolazione più
sicura, se il parcheggio è a pagamento anziché essere gratuito.
Si tratta sempre del medesimo
posto, occupato, nel caso di parcheggio gratuito, da chi si serve della strada
uti cives (o equiparato), nel secondo caso, da quel cives che ha maggiori
possibilità economiche: cambia la posizione soggettiva dell’occupante, non la
sicurezza della circolazione, posto che i posti per il
parcheggio (gratuito o a pagamento) sono sempre gli stessi.
Appare evidente che quindi, nella
specie, non essendo stati predeterminati nella legge di delegazione i principi
e i criteri direttivi relativamente al parcheggio a
pagamento, non appare infondato ritenere
esistente la violazione dell’articolo 76 Costituzione, con eccesso di delega.
La Costituzione, invece, obbliga
il Legislatore alla predeterminazione dei principi e criteri direttivi, al fine
di evitare, come sta in realtà accadendo, che il potere normativo concesso
all’esecutivo possa essere esercitato in modo divergente dalle finalità che lo
ispirano: se tali finalità non sono chiare e precise,
l’Esecutivo ha modo di giustificare ogni proprio arbitrio.
«Quando la determinazione dei
principi e criteri manchi, oppure si identifichi con
la mera indicazione dell’oggetto stesso della delega, si può avere nell’atto
delegante illegittimità costituzionale rilevabile» (CdS, Sezione quarta,
360/74). «Se la legge delegante non contiene neanche in parte i requisiti relativi ai principi ai criteri direttivi sorge il contrasto
tra l’articolo 76 Costituzione e norma delegante, denunciabile al sindacato
della Corte costituzionale » (Corte costituzionale 3/1957).
Nella specie l’omissione nella
legge di delega dei principi e dei criteri direttivi, stabiliti in maniera
uniforme per l’intero territorio nazionale, ha
prodotto situazioni aberranti, sia quanto alla continua estensione delle zone
soggette al pagamento (comprendendovi anche zone periferiche, di nessun
eccezionale rilievo urbanistico) spesso su sollecitazione dei cittadini
residenti (che, con il parcheggio a pagamento, vengono in pratica ad acquisire
una servitù di fatto, aumentando il valore del proprio immobile), sia quanto ai
criteri di determinazione del ticket, variabili non solo da città a città, ma
altresì per la stessa città, a seconda delle zone e delle ore.
In pratica è la commercializzazione di quel bene demaniale, d’uso generale immediato
e gratuito, che è la strada, del quale il codice prevede l’inalienabilità
(articolo 822 Cc) e l’incommerciabilità.
Non va sottaciuta la circostanza
che la stessa delegata, resasi conto del vuoto normativo in
ordine ai criteri e principi direttivi di cui trattasi, ha cercato, a
suo modo, di porvi rimedio, stabilendo nel Cds, (Dpr 85/1992 articolo 7 lettera
f)) di demandare al ministro dei Lavori pubblici di concerto con la Presidenza
del Consiglio, il compito di stabilire le direttive in ordine alle
deliberazioni delle giunte comunali delle aree destinate a parcheggio, nonché
le condizioni e tariffe: tale soluzione non sana l’illegittimità rilevata, anzi
ne costituisce un ulteriore aggravamento.
Invero
l’articolo 76 Costituzione stabilisce una riserva di legge in materia,
disponendo che i principi e i criteri direttivi, relativi alla materia
delegata, devono essere stabiliti solo dal Parlamento e adottati con l’atto
formale della legge di delegazione.
Nella specie
non solo il Parlamento ha omesso nella legge di delegazione di formulare
detti principi, ma il Governo, sua sponte e, a sua volta senza neppure averne
ricevuto una seppure impossibile, delega, ha delegato un suo Ministro
all’emanazione di detti criteri.
È evidente la
violazione non solo dell’articolo 76 Costituzione, ma il difetto
assoluto di potere del ministro dei Lavori pubblici in materia, realizzandosi
in tal modo quella forma più grave di incompetenza del soggetto denominata
“straripamento di potere”.
A completamento della situazione
giova ricordare che la legge 85/2001, di delega al Governo per la revisione del nuovo Cds, pur prevedendo all’articolo 2
numero 7 lettera o) la facoltà del Governo di rivendicare la disciplina del
parcheggio nei centri abitati, nulla dice riguardo ai principi e ai criteri
direttivi di tale disciplina.
Violazione articolo
16 della Costituzione.
A norma dell’articolo 16
Costituzione «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in
qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo la limitazione che la legge
stabilisce in via generale per motivi di sanità e sicurezza».
