Lavoro e Previdenza

Tuesday 27 March 2007

La responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni dei dipendenti.

La responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni dei
dipendenti.

Cassazione – Sezione quarta penale (up) – sentenza 15
gennaio – 23 marzo 2007, n. 12246

Presidente Marzano – Relatore Brusco

Ricorrente Pg presso Corte d’appello di Reggio Calabria

La Corte
osserva:

1) Il tribunale di Palmi, sez. dist. di
Cinquefrondi, con sentenza 8 giugno 2005, ha assolto Scarfò Giuseppe dai reati di
cui agli articoli 11 comma 1 e 389 lett. b del Dpr 547/55 e 589 Cp in danno di Napoli Massimo.

I fatti che hanno dato origine al processo sono avvenuti in
Taurianova il 3 maggio 2002. La
Srl Cannatà Vincenzo aveva appaltato alla ditta Italsud ‑
di cui era titolare l’odierno imputato Scarfò Giuseppe ‑ i lavori di
costruzione di un muro di recinzione di un capannone che doveva avvenire mediante
l’assemblamento di blocchi di cemento prefabbricati. Mentre erano in corso i
lavori di costruzione del muro, si legge nella sentenza impugnata, “una folata
di vento provocava il crollo di un pannello, eretto qualche giorno prima,
addosso all’operaio di 2° livello Napoli Massimo che, schiacciato dal peso dei
blocchi di cemento, nonostante il pronto intervento dei colleghi di lavoro,
della Polizia e del 118, giungeva all’Ospedale cadavere.”

La sentenza impugnata riferisce che il perito nominato dal
Gip aveva concluso nel senso che la metodologia
ottimale per la costruzione sarebbe stata quella di realizzare prima i pilastri
per ridurre il rischio di crollo dei pannelli. In ogni caso, poiché si era
scelto di realizzare preliminarmente la struttura costituita dai pannelli,
sarebbe stato necessario, fino alla realizzazione dei pilastri irrigidenti in
cemento armato e fino alla completa maturazione della malta cementizia (che non
poteva avvenire prima del quarto quinto giorno) allestire opere provvisionali di
sostegno dei pannelli.

La sentenza peraltro rileva che il Pm ha contestato soltanto
la violazione della seconda regola cautelare (mancato allestimento delle opere
provvisionali di sostegno) e non anche la scelta di realizzare prima i pannelli
e poi i pilastri di sostegno. Il giudice rileva comunque che, poiché il
ribaltamento dei pannelli è stato reso possibile dalla mancata completa
maturazione della malta, non è possibile affermare, al di là di ogni
ragionevole dubbio, che, se anche fossero stati realizzati prima i pilastri, si
sarebbe evitato il ribaltamento del muro.

Ciò premesso, la sentenza si pone il problema se possa applicarsi al caso in esame il contestato articolo 11
del Dpr 547/55 e lo risolve nel senso
che ‑ pur ammettendone l’applicabilità con un’ interpretazione estensiva
ovvero in virtù “delle generali norme di diligenza, prudenza e perizia” ‑
le caratteristiche dell’opera non imponessero l’adozíone di opere provvisionali
in considerazione della semplicità della struttura e facilità della sua
realizzazione, della rapidità dei tempi di solidificazione, delle ridotte
dimensioni dell’opera (i pannelli misuravano mt. 1,90 x 2,70), dell’assenza,
“in base ad un legittimo giudizio prognostico, di condizioni atmosferiche
locali avverse o pericolose”.

Con una valutazione ex ante le opere provvisionali non erano
dunque richieste e il loro approntamento era “assolutamente spropositato”
rìspetto alle dimensioni dell’opera.

Vista la natura e le caratteristiche dell’opera la sentenza
si chiede poi se incombesse su Scarfò l’obbligo di
vigilare nel cantiere per evitare, nel caso si fosse alzato un forte vento, che
qualcuno operasse in prossimità della struttura ancora instabile. E afferma
che, in assenza di Scarfò (cosa che avveniva frequentemente) il preposto era la
persona offesa che dunque o avrebbe operato
imprudentemente presso la struttura malgrado il forte vento ovvero (come
ritìene più probabile il giudice anche sulla base delle testimonianze di cui
riporta la sintesi) la folata che ha provocato il crollo della struttura è
stata tanto violenta quanto improvvisa.

In conclusione la sentenza impugnata ritiene che la folata
di vento che ha provocato la caduta della struttura vada giuridicamente
inquadrata nel caso fortuito trattandosi di “un avvenimento imprevisto ed
imprevedibile che si inserisce improvvisamente nell’azione del soggetto e che
non può farsi risalire all’attività psichica dell’agente, neppure a titolo di
colpa. Si tratta dunque di un fattore causale sopravvenuto, concomitante o
preesistente alla condotta dell’agente ed indipendente dalla condotta
medesima”.

