Civile
La natura della firma in garanzia sulle cambiali.
La natura della firma in garanzia
sulle cambiali.
Cassazione – Sezione terza civile
– sentenza 27 settembre – 19 novembre 2007, n. 23922
Presidente Petti – Relatore
Durante
Pm Russo – difforme – Ricorrente
De Leo – Controricorrente Il Marchese Coccapani Spa
Svolgimento del processo
Ennio De Leo
propose opposizione al precetto di pagamento della somma di lire 213.315.660
intimatogli dalla s.p.a. Marchese Coccapani quale avallante di tre cambiali e
di altrettanti assegni bancari emessi dalla s.r.l. Supermek; dedusse che la
mancata comunicazione dell’inadempimento della debitrice aveva compromesso il
suo diritto di surroga e di regresso; che la società intimante non aveva
rispettato gli obblighi assunti nei confronti della debitrice, provocandone il
dissesto, con conseguente suo pregiudizio; che il rapporto fideiussorio si era
estinto per fatto della creditrice ai sensi dell’art. 1955 c.c.
Si costituirono le società
Marchese Coccapani e Supermek: la prima contestò l’opposizione; l’altra eccepì
l’estinzione dell’obbligazione.
Il processo, interrotto per il
fallimento della Supermek, venne riassunto nei
confronti della curatela che rimase contumace.
Il tribunale di Lecce rigettò
l’opposizione; il rigetto fu confermato dalla corte di appello di Lecce con
sentenza resa il 24.1.2003 osservando quanto segue.
L’avallo, attesa la sua natura di
obbligazione accessoria, si ricollega ad una obbligazione
principale; trattandosi, tuttavia, nella specie di obbligazione cambiaria, va
applicata la regola della autonomia caratteristica di questo tipo di obbligazione,
con la conseguenza che all’avallo non può essere esteso il regime delle
eccezioni causali opponibili dal fideiussore; in particolare, non possono
ricevere applicazione le disposizioni di cui agli artt. 1955 e 1957 c.c; nel
caso concreto bisogna, peraltro, escludere che siano stati
"pregiudicati" i titoli azionati con il precetto, per
cui il pregiudizio che si fa dipendere dall’insolvenza della Supermek
può rivestire carattere economico anziché giuridico e non rileva; comunque, i
fatti posti a fondamento dell’opposizione sono privi di riscontro probatorio,
mentre i mezzi istruttori richiesti in sede di gravame (interrogatorio formale
e prova testimoniale) sono inammissibili perché 1) la "possibilità di
ottenere il rinnovo dei titoli" non equivale al riconoscimento di un
diritto della debitrice (l’avallante è fuori discussione); (2) vi è
manifestazione di insolvenza e tanto basta a legittimare la pretesa di
pagamento immediato ex art. 1186 c.c.; ulteriore ragione di inammissibilità
della prova testimoniale è costituita dalla mancata indicazione dei testi.
Propone ricorso per cassazione il
De Leo, affidandone l’accoglimento a due motivi sostenuti con memoria; resiste
con controricorso la società Marchese Coccapani.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il
ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1945, 1949,
1950, 1953, 1955 c.c., 37 L. Camb. ,
28 e 30 R.D. 1736/1933 in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c; nel caso
di specie – sostiene – mediante la sottoscrizione dei titoli è stato garantito
l’adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di fornitura di merce
intercedente fra la società Marchese Coccapani e la società Supermek; avendo il
sottoscrittore partecipato al rapporto fondamentale, non v’è dubbio che il
rapporto di garanzia abbia avuto natura fideiussoria; una tale natura è, del
resto, provata, indipendentemente dal "nomen iuris" adoperato,
dall’avere la società creditrice preteso la sottoscrizione dei titoli da parte
di esso ricorrente; ne deriva che debbono ricevere applicazione le norme
relative alla fideiussione e particolarmente quelle concernenti le eccezioni
opponibili dal fideiussore; concretamente ad fideiussore è consentito opporre
la causa di estinzione dell’obbligazione principale consistente nel non avere
adempiuto la obbligazione di novare alcuni titoli; tale inadempimento,
contrariamene a quanto ritenuto dalla corte di merito circa la preesistenza
dello stato di dissesto, è all’origine del fallimento della Supermek; la
conclusione sarebbe identica nell’ipotesi inversa in quanto in tale ipotesi la
società Marchese Coccapani avrebbe agito con dolo, tacendo la situazione della
Supermek, e tanto avrebbe legittimato l’avallante alle eccezioni del debitore
principale.
2. Con il secondo motivo il ricorrente
lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c.,
230, 244, 346 c.p.c, nonché omessa ed insufficiente motivazione circa punto
decisivo della controversia (art. 360, nn. 3, 4 e 5, c.p.c); la corte di merito
– deduce – non ha tenuto conto della documentazione prodotta dalla quale emerge
il coinvolgimento di esso; ricorrente nel rapporto
causale e la natura fideiussoria della garanzia; a causa della mancata
riassunzione del giudizio risarcitorio intrapreso dalla debitrice principale,
società Supermek, nei confronti della società creditrice, Marchese Coccapani, è
rimasta carente di prova l’inosservanza degli accordi intervenuti fra
creditrice, debitrice e garante con l’effetto che ne è risultata gravemente
compromessa la posizione di quest’ultimo il quale non ha potuto liberarsi della
garanzia prestata; la corte anzidetta avrebbe dovuto ammettere le prove
richieste invece di ritenerle irrilevanti ed inammissibili; in particolare le
prove sono rilevanti, tendendo a dimostrare l’esistenza di fatti estintivi
dell’obbligazione di garanzia; esse sono inoltre ammissibili perché è
sufficiente che la parte le richiami in grado di appello e, cioè, le riproponga
"per relationem", come è avvenuto nella specie, mentre non comporta
inammissibilità la circostanza che la parte non abbia indicato le generalità
dei testi, giacché si è avvalsa della facoltà di chiedere termine a questo fine
ed il giudice non ha provveduto sulla richiesta, sicché deve ritenersi che
abbia procrastinato il termine fino al giorno dell’assunzione.
