Lavoro e Previdenza
La responsabilità per gli infortuni sul lavoro.
La responsabilità per gli
infortuni sul lavoro.
Cassazione – Sezione quarta
penale – sentenza 6 dicembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6277
Presidente Morgigni – Relatore
Licari
Pm Febbraro – conforme –
Ricorrente Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bolzano
Osserva
Oberrauch Alois e Lun Konrad,
imputati, il primo nella qualità di legale rappresentante della ditta Finstral
s.p.a ed il secondo in quella di direttore ed addetto alla sicurezza sul
lavoro, del delitto di lesioni colpose gravi avvenute in data 26/7/2002 in
danno dell’operaio-dipendente Obkircher Walter, mentre costui, effettuando con
l’aiuto di un collega lo spostamento manuale di una porta di peso elevato e
perdendo la presa, veniva colpito alla gamba destra,
sono stati, con sentenza del 23/5/2006, assolti dal Tribunale di Bolzano, in
composizione monocratica, con la formula per non aver commesso il fatto.
Il giudice di merito ha ritenuto
in sentenza provata la materialità del fatto, in quanto la movimentazione
manuale di un carico ingombrante e pesante, quale quello rappresentato, nel
caso di specie, dalla porta, costituiva omessa osservanza della contestata
disposizione antinfortunistica di cui all’art. 48 del D.L.vo 626/1994;
tuttavia, ha asserito che tale violazione sarebbe ascrivibile non agli imputati
nelle rispettive qualità, bensì a tale Fischnaller Raimund, il quale, all’epoca
del fatto, era stato designato dal datore di lavoro responsabile del servizio
di prevenzione e protezione per lo stabilimento di Funes in cui è avvenuto
l’infortunio.
Avverso tale
sentenza ha, ai sensi dell’art. 569, comma 1, c.p.p., proposto ricorso
per cassazione per saltum, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Bolzano deducendo a sostegno violazione di legge, per avere il giudice di
merito, interpretando erroneamente le disposizioni di cui agli artt. 4 ed 8 del
D.L.vo 626/1994, ritenuto che fosse sufficiente a giustificare l’esenzione da
responsabilità degli imputati, il solo fatto che il datore di lavoro avesse
designato un responsabile del servizio di prevenzione degli infortuni per lo
stabilimento di Funes, nella persona di Fischnaller Raimund.
Il ricorso è meritevole di
accoglimento.
Fermo restando la prova, perché
ritenuta dal primo giudice pacificamente acquisita, sulla materialità del fatto
e sul rapporto di causalità tra violazione della specifica disposizione
antinfortunistica ed evento, la doglianza del ricorrente sulla questione della
attribuzione della condotta colposa coglie, infatti, nel segno.
Nella fattispecie, il primo
giudice, ha, escluso tout court la responsabilità penale del datore di lavoro e
del dirigente addetto alla sicurezza del lavoro, avendo incentrato
prevalentemente la sua attenzione sulla deduzione difensiva, con la quale era stata prospettata la possibilità di configurare nel caso
in esame l’esenzione da responsabilità del datore di lavoro in forza della
designazione di un responsabile del servizio di prevenzione, fatta per lo
stabilimento di Funes dal datore di lavoro, nella persona del Fischnaller.
In tal modo procedendo, il giudice
di merito ha finito per accogliere quella deduzione difensiva, mostrando di non
aver tenuto in considerazione, come avrebbe dovuto, il principio giuridico
secondo cui, tra i destinatari iure proprio delle norme dettate in materia di
prevenzione degli infortuni sul lavoro dal D.P.R. n. 547/1955, sono compresi,
tra gli altri, il datore di lavoro ed il dirigente e che quest’ultimo non si
sostituisce, di regola, alle mansioni dell’imprenditore, del quale condivide,
secondo le loro reali incombenze, oneri e responsabilità in materia di
sicurezza del lavoro: a meno che, da parte del titolare dell’impresa, sia
avvenuta, non soltanto la nomina nel suddetto ruolo (di Dirigente) di persona
qualificata e capace, ma anche il trasferimento alla stessa di tutti i compiti
di natura tecnica, con le più ampie facoltà di iniziativa e di organizzazione
anche in materia di prevenzione degli infortuni, con il conseguente esonero, in
caso di incidente, da responsabilità penale del datore di lavoro.
Quella deduzione difensiva ha
accolto, non considerando, altresì, che il documento prodotto dalla difesa non poteva svolgere la funzione di delega utile ai fini
dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità, trattandosi, invece, di
designazione – ai sensi dell’art. 4, comma 4 lett. a), del D.L.vo 19/9/1994, n.
626 – del Fischnaller quale responsabile del servizio prevenzione e protezione,
per l’osservanza dei compiti previsti dal successivo art. 9, figura sprovvista,
come è stato accertato, di quei ampi ed autonomi poteri di spesa ed
organizzativi in materia di prevenzione degli infortuni, ritenuti
indispensabili ai fini dell’esonero da responsabilità del datore di lavoro.