In conclusione il giudice ha ritenuto che la provata
esistenza del caso fortuito escludesse la colpevolezza e ha
assolto l’imputato dal reato ascrittogli (in realtà la decisione è da
riferire ad entrambi i reati) perché il fatto non costituisce reato.

2) Contro questa sentenza ha proposto appello (dichiarato
inammissibile dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria) e, successivamente,
ricorso in cassazione, ai sensi dell’articolo 10 legge
46/2006, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dì Reggio
Calabria che ha dedotto i vizi di manifesta illogicità della motivazione e
violazione dell’articolo 45 Cp.

Sotto il primo profilo (vizìo di motivazione) il ricorrente
si duole dell’affermazione (ritenuta illogica e contradditoria), contenuta
nella sentenza impugnata, secondo cui le opere provvisionali non erano
necessarie fino all’ irrigidimento della struttura per
la completa maturazione della malta cementizia in contrasto con gli esiti della
perizia d’ufficio.

Il ricorrente contesta poi l’affermazione sull’esistenza del
caso fortuito da ravvisarsi, secondo la sua opinione, in un avvenimento
eccezionale “del tutto improvviso, imprevisto e imprevedibile che esula dalla volontà dell’agente e che non
può in nessun modo, nemmeno a titolo di colpa, essere fatto risalire
all’attività psichica dello stesso.” Alla luce di questi principi nel ricorso
si sottolinea che la struttura realizzata era “instabile e staticamente
insicura fino alla maturazione della malta cementizia e alla realizzazione
degli elementi irrigidenti tanto è vero che è crollata per il vento e non in
conseguenza di un urto con altra struttura.

Sussiste dunque, secondo il ricorrente, l’elemento della
colpa ed in particolare la prevedibilità dell’evento proprio per l’instabilità
derivante dalla circostanza della non avvenuta maturazione della malta
cementizia.

Ai motivi di ricorso del Procuratore generale ha replicato
il difensore di Scarfò Giuseppe con una memoria con la quale si chiede
la dichiarazione di inammissibilità del ricorso (che si risolverebbe in una
richiesta di rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione di merito) e comunque il rigetto per infondatezza essendo
adeguatamente motivata l’affermazione che l’evento si è verificato per un fatto
configurabile come caso fortuito.

3) La soluzione dei temi proposti con il ricorso richiede
alcune considerazioni preliminari sul concetto di “caso fortuito” su cui il
giudice di merito ha fondato la sua decisione.

Del caso fortuito non è facile neppure dare una definizione
perché, a seconda dell’inquadramento teorico che ne
viene dato, muta anche la definizione. Si spiega così che dai più autorevoli
studiosi di diritto penale venga, di volta in volta, definito il caso fortuito
come il caso in cui “nell’operato dell’agente non può ravvisarsi né dolo, né
colpa, non avendo egli voluto l’evento, né avendolo causato per negligenza o
imprudenza” mentre altri lo riconducono a “tutti quel fattori
causali, non solo sopravvenuti ma anche preesistenti o concomitanti, che
hanno reso eccezionalmente possibile il verificarsi di un evento che si
presenta come conseguenza del tutto improbabile secondo la miglior scienza ed
esperienza”.

La diversità nelle definizioni proposte individua con
immediatezza la ragione della diversa impostazione teorica che caratterizza i
diversi orientamenti: il primo lo riconduce alla colpa il secondo alla
causalità. Ma non manca neppure chi ritiene che l’istituto sia “dogmaticamente ‘polivalente”,
come pure si è sostenuto in dottrina, e che sia
necessario, nei singoli casi concreti, verificare se il caso fortuito valga ad
escludere la colpa o la causalità.

Queste divergenze si riflettono puntualmente negli orientamenti
giurisprudenziali che si sono formati su questo tema ai quali si è aggiunto
anche un diverso orientamento, quello che sostiene che il caso fortuito sia
idoneo ad escludere la coscienza e volontà nel soggetto agente.

La sentenza impugnata non elude questo tema, riporta i
termini del dibattito e propende per la soluzione che fa riferimento alla
mancanza di colpa di cui è espressione la formula di assoluzione adottata anche se in alcuni passaggi della motivazione
sembra invece riferirsi alla teoria che inquadra il caso fortuito nella
causalità quando parla di “un fattore causale sopravvenuto, concomitante o
preesístente alla condotta dell’agente ed indipendente dalla condotta medesima”
(p. 13 della sentenza).

4) Non è certo questa la sede per risolvere il problema
prospettato su cui dottrina e giurisprudenza da vari decenni esprimono i
contrastanti orientamenti prima sintetizzati. E del resto ciò non è neppure
necessario nel caso in esame nel quale il caso fortuito, secondo la
ricostruzione di fatto operata dal giudice di merito ‑ e che in questa
sede è incensurabile ‑ non è astrattamente ipotizzabile qualunque sia
l’inquadramento teorico accolto.