Nella nostra Costituzione
pertanto la libertà di circolazione è sottoposta alla seguente tutela:
1) riserva di legge (“salvo le
limitazioni che la legge stabilisce”);
2) possibilità di limitazione
circoscritta a motivi di sanità e sicurezza.
L’articolo 16 Costituzione risulta violato in ordine ai motivi con i quali si possa
giustificare la limitazione di cui trattasi: a norma dell’articolo 16 essi
possono essere costituiti solo da motivi di sanità e sicurezza.
Nella specie, la legge 190/91 non
indica alcuna motivazione in ordine a criteri delle
aree da sottoporre a vincolo, come già visto a proposito dell’articolo 76
Costituzione, lasciando in tale campo assoluta libertà all’Esecutivo. In merito
va ricordato che l’ambito dell’articolo 16 Costituzione non può essere
circoscritto alla libertà della circolazione delle persone come pedoni,
escludendo da tale ambito e dalla relativa tutela i mezzi di circolazione.
Una simile interpretazione
dell’articolo 16 sarebbe priva di fondamento logico, letterale e storico e
sarebbe certo al di là della realtà.
L’uomo, quale essere ragionevole,
si è dato da sempre dei mezzi che l’hanno aiutato (cavallo, carro, cicli, auto,
ecc.) nella circolazione moltiplicando gli effetti dello sforzo muscolare.
L’uso di tali mezzi è divenuto indispensabile man mano che si sono estese le città e moltiplicati i rapporti; l’avvento
dell’auto ha poi annullato le distanze intensificando i rapporti di lavoro e i
traffici, i rapporti sociali.
Sarebbe impensabile mantenere
l’attuale livello di sviluppo senza l’ausilio di tali mezzi di circolazione:
incidere sulla libertà di circolazione dei mezzi è
come agire sulla libertà di circolazione delle persone.
Se la tutela della circolazione fosse limitata alla tutela della persona fisica del pedone,
il Costituente non avrebbe avuto necessità di curare, accanto all’articolo 13
Costituzione (libertà della persona), l’articolo 16 (libertà di circolazione)
essendo la libertà di circolazione della persona fisica – pedone già compresa
nell’articolo 13 Costituzione.
Una tutela della circolazione
limitata ai pedoni sarebbe una garanzia così fuori del tempo da considerarsi
irridente e irrisoria, ove si pensi all’enorme estensione delle metropoli alle
grandi distanze per raggiungere posti di lavoro e agli intensi rapporti
interpersonali che caratterizzano la nostra epoca, nonché
alle insufficienze croniche, mai superate dei mezzi pubblici di trasporto.
Garantire la libertà di
circolazione senza garantire contestualmente la
possibilità di usare mezzi idonei alla stessa è contraddittorio, giacché non
può aversi circolazione adeguata senza mezzi idonei; una circolazione solamente
pedonale o riservata ai mezzi pubblici (notoriamente insufficienti) paralizzerebbe
la vita economica e sociale.
Pertanto, le limitazioni di cui
all’articolo 16 Costituzione devono essere riferite
anche ai mezzi di trasporto, sia quanto alla riserva di legge sia quanto alle
motivazioni che possono essere solo di sanità e di sicurezza.
Nella legge di
delega 190/91, come sopra ricordato, non vi è alcuna limitazione o
indicazione sui motivi che possono legittimare il parcheggio a pagamento, né
sui principi e criteri direttivi della scelta delle aree da sottoporre a
vincolo. Tutto ciò non solo costituisce violazione dell’articolo 76 Costituzione, ma altresì dell’articolo 16: ai sensi
dell’articolo 16 Costituzione la materia può essere disciplinata solo con legge
formale, almeno quanto ai principi e criteri direttivi, e non rimessa alla discrezione
del ministro dei Lavori pubblici, come avvenuto con la delega ex articolo 7,
lettera f) del Cds.
Anche quanto ai motivi, sono in
realtà inesistenti le ragioni di sicurezza e/o sanità previste dalla
Costituzione: se invero il pericolo per la sicurezza o sanità fosse dato
dall’occupazione dell’area con il parcheggio, tale occupazione ‑
e quindi il pericolo ‑ rimane, come sopra accennato, anche se l’area viene occupata dietro pagamento, anziché essere gratuita,
nessun vantaggio ne segue alla sanità e alla sicurezza pubblica dal pagamento.
Neppure
può ritenersi che diminuisca il flusso delle auto, posto che non diminuisce il
numero dei posti occupabili per il parcheggio.
