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Monday 09 January 2006

La richiesta di sanatoria di abusi edilizi non determina l’ improcedibilità del ricorso contro l’ ordine di demolizione.

La richiesta di sanatoria di abusi edilizi non determina l’improcedibilità del ricorso
contro l’ordine di demolizione.

TAR LAZIO –
ROMA, SEZ. I QUATER – sentenza 22 dicembre 2005 n. 14374 – Pres. Guerrieri, Est.
Mangia – Maymone ed altro (Avv. Sanino) c. Comune di Ariccia
(Avv. Loria)

FATTO

Espongono i ricorrenti che,
nonostante la presentazione di una dichiarazione di inizio
attività in data 23.2.2004 per effettuare opere urgenti di risanamento
conservativo di un muretto di recinzione, già autorizzato con concessione in
sanatoria n. 60 del 15 ottobre 1999, ricevevano la notificazione dell’ordinanza
n. 81/04 di sospensione e di ingiunzione a demolire il predetto muro perché
realizzato in assenza di titolo edilizio.

Avverso tale provvedimento
deducono i seguenti motivi di impugnativa :

Violazione art. 6 D.P.R. 6.6.2001
n. 380. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare
difetto di presupposto, difetto di istruttoria,
carenza di motivazione, illogicità, perplessità manifesta. L’intervento di cui
si tratta è di risanamento conservativo di un muro di
cinta preesistente e già autorizzato con concessione in sanatoria n. 60/99. Ai
sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. 380/2001, tale intervento non rientra tra
quelli per i quali sia necessaria la preventiva denuncia di inizio
attività. Il proprietario ha presentato DIA in via
cautelativa. Senza effettuare attività istruttoria,
atta a verificare se si trattasse di intervento già precedentemente
autorizzato, l’Amministrazione ha affermato
che "’opera è stata realizzata in assenza di titolo edilizio".

In allegato al ricorso, i sig.ri
Gaetano Salvatore ed Iride Maymone hanno prodotto, tra
l’altro, copia di una richiesta di "permesso a sanatoria, in base all’art.
36, comma 1°, del D.P.R. 380 del 06/06/2001 per la realizzazione del muro……"
di cui all’ordinanza n. 81/2004, presentata al Comune di Ariccia in data 12
maggio 2004.

Con atto depositato in data 15
giugno 2004 si è costituito il Comune di Ariccia, il
quale – dopo aver evidenziato che in data 24.3.2004 è stato notificato agli interessati
il provvedimento di sospensione della DIA – ha asserito l’irricevibilità,
inammissibilità ovvero improcedibilità dell’impugnazione proposta adducendo
che: – il verbale di accertamento della Polizia Municipale non è stato
impugnato tempestivamente e in ogni caso non forma oggetto di impugnazione; –
il ricorso non è stato notificato al Resp. Urb. Ed.Pr.
del Comune ed almeno a un controinteressato sia in senso formale sia in senso
sostanziale, come ad esempio, altra Pubblica Amministrazione,
Regione Lazio ovvero i proprietari dei fondi attigui; – il Comune potrebbe
essere privo della legittimazione passiva in quanto la notificata è stata
effettuata erroneamente al Sindaco e non al funzionario. Nel merito, ha
contestato le censure proposte perché basate su una prospettazione della realtà
non coincidente con la realtà fattuale, precisando, ancora, che all’Amministrazione
Comunale non risulta alcuna autorizzazione,
concessione edilizia o concessione in sanatoria che possa riferirsi ai
ricorrenti mentre documentalmente risulta che i lavori oggetto dell’ordinanza
impugnata non sono stati assentiti da rituale e valido titolo edilizio.

In data 16.7.2004, i ricorrenti
hanno depositato: – nulla osta del Parco Regionale dei Castelli Romani,
rilasciato in data 5 luglio 2004 "per la demolizione e ricostruzione di un
muro a sanatoria nel Comune di Ariccia….."; –
certificato di idoneità sismica del muro.

Con ordinanza n. 4071/2004 questo
Tribunale ha accolto la domanda incidentale di sospensione "considerato
che ……i ricorrenti hanno chiesto al Comune il rilascio del permesso a sanatoria
per l’opera contestata……..".

