Imprese ed Aziende

Thursday 29 January 2004

La relazione di Fazio in Parlamento sul caso Parmalat.

La relazione di Fazio in Parlamento sul caso Parmalat.

Commissioni riunite VI (Finanze) e X (Attività produttive, commercio e turismo) della Camera dei Deputati e 6ª (Finanze e Tesoro) e 10ª (Industria, commercio, turismo) del Senato della Repubblica. Indagine conoscitiva sui rapporti tra il sistema delle imprese, i mercati finanziari e la tutela del risparmio Testimonianza del Governatore della Banca d’Italia

Sommario

1. Formazione e impiego del risparmio

2. La ricchezza finanziaria delle famiglie

3. I casi Cirio e Parmalat

4. La tutela del risparmio affidato alle banche

4.1. La vigilanza creditizia nell’ordinamento finanziario

4.2 La concorrenza bancaria

4.3 Situazione del sistema bancario

4.4 La valutazione del Fondo monetario internazionale sulla vigilanza bancaria in Italia

5. Le funzioni della Banca d’Italia nell’emissione di valori mobiliari

6. La tutela del risparmio direttamente affidato alle imprese

6.1 I controlli societari

6.2 I controlli esterni

6.3 I controlli di natura pubblicistica

6.4 Collocamento e negoziazione da parte delle banche dei titoli delle imprese

7. Proposte e conclusioni

La presente relazione è ispirata all’intento di fornire al Parlamento un contributo di conoscenza e di analisi in materia di impiego del risparmio finanziario e di linee di intervento volte a rafforzare le tutele per i risparmiatori.

Dissesti industriali sono avvenuti in passato, avvengono in altri paesi. In un’economia di mercato, imperniata sull’attività di impresa e sul profitto, è sempre presente un rischio sul quale l’investitore deve essere correttamente informato e che deve poter consapevolmente valutare e accettare.

Il risparmio dei privati, famiglie e imprese, viene affidato allo Stato attraverso la sottoscrizione di titoli pubblici, alle banche e agli altri intermediari che lo trasferiscono allo Stato e alle imprese, direttamente alle stesse imprese.

La tutela del risparmio per quest’ultima componente va ricercata in primo luogo nella trasparenza e nel comportamento delle imprese, nel corretto operare degli intermediari, sul fronte infine delle norme e su quello dell’applicazione e del rispetto delle norme stesse.

L’autorità pubblica deve essere posta in grado di compiutamente controllare tutte le fasi di questo processo.

La mia esposizione parte dall’analisi dell’evoluzione qualitativa e quantitativa dell’impiego del risparmio nell’ultimo decennio.

1. Formazione e impiego del risparmio

Il risparmio che si forma nel settore delle famiglie viene destinato, attraverso il mercato dei capitali e le banche, al settore pubblico per coprire il disavanzo, alle imprese per finanziare gli investimenti, alle stesse famiglie per l’acquisto di beni di consumo durevole e di abitazioni.

Nelle fasi iniziali dello sviluppo è di gran lunga prevalente la quota di risparmio depositata dalle famiglie presso le banche e da queste utilizzata per concedere prestiti alle imprese, per acquistare titoli pubblici, per finanziare gli enti locali.

6 Una caratteristica dei paesi economicamente sviluppati è la crescita della quota di risparmio che passa direttamente dalle famiglie alle imprese, attraverso i mercati azionario e obbligazionario.

Nel nostro sistema, sempre più aperto internazionalmente, vi sono flussi crescenti di risparmio provenienti dall’estero, volti a coprire le esigenze di finanziamento del settore pubblico e delle imprese. Sono cospicui anche gli acquisti di attività finanziarie estere da parte di residenti italiani.

I dati della tavola indicano che i nuovi finanziamenti a tutti i settori sotto forma di credito bancario, titoli obbligazionari e azionari, altri strumenti di impiego del risparmio sono ammontati a 228 miliardi di euro nel 1995 e a 272 miliardi nel 2002.

Dalla tavola si rileva inoltre che nei sette anni tra il 1995 e il 2002 si è pressoché dimezzato l’assorbimento di risorse finanziarie da parte dello Stato e degli enti pubblici. È invece più che raddoppiata, da 50 a 124 miliardi, la domanda di finanziamenti da parte delle imprese; i prestiti alle famiglie sono anch’essi fortemente aumentati.

La tavola successiva illustra la composizione — cioè la provenienza da famiglie, banche, imprese ed estero — dei finanziamenti destinati allo Stato e agli altri enti pubblici.

Emerge come la riduzione del fabbisogno abbia contribuito, tra il 1995 e il 2002, al forte calo dell’ammontare di titoli pubblici acquistati direttamente dalle famiglie e alla riduzione dei finanziamenti concessi alla pubblica amministrazione da parte delle banche. La domanda di titoli pubblici da parte dei non residenti è stata cospicua in entrambi gli anni considerati.

(…)

La tavola seguente illustra la composizione dei finanziamenti alle imprese, in particolare la crescita del volume dei fondi reperiti direttamente dalle imprese sul mercato obbligazionario, un tratto che avvicina la struttura finanziaria dell’Italia a quella dei paesi più avanzati. La possibilità per le aziende produttive di raccogliere risorse direttamente presso il pubblico favorisce l’espansione degli investimenti, in un quadro di equilibrata composizione delle fonti di finanziamento delle imprese.

(…)

L’aumento registrato nei sette anni è interamente ascrivibile alla componente costituita dalle obbligazioni.

Dei 124 miliardi di finanziamenti complessivi raccolti dalle imprese nel 2002, ben 35 miliardi sono costituiti da emissioni obbligazionarie, assorbite per circa due terzi da operatori esteri. Il finanziamento sotto forma di emissioni obbligazionarie era trascurabile alla metà degli anni novanta.

Il finanziamento delle imprese si è dunque progressivamente spostato verso la ricerca di un rapporto diretto con i risparmiatori.

2. La ricchezza finanziaria delle famiglie

L’ammontare del risparmio accumulato nel tempo, da famiglie e imprese, ossia la ricchezza finanziaria, ha continuato a espandersi notevolmente nel corso degli anni.

Al pari di quanto avvenuto negli altri paesi industriali, in Italia la composizione della ricchezza delle famiglie si è progressivamente spostata in favore delle azioni e delle obbligazioni emesse dalle imprese e dei fondi comuni, a scapito della componente costituita dai depositi bancari.