Prima di affrontare il tema proposto con il ricorso va però
subito detto che non sono condivisibili i dubbi espressi nella sentenza
impugnata sull’applicabilità dell’articolo 11 del Dpr
547/55 al caso in esame. Questa norma ha infatti
carattere generalissimo ed è diretta ad evitare che i lavoratori subiscano
danni per la caduta o l’investimento di materiali in dipendenza dell’attività
lavorativa senza operare alcuna distinzione tra la caduta di materiali
dall’alto e quella delle strutture laterali e costituisce un’inammissibile
lettura riduttiva dell’ambito di applicazione della norma operare questa
distinzione. Anzi l’uso del termine “investimento” convalida proprio una
lettura omnicomprensiva della norma perché l’investimento, a differenza della
presuppone proprio che i materiali non cadano dall’alto.

Sulle valutazioni di merito, contenute nella
sentenza impugnata e relative alla necessità o meno di predisporre
l’installazione delle opere provvisionali, in parte non può che rilevarsene
l’insindacabilità nel giudizio di legittimità (la semplicità della struttura e
la complessiva facilità della sua realizzazione).

Per altre valutazioni deve invece
condividersi il giudizio di manifesta illogicità espresso dal ricorrente: ciò
per quanto riguarda la rapidità dei tempi di solidificazione (nella medesima
sentenza si afferma che questi tempi potevano durare fino a cinque giorni ‑‑
l’evento si è verificato prima: semmai era proprio la durata della
stabilizzazione del manufatto che imponeva l’adozione delle necessarie
cautele).

Parimenti illogico è il giudizio sulle ridotte dimensioni
dei pannelli: senza sovrapporre a quelle utilizzate dal giudice di merito
massime di esperienza elaborate dal giudice di legittimità una valutazione come
quella indicata ‑ secondo cui pannelli di cemento delle dimensioni già
ricordate (mt. 2,90 x 2,70) possano essere considerati di ridotte dimensioni
‑ andava effettuata in relazione alle loro caratteristiche, al loro peso
e stabilità nonché alla loro potenzialità lesiva e non apoditticamente come ha
fatto il giudice di merito.

5) L’astratta ravvisabilità della violazione della regola cautelare prevista dall’articolo 11 del Dpr 547
‑ nel duplice senso di aver consentito ai dipendenti di lavorare
nell’ambito della zona di possibile caduta delle strutture in via di
consolidamento ma non ancora consolidate e nell’aver omesso di adottare le
strutture provvisionali cui si è in precedenza fatto riferimento ‑potrebbero
già condurre ad escludere l’esistenza del caso fortuito.

Secondo l’orientamento seguito da numerosi precedenti
giurisprudenziali di legittimità non è infatti
configurabile il caso fortuito quando la violazione della regola cautelare
abbia avuto efficacia causale sul verificarsi dell’evento (si vedano sul tema,
anche se da diverse prospettive, Cassazione, Sezione terza, 1814/97, Rosati,
rv. 209868; Sezione terza, 6954/96, Paggiu, rv. 205721; Sezione quarta,
2983/92, Deodori, rv. 189647; Sezione quarta, 4220/88, Savelli, rv. 180850).

Ma, indipendentemente dall’accoglimento di questa soluzione,
si osserva che in ogni caso, qualunque teoria sul concetto di caso fortuito si
accolga, la soluzione accolta dal giudice di merito non può essere condivisa.

Se si inquadra il problema del caso fortuito all’interno
della colpevolezza il criterio cui occorre fare riferimento è quello della prevedibilità
dell’evento.

La prevedibilità dell’evento è riferibile all’elemento
soggettivo, la colpa, perché attiene al processo cognitivo dell’agente (ma non
nel senso meramente psicologico) che è tenuto a prendere in considerazione le
conseguenze della sua condotta.

Naturalmente, da questo angolo visuale, l’agente sarà
ritenuto in colpa solo se non ha tenuto conto delle conseguenze della sua
condotta che conosceva o era tenuto a conoscere in base alla sua professione e
alla sua condizione (eiusdem condicionis et professionis).

Il fondamento della prevedibilità sotto il profilo
soggettivo risiede nella necessità di evitare forme di responsabilità
oggettiva. Se il risultato della condotta non poteva neppure essere immaginato
dall’agente, pur con l’adozione delle necessarie cautele, sembra evidente che
il risultato non possa essergli addebitato sotto il profilo della colpevolezza.
Perché l’agente possa essere ritenuto colpevole non è sufficiente che abbia
agito in violazione di una regola cautelare ma è necessario
che non abbia previsto che quella violazione avrebbe avuto come conseguenza il
verificarsi dell’evento. Se dunque quella conseguenza dell’azione non è stata
prevista perché non era prevedibile non v’è responsabilità per colpa.