In data 11 gennaio 2005, i
ricorrenti hanno depositato motivi aggiunti, notificati in data 23 e 24
dicembre 2005 al Comune di Ariccia ed al Ministero per
i Beni e le Attività Culturali, proposti "contro il Comune di
Ariccia" per l’annullamento "del decreto di annullamento a firma del
Soprintendente reggente datato 27.10.2004, successivamente notificato, con cui
viene disposto l’annullamento del provvedimento n. 97 del 16.09.2004 del Comune
di Ariccia con cui si esprime parere favorevole ai sensi dell’art. 32 della
legge n. 47/85 e art. 39 della legge 724/94" al rilascio della concessione
in sanatoria richiesta.

In particolare, deducono i
seguenti motivi di impugnativa:

Violazione e falsa applicazione
art. 159 D.LGS. 22.1.2004 n. 42. Eccesso di potere in
tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare difetto di presupposto,
difetto di istruttoria, carenza di motivazione,
perplessità. Sviamento. Nel provvedimento adottato, la Soprintendenza non fa menzione del nulla osta concesso dal Parco Regionale dei
Castelli Romani, autorità preposta alla tutela del paesaggio nell’area in
esame. L’intervento di cui si tratta è un intervento di risanamento
conservativo di un muro di cinta preesistente e già autorizzato dal Comune di Ariccia con parere favorevole n. 60 del 15.10.1999. A
fronte di tale circostanza, l’annullamento in contestazione dimostra che l’Amministrazione
non ha compiuto alcuna istruttoria, né conosce i passaggi del complesso
procedimento autorizzatorio, iniziato con domanda di concessione in sanatoria
del 17.12.97, rispetto alla quale il parere favorevole ex art. 32 della legge
n. 47/85 era già stato reso con determinazione n. 60 del 1999. Il Ministero non
ha esercitato il potere ad esso spettante nel termine
di legge di sessanta giorni dal ricevimento del parere del Comune. Esiste un
titolo autorizzatorio per il muro di cui è causa (cfr. concessione
in sanatoria n. 18/04).

Con memoria depositata in data 8
marzo 2005, il Comune di Ariccia ha denunciato
l’irricevibilità, l’inammissibilità ovvero improcedibilità del ricorso per
motivi aggiunti in quanto: – il ricorso è privo delle necessarie sottoscrizioni
dei ricorrenti nonché della procura speciale di autentica delle firme; – è
stato erroneamente notificato presso l’Avvocatura Comunale di Ariccia presso la
sua sede (e non al domicilio eletto); – ricorre mancata identità soggettiva
delle parti principali; – è carente la legittimazione passiva dell’ente comunale.

Con memoria
depositata in data 9 giugno 2005, il Comune, dopo aver precisato che la
concessione in sanatoria n. 18/2004 è stata rilasciata "in ragione della
domanda in sanatoria presentata nel 1985 per la quale era stato emesso il
parere favorevole n. 60 del 1999", relativamente – tra l’altro – alla
realizzazione (non anche della ristrutturazione dell’iniziale) di un muro di
recinzione, ha evidenziato che: – "al momento dell’emanazione
dell’ordinanza di demolizione non era stata ancora presentata la rituale
sanatoria", sicché legittimamente poteva essere ingiunta la demolizione; –
la concessione in sanatoria da ultimo rilasciata non ricomprende anche la
ricostruzione del muro crollato; – la difesa del provvedimento della
Soprintendenza compete all’Amministrazione Statale.

Con memoria depositata in data 20
giugno 2005, i ricorrenti hanno ribadito le censure
già formulate.

All’udienza pubblica dell’1 luglio 2005 il ricorso è stato trattenuto per la
decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso n. 5486/2004 ed i
successivi motivi aggiunti sono infondati per
le ragioni che seguono.

2. Come esposto
nella narrativa che precede, con il ricorso introduttivo del presente giudizio
i ricorrenti lamentano l’illegittimità del provvedimento n. 81 del 19.3.2004,
con il quale il Comune di Ariccia ha ingiunto la sospensione dei lavori e la
demolizione di "un muro di recinzione e contenimento in cemento armato
della lunghezza di ml. 70 circa, per un’altezza che varia da
ml. 2,50 a ml. 1,50 per uno spessore di cm. 25 circa, di cui ml. 35 sono
stati già gettati, mentre sui rimanenti metri sono state gettate soltanto le
fondazioni".

2.1. Ciò premesso, il Collegio
avverte la necessità di valutare – in via preliminare – le eccezioni di inammissibilità ed irricevibilità sollevate dal Comune di
Ariccia.

Dette eccezioni
sono infondate.