Va considerato, scendendo al
particolare, che, ai sensi del disposto di cui all’art. 4, comma 4 lett. a), del
D.L.vo n. 626 del 1994, il datore di lavoro designa il responsabile del
servizio di prevenzione e protezione e che i compiti di detto responsabile sono
dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 e, tra essi,
rientra l’obbligo dell’individuazione dei fattori di rischio e delle misure di
prevenzione da adottare.
Nel fare ciò, il responsabile del
servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che
giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poiché l’obbligo di
effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di
prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio,
fa capo a lui in base all’art. 4, commi 1, 2 e 6 del citato D.L.vo, tanto è
vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del
responsabile del servizio, mentre, all’art. 89 punisce il datore di lavoro per
non avere valutato correttamente i rischi.
Il responsabile del servizio di
prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del
datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come
pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione
dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di
lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle eventuali
negligenze del primo è chiamato comunque a rispondere.
Orbene, secondo lo schema
originario del decreto, il responsabile del servizio di prevenzione e
protezione è figura che non si trova in posizione di garanzia e non risponde
delle proprie negligenze, in quanto la responsabilità fa capo al datore di
lavoro.
Senonché tale schema originario
ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il
legislatore ad introdurre con il D. L.vo n. 195 del
2003 una norma (con l’art 8 bis) che prevede la necessità in capo alla figura
del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica
specifica.
La modifica normativa ha
comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso
che il soggetto designato responsabile del servizio di prevenzione e
protezione, pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro,
possa, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto
corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione
pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi
presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe
fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie
iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Quanto sopra vale a destituire di
giuridico fondamento l’assunto del primo giudice che la designazione da parte
dell’Oberrauch, legale rappresentante di un’organizzazione aziendale complessa
e difficilmente controllabile, di un responsabile del servizio di prevenzione
nello stabilimento di Funes, possa, di per sé, rendere esente da responsabilità
il datore di lavoro; ma esenzione di tal fatta, in virtù della medesima
designazione, non può essere validamente sostenuta nemmeno in favore dell’altro
imputato, Lun Konrad, investito della carica di Dirigente dell’azienda, addetto
alla sicurezza del lavoro.
Il tema della dirigenza merita
alcune puntualizzazioni in diritto dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 626 del 1994.
Il D.P.R. n. 547 del 1955,
all’art. 4 non consentiva riserve sull’essere il dirigente destinatario delle
norme antinfortunistiche, disponendo la lett. a) che i datori di lavoro, i
dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività
indicate all’art 1, devono nell’ambito delle rispettive attribuzioni e
competenze, attuare le misure di sicurezza previste nel presente decreto.
Attuazione che, nel caso di attribuzioni e di competenze con autonomia di
spesa, non poteva non comprendere anche l’obbligo di adeguare alle specifiche
disposizioni antinfortunistiche (art. 48 D.L.vo n. 626 cit.) lo spostamento
manuale dei carichi pesanti; attuazione, invece, che, in mancanza di detta
autonomia o in presenza di una relativa autonomia, che
non consentisse se non determinati, limitati, interventi, imponeva al dirigente
di segnalare al datore di lavoro le inadempienze alle norme antinfortunistiche,
chiedendone il rispetto o chiedendo le risorse per adempiervi personalmente,
salvo, ovviamente, il caso della delega delle funzioni, la quale, facendo del
dirigente l’alter ego del datore di lavoro a tutti gli effetti, non avrebbe
potuto non prevedere anche un’adeguata autonomia finanziaria.
Il D.P.R. n. 626 del 1994, art. 4
nella formulazione originaria, distingueva tra gli obblighi indirizzati al solo
datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e
dei dirigenti e preposti, disponendo, nel comma 5, –
analogamente a quanto previsto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che
"il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o
sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la
salute dei lavoratori"; disposizione seguita da un nutrito elenco di
ipotesi di intervento.
Ma, il successivo D.Lgs. del 19 marzo 1996, n. 242, ha abolito la
distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti
congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, quasi a
voler individuare nel datore di lavoro l’unico destinatario di tutti i precetti
indirizzati al vertice gestionale dell’azienda o dell’ente.
Infatti, nell’enunciazione
specifica del contenuto dei precetti da osservare, è stato eliminato ogni
riferimento al dirigente, riportando, invece, sotto l’art. 1, comma 4 bis, la
disposizione generale, secondo cui il datore di lavoro che esercita le attività
soggette alla normativa prevenzionale e, nell’ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, i dirigenti e i preposti che dirigono o sovrintendono
le stesse attività, sono tenuti al rispetto di tutte le regole dettate dalla
disciplina prevenzionale, quasi a voler evidenziare, con questa diversa
collocazione della norma, il suo precipuo carattere di criterio di massima,
destinato essenzialmente a riconoscere e ad autorizzare la piena delegabilità
della stragrande maggioranza degli obblighi prevenzionali, eccezione fatta per
quel ristretto nucleo di compiti prioritari espressamente indicati nel medesimo
art. 1, comma 4 ter.