È di tutta evidenza che il
ricorso a motivazioni di sicurezza e/o di sanità o di buon uso della strada è
del tutto pretestuoso e di comodo, ed evidenzia così la irragionevolezza
del provvedimento.
Tutto ciò trova conferma nelle
stesse delibere degli Enti Locali (vedi Delibera Comune di Roma 1 dicembre ‘95
ove può leggersi «la tariffazione del posto privato costituisce l’elemento
strategicamente più forte per l’indirizzo della domanda di trasporto verso i
vettori collettivi»), confermando in tal modo l’inesistenza di motivi di
sicurezza e sanità e la rispondenza del provvedimento a motivi di politica dei
trasporti, ove vengono fatte valere motivazioni
(scoraggiare l’uso dell’auto privata) non previste, anzi in contrasto con la
Costituzione, in una situazione ove, data la già notoria insufficienza dei
trasporti pubblici, incidere nel trasporto privato significa privare il
cittadino di un fondamentale diritto, spettategli non solo uti cives, ma
altresì quale uomo, costituendo il diritto alla circolazione uno dei
fondamentali diritti dell’uomo (vedi articolo 13 Dichiarazione Diritti
dell’Uomo 12 dicembre 1948; Articolo 12 Patto Internazionale dei Diritti Civili
e Politici ‑
New York 1978; Articolo 2 Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo ‑
Roma 4 novembre 1950).
In realtà, nella specie,
prendendosi a pretesto il buon uso della strada, si tende a raggiungere scopi
non previsti dalla legge e in contrasto con le libertà costituzionali.
L’onere così imposto agli utenti
della strada dà, in realtà, vita ad un istituto nullo, perché privo di causa
giuridica: esso non è per la legge né un’imposta, né una tassa né un
contributo, non avendo nessuna di tale qualificazione: né può essere ritenuto
prezzo pubblico – essendo inesistente la custodia, del cui servizio dovrebbe
essere il corrispettivo: in più vi è la considerazione che la strada, quale
bene demaniale, è stata già costruita con il danaro
dei cittadini, i quali sono, così, nuovamente chiamati a pagare, per quello
stesso bene il cui uso dovrebbe essere gratuito, dovendo il relativo costo
essere coperto con le imposte, essendo la strada un servizio a utilità generale
e indivisibile.
Violazione Articolo
3 della Costituzione.
Se poi si volesse sostenere che
il parcometro a pagamento costituisca un mezzo per scoraggiare il mezzo del
veicolo, non può non evidenziarsi la illegittimità
costituzionale che ne deriva, per violazione del principio di uguaglianza dei
cittadini, senza distinzioni legate alle condizioni personali e sociali, nonché
al principio di imparzialità dell’azione amministrativa di cui all’articolo 97
Costituzione.
In verità nell’accesso ad un
servizio pubblico talmente essenziale e generale quale la strada, al punto che
essa, per la sua intrinseca destinazione all’uso immediato e diretto dei
cittadini è dalla legge annoverata esplicitamente tra i beni demaniali
(articolo 822 Cc), inalienabili e incommerciabili, viene
operata una grave discriminazione, privilegiando chi paga il ticket e cioè chi
ha maggiori possibilità economiche.
Tale preferenza, accordata a chi
ha tali possibilità nell’accesso a detto servizio pubblico, viene a
realizzarsi, in realtà, sulla base delle condizioni economiche personali
dell’utente: a norma dell’articolo 3 Costituzione, tale criterio non può essere
assunto quale metro discriminatorio, violandosi il principio di
uguaglianza di trattamento garantito dalla Costituzione.
È evidente la differenza di
trattamento che ne consegue tra chi è in grado di pagare il ticket (che per una
giornata di lavoro raggiunge il livello minimo notevole di 8/10 euro circa) a
fronte di chi non abbia tali possibilità.
Al primo è concesso, in
conseguenza delle sue condizioni economiche, di usufruire della strada e delle
relative possibilità di parcheggio; al secondo tale
possibilità viene negata in forza di una norma, che gli impone un onere
sproporzionato alle proprie possibilità.
Tale rilievo risulta
poi in tutta la sua gravità ove si rifletta che la Costituzione all’articolo 3
comma 2 recita: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la
libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla
organizzazione politica, economica. sociale del
Paese».
Se si
riflette che l’automobile è oggi, data l’estensione delle città, il
pendolarismo, la cronica inefficienza e/o insufficienza dei mezzi pubblici di
trasporto, il mezzo ordinario per recarsi al lavoro, ne segue che i lavoratori
e i meno abbienti, che dovrebbero essere quelli meglio tutelati dallo Stato,
sono invece quelli più colpiti e discriminati: basti pensare che la
retribuzione media di un impiegato è di 1.200 euro circa mensili, il ticket in
media è in un euro l’ora. Per 8 ore giornaliere per 25 giorni mensili, il costo
è di circa 200 euro, cioè circa un sesto dello
stipendio, il che non può essere ritenuto equo e conforme al principio della
capacità contributiva, cui
dovrebbe
ispirarsi ogni prestazione patrimoniale, richiesta autoritativamente, ai sensi
dell’articolo 53 Costituzione.
Violazione Articolo
23 della Costituzione.
Va altresì evidenziato che la
tariffazione del parcometro non trova nella legge 490/91 di delegazione alcun
criterio di determinazione, lasciandosi tutto al mero arbitrio dell’Esecutivo,
in palese violazione dell’articolo 23 Costituzione: né migliore sorta è toccata
sul punto alla legge 85/2001 di Delega per la revisione
del nuovo Cds.
In merito la Corte costituzionale
ha da tempo sancito il principio che «il carattere impositorio della
prestazione non è escluso per il solo fatto che la richiesta del servizio
dipenda dalla volontà del privato: ed invero tutte le volte in cui un servizio,
in considerazione di una sua particolare rilevanza, venga
riservato alla mano pubblica e l’uso di esso sia da considerarsi essenziale ai
bisogni della vita, è d’uopo riconoscere che la determinazione
autoritaria
delle tariffe deve assimilarsi nella realtà ad una vera e propria imposizione
patrimoniale.
Se è vero che il cittadino è
libero di stipulare o no un contratto, è altrettanto vero che questa libertà si
riduce alla possibilità di scegliere fra la rinunzia di un bisogno essenziale e
l’accettazione di condizioni e di obblighi
unilateralmente e autoritariamente prefissati.
Si tratta insomma di una libertà
formale, perché la scelta nel primo senso comporta il sacrificio di interesse assai rilevante. Si deve quindi ritenere che
quando si tratta di un servizio essenziale (e, nessuno può dubitare che tale
sia quello del parcheggio sulle strade urbane), la determinazione delle tariffe
non possa essere rimessa all’arbitrio delle autorità, ma debba essere assistita
da quelle garanzie che la Costituzione ha voluto assicurare attraverso la
riserva di legge (articolo 23 Costituzione)», (Corte costituzionale 72/1963),
con la indicazione, almeno, dei criteri idonei a
delimitare la discrezionalità della Pa, per ciò che attiene sia al quantum che
ai soggetti passivi (vedi Corte costituzionale 210/71; idem 67/1973; idem
93/1963) al fine di escludere che la discrezionalità si trasformi in arbitrio.
Nella specie la legge 190/91 non
contiene nessun criterio non solo quanto alle zone da sottoporre al vincolo
come sopra già ricordato, ma neppure in ordine ai
criteri per la tariffazione, neppure quanto ai limiti minimi e massimi: sotto
tale profilo si ritiene sussistano fondati dubbi di costituzionalità (v. Corte
costituzionale, 36/1953; idem 2/1962; idem 70/1960; idem 65/1962; idem 210/71;
idem 257/82).
PQM
Il Giudice di Pace di Roma,
Sezione sesta, avv. Mariano Mauro Claudio, ritenuta rilevante e non
manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’articolo 2 comma 1 lettera f) della legge di
delega 190/91 e dell’articolo7 comma 1 lettera f) del D.Lgs
285/92 in relazione agli articoli 76, 3, 16, 23 della Costituzione nella parte
in cui viene delegata la disciplina della facoltà dell’Ente proprietario della
strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una
somma, senza la previa determinazione con la legge di delega dei principi e
criteri direttivi sia in ordine alle zone da sottoporre a vincolo sia in ordine
alla tariffazione, impedendo altresì ai cittadini di fruire in condizioni di
parità del bene demaniale della strada, ma discriminando gli stessi in base
alle condizioni economiche
Rimette
le
eccezioni di incostituzionalità sopra indicate alla Corte costituzionale al
fine della relativa decisione; a tal fine dispone che, previa notificazione
della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei
Ministri, nonché la sua comunicazione al Presidente della Camera dei Deputati e
al Presidente del Senato della Repubblica, da effettuarsi a cura della
Cancelleria, la stessa sia trasmessa alla Corte costituzionale a cura della
stessa Cancelleria unitamente agli atti di causa e alla prova delle
notificazioni e comunicazioni previste dall’articolo 23 della legge 87/1953.