Alla fine del 1995 le famiglie italiane possedevano 1.712 miliardi di euro di attività finanziarie. Di queste, 446 miliardi erano costituite da titoli pubblici, 182 miliardi da azioni e obbligazioni delle imprese, 68 miliardi da quote di fondi comuni, 558 miliardi da depositi e altre forme di raccolta bancaria.

Alla fine del 2002 le attività finanziarie delle famiglie erano cresciute a 2.494 miliardi, con un aumento del 46 per cento rispetto a sette anni prima. All’interno di questo aggregato, i titoli pubblici detenuti in via diretta erano diminuiti in valore assoluto, a 218 miliardi, a fronte dell’aumento, a 334 miliardi, degli investimenti in quote di fondi comuni.

Il risparmio affidato dalle famiglie alle banche sotto forma di depositi e altri strumenti di raccolta è passato da 558 a 761 miliardi, con un aumento del 35 per cento.

L’ammontare di azioni e obbligazioni emesse da imprese e detenute direttamente dalle famiglie è stimabile in 294 miliardi; il volume della sola componente obbligazionaria si è quintuplicato nei sette anni, passando da 6 miliardi nel 1995 a 30 miliardi nel 2002, circa 60.000 miliardi di vecchie lire.

Nei portafogli delle famiglie italiane sono inoltre presenti obbligazioni emesse da non residenti – imprese e banche estere ed emittenti sovrani – pari a 92 miliardi di euro.

Sebbene in crescita, la quota delle attività finanziarie delle famiglie gestita da investitori istituzionali – fondi comuni, compagnie di assicurazione e fondi pensione – resta in Italia inferiore a quella che si registra negli altri principali paesi. È ancora ampiamente diffusa la tendenza dei risparmiatori ad assumere direttamente decisioni di investimento che comportano la valutazione di attività finanziarie assai diverse fra loro quanto a scadenza, rendimento e rischio dell’emittente.

3. I casi Cirio e Parmalat

L’attività della Cirio, impresa con ampie articolazioni all’estero e una struttura di gruppo complessa, è cresciuta rapidamente attraverso acquisizioni finanziate con un corrispondente aumento dell’indebitamento.

Dai dati ora disponibili è risultato che i bilanci, soggetti a revisione come per tutte le società quotate, occultavano perdite; in particolare riportavano crediti rivelatisi poi inesigibili.

Le obbligazioni emesse erano sprovviste di rating e rappresentavano una componente elevata dell’indebitamento complessivo.

L’esposizione delle banche italiane è di circa 360 milioni di euro; le obbligazioni in circolazione ammontano a 1.125 milioni.

La Banca d’Italia, su richiesta della Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), ha effettuato ispezioni su quattro banche per verificare se sia stata rispettata la normativa sul collocamento e sulla negoziazione dei titoli.

Particolare attenzione è stata prestata all’attività di negoziazione prima del collocamento, nella fase cosiddetta di grey market.

Le conclusioni degli accertamenti sono state comunicate alla Consob, per la prosecuzione dell’istruttoria.

La Banca d’Italia sta prestando un’ampia collaborazione, anche attraverso la trasmissione di documentazione ai propri atti, alle Procure presso le quali sono in corso istruttorie in relazione a ipotesi di reato.

Operante a partire dagli anni sessanta, la Parmalat ha conosciuto nel corso del tempo uno sviluppo rilevante, fino a collocarsi in Europa al quarto posto fra i grandi gruppi dell’industria alimentare. La crescita del gruppo si è realizzata attraverso una graduale estensione delle produzioni e una lunga serie di acquisizioni in Italia e soprattutto all’estero.

Sulla base dei bilanci resi pubblici, alla fine del 2002 il fatturato consolidato del gruppo si attestava a 7.600 milioni di euro, per circa un quarto realizzato in Italia; quasi due terzi del fatturato provenivano da mercati extra europei. I dipendenti erano 37.000, circa 4.000 dei quali in Italia, pari all’1 per cento degli addetti al settore agro-alimentare.

Al 31 dicembre 2002 il gruppo era articolato in 213 società distribuite in 50 paesi; di esse 30 erano insediate in Italia. Le azioni della Parmalat Finanziaria, che controlla la società industriale, sono quotate in borsa dall’inizio degli anni novanta. I bilanci sono formalmente certificati. Al gruppo Parmalat si affiancano altre società, attive in particolare nel settore turistico, controllate dagli stessi azionisti.

Dalla ricostruzione dei fatti aziendali, ancora in corso presso le sedi competenti, si deduce che la strategia di espansione all’estero del gruppo si è accompagnata a una rilevante internazionalizzazione dell’operatività nel campo della finanza. Tale politica non si limitava all’approvvigionamento di risorse finanziarie sui mercati esteri; si traduceva anche nell’attribuzione di fondi, in seguito risultati inesistenti, a società controllate, spesso dislocate in paesi off-shore.

Acquisizioni e investimenti sono stati finanziati con il ricorso all’indebitamento, il cui ammontare complessivo è ancora in corso di accertamento.

Attraverso varie società del gruppo, la Parmalat si è finanziata ampiamente sul mercato internazionale dei capitali; a partire dal 1997 sono state effettuate 32 emissioni obbligazionarie per circa 7 miliardi di euro; sulla base di nostre rilevazioni, oltre un quarto dei titoli risulta in possesso di residenti in Italia, soprattutto famiglie.

Dalle informazioni ora disponibili risulta che alcune tra le più importanti banche estere hanno concesso rilevanti finanziamenti e curato il collocamento per più dell’80 per cento delle obbligazioni emesse. Ancora nella seconda metà del 2003 primarie banche estere hanno acquisito obbligazioni Parmalat per un importo complessivo superiore a un miliardo di euro.

All’inizio del 2003 le azioni della Parmalat vennero incluse nell’indice delle 30 maggiori società quotate alla Borsa italiana. In agosto su un totale di 14 analisti finanziari internazionali, 9 fornivano alla clientela l’indicazione di acquistare i titoli dell’azienda; altri 3 analisti consigliavano di mantenere invariati gli investimenti in essere. In novembre, su 14 analisti 7 consigliavano di acquistare, 2 di mantenere invariati gli investimenti; venivano diffusi studi e ricerche di due banche internazionali che formulavano valutazioni positive sulle prospettive del gruppo e sulla convenienza relativa dei titoli. Nei primi giorni di dicembre del 2003 il rating esprimeva ancora giudizi positivi sulla capacità dell’impresa di rimborsare i prestiti obbligazionari.