La dottrina – preso atto della
eliminazione, dall’art. 4, della distinzione contenuta nel comma 5 e del
trasferimento di quest’ultima disposizione, nella prima sua parte, nell’art. 1,
comma 4 bis – si è chiesta quale sia il significato di
tale variazione in apparenza solo topografica: si è chiesta, cioè, se tale
variazione sia mera questione di tecnica legislativa, senza conseguenze
sostanziali, ovvero sia un cambiamento di impostazione con notevoli riflessi
sul piano sia teorico che pratico.
Se, in sostanza, l’innovazione stia a significare l’adesione del legislatore del 1996 alla
teoria dell’ontologica inscindibilità della posizione di garanzia dalla
qualifica di datore di lavoro, con la conseguenza di ritenere che, senza una
valida delega di funzioni, non possa sorgere nessuna responsabilità né del
dirigente, né del preposto, perché su di loro non graverebbe iure proprio alcun
obbligo prevenzionale" o se l’innovazione stia, invece, a significare che
la modifica operata sul punto abbia semplicemente ripristinato la vecchia e
sperimentata formula contenuta nel D.P.R. n. 547 del 1955 – art. 4 – e anche
nel D.P.R. n. 303 del 1956, secondo cui i collaboratori del datore di lavoro
sono, al pari di quest’ultimo, da considerare, per il fatto stesso di essere
inquadrati come dirigenti o preposti e, nell’ambito delle rispettive
attribuzioni e competenze, destinatari iure proprio dell’osservanza dei
precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega ad hoc.
La scelta tra le due tesi, ad
avviso di questo Collegio, non può che cadere sulla seconda di esse. Sembra, invero, potersi affermare, innanzitutto, che è
la stessa formulazione della norma – negli stessi, pressoché identici, termini
usati dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 – che consente di ritenere che il
legislatore abbia voluto rendere i dirigenti e i preposti destinatari delle
norme antinfortunistiche iure proprio, prescindendo dalla eventuale delega.
E ciò anche alla luce della
storia dell’applicazione delle norme antinfortunistiche, successiva all’entrata
in vigore del D.P.R. n. 547 del 1955, storia che insegna che la ragionevole
articolazione del potere di intervento iure proprio e, quindi, l’attribuzione
di questo potere ai dirigenti e ai preposti, quotidianamente presenti nel luogo
di lavoro e, pertanto, a costante contatto dei lavoratori, non può, di norma,
che rendere più immediata e, quindi, più incisiva ed efficace la tutela
antinfortunistica.
In secondo luogo, è la stessa
intestazione della rubrica dell’art. 4 ("Obblighi del datore di lavoro,
del dirigente e del preposto") che può far ritenere che per questi due
ultimi soggetti sia stata prevista una investitura
originaria e non derivata dei doveri di sicurezza, anche se il contenuto
dell’art. 4, dopo le modifiche apportate dal D.Lgs. n.
242 del 1996, elenca obblighi riferibili unicamente al datore di lavoro, non
dovendo, peraltro, trascurarsi che, se è vero che l’art. 4 parla sempre e
soltanto del datore di lavoro, è pur vero che l’art. 89, dedicato alle sanzioni
per le contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti, prevede,
nel comma 2, che anche il dirigente, oltre che il datore di lavoro, possa
essere punito per la violazione dell’art. 4, comma 5, lett. b), d), e), h), 1),
n), q) e ciò, nonostante che il dirigente non sia nominato nell’art. 4.
Ed è sufficiente, peraltro,
scorrere il contenuto di queste disposizioni per cogliere che il dirigente è
investito di dettagliate responsabilità in tema di prevenzione degli infortuni
sul lavoro.
Consegue da tutto ciò che anche
il Lun, dirigente della Finstral A. G. con compiti attinenti anche alla
sicurezza sul lavoro, doveva ritenersi destinatario delle norme
antinfortunistiche iure proprio, sicché egli aveva l’obbligo di vigilare e
provvedere alla eliminazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale
dei manufatti ingombranti e pesanti o, quanto meno, anche a
mezzo di informazione diretta del problema al datore di lavoro,
interessarsi perché altri provvedesse, specialmente nel momento in cui ne è
venuto a conoscenza, alla eliminazione di quei rischi per la salute dei
lavoratori.
Il giudice di rinvio, individuato
ex art. 569, comma 4, c.p.p., nella Corte di Appello
di Trento, procederà a nuovo esame, tenendo conto dei principi giuridici sopra
affermati.
PQM
La Corte annulla la sentenza impugnata
con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento.