Penale
La perizia sulla causa della morte del banchiere Calvi è valida.
La perizia sulla causa della morte del banchiere Calvi è valida.
Cassazione – Sezione prima penale (cc) – sentenza 12 novembre-17 dicembre 2003, n. 48120
Presidente Sossi – relatore Gianvittore
Pg Passacantando – ricorrente Carboni
Svolgimento del processo
Con atto del 15 ottobre 2002 Carboni Flavio dichiarava di ricusare il perito Prof. Brinkmann Berndt, nominato il 26 febbraio 1998 dal Gip di Roma nel procedimento per l’omicidio di Calvi Roberto al fine di accertare la causa della morte di quest’ultimo.
Il Carboni faceva presente che, sebbene i lavori peritali fossero ancora in corso, la stampa aveva anticipato la notizia che la perizia concludeva per la morte da omicidio e che tale conclusione era stata riportata nella trasmissione televisiva “Novecento”, andata in onda sul primo canale della Rai.
In proposito il Carboni segnalava che nella predetta trasmissione il giornalista tedesco Bumpel Hudo aveva affermato che non si era trattato di un suicidio ed aveva fatto visionare il filmato di una sua intervista al Prof Brinkmann. In tale filmato, mentre compariva un sacchetto con i vestiti e le scarpe del Calvi, una voce fuori campo affermava che l’equipe del Prof. Brinkmann le stava esaminando alla ricerca di microtracce che potessero spiegare il mistero della morte; quindi, sempre nel filmato, lo stesso Prof. Brinkmann affermava: «Le tracce rinvenute su quella parte della suola potrebbero essere rilevanti per ricostruire la dinamica dell’accaduto. Inoltre si tratta di tracce fresche presenti su entrambe le suole con caratteristiche simili. A questo punto abbiamo iniziato ad esaminare le tracce in maniera più dettagliata. Al microscopio i graffi
presenti sulle suole sono come un immenso paesaggio montano ricco di saliscendi. Durante lo strangolamento, soprattutto se il corpo è parzialmente o totalmente sospeso nel vuoto vengono commessi dei movimenti. Possono essere dei crampi più o meno forti, dei piccoli strappi, poco prima di morire. In questi casi sono le estremità a muoversi di più. Se i piedi sono a contatto sul terreno può venirsi a creare quel tipo di graffi e scanalature».
Tutto ciò premesso, il Carboni lamentava che il perito avesse manifestato il suo parere fuori dell’esercizio delle sue funzioni e addirittura mediante un’intervista televisiva, anche con violazione del segreto sulle operazioni peritali in corso, riferendo che la morte era avvenuta per strangolamento anziché per impiccamento, che erano in corso accertamenti sul vestiti e sulle scarpe e che presumeva dai solchi sotto le scarpe che la morte fosse avvenuta all’asciutto, così implicitamente escludendo l’autoimpiccamento del Calvi al traliccio sul Tamigi.
Con ordinanza del 24 febbraio 2003 il Gip del Tribunale di Roma rigettava la dichiarazione di ricusazione, sul rilievo che il contenuto degli articoli di stampa non era in alcun modo addebitabile al Prof. Brinkmann e che nell’intervista al Bumpel il perito non aveva espresso un convincimento in ordine al quesito affidato al suo esame, così da avere pregiudicato la sua imparzialità, perché non aveva anticipato considerazioni definitive: in ordine agli accertamenti in corso, ma aveva semplicemente fatto riferimento ad una tecnica di indagine giudicata utile per l’espletamento dell’incarico. Quanto al termine “strangolamento”, di cui si doleva il ricusante (e che il Pm nelle sue note aveva indicato come erroneamente tradotto dal termine tedesco significante “impiccagione”), il Gip pur dando atto delle precisazioni del traduttore dott. Nasini (il quale aveva riferito che il termine tedesco usato significava essere appeso o impiccagione ma non strangolamento) affermava che ogni ulteriore esame dell’espressione tedesca era superfluo, risultando che il termine era stato usato in maniera ipotetica ed astratta.
Avverso la predetta ordinanza ricorre il Carboni, sostenendo che il provvedimento impugnato ha errato nel ritenere che la ricusazione richieda la manifestazione di un “convincimento” del perito fuori dell’esercizio delle sue funzioni, essendo invece richiesta l’espressione di un “parere”, come emerge dalla contrapposizione tra le ipotesi di ricusazione di cui all’articolo 36 lettera c) e 37 lettera b) Cpp. Rileva, in proposito, che mentre il convincimento è l’acquisizione di una certezza rispetto ad un ragionamento o ad una conclusione, il parere è un’opinione personale, che può essere anche di natura dialettica o probabilistica.
Il ricorrente lamenta, inoltre, che il Gip non abbia assunto le informazioni richieste dalla difesa per accertare chi fosse la fonte che aveva anticipato al Bumpel le conclusioni della perizia.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato e pertanto deve essere rigettato.
L’istituto della ricusazione del perito è disciplinato dall’articolo 223 Cpp, che al secondo comma prevede la ricusazione nel casi previsti dall’articolo 36 Cpp ‑ fatta eccezione per quello previsto al comma 1 lettera h) ‑ e quindi la consente ‑ anche nel caso di cui all’articolo 36 lettera q), che prevede la ricusazione del perito, al pari di quella del giudice, allorché abbia manifestato il suo “parere” sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie.
Posto che l’articolo 37 lettera b) Cpp prevede la ricusazione del giudice anche nel caso che nell’esercizio delle sue funzioni. e prima della pronuncia della sentenza egli abbia manifestato indebitamente il proprio (“convincimento” sui fatti oggetto dell’imputazione, si pone il problema se la differenza tra le due, fattispecie dell’articolo 36 lettera c) e dell’articolo 37 lettera b) attenga ‑ oltre all’oggetto dell’opinione espressa e alla collocazione della manifestazione di essa fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie o nell’esercizio di esse – anche alla natura dell’opinione espressa indicata dal legislatore una volta come “parere” e l’altra come “convincimento”.
In proposito questa Corte ha affermato, con riferimento alla ricusazione del giudice, che il “parere” deve consistere nell’espressione di un vero e proprio “convincimento” in ordine a quello che il giudice ritiene essere lo sbocco del procedimento, rimanendo quindi estranea alla previsione di legge l’espressione di una generica valutazione meramente probabilistica circa il presumibile esito del procedimento (Cassazione, 4182/96, De Martio, rv. 205322). Peraltro questa Corte ha anche affermato che «È evidente il significato più ristretto, implicante un’analisi ed una riflessione, del termine “convincimento”, rispetto al “parere”, che indica un’opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli atti processuali» (Cassazione, sezione prima, 15 ottobre 1996, Priebke).
Ritiene questo Collegio che i due termini in esame abbiano un significato comune, indicando entrambi un’opinione che come tale è frutto di un processo mentale di ragionamento, e si differenziano fra loro essenzialmente per la sede in cui vengono espressi. L’ulteriore differenza – costituita dal fatto di essere il parere «un’opinione non preceduta necessariamente da un ragionamento fondato sulla conoscenza dei fatti o degli atti processuali» e che può essere frutto di una valutazione superficiale (Cassazione, sezione prima, 15 ottobre 1996, Priebbke) – non appare decisiva. Invero, considerata anche l’eccezionalità delle norme sulla ricusazione – che comportando la possibilità di mutamento del giudice precostituito incidono sul principio di immutabilità del giudice naturale (Cassazione, sezione prima, 15 ottobre, Priebbke) – nonché la finalità dell’istituto, che è quella di garantire l’imparzialità ed obiettività dell’organo giudiziario, deve ritenersi che l’articolo 36 lettera c) Cpp prevedendo la ricusazione del giudice o del perito se ha manifestato non già un “parere”, ma “il suo parere”, abbia voluto riferirsi non ad una qualsiasi opinione espressa dal giudice o dal perito sull’oggetto del procedimento, anche in forma meramente possibilistica, o ipotetica o condizionata, ma all’opinione fatta propria, dopo un ragionamento e una scelta tra le varie possibilità concrete. Invero soltanto nell’espressione del proprio giudizio è ravvisabile il pericolo per l’imparzialità ed obiettività, sul presupposto che chi ha già espresso “il suo” parere può essere pregiudicato, per un certo atteggiamento psicologico che ostacola l’allontanamento da esso.