Le gravissime irregolarità di bilancio sono emerse nelle settimane finali del 2003 e ancora all’inizio dell’anno in corso. Esse consistono nella falsificazione dei documenti contabili, nell’occultamento di passività e nel gonfiamento di attività. Su questi aspetti e su altre gravi irregolarità sono in corso indagini da parte dell’autorità giudiziaria.

Tra le informazioni statistiche in materia creditizia figurano quelle raccolte nella Centrale dei rischi, un archivio istituito nel 1962 dalla Banca d’Italia in collaborazione con il sistema bancario per fornire agli intermediari informazioni utili ai fini del contenimento dei rischi derivanti dal cumulo degli affidamenti in capo a un medesimo soggetto.

La Centrale dei rischi rileva solo i prestiti erogati dalle banche italiane e dagli altri intermediari vigilati. Non consente la ricostruzione dell’indebitamento di gruppi industriali che fanno ricorso a intermediari esteri o al mercato finanziario. Nel caso Parmalat i dati della Centrale sono rappresentativi di una quota dell’ordine di un quarto dell’indebitamento finora accertato.

Nell’arco dell’ultimo triennio i prestiti delle banche italiane e delle filiali di banche estere in Italia a società facenti capo alla famiglia Tanzi hanno oscillato fra i 3.100 e i 3.800 milioni di euro; nello scorso novembre ammontavano a circa 3.400 milioni, 800 dei quali riferiti a finanziamenti erogati da filiali italiane di banche estere. Le banche insediate in Italia detenevano in portafoglio titoli di società del gruppo per 250 milioni di euro. I fondi comuni di investimento posseggono obbligazioni Parmalat per 66 milioni di euro.

I finanziamenti erogati da banche italiane risultano molto frazionati. Gli intermediari esposti sono 120; ai primi 3 gruppi bancari fa capo circa il 30 per cento dei prestiti complessivi. Sono 45 i gruppi con un’esposizione superiore a 10 milioni di euro.

I crediti sono commisurati ai mezzi patrimoniali dei singoli intermediari; dalle verifiche periodiche condotte dalla Vigilanza risultano ampiamente rispettati i limiti alla concentrazione dei rischi, stabiliti in sede europea. Il gruppo Parmalat ha servito regolarmente, fino al novembre del 2003, il debito verso le banche italiane.

Nell’ipotesi, estrema, che l’intero importo dei finanziamenti dovesse rivelarsi inesigibile, il rapporto tra le sofferenze e gli impieghi, attualmente pari al 4,6 per cento, salirebbe al 4,9 per cento. Nell’ipotesi, anch’essa estrema, di svalutazione integrale dei crediti verso il gruppo, l’incidenza delle perdite risulterebbe inferiore al 20 per cento dell’utile netto di un solo esercizio.

Non sono a rischio né la stabilità complessiva né quella di singoli intermediari.

Il dissesto del gruppo Parmalat ha avuto serie conseguenze sui possessori di titoli obbligazionari. L’insolvenza dell’impresa ha provocato un crollo dei prezzi dei titoli; da valori intorno alla parità fino a novembre, questi sono scesi a livelli intorno al 20 per cento del nominale.

Ad aggravare i contraccolpi della crisi sui risparmiatori ha contribuito il limitato sviluppo di intermediari operanti con un orizzonte di lungo termine, in grado di diversificare il possesso di titoli obbligazionari e azionari su più emittenti. L’acquisto diretto dei titoli da parte dei risparmiatori ha determinato una loro eccessiva esposizione alle sorti di singole imprese, quali Cirio e Parmalat. Per un campione di banche italiane cui fanno capo tre quarti del complesso dei titoli in deposito o in gestione, il numero di famiglie in possesso delle obbligazioni dei due gruppi è stimabile rispettivamente in 30.000 e 85.000.

Il caso Parmalat nasce da episodi, ripetuti, di criminalità nella gestione di impresa. I contorni della vicenda dimostrano, ancora una volta, che l’inosservanza della legge, la mancanza di un solido riferimento etico per i comportamenti degli operatori possono costituire un grave intralcio al funzionamento del sistema economico e finanziario.

Alla luce di quanto sinora emerso, sono mancati i controlli interni all’azienda sull’operato degli amministratori e la verifica esterna sulla correttezza dei dati contabili. Le stesse banche finanziatrici, che basano le proprie analisi in primo luogo sui dati di bilancio, sono state indotte in gravi errori di valutazione circa la solidità dell’impresa, le sue prospettive, le qualità imprenditoriali degli esponenti aziendali.

Lo sviluppo del mercato obbligazionario e l’esperienza recente richiedono di rafforzare la normativa a tutela dei risparmiatori.

Sui problemi della tutela del risparmio affidato direttamente dalle famiglie alle imprese tornerò più avanti.

4. La tutela del risparmio affidato alle banche

Al risparmio affidato alle banche da famiglie e imprese, dell’ordine di 1.000 miliardi di euro alla fine del 2003, l’ordinamento attribuisce un regime di tutela volto a garantirne la restituzione.

L’operatività del sistema bancario è assoggettata a penetranti obblighi di supervisione e vigilanza.

Dall’entrata in vigore della legge bancaria del 1936 a oggi nessun risparmiatore 14 italiano ha mai perso una lira o un euro sui depositi affidati alle banche. Gli interventi pubblici a garanzia del risparmio sono stati nettamente inferiori a quelli effettuati in altri paesi industriali.

La tutela di questa componente del risparmio discende in primo luogo dalla capacità delle banche di ben impiegare i fondi raccolti in finanziamenti alle imprese, all’estero, alle famiglie e al settore pubblico.

Le crisi di imprese incidono sui bilanci bancari, si riverberano sul valore delle azioni delle stesse banche. Le crisi in atto sono comunque ben lontane dal mettere a repentaglio la solidità degli intermediari.

È nella stabilità del sistema bancario la garanzia di fondo del risparmio a esso affidato.

4.1. La vigilanza creditizia nell’ordinamento finanziario La Banca d’Italia esercita i compiti di vigilanza sulla stabilità delle banche dal 1936; in piena autonomia dal 1947; aveva già alcuni compiti di vigilanza dal 1926. Le sue attribuzioni sono state da ultimo sancite dal Testo unico in materia bancaria (d.lgs.1° settembre 1993, n. 385). Sulla base del Testo unico sull’intermediazione finanziaria (d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) essa svolge la vigilanza prudenziale sugli intermediari finanziari nonché sulle società di intermediazione mobiliare e sulle società di gestione del risparmio.

Il legislatore ha disposto che l’azione di vigilanza sia rivolta ad assicurare la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, la stabilità complessiva, l’efficienza e la competitività del sistema finanziario.

Data l’estesa articolazione dei gruppi bancari nei diversi comparti dell’intermediazione creditizia e finanziaria, la vigilanza prudenziale deve essere esercitata congiuntamente sulle banche e sugli altri intermediari.

Attraverso la Relazione annuale, la Banca d’Italia adempie l’obbligo di rendere pubblici i principi e i criteri dell’attività di vigilanza. I provvedimenti assunti, adeguatamente motivati, vengono pubblicati su un apposito Bollettino.

Sulla base dell’art.7 del Testo unico bancario la Banca d’Italia, a fronte di penetranti poteri informativi sui singoli intermediari e sui rapporti da questi intrattenuti con imprese e famiglie, è tenuta al segreto d’ufficio. La possibilità di derogare a tale obbligo è prevista, oltre che nei riguardi della magistratura in sede penale, nei confronti delle autorità di controllo sugli altri comparti del sistema finanziario e del Ministro dell’Economia 15 nell’esercizio delle funzioni di Presidente del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR).

Quest’ultima deroga è strettamente legata, per espressa previsione legislativa, alle funzioni del CICR, che è chiamato ad assumere deliberazioni di natura normativa e comunque di carattere generale, nelle materie indicate dalla legge e su proposta della Banca d’Italia.

La direttiva 2000/12 della Comunità europea, che disciplina l’accesso all’attività bancaria e il suo esercizio, nel vincolare l’autorità di vigilanza al segreto di ufficio, prescrive che nessuna informazione riservata può essere riferita ad altre autorità se non in forma sommaria o globale, cosicché non si possano individuare i singoli enti.

L’ordinamento ha posto a fondamento del settore bancario il carattere di impresa dell’attività degli enti creditizi. Con la legge 74 del 1985 il Parlamento indicò in tale principio il vincolo al quale attenersi nel recepimento della prima direttiva comunitaria di coordinamento bancario.

La vigilanza si svolge nel pieno rispetto dell’autonomia degli intermediari nella definizione delle politiche aziendali e nell’assunzione delle singole decisioni, in primo luogo quelle inerenti alla concessione del credito.

L’azione di controllo non può interferire nelle singole scelte di affidamento effettuate dagli amministratori; si creerebbe una commistione di responsabilità fra Autorità di vigilanza e soggetti vigilati.

Viene condotto un vaglio costante sulla situazione finanziaria degli intermediari, in particolare sull’adeguatezza dei patrimoni di ciascuna banca rispetto al complesso dei rischi. Un ruolo centrale assumono l’esame delle nuove iniziative bancarie, l’analisi della struttura proprietaria dei gruppi creditizi attraverso il vaglio dell’assunzione di partecipazioni rilevanti sul capitale delle banche e delle operazioni di aggregazione. Spetta agli azionisti valutare l’operato degli amministratori, reintegrare il capitale in caso di perdite rilevanti.

L’adeguatezza patrimoniale viene analizzata, oltre che rispetto al rischio di credito, in relazione ai rischi operativi, a quelli legali e a quelli determinati dalla perdita di reputazione.

L’intensità e le forme in cui tali rischi tendono a manifestarsi sono strettamente connesse con il grado di trasparenza dei tradizionali servizi di impiego e di raccolta.

Nell’ultimo triennio sono state condotte 2.400 ispezioni presso sportelli bancari volte a verificare il rispetto della normativa in materia; sono stati effettuati richiami a circa 150 banche per una osservanza più rigorosa delle norme e avviate 18 procedure sanzionatorie.

Due anni or sono, nel gennaio del 2002, abbiamo sottoposto al CICR una proposta di 16 deliberazione volta ad accrescere la trasparenza, che il Comitato ha approvato un anno dopo, nel marzo del 2003. La nuova disciplina è entrata in vigore lo scorso 1° ottobre.

L’analisi delle situazioni delle banche si avvale delle segnalazioni statistiche prodotte dagli intermediari nonché di elementi informativi raccolti nel corso di incontri con gli esponenti aziendali. Vengono disposte, su base periodica o in via straordinaria, visite ispettive presso gli intermediari.

Le ispezioni mirano in primo luogo ad accertare il rispetto delle normative di vigilanza e se i meccanismi di governo societario e il sistema dei controlli interni siano in grado di assicurare una consapevole gestione dei rischi. Si verifica che nelle procedure di erogazione del credito siano state utilizzate tutte le informazioni disponibili sull’impresa, in primo luogo i bilanci e le altre scritture aziendali.

L’analisi del rischio di credito delle singole banche è diretta a verificare la qualità del portafoglio nel suo complesso e la sua concentrazione. La probabilità media di insolvenza degli affidati viene valutata, in primo luogo, raffrontando l’incidenza dei crediti anomali – sofferenze, incagli, sconfinamenti – nel portafoglio di ciascuna banca con quella osservata per l’intero sistema.

La concentrazione, per singoli nominativi o per settori di attività economica, viene esaminata in via continuativa attraverso indicatori statistici. La normativa sui grandi fidi, stabilita a livello comunitario, richiede che nessun debitore riceva credito per un ammontare superiore a un quarto del patrimonio della banca.

Quando il grado di concentrazione del portafoglio complessivo di una banca risulta relativamente elevato, vengono considerate le caratteristiche dei principali gruppi affidati.

Le informazioni generalmente disponibili sui gruppi societari riguardano i bilanci approvati dagli organi competenti, i rating assegnati ad alcune delle loro imprese, i giudizi degli analisti; la Centrale dei rischi fornisce informazioni sulle eventuali classificazioni a sofferenza.

Allorché sorgono dubbi sulle ripercussioni che le esposizioni verso settori o gruppi possono avere per i portafogli di singole banche, la Vigilanza chiede a esse che il problema venga attentamente valutato, considera e confronta le conclusioni cui esse pervengono, dispone se necessario che vengano assunte misure prudenziali, di natura patrimoniale, procedurale, organizzativa.

La legge non attribuisce alla Banca d’Italia alcuna competenza in merito alla gestione e ai conti delle imprese industriali e commerciali. La Banca d’Italia ha accesso unicamente all’informativa e ai bilanci pubblici diffusi dalle società; non ha alcun mezzo per accertarne la veridicità; non può richiedere alle imprese informazioni di alcun tipo.

L’esposizione delle banche italiane verso le imprese facenti capo alla famiglia Tanzi non ha mai raggiunto livelli tali da costituire un rischio per la stabilità di alcun intermediario.

Al 31 dicembre 2002 essa era pari complessivamente a 3 miliardi di euro. A titolo di paragone, nello stesso anno, l’esposizione del sistema bancario italiano verso i tre maggiori gruppi industriali era mediamente pari a 17 miliardi di euro. L’incidenza dei finanziamenti erogati dai primi dieci gruppi bancari italiani esposti verso la Parmalat si ragguagliava in media al 2,3 per cento del patrimonio di vigilanza.

Dai dati del bilancio consolidato diffusi nell’aprile del 2003 l’indebitamento finanziario netto della Parmalat in rapporto al patrimonio e al fatturato del gruppo risultava in linea con quello di un’ampia quota delle imprese italiane. Veniva rilevato un indebitamento lordo elevato in presenza di attività liquide anch’esse elevate. Nessuna banca segnalava la posizione tra gli incagli o le sofferenze; la posizione Parmatour è stata inserita fra i crediti oggetto di ristrutturazione.

Nel periodo febbraio-marzo 2003 venivano sollevati dubbi da parte di alcuni analisti e commentatori, che si riflettevano in un aumento del differenziale di rendimento delle obbligazioni Parmalat rispetto al tasso privo di rischio. Peraltro il 28 febbraio 2003 Standard & Poor’s confermava il suo giudizio positivo espresso da un rating investment grade (BBB-) e dichiarava che le prospettive dell’impresa avrebbero potuto migliorare.

L’agenzia valutava positivamente l’ampia liquidità, pur affermando che avrebbe potuto utilmente essere usata per ripagare i debiti.

Le banche mostravano consapevolezza della situazione di incertezza; la Vigilanza controllò che ciascuna rispettasse i limiti di fido. Le tensioni si attenuavano in aprile, in seguito alle comunicazioni fornite al mercato dalla Parmalat, in particolare sulla contenuta onerosità della politica di elevata liquidità; questa veniva allora motivata con l’opportunità di ulteriori acquisizioni, secondo la strategia da anni in corso. Il 29 settembre veniva effettuata una ultima emissione obbligazionaria, curata da un’importante banca internazionale e accompagnata da un rating elevato, investment grade. Nessuna nuova informazione sullo stato dell’impresa interveniva fino al precipitare della crisi in dicembre.

4.2 La concorrenza bancaria Con riferimento ai mercati bancari la legge 287 del 1990 ha affidato alla Banca il compito di impedire la formazione di posizioni dominanti, abusi, intese restrittive del confronto competitivo. La scelta del legislatore è ispirata a quella realizzata negli Stati Uniti; è fondata in primo luogo sulla conoscenza approfondita degli intermediari e dei mercati maturata nell’attività di vigilanza.

Nella ricerca dell’efficienza complessiva del sistema bancario, è essenziale la sinergia tra la stabilità degli intermediari e il grado di concorrenza dei mercati.

Alla clientela è stata data la possibilità di selezionare, fra una ampia gamma, i prodotti e le condizioni ritenuti più coerenti con le proprie esigenze. Si sono contratti i divari fra i tassi di interesse bancari attivi e passivi.

La Banca d’Italia ha da tempo incoraggiato l’ingresso di nuovi competitori nei mercati più concentrati, promosso la diffusione di informazioni sui prodotti bancari, favorito il ricorso a canali innovativi di distribuzione dei servizi bancari.

La Banca d’Italia esercita la funzione di garante della concorrenza bancaria in stretta e proficua collaborazione con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, tenendo conto dei pareri da essa espressi. Le relazioni fra le due Autorità sono regolate da un protocollo sottoscritto nel 1996; l’accordo definisce i mercati della raccolta bancaria e degli impieghi sui quali si esercita la competenza diretta della Banca d’Italia e stabilisce le informazioni da trasmettere all’Autorità garante.

Dall’emanazione della legge la Banca d’Italia ha condotto 49 istruttorie, un numero elevato nel confronto internazionale; altre 6 istruttorie relative a intese sono tuttora in corso.

Sono state esaminate 700 aggregazioni tra banche, al fine di prevenire la costituzione di posizioni dominanti. Per 23 operazioni è stato necessario aprire istruttorie, che in 15 casi si sono concluse imponendo la chiusura di sportelli o il divieto di aprirne di nuovi. In 22 casi l’Autorità garante ha espresso parere conforme a quello della Banca d’Italia. L’unica eccezione risale al 1993.

4.3 Situazione del sistema bancario Negli anni recenti il sistema creditizio italiano ha realizzato un processo di ristrutturazione di portata analoga a quello degli anni Trenta.

Dieci anni or sono la quota delle attività complessive facente capo alle banche al cui capitale lo Stato e le Fondazioni partecipano almeno per la metà era pari a oltre i due terzi; tale quota è scesa al 10 per cento.

La quota di attività complessive che fa capo ai cinque maggiori gruppi bancari era pari al 35 per cento; essa è attualmente pari al 52 per cento. Nel capitale dei principali gruppi partecipano con quote rilevanti banche e assicurazioni estere.

È considerevolmente aumentata la produttività aziendale; è stato ridotto il divario di competitività nei confronti dei sistemi degli altri principali paesi.

Le banche hanno operato ingenti investimenti tecnologici e ampliato la gamma dei servizi offerti. Il costo del credito a breve termine è sceso al di sotto del 5 per cento, il valore minimo degli ultimi 50 anni.

Anche in anni di bassa crescita del reddito e di turbolenze dei mercati finanziari il sistema bancario ha sostenuto l’attività produttiva e gli investimenti delle imprese e delle famiglie. La rinnovata solidità ha consentito al sistema bancario di fronteggiare le difficoltà finanziarie di gruppi industriali fra i più grandi del Paese e di assecondarne, in piena autonomia, impegnativi progetti di ristrutturazione, con benefici per l’industria italiana e per l’occupazione.

La consistenza dei crediti inesigibili si è ridotta al 4,6 per cento in rapporto agli impieghi complessivi.

La situazione finanziaria delle imprese produttive ha beneficiato della riduzione del grado di indebitamento e dei livelli eccezionalmente bassi dei tassi di interesse.

Negli anni scorsi le banche italiane hanno ceduto crediti con operazioni di cartolarizzazione. Si tratta di tecniche largamente utilizzate dagli intermediari in tutti i maggiori paesi; in Italia, insieme alle banche, vi ha fatto ampio ricorso il settore pubblico, nell’ambito delle dismissioni di immobili e altre poste patrimoniali.

