Banca Dati
La sentenza resa de plano in grado d’appello che dichiara la prescrizione è nulla o abnorme? Alle Sezioni Unite l’ardua sentenza
La sentenza predibattimentale di appello, assunta de plano, interviene frequentemente su statuizioni di condanna arricchite, fisiologicamente, da altre decisioni, ora in punto di sequestro e confisca, ora in punto di interessi risarcitori o restitutori alle persone danneggiate, rispetto alle quali la dichiarata estinzione non può far venire meno l’interesse all’impugnazione (Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza n. 32262/20; depositata il 17 novembre).
Deve convenirsi, allora, che il meccanismo acceleratorio accreditato dalla sentenza Iannelli mostra inadeguatezze e insufficienze tal da far seriamente interrogare sulla convenienza a riaffermare soluzione che fatica, per il vizio di fondo costituito dall’incoerenza sistematica assunta in premessa, a governare la generalità e complessità dei casi.
Nei termini sopra riportati la prima sezione penale della Suprema Corte attacca frontalmente il principio di diritto espresso dalla sentenza Iannelli (SS.UU. n. 28954 del 27704/2017) secondo cui, fermo il divieto di pronunciare in appello sentenza predibattimentale di proscioglimento ai sensi dell’articolo 469 c.p.p., non può riconoscersi in capo all’imputato l’interesse al ricorso per cassazione ove con detta sentenza, emessa de plano, sia dichiarata in riforma della condanna in primo grado, l’estinzione del reato per prescrizione; e ciò per la prevalenza della causa estintiva del reato sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza pronunciata in violazione del contradditorio, sempre che non risulti evidente la prova dell’innocenza, spettando in tal caso alla Corte di cassazione di adottare la formula di merito di cui all’articolo 129 c.p.p.
Il caso è quello, di frequente accadimento, in cui a fronte di reato per il quale siano decorsi i termini previsti per pronunciare la declaratoria di prescrizione, la Corte d’appello, abbia proceduto in tal modo, a mezzo di udienza non partecipata dalle parti cui viene unicamente trasmessa sentenza.
A fronte del modus procedendi, indicato che la sentenza Iannelli ha dichiarato legittimo, i Giudici della prima sezione penale della Corte si intrattengono formando una vera e propria lezione di diritto.
Ovviamente, ca va sans dire, di quel particolare diritto, ben conosciuto dagli operatori, e noto quale diritto vivente.
Rarissimi i riferimenti alla norma (articolo 129 e 469 c.p.p.) dettagliatissime, profonde ed apprezzabilissime disquisizioni in ordine al tenore delle sentenze (Toni, De Rosa, Zedda, Iannelli e molte altre) che hanno ri – scritto la normativa codicistica.
Sentenza nulla o abnorme? Il quesito che gli Ermellini si pongono, ed ovviamente sottopongono alla valutazione delle Sezioni Unite, ha riguardo alla natura della sentenza resa in via predibattimentale dalla Corte d’appello; ove questa fosse ritenuta nulla (così come fatto dalla Corte a sezioni Unite con la sentenza Iannelli) gli effetti per il sistema non cambierebbero, ma, ove essa fosse riconosciuto quale provvedimento abnorme, il ragionamento logico giuridico su cui si fonda la pronuncia citata (SS.UU. n. 28954 del 27704/2017) non avrebbe possibilità di ottenere cittadinanza nel sistema giuridico positivo, posto che il provvedimento abnorme, ovvero tanto eccentrico dal non essere neppure stato preso o tenuto in considerazione da parte del Legislatore, non potrebbe essere assoggettato ad alcuna forma di “sanatoria” in forza della “prevalenza della causa estintiva del reato sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza pronunciata in violazione del contradditorio”.
I caratteri del provvedimento abnorme: la prima sezione della Corte richiama l’insegnamento giurisprudenziale a sensi del quale vi sono due distinte categoria di provvedimenti abnormi, individuabili a seconda del procedimento genetico che ha prodotto il provvedimento stesso.
I provvedimenti sono abnormi strutturalmente o funzionalmente, ovvero quando per ragioni strutturali o funzionali mancano nell’emittente le condizioni legittimanti l’esercizio del potere giurisdizionale.
Ora nel caso in esame, è del tutti evidente come la Corte d’appello sia dotata, formalmente e strutturalmente, del potere di emettere la sentenza predibattimentale ma, sottolineano gli Ermellini, l’esercizio di detto potere essa nell’emanare il provvedimento, incorrerebbe in quella deviazione delle funzioni del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale esercitando certamente un potere previsto ed attribuito dall’ordinamento ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti poiché al di là di ogni ragionevole limite. (cfr. sentenza Toni).
Partendo dalla definizione di abnormità, ovvero connotando quale atto abnorme l’atto che, pur emesso dal soggetto legittimato a farlo e nell’abito dei poteri lui attribuiti, si ponga al di fuori dei limiti del modello legale poiché reso in situazione processuale radicalmente diversa da quella prevista dal Legislatore, la Corte individua, utilizzando quale punto di partenza quanto affermato della sentenza De Rosa in caso di sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice per le indagini preliminari, quale nucleo essenziale per sottrarre il provvedimento definitorio del grado alla categoria della abnormità, l’instaurazione, in concreto, del principio del contraddittorio.
Contraddittorio che, nel caso di sentenza predibattimentale resa dalla Corte d’appello con declaratoria di prescrizione, è del tutto assente non essendo compulsate le parti ad intervenire ad una udienza, di natura camerale, cui esse avevano diritto, alla luce della disciplina codicistica di intervenire.
Che detto diritto sia assolutamente incomprimibile è fuor di dubbio posto che anche la sentenza Iannelli ne dà atto, connotato il provvedimento reso in sede predibattimentale, quale nullo, ma sanato, dalla “prevalenza della causa estintiva del reato sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza pronunciata in violazione del contradditorio”.
Ciò che è nullo può essere sanato, ma ciò che abnorme… no.
Si tratta quindi di stabilire se il nostro sistema processuale possa tollerare l’emissione di una sentenza effettuata in totale assenza di contraddittorio tra le parti che, nel caso in esame, neppure sono chiamate ad intervenire.
La risposta, a stretto rigore di codice a me pare francamente lineare: un sistema fondato sul contraddittorio tra le parti non può accettare che vengano resi provvedimenti definitori di grado di giudizio in totale assenza di contraddittorio.
Il ragionamento svolto dalla prima sezione a me pare non solo convincente ma, ed il dato è decisamente più pregnante, rispettoso del sacro principio del contraddittorio che non può e non deve soggiacere a nessuna scorciatoia.
Avv. Claudio Bossi