In primo luogo, preme evidenziare
che la mancata espressa impugnativa del verbale della Polizia Municipale non
determina alcuna conseguenza in relazione all’ammissibilità
del ricorso proposto per l’annullamento dell’ordine di demolizione.

Il suddetto verbale costituisce,
infatti, un atto interno ed intermedio del procedimento edilizio sanzionatorio,
dotato di carattere meramente ricognitivo e, dunque, privo di
efficacia immediatamente lesiva.

Ne consegue:

– l’inammissibilità del ricorso
eventualmente proposto esclusivamente avverso di esso;

– la piena
ammissibilità del ricorso proposto solo avverso l’atto finale (l’ordinanza di
demolizione), rispetto al quale deve essere ragionevolmente computato il
termine perentorio di sessanta giorni di cui all’art. 21 della legge n. 1034/71.

Non emergono, altresì, omissioni
ovvero carenze in ordine ai destinatari del ricorso.

In particolare, appare opportuno
precisare:

– la notificazione del ricorso al
Comune – e non anche al Responsabile Urbanistica Edilizia Privata, organo che
ha adottato il provvedimento impugnato – va qualificata rituale perché idonea
ad individuare con esattezza e precisione l’Amministrazione
passivamente legittimata. Del resto, anche se il Dirigente di un ufficio è
competente ad emanare i provvedimenti che attengono ad una specifica materia e
settore, l’attività in tal senso svolta è sempre complessivamente riferibile
all’Amministrazione comunale (cfr. TAR Marche,
sent. n. 8 del 20 gennaio 2003);

– in caso di ricorsi proposti
avverso un’ordinanza di demolizione non sono configurabili controinteressati
con i quali è necessario instaurare un contraddittorio (cfr. TRA Abruzzo, sent.
n. 734 del 4 giugno 2004). Va, infatti, ricordato che
la qualità di controinteressato spetta non già a chi abbia un interesse, anche
legittimo, a mantenere efficace un provvedimento impugnato e meno che mai a chi
ne subisca conseguenze indirette e riflesse, ma
soltanto al soggetto che dal provvedimento riceve un vantaggio diretto ed
immediato, ossia il vantaggioso accrescimento della propria sfera giuridica.
Siffatto riconoscimento opera non in relazione ad esigenze processuali, ma deve
essere condotto sulla scorta o del c.d. elemento sostanziale (individuazione
della titolarità di un interesse analogo e contrario alla posizione
legittimante del ricorrente), oppure del c.d. elemento formale (indicazione nominativa nel provvedimento di colui che ne abbia un
interesse qualificato alla conservazione). In ragione degli esposti rilievi, i
soggetti indicati dal Comune di Ariccia e, in
particolare, i proprietari finitimi di un fabbricato, in ordine al quale sia
stata ordinata la demolizione, non rivestono una posizione giuridica di contro
interesse nel giudizio instaurato per l’annullamento dell’ordinanza di
demolizione (cfr. C.d.S., sent. n.
991 del 3 luglio 1995).

Da ultimo, si ricorda che la
rappresentanza in giudizio del Comune compete esclusivamente al Sindaco, quale
rappresentante dell’ente munito di legittimazione passiva, e non al dirigente,
in conformità al disposto di cui all’art. 145 c.p.c.
(cfr., tra le altre, C.d.S., Sez. V, sent. 25 gennaio 2005 n.
155; TAR Marche, sent. n. 8/2003, già citata).

2.2. Stante l’ammissibilità del
ricorso, il Collegio ritiene di evidenziare, altresì, l’impossibilità di
dichiararne l’improcedibilità a seguito dell’inoltro
di istanza di permesso a sanatoria ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001.

Secondo un’autorevole tesi
giurisprudenziale, la proposizione dell’istanza di
sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/85 (ora art. 36 D.P.R. n. 380/2001) successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di
demolizione sarebbe idonea a determinare l’improcedibilità dell’impugnazione
stessa per sopravvenuta carenza di interesse in quanto il riesame
dell’abusività dell’opera provocato da detta istanza comporta la necessaria
formazione di un nuovo provvedimento, di accoglimento o di rigetto, che vale,
comunque, a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa,
sicché vi sarebbe una traslazione dell’interesse del responsabile dell’abuso
edilizio verso il provvedimento che, eventualmente, respinga detta istanza e
disponga ex novo la demolizione.