Ne consegue che i termini “parere” e “convincimento”, pur denotando opinioni espresse in sede diverse e in base a un diverso grado di approfondimento del giudizio, finiscono per identificarsi nella loro essenza, che è quella di espressione non di una mera opinione, sostenibile e prospettata come meramente possibile e quindi almeno implicitamente in alternativa ad altre, ma dell’opinione fatta propria dall’ organo giudiziario, a preferenza e con esclusione delle altre. La prospettazione di un’opinione come meramente possibile, in via ipotetica ed astratta, non solo non incide sulla imparzialità ed obiettività dell’organo giudiziario, ma al contrario ne dimostra l’apertura mentale e la disponibilità ad esaminare tutte le ipotesi possibili prima di pervenire ad esprimere il proprio giudizio.
Peraltro, con riferimento al perito, il concetto di “parere” trova la sua definizione nell’articolo 227 Cpp, ove il termine è usato per indicare la risposta ai quesiti.
L’ordinanza impugnata, pur non essendosi posta il problema della differenza tra i termini “parere” e “convincimento” e avendo richiesto il convincimento anche per la ricusazione del perito, appare inattaccabile nella sostanza, perché richiedendo il convincimento ha inteso fare riferimento ‑non al concetto tecnico-giuridico di cui all’articolo 37 lettera b) Cpp, ma a quello comune espresso con tale termine, implicante che il parere, come opinione espressa dal perito, debba essere frutto di una scelta, di una presa di posizione sull’oggetto del quesito, tale da compromettere, come esplicitato nell’ordinanza, l’imparzialità dell’organo.
Tutto ciò premesso, si osserva che a prescindere dalla opportunità o meno dell’intervista del Prof Brinkmann, che non è compito di questa Corte sindacare, e dalla eventuale violazione dell’obbligo del segreto sulle operazioni peritali ai sensi dell’articolo 226 Cpp, che di per sé non è causa di ricusazione, i comportamenti indicati dal ricorrente non costituiscono espressione del parere del perito nel senso sopra precisato.
Invero le condotte contro le quali si appuntano le censure del ricorrente consistono nella rivelazione dell’esistenza di tracce sotto la suola delle scarpe e nella giustificazione fornita per tali tracce: la
rivelazione non è espressione di un parere ma comunicazione di un dato di fatto; la giustificazione, è prospettata non come frutto dell’opinione fatta propria dal perito ma in maniera meramente possibilistica, ipotetica e condizionata, come è evidenziato dalla congiunzione “se” usata per introdurre l’ipotesi che il corpo sia totalmente o parzialmente sospeso nel vuoto come pure l’ipotesi che i piedi siano a contatto col terreno.
È appena il caso di osservare che nessuna anticipazione di giudizio è ravvisabile nell’uso del termine “strangolamento”, perché sul punto sul quale non ha neppure insistito il Carboni nel suo ricorso, contrariamente a quanto aveva fatto nell’istanza, di ricusazione ‑ il Gip ha dato atto delle precisazioni intervenute da parte del traduttore.
Quanto alla doglianza relativa alla mancata assunzione di informazioni per accertare la fonte delle notizie pervenute al Bumpel, si osserva che le informazioni che il giudice deve assumere, ai sensi dell’articolo 41 comma 3 Cpp, sono solo quelle necessarie per la decisione sul merito della ricusazione. Pertanto, considerata anche l’incompatibilità di indagini a largo raggio con la natura della procedura di ricusazione (Cassazione, sezione seconda, 2675/94, Vitalone, rv 199408), deve ritenersi corretta la mancata assunzione delle informazioni richieste dalla difesa, considerata l’impossibilità di collegare le valutazioni espresse dalla stampa ai comportamenti attribuiti al Brinkmann – come puntualmente rilevato dal Gip di Roma con motivazione non manifestamente illogica – e perché non sarebbe stato possibile indagare, in sede di procedimento di ricusazione, se le opinioni del Bumpel fossero frutto non di una propria valutazione dei dati appresi, ma di altre rivelazioni da parte del perito, ipotesi restata meramente astratta perché del tutto priva di elementi di concretezza.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.