Ma qual’è il parametro cui occorre rifarsi per valutare la
prevedibilità (o, come taluni si esprimono in dottrina, il dovere di
riconoscere) ? E’ evidente che se si adottasse un criterio che fa riferimento all’agente concreto
si ricadrebbe negli orientamenti che riferiscono la colpa all’elemento
psicologico; e infatti dottrina e giurisprudenza seguono comunemente il
criterio della prevedibilità da parte dell’homo ejusdem professionis et
condicionis non diversamente da quanto avviene per l’individuazione dei criteri
per accertare il rispetto delle regole cautelari.

Sull’esistenza della prevedibilità dell’evento dal punto di
vista soggettivo va osservato che il caso descritto nella sentenza impugnata,
per poterne affermare l’esistenza, avrebbe dovuto
accertare che l’evento atmosferico ricordato aveva avuto caratteristiche di
assoluta eccezionalità tale da impedire ogni difesa anche con l’apposizione
delle strutture di protezione. Anche nella logica soggettiva del caso fortuito
l’uscita dall’ambito della possibilità di previsione deve
infatti assumere un carattere di straordinarietà tale da rendere
l’evento assolutamente imprevedibile.

Insomma il caso fortuito deve avere caratteristiche tali da
fuoriuscire totalmente dalla possibilità di previsione dell’agente proprio per
le caratteristiche di straordinarietà che lo caratterizzano. Anzi può
affermarsi che non in tutti i casi in cui difetta la prevedibilità dell’evento
ci si trova in presenza di un caso fortuito perché
l’evento deve essere completamente avulso dalle possibilità conoscitive
dell’agente (caso fortuito è l’investimento di una persona caduta dalla
finestra non l’investimento del ciclista autore di un’imprevedibile
deviazione).

Orbene come è possibile inquadrare nel caso fortuito l’aver
consentito che una struttura insicura, perché formata da grandi pannelli di
cemento non ancora interamente saldati tra di loro,
possa crollare per le più svariate ragioni quali un forte urto con un veicolo o
con un’altra struttura, un evento atmosferico di particolare violenza ecc.) ?
E, al di là dell’obbligo di sostenere altrimenti la struttura, non è
astrattamente prevedibile che una struttura di tal fatta possa crollare con la
conseguente insorgenza dell’obbligo di evitare, ove si scelga di non costruire
strutture provvisorie, che i lavoratori operino nell’ambito che potrebbe essere
colpito dalla caduta del manufatto fino a che il medesimo non acquisisca
carattere di stabilità ?

6) Ma la prevedibilità ha anche un risvolto oggettivo che
attiene alla causalità: secondo la teoria della causalità umana, le cause
sopravvenute ‑ cui fanno espresso riferimento le teorie che inquadrano il
caso fortuito nella causalità con la precisazione che in questo caso vengono
ricomprese in questo istituto anche le cause preesistenti e quelle concomitanti
‑ sono infatti idonee ad escludere il rapporto
di causalità (articolo 41 comma 2, Cpp) solo quando abbiano carattere di
eccezionalità ed imprevedibilità.

Naturalmente, sotto questo profilo, trattandosi
dell’elemento oggettivo, l’accertamento deve essere condotto con criteri ex
post (e tenendo anche conto delle conoscenze non disponibili all’epoca della
condotta) a differenza della prevedibilità che riguarda l’elemento soggettivo
la cui esistenza va invece accertata con criteri ex ante non potendo essere
addebitato all’agente di non aver previsto un evento che, in base alle
conoscenze che aveva o che avrebbe dovuto avere, non poteva prevedere.

Orbene anche da questo punto di vista ex post le conclusioni
non possono essere diverse perché le caratteristiche della struttura ‑
causa preesistente ‑ rendevano oggettivamente prevedibile un evento di
caduta della medesima che dunque non potevano essere ritenute avere carattere
di straordinarietà, eccezionalità ed imprevedibilità tali da interrompere il
rapporto di causalità.

Qualunque sia l’inquadramento
teorico sul caso fortuito va dunque affermato che il caso incensurabilmente
accertato in fatto dal giudice di merito non può essere ascritto all’istituto
del caso fortuito.

7) Consegue alle considerazioni svolte l’annullamento della
sentenza impugnata con rinvio al giudice competente per l’appello ai sensi
dell’articolo 569 comma Cpp dovendosi equiparare il caso in esame a quello del
ricorso diretto in cassazione ai sensi del lo comma
del medesimo articolo 569.

PQM

La Corte
suprema di Cassazione, Sezione quarta penale, annulla la sentenza impugnata con
rinvio, per nuovo esame,alla Corte d’appello di Reggio
Calabria.