Tale opzione
ermeneutica postula che, in caso di esito negativo del procedimento avviato con
la presentazione dell’istanza ex art. 13 L. 47/85 (ora, appunto, art.36 D.P.R. n. 380/2001), l’Amministrazione
non potrebbe eseguire la precedente ordinanza demolitoria, vale a dire postula
che la proposizione dell’istanza di accertamento di conformità urbanistica
determina la definitiva cessazione d’efficacia del provvedimento demolitorio a
suo tempo adottato.

In numerosi altri casi è stata –
d’altro canto – esclusa la possibilità di rinvenire nel sistema una previsione
alla quale riallacciare un tale effetto e, dunque,
riconosciuta all’istanza ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 l’idoneità a
determinare un mero arresto di efficacia dell’ordine
di demolizione, destinato a venir meno in caso di rigetto dell’istanza in
questione.

In altri termini, non sono
ravvisati motivi per imporre all’Amministrazione
comunale il riesercizio del potere sanzionatorio a seguito dell’esito negativo
del procedimento di accertamento di conformità
urbanistica, atteso che il provvedimento di demolizione costituisce un atto
vincolato a suo tempo adottato in esito ad un procedimento amministrativo sul
quale non interferisce l’eventuale conclusione negativa del procedimento ad
istanza di parte ex art. 36 D.P.R. n. 380/2001 (cfr. TAR Campania, Napoli,
sent. n. 10128/04; TAR Campania, Napoli, sent. 27
maggio 2005, n. 7305).

Aderendo a tale secondo
orientamento in ragione dei contenuti della normativa vigente e delle
peculiarità della fattispecie (le quali impongono l’obbligo di escludere
un’assimilazione con quella scaturente dall’inoltro di
un’istanza per ottenere il c.d. condono edilizio), il Collegio ritiene che
persista l’interesse dei ricorrenti al ricorso.

2.3. Nel merito, il ricorso è infondato.

Appare opportuno ricordare che i
ricorrenti sostengono l’illegittimità della demolizione ingiunta adducendo che
il muro era già autorizzato e che gli interventi realizzati non necessitavano di alcun titolo autorizzatorio in quanto da
considerarsi di manutenzione ordinaria.

Al fine di dimostrare l’esistenza
di un titolo abilitativo in relazione al muro in
contestazione, i ricorrenti richiamano: – nel ricorso, la "concessione in
sanatoria" n. 60 del 15.10.1999 (in verità, si tratta di un parere
paesaggistico); – nella "denuncia a sanatoria in applicazione dell’art.
36, comma 1, del D.P.R. 380 del 6.6.2001", allegata al ricorso, il
progetto della concessione edilizia n. 6 del 17.2.1983; – nei motivi aggiunti,
la concessione in sanatoria n. 18/2004; – nella memoria depositata in data 20
giugno 2005, la concessione edilizia n. 6/1983 e la concessione in sanatoria in
data 2.12.2004 (ricollegandola ad un’istanza del 17.12.1997).

Orbene, i riferimenti riportati –
caratterizzati da una incontestabile variabilità,
inidonea a rappresentare l’esistenza di un titolo preciso e ben individuato –
debbono essere oggetto di analisi in relazione, tra l’altro, ai lavori
contestati nel provvedimento impugnato.

In esito a detta analisi si
perviene alla conclusione che un muro di recinzione era contemplato nell’istanza di condono edilizio, presentata in data 28 febbraio
1995 ex art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n. 724 (vedasi la dichiarazione
sostitutiva dell’atto di notorietà in data 27.2.1995 nonché la determinazione
dell’importo di oblazione ed oneri accessori).

In relazione a
tale istanza, in data 2 dicembre 2004 l’Amministrazione
ha rilasciato la concessione in sanatoria n. 18/2004, previo rilascio dei nulla
osta delle autorità preposte alla tutela dei beni ambientali.

La circostanza dell’esistenza di
un muro di recinzione preesistente, dotato del prescritto titolo abilitativo
(intervenuto, comunque, in epoca successiva rispetto
alla demolizione), corrisponde, dunque, a verità ma, nel contempo, è inidonea a
supportare le opere contestate, riportate nel provvedimento di demolizione
impugnato.

In primo luogo, va rilevato che
tali opere non possono essere qualificate in termini di "interventi di
risanamento conservativo" (riconducibili, comunque,
nell’ambito di operatività dell’art. 22, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 e non
dell’art. 6 del medesimo decreto).