Nell’ultimo triennio le cartolarizzazioni operate dalle banche hanno riguardato sofferenze per meno di un quarto dell’ammontare complessivo delle operazioni. Le banche hanno trattenuto le quote più rischiose degli attivi cartolarizzati, sulle quali esse sono tenute ad accantonare adeguate risorse patrimoniali.

Il rendimento del capitale bancario, dopo essere sceso sotto il 2 per cento alla metà degli anni novanta, è tornato su livelli prossimi a quelli osservati in altri principali paesi, raggiungendo il 13 per cento nel 2000.

Nel biennio successivo gli utili hanno risentito della flessione dei ricavi connessi con i 20 servizi di amministrazione del risparmio, indotta dalla congiuntura negativa dei mercati finanziari, nonché delle crisi di importanti paesi dell’America latina e di grandi imprese multinazionali, come Enron e WorldCom.

Il patrimonio delle banche equivale a un coefficiente di solvibilità su base consolidata dell’11,2 per cento, in crescita rispetto agli anni scorsi; il valore minimo richiesto internazionalmente è dell’8 per cento.

4.4 La valutazione del Fondo monetario internazionale sulla vigilanza bancaria in Italia Nel 2003 il Fondo monetario internazionale ha condotto un vaglio approfondito delle norme e delle prassi di vigilanza in Italia. Nel rapporto del Fondo, in via di pubblicazione, la Vigilanza bancaria è definita di qualità elevata; i termini del giudizio risultano altamente soddisfacenti, anche nel confronto con quelli espressi riguardo a importanti paesi, alcuni dei quali con un assetto della regolamentazione incentrato su una autorità unica di tutela del risparmio.

È stata apprezzata la piena collaborazione tra la Vigilanza e le Autorità di controllo sugli altri comparti del sistema finanziario nonché la trasparenza degli atti della Banca d’Italia; le normative sono state valutate in linea con le migliori pratiche indicate dagli organismi internazionali. È stata sottolineata l’indipendenza tra le valutazioni di vigilanza e la funzione di tutela della concorrenza nonché la collaborazione fra Autorità anche in questo campo.

Il Fondo monetario ha rilevato la necessità di affinare i criteri di classificazione dei crediti, che nel nostro Paese sono stabiliti in relazione alla elevata variabilità dei tempi di pagamento nella prassi commerciale; al riguardo la Banca d’Italia aveva già preso l’impegno con il Comitato di Basilea per il progressivo allineamento delle definizioni agli standard internazionali.

Sono state considerate altamente soddisfacenti le informazioni statistiche e i metodi adottati per l’analisi dei bilanci bancari e per la valutazione dei potenziali fattori di fragilità del sistema; sono state riconosciute la completezza e l’incisività degli interventi sui singoli intermediari; sono state apprezzate l’integrità e la professionalità del personale della Banca d’Italia.

Il Fondo monetario internazionale ha consigliato una maggiore discrezionalità della Vigilanza nella valutazione delle connessioni fra banche e altri soggetti e l’imposizione di limiti più stringenti ai relativi rapporti creditizi.

La pubblicazione del rapporto avverrà a cura del Fondo monetario internazionale in tempi brevi.

5. Le funzioni della Banca d’Italia nell’emissione di valori mobiliari

L’articolo 129 del Testo unico bancario prevede che si comunichino preventivamente alla Banca d’Italia le emissioni di valori mobiliari e le offerte in Italia di valori mobiliari esteri; la Banca d’Italia può vietarne o differirne l’esecuzione entro venti giorni dal ricevimento della comunicazione.

Dai controlli affidati alla Banca d’Italia è esclusa qualsiasi valutazione di carattere economico sulla convenienza dei titoli offerti o sul grado di solvibilità dell’emittente.

Sulla base dell’articolo 129 e della delibera del CICR emanata il 12 gennaio 1994, la Banca d’Italia può chiedere il differimento delle emissioni “quando il loro importo, congiuntamente a quello di operazioni già comunicate, da effettuarsi nello stesso periodo di tempo, risulti incompatibile con le dimensioni e con le condizioni del mercato primario o secondario”. In altri termini si può differire un’emissione allorché gli importi siano incompatibili con le capacità di assorbimento del mercato.

Possono essere vietate le emissioni che presentano elementi non conformi all’ordinamento o riguardano titoli con caratteristiche difficilmente comprensibili o con rendimento difficilmente calcolabile.

Negli altri principali paesi non esistono forme di controllo analoghe.

Sono state vietate 3 emissioni nel 2002 e 4 nel 2003; negli stessi anni sono state ritirate rispettivamente 49 e 52 richieste a seguito delle osservazioni formulate dalla Vigilanza. Le operazioni proposte si riferivano a strumenti finanziari di eccessiva complessità, che ne avrebbe pregiudicato la comprensibilità per gli investitori, con effetti anche sulle possibilità di successiva negoziazione.

Nei casi della Cirio e della Parmalat i titoli offerti presentavano caratteristiche tra le più diffuse nel mercato finanziario, tra cui il rendimento fisso o indicizzato ai comuni parametri di riferimento. Non vi era alcun elemento che consentisse di vietare l’offerta ai sensi dell’art. 129 del Testo unico bancario.

La disciplina non consente di porre ostacoli all’offerta in Italia di valori mobiliari esteri, anche se emessi da sussidiarie estere di gruppi italiani. Già nel 1997 la Commissione delle Comunità Europee avviò nei confronti dell’Italia un procedimento contestando l’incompatibilità dell’art. 129 del TUB con le disposizioni del Trattato della Commissione Europea sulla libera circolazione dei capitali.

La Banca d’Italia contribuì alla predisposizione della risposta da parte del Governo italiano, redigendo un’ampia illustrazione delle finalità della normativa e delle linee di comportamento da essa seguite nell’esame delle comunicazioni preventive. Sulla base della documentazione il procedimento venne archiviato dalla Commissione stessa.

6. La tutela del risparmio direttamente affidato alle imprese

Nel corso degli anni novanta gli interventi normativi hanno mirato a favorire il ricorso delle aziende ai mercati azionario e obbligazionario.

Il Testo unico bancario del 1993 così come il nuovo diritto societario consentono l’emissione di strumenti di debito in misura superiore al capitale aziendale. La legislazione sull’intermediazione mobiliare — poi confluita nel Testo unico della finanza del 1998 — ha promosso la trasparenza dei prodotti finanziari emessi dalle imprese, la correttezza degli intermediari che favoriscono il trasferimento di tali prodotti sul mercato, la completezza delle informazioni.

La normativa italiana in materia di imprese e mercati finanziari è conforme a quella europea.