3. I motivi, da esaminare in un
contesto unitario per l’evidente connessione, non possono trovare accoglimento.
3.1. La
giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che non basta che sia
prestato l’avallo perchè sussista la fideiussione, a questo fine occorrendo la
dimostrazione – che può essere fornita con ogni mezzo, non escluse le
presunzioni) – che l’avallante si è obbligato anche in qualità di fideiussore
mediante un’espressa manifestazione di volontà ai sensi dell’art. 1937 c.c. (ex
plurimis Cass. 11.9.1997, n. 8971; Cass. 10.10.1994, n. 8471); ove, peraltro,
tale dimostrazione sia fornita, si cumulano nel medesimo soggetto le
obbligazioni di fideiussore ed avallante e risulta interamente applicabile la
disciplina della fideiussione.
Considerato che, pur costituendo,
al pari della fideiussione, un’obbligazione di garanzia, l’avallo se ne
distingue per i caratteri di letteralità, astrattezza ed autonomia che lo
connotano, generalmente si esclude che all’avallo sia indiscriminatamente
applicabile la disciplina della fideiussione e si ritiene che la detta
disciplina sia applicabile nei limiti in cui risulta compatibile con gli
indicati caratteri (Cass. 7.5.1998, n. 4618); con la precisazione che
l’interprete deve tenere conto che la specificità dell’avallo consiste nel
costituire un vincolo giuridico esente da qualsiasi nesso con quello assunto
dall’avallato.
Così questa Corte ha ritenuto che
all’avallo si applica la norma dell’art. 1955 c.c. sul
rilievo che l’obbligo del creditore di conservare le garanzie sia personali che
reali e la conseguente responsabilità di fronte all’avallante, oltre a trovare
riscontro nei principi generali in materia di garanzia personale, si collegano
nella specifica materia cambiaria al principio di cui all’art. 66 L. camb. che
pone a carico del portatore l’obbligo di adempiere le formalità necessarie per
conservare al debitore le azioni di regresso (Cass. 8.6.1976, n. 2090, in motivazione).
Naturalmente,
perché si verifichi la liberazione per fatto del creditore prevista dall’art.
1955 c.c. occorre che il creditore con il proprio comportamento abbia causato
al garante un pregiudizio giuridico e non soltanto economico – materiale ossia
la perdita del diritto di surrogazione (art. 1949 c.c.) o di regresso (art.
1950 c.c.) e non la maggiore difficoltà di attuarlo per la diminuita
consistenza del patrimonio del debitore; più precisamente occorre che il
creditore abbia omesso l’esplicazione di un’attività che gli impongono la legge
o il contratto al fine specifico di rendere giuridicamente possibile la surroga
o il regresso (Cass. 21.1.2000, n. 675; Cass. 5.3.1999, n. 1870).
Più in generale questa Corte ha
ritenuto che l’avallante, al pari di ogni debitore cambiario, può opporre al possessore della cambiale o dell’assegno
circostanze riconducibili al contenuto dell’"exceptio doli", come
l’eccezione di estinzione per pagamento del debito principale nel caso in cui
la cambiale non ha circolato o il possessore di essa sia lo stesso nei cui
confronti l’avallato ha estinto l’obbligazione (Cass. 8.6.1976, n. 2090, in motivazione); in
tale caso la controversia esula dai confini del rapporto cambiario ed investe
il rapporto extracartolare.
3.2. Nella specie la corte di
merito ha affermato che i fatti dedotti a fondamento dell’opposizione sono
privi di riscontro probatorio e l’affermazione è idonea a sorreggere la
decisione impugnata, mentre è inammissibile la censura secondo la quale i fatti
sono provati per l’assorbente ragione che non risultano indicate, come
avrebbero dovuto, le risultanze processuali dalle quali la prova emerge (Cass.
12.5.2005, n. 9954; Cass. 23.9.2004, n. 19138).
In questa ottica perde importanza
il ragionamento svolto dalla corte di merito in relazione alle eccezioni
opponibili all’avallante; ragionamento che, peraltro, è coerente con la
giurisprudenza di questa Corte tranne che per quanto concerne la questione
dell’opponibilità dell’"exceptio doli" nei limiti e con le
particolarità sopra segnalati.
3.3. La doglianza relativa alla
richiesta di prova è inammissibile in quanto il ricorrente non ha indicato le
circostanze di fatto che formano oggetto della prova, riportandole almeno
sommariamente, se non specificamente, in modo da consentire in questa sede il
controllo di decisività (ex plurimis Cass. 22.7.2004, n. 13730).
3.4. Rimangono assorbiti i
rimanenti profili della censura.
4. In conclusione il ricorso
è rigettato con condanna del ricorrente alle spese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente alle spese liquidate in euro 5100, di cui euro 5000 per
onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.