Come emerge
dalla documentazione agli atti, dette opere non risultano rivolte a conservare
un organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme
sistematico di interventi, ininfluenti sugli elementi tipologici, formali e
strutturali (cfr., tra le altre, C.d.S., sent. n.
3295/2004; TAR Lombardia, sent. n. 654/2005; TAR
Marche, sent. n. 1503/2004).

Il muro autorizzato era, infatti,
semplicemente "in muratura"; il muro previsto nella denuncia di inizio attività, nell’ordinanza di demolizione e, infine,
nell’istanza ex art. 36 D.P:R. n. 380/2001 è
presentato e descritto "in cemento armato".

Non risulta
prodotta documentazione che riveli – tra l’altro – la permanenza degli stessi
indici dimensionali.

In ogni caso, è da ricordare che
i ricorrenti ammettono espressamente che il muro preesistente – rispetto al
quale può discernersi in ordine all’esistenza o meno
di un titolo abilitativo – è "crollato a causa delle precipitazioni".

Atteso che, in tutti i casi in
cui una struttura immobiliare prima sia crollata o sia
stata demolita, è inibita anche la possibilità di richiamare il concetto di
ristrutturazione edilizia (cfr. C.d.S., sent. n. 1022/2004; C.d.S., sent. n.
3735/2000), il Collegio ritiene di dover qualificare il muro di cui è stata
ingiunta la demolizione come una "nuova costruzione", estranea al
titolo abilitativo sopra richiamato (rectius: la concessione in sanatoria n.
18/2004), il quale – ancorché rilasciato in epoca recente – attiene, comunque,
a opere risalenti al 1993, poi venute meno.

Definita l’estraneità del muro in
contestazione rispetto al muro preesistente e così qualificata l’opera de qua,
appare possibile affermare che la stessa ricade nell’ambito di
operatività dell’art. 10 del D.P.R. n. 380/2001, il quale prescrive il
permesso di costruire.

A conferma della necessità
dell’indicato titolo abilitativo può essere, altresì, ricordato che i
ricorrenti hanno prestato totale acquiescenza al provvedimento con il quale, in data 24 marzo 2004, il Comune di Ariccia ha
sospeso "la denuncia inizio attività prot. 5647 del 23/2/2004 a nome del Sig. Salvatore Gaetano e Sig.ra Maymone Iride in
quanto per le opere sopradescritte deve essere presentata apposita istanza di
Permesso di Costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 del D.P.R.
380/01".

Quale ulteriore
manifestazione di acquiescenza, i ricorrenti hanno, poi, provveduto a
presentare domanda di permesso a sanatoria, implicitamente confessando – nel
contempo – di aver abusivamente realizzato un’opera soggetta a permesso di
costruire.

In definitiva, l’ordinanza di
demolizione è legittima, attesa la realizzazione di
una nuova costruzione "in assenza di titolo edilizio".

3. Come già esposto nella
precedente narrativa, i ricorrenti hanno, poi, proposto motivi aggiunti avverso il decreto con il quale la Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio, per il Patrimonio storico, artistico e
demoetnoantropologico per il Lazio ha annullato, in data 27 ottobre 2004, il
parere paesaggistico favorevole rilasciato dal Comune di Ariccia con
determinazione n. 97 del 16/09/2004 "vista la legge regionale n. 59 del
19/12/1995 art. 1 lettera C), con la quale sono state sub delegate ai Comuni le
funzioni amministrative in materia di tutela ambientale…..".

Tale parere si era reso
necessario perché la zona interessata dall’intervento edilizio contestato
nell’ordinanza di demolizione è, appunto, "sottoposta a tutela
paesaggistica di cui al D.lgs. 490/99" (cfr. ordinanza n. 81/2004).

3.1. In via preliminare, si
ricorda che il Comune di Ariccia ha sollevato numerose
eccezioni di "irricevibilità, inammissibilità ovvero improcedibilità del
ricorso per motivi aggiunti".

Il Collegio ritiene che si possa
prescindere dall’esame di dette eccezioni poiché i
motivi aggiunti sono infondati nel merito.

3.2. E’ sicuramente destituita di
fondamento la prima censura formulata, con la quale si denuncia che nel decreto
della Soprintendenza non si fa menzione del nulla osta n. 3040 del Parco
Regionale dei Castelli Romani, reso in data 5.7.2004.