Mentre la tutela del risparmio bancario è realizzata attraverso la vigilanza sulla sana e prudente gestione degli intermediari, la tutela del risparmio raccolto dalle imprese è affidata ai controlli interni sulla gestione delle imprese e alla sorveglianza sulla corretta rappresentazione della loro situazione finanziaria.

Ai controlli operati dal collegio sindacale fanno seguito quelli condotti dagli enti di certificazione dei bilanci e quelli di natura pubblicistica. La prassi dei mercati finanziari ha aggiunto le valutazioni espresse dalle agenzie di rating.

6.1 I controlli societari I controlli operati da organismi interni all’impresa, in grado di acquisire una puntuale e tempestiva conoscenza delle politiche aziendali e dei risultati economici, rappresentano il primo imprescindibile presidio al fine di evitare che comportamenti fraudolenti abbiano luogo e si ripetano, compromettendo la stabilità aziendale. Malfunzionamenti, o peggio omissioni o complicità creano le condizioni per comportamenti fraudolenti da parte dei vertici societari; vengono distorte le valutazioni degli analisti e le decisioni degli investitori.

Il ruolo dei controlli interni ha trovato riconoscimento nel d. lgs. 8 giugno 2001, n.

1. La mancata costituzione, nella società, di adeguate strutture interne di controllo può motivare l’imputazione alla società stessa dei reati commessi dagli amministratori.

6.2 I controlli esterni I revisori esterni sono responsabili delle verifiche relative alla regolare tenuta della contabilità, alla corretta rilevazione dei fatti di gestione, alla conformità del bilancio alle risultanze della contabilità e alle norme di valutazione e registrazione dei fatti aziendali.

Seppure posti all’esterno dell’impresa, i revisori hanno la possibilità di acquisire gli elementi informativi necessari a un vaglio formale e sostanziale della correttezza del bilancio. È loro compito valutare approfonditamente l’idoneità dell’informativa resa al pubblico a rappresentare la situazione economica e patrimoniale della società nonché i risultati della gestione e le prospettive dell’azienda.

Sono, questi, elementi essenziali per l’efficiente allocazione delle risorse di cui dispone il sistema economico, in ultima analisi, per la tutela dei risparmiatori che affidano una parte della propria ricchezza finanziaria alle imprese.

Le società di revisione devono riferire alla Commissione nazionale per le società e la borsa fatti ritenuti censurabili di cui vengano a conoscenza nello svolgimento dei controlli.

Esse hanno inoltre l’obbligo di comunicare immediatamente alla Commissione giudizi negativi o l’impossibilità di esprimere giudizi sui bilanci della società oggetto di verifica.

L’analisi delle gravi crisi di impresa che si sono manifestate di recente sul mercato statunitense e su quelli europei ha messo in evidenza fattori che possono influire sulla correttezza e sull’efficacia delle società di revisione contabile.

6.3 I controlli di natura pubblicistica La tutela degli investitori in valori mobiliari è assegnata alla Commissione nazionale per le società e la borsa.

L’azione della Consob si esercita nei riguardi dell’ampia gamma di soggetti che concorrono a formare il mercato mobiliare, in primo luogo le imprese emittenti, quindi le società di gestione dei mercati e i revisori. Nei loro confronti la Commissione dispone di poteri di vigilanza, incluso quello di operare ispezioni, e può comminare sanzioni pecuniarie; all’accertamento di gravi violazioni delle norme fanno seguito provvedimenti di rigore e denunce all’autorità giudiziaria.

La Commissione nazionale per le società e la borsa e la Banca d’Italia, ferme restando le rispettive competenze, operano, per espressa previsione del legislatore (art. 7 del TUB e art. 5 del TUF), in maniera coordinata, sia per una più efficace azione di controllo sul mercato sia per ridurre gli oneri a carico degli operatori. Sono stati istituiti rapporti di costante e proficua collaborazione sia a livello di alta direzione sia tra gli uffici, per la valutazione di aspetti normativi, per l’informazione reciproca sulle ispezioni disposte e i provvedimenti assunti. Gli accertamenti ispettivi della Banca d’Italia sul rispetto delle norme sui servizi di investimento sono effettuati su richiesta e per conto della Consob.

La Consob può avere accesso alle informazioni in possesso della Banca d’Italia, incluse quelle contenute nella Centrale dei Rischi, che censisce le esposizioni debitorie nei confronti del sistema bancario italiano.

La distinzione fra gli ambiti di attività delle due autorità di controllo è netta. Va mantenuta, al fine di prevenire inopportune sovrapposizioni.

6.4 Collocamento e negoziazione da parte delle banche dei titoli delle imprese Nel decennio scorso le banche hanno progressivamente aumentato la quota dei ricavi derivanti dalla prestazione di servizi finanziari, soprattutto di quelli alle famiglie.

Lo sviluppo di questo ramo di attività è avvenuto in tempi rapidi, a tratti sull’onda dell’entusiasmo e dell’euforia che hanno pervaso i mercati di borsa di tutto il mondo.

Altrettanto rapido è stato l’incremento del numero dei promotori finanziari e dei consulenti addetti alla prestazione di servizi finanziari al pubblico.

Il nuovo contesto richiedeva probabilmente una più alta professionalità, al fine di rispondere alle esigenze dei risparmiatori inesperti in materia di investimenti finanziari.

In più occasioni ho richiamato le banche alla cura della qualità dei servizi, all’esigenza di offrire i prodotti con caratteristiche facilmente comprensibili, idonei a soddisfare le esigenze di impiego del risparmio da parte della clientela.

Va visto con favore l’impegno delle banche a venire incontro ai risparmiatori per le perdite da questi subite nei casi in cui, sulla base di riscontri interni, sorgano dubbi sull’adeguatezza dell’assistenza prestata al momento dell’investimento.

7. Proposte e conclusioni

Il caso della Parmalat presenta profili di analogia con crisi che hanno interessato grandi gruppi statunitensi ed europei. Sono emerse, anche in quei casi, gravi carenze nei controlli interni ed esterni sulla veridicità dei bilanci e sulla correttezza delle informazioni fornite agli operatori del mercato finanziario.

L’esperienza degli Stati Uniti può costituire un utile punto di riferimento. A seguito di un ampio e approfondito dibattito, sono stati rafforzati, con legge, i controlli che gli organi posti all’interno delle imprese e le società di revisione devono esercitare sulla gestione aziendale e sulla rappresentazione al mercato della situazione finanziaria delle stesse imprese.

La falsità nelle comunicazioni e nelle relazioni dei responsabili della revisione viene colpita attraverso un inasprimento delle sanzioni penali e pecuniarie.

Sono stati rafforzati i controlli della Securities and Exchange Commission (SEC). È stato creato un organismo, soggetto al controllo della SEC, denominato Public Company Accounting Oversight Board, che sovrintende alla corretta operatività delle società di revisione e certificazione.

Non è stata in alcun modo posta in discussione l’attività della banca centrale, la Federal Reserve, in materia di stabilità bancaria e di concorrenza nei mercati creditizi, né quella delle altre autorità competenti in tali materie.

In relazione all’ampio volume delle risorse finanziarie trattate sul mercato dei capitali e al crescente ammontare di risparmio delle famiglie che su di esso confluisce, va esaminata 26 la possibilità di conferire alla Consob poteri e mezzi che permettano di verificare, attraverso ispezioni e analisi sistematiche, tempestivamente, la qualità e l’attendibilità dei conti.

Il rispetto della normativa sui bilanci consolidati è di cruciale importanza per gruppi con estesa articolazione estera.

Al fine di accrescere la trasparenza dell’attività delle imprese nei casi di insediamento in centri off-shore, si potrebbe condizionarne l’operatività all’adempimento di puntuali obblighi di informazione circa la natura, le finalità e le conseguenze degli insediamenti stessi.

Per il settore bancario sono da tempo operanti efficaci presidi sull’articolazione estera dei gruppi, concordati nell’ambito della cooperazione internazionale fra Autorità di vigilanza.

È necessario rafforzare i controlli interni ed esterni alle società. Va assicurata l’indipendenza della società di revisione rispetto alla società controllata; va vietato il contemporaneo svolgimento, anche in via indiretta, di funzioni di consulenza; sono indispensabili rigorosi criteri di rotazione degli incarichi. L’indipendenza va garantita anche nel caso di aziende e studi professionali collegati con la società di revisione.

È necessario che la legislazione sia orientata alla tempestiva emersione dei casi di crisi.

Va valutata l’ipotesi di inasprire le sanzioni da comminare per fronteggiare comportamenti fraudolenti e in caso di gravi irregolarità e violazioni normative nella rappresentazione dei fatti sociali.

Al fine di rafforzare la tutela dei risparmiatori, va vista con favore l’introduzione dell’obbligo per gli intermediari incaricati del collocamento di detenere in portafoglio, per un periodo prefissato, i titoli privi del prospetto informativo o comunque di difficile valutazione.

Lo scarso sviluppo nel nostro Paese di investitori istituzionali ha comportato, a partire dalla fase di privatizzazione, l’ingresso nel capitale delle banche di gruppi industriali e di singoli imprenditori.

L’applicazione della normativa vigente ha ben tutelato il principio della separatezza fra banca e industria.

La crescente presenza degli imprenditori fra gli azionisti bancari rende ora opportuna una disciplina più stringente con riguardo alla definizione dei “soggetti industriali collegati” e alla contemporanea posizione di amministratore e di affidato della banca.

* * *

Il debito pubblico si ragguagliava in Italia, alla fine dello scorso anno, al 105 per cento del prodotto nazionale lordo; in valore assoluto 1.360 miliardi di euro. Il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto è in Europa del 64 per cento.

La garanzia del valore di una parte rilevante della nostra ricchezza nazionale dipende dall’evoluzione, nel corso degli anni a venire, dei conti pubblici.

L’ammontare del debito, il suo troppo lento declinare, pesano sullo sviluppo dell’economia; ostacolano l’abbassamento della pressione fiscale; riducono il risparmio e gli investimenti. È necessario che l’avanzo primario del settore pubblico, cioè il saldo al netto degli interessi, ritorni verso il 5,5 per cento del prodotto interno, valore convenuto al momento dell’ingresso nella moneta unica.

L’entità della ricchezza finanziaria affidata al settore bancario si aggira intorno ai 1.000 miliardi di euro. Pur non godendo delle garanzie proprie del debito pubblico, i cittadini italiani non hanno mai perso nulla su tale componente del loro risparmio.

L’evoluzione finanziaria spinge sempre più verso un contatto diretto tra i risparmiatori e le imprese attraverso il mercato. La Commissione nazionale per le società e la borsa è stata istituita nel 1974 con il compito di sovrintendere a quest’ultima componente del risparmio e della ricchezza finanziaria delle famiglie e delle imprese.

Con il Testo unico bancario del 1993 e con il Testo unico della finanza del 1998 il sistema italiano si è portato in linea con gli altri paesi economicamente più evoluti. La protezione del risparmio per la parte direttamente affidata alle imprese poggia su due pilastri: il corretto ed efficiente funzionamento dei mercati finanziari; la trasparenza dei conti delle imprese che richiedono finanziamenti al mercato per le loro esigenze di investimento.

Gli scandali finanziari che si sono verificati negli anni più recenti negli Stati Uniti, in Europa e anche in Italia hanno messo in luce la vulnerabilità di questo secondo pilastro del funzionamento dei mercati. I conti delle imprese coinvolte nelle crisi si sono dimostrati completamente distorti, falsificati. Risparmiatori e investitori hanno subito gravi danni.

Va valutata la possibilità di un’azione immediata che preveda, anche in Italia come negli Stati Uniti, il paese in cui l’autorità che sovrintende al mercato ha poteri più 28 penetranti che in Europa, il potenziamento della Consob, l’aumento dei mezzi a sua disposizione.

Non deve mancare il sostegno finanziario per dare continuità all’attività industriale dei gruppi coinvolti e per un rilancio sulla base di validi progetti di riorganizzazione e sviluppo.

La sicurezza del risparmio affidato al settore pubblico riposa in ultima analisi sulla capacità impositiva e su una politica economica orientata alla crescita. Quella del risparmio affidato alle banche si fonda sulla stabilità degli intermediari e sull’azione della Vigilanza.

La sicurezza del risparmio affidato direttamente alle imprese è legata alla correttezza degli amministratori e al buon funzionamento dei controlli interni, esterni e pubblici.

Va ribadita la rilevanza della funzione delle banche e degli altri intermediari che assistono i risparmiatori nell’impiego delle proprie disponibilità.

È necessario un impegno delle istituzioni e degli operatori per salvaguardare la fiducia sul mercato interno e da parte degli investitori internazionali.

La Banca d’Italia continua a garantire la sicurezza del risparmio attraverso la solidità del sistema bancario.

Nella visione dei Costituenti la difesa del risparmio non è disgiunta dal riconoscimento del ruolo delle istituzioni e della loro autonomia.