E’, infatti, noto che le Autorità
preposte alla salvaguardia dell’assetto ambientale,
previste e disciplinate da specifiche normative, operano autonomamente, sicché
non può ravvisarsi alcun obbligo a carico di esse di esprimersi tenendo conto
di quanto già da altre espresso: – a livello normativo non ricorre alcuna
disposizione che preveda un tale obbligo; – a livello di ragionevolezza
giuridica, non emergono dubbi in ordine all’autonomia della disciplina che
regolamenta le aree naturali protette – in base alla quale è chiamato ad
esprimersi il Parco Regionale dei Castelli Romani – rispetto a quella in
materia di vincoli paesaggistici ed ambientali, prevista dal decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 41, riportante il "Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6 luglio 2002, n.
137", a fondamento dell’operato del Comune e della Soprintendenza.

E’, dunque, evidente che l’omessa
espressa valutazione nel provvedimento impugnato delle circostanze risultanti
dal richiamato nulla osta non si presta in alcun modo a determinare il
denunciato "sconfinamento nello sviamento di potere".

3.3. Non appare, ancora,
sussistente il denunciato vizio di istruttoria.

Come emerge
da quanto rilevato in precedenza, l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale
si sarebbero limitati a riparare un muro già esistente non è supportata da
alcun elemento di prova ed, anzi, è sconfessata dalle circostanze riportate,
oltre che dall’evolversi degli eventi.

Al riguardo, è sufficiente
ricordare che il muro preesistente era crollato.

Ne consegue – come già rilevato –
che l’intervento edilizio posto in essere dai
ricorrenti – per essere inteso nei giusti termini – deve essere qualificato
come una "nuova costruzione".

Si può, pertanto, affermare che
l’Amministrazione ha giustamente valutato – a
fini paesaggistici – la realizzazione (e non la mera
riparazione) di un muro in cemento armato, atteso che è questa l’attività di
trasformazione del territorio attribuibile ai ricorrenti.

Anche in
relazione al denunciato mancato rispetto del termine perentorio di
sessanta giorni, prescritto per l’esercizio del potere di annullamento da parte
della Sovrintendenza, non ricorrono elementi per ritenerlo sussistente.

Dagli atti risulta, infatti, che
la documentazione relativa all’intervento è pervenuta
completa alla Soprintendenza in data 27 settembre 2004 e che quest’ultima ha
comunicato il parere con nota del 27 ottobre 2004, ricevuta dal Comune di
Ariccia il 16 novembre successivo.

3.4. In ultimo, si ritiene di
dover evidenziare che, nel gravato decreto di annullamento,
la Soprintendenza richiama anche il divieto di autorizzazione in sanatoria
sancito dall’art. 146 comma 10 lett. c) del d.lgs. n. 41/2004, precisando che
"i procedimenti di autorizzazione postuma in
corso, ma non ancora formalmente conclusi alla data del 1.05.2004, non potranno
avere esito positivo, per cui si ritiene la determinazione comunale suddetta
illegittima, per cui le opere stesse sono da ritenersi non meritevoli di
sanatoria definendo l’annullamento della suddetta determinazione
comunale".

Stante quanto riportato, appare
fondato ritenere che il decreto di annullamento in
contestazione trovi la propria ragion d’essere non unicamente nell’alterazione
di tratti caratteristici della località protetta ma anche nel divieto di
autorizzazioni in sanatoria.

Orbene, in
ordine a detto aspetto motivazionale del provvedimento impugnato – di
importanza indiscutibilmente non secondaria – i ricorrenti si sono astenuti dal
formulare qualsiasi rilievo.

4. Per
le ragioni che precedono, il ricorso n. 5486/2004 ed i successivi motivi
aggiunti sono infondati.

Le spese di giudizio seguono,
come di regola, la soccombenza e sono liquidate in Euro 1.500,00 a favore del
Comune di Ariccia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio – Sezione I quater respinge il ricorso n. 5486/2004 ed i
successivi motivi aggiunti, indicati in epigrafe.

Condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese di giudizio, liquidate in Euro 1.500,00 a favore del Comune
di Ariccia.

Ordina che la presente sentenza
sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera
di Consiglio del 1 luglio 2005 con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Dr. Pio
GUERRIERI – Presidente

Dr.ssa Gabriella DE MICHELE –
Consigliere

Dr.ssa Antonella MANGIA– I Referendario- Relatore – Estensore

IL PRESIDENTE
IL MAGISTRATO ESTENSORE

Depositata in segreteria in data
22 dicembre 2005.