Penale
La disciplina del reato di abuso di informazioni privilegiate (insider trading) non è incostituzionale
La disciplina del reato di abuso di informazioni
privilegiate (insider trading) non è incostituzionale
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
Presidente: Valerio ONIDA;
Giudici: Calo
MEZZANOTTE, Guido NEPPI
MODONA, Piero Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI,
Franco BILE, Giovanni
Maria FLICK,
Francesco AMIRANTE, Ugo
DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO,
Alfonso QUARANTA, Franco GALLO;
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimita’ costituzionale
dell’art. 180 del decreto
legislativo 24 febbraio
1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai
sensi degli articoli 8
e 21
della legge 6 febbraio
1996, n. 52) e dell’art. 3, comma 1,
lettera
c), ultima parte,
della legge 6 febbraio
1996, n. 52
(Disposizioni per
l’adempimento di obblighi
derivanti
dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunita’ europee
– legge
comunitaria 1994),
promossi con ordinanze
del 10 giugno 2003 del
Tribunale di Siracusa nel
procedimento penale a carico di M. C. S. ed
altri e
del 6 ottobre 2003 del Tribunale di Roma nel procedimento
penale a
carico di G. C. ed altri, rispettivamente iscritte al n. 658
del
registro ordinanze 2003 ed al n. 48 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
36, 1a serie
speciale,
dell’anno 2003 e n. 9, 1a serie speciale, dell’anno 2004.
Visti l’atto
di costituzione di M.
C. S. nonche’ gli atti di
intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 16 novembre 2004 e nella camera
di consiglio del 17 novembre 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria
Flick;
Uditi l’avvocato Enzo Musco per M. C. S. e
l’avvocato dello Stato
Oscar Fiumara per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con le
due ordinanze, di
analogo tenore, indicate in
epigrafe il
Tribunale di Siracusa
ed il Tribunale di Roma hanno
sollevato
questioni di legittimita’ costituzionale:
a) dell’art. 180 del
decreto legislativo 24 febbraio 1998,
n.
58 (Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione
finanziaria, ai
sensi degli articoli 8 e 21 della
legge 6 febbraio
1996, n. 52), in riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma, della
Costituzione, nella
parte in cui, nel prevedere il delitto di abuso
di informazioni privilegiate
(insider trading), «non
contiene
parametri sufficientemente determinati
per stabilire quando
l’influenza sul
prezzo dei titoli
determinata dalla condotta
incriminata
debba considerarsi "sensibile"»;
b) del
medesimo art. 180 del
d.lgs. n. 58 del 1998, in
riferimento all’art. 76
della Costituzione, nella
parte in cui
commina, per
il suddetto delitto,
una pena superiore
a quella
indicata nella legge delega 6 febbraio 1996, n. 52
(Disposizioni per
l’adempimento di
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle Comunita’
europee – legge
comunitaria 1994); ovvero
– in
alternativa –
dell’art. 3, comma 1, lettera c), ultima parte, della
citata legge
n. 52 del 1996, in riferimento
agli artt. 25, secondo
comma, e
76 della Costituzione, nella parte in cui non
stabilisce
l’entita’ della
pena che il
legislatore delegato avrebbe
dovuto
comminare per le violazioni omogenee e di pari
offensivita’ rispetto
a quelle gia’ disciplinate da leggi vigenti,
tra le quali rientra il
reato di
insider trading.
I giudici a quibus – investiti di processi penali nei
confronti
di persone
imputate del reato di cui
all’art. 180 del d.lgs. n. 58
del 1998 –
rilevano come tale
articolo, al comma 3,
definisca
l’«informazione privilegiata», cui
si riferiscono gli
abusi
penalmente repressi,
come «un’informazione specifica di contenuto
determinato, di
cui il pubblico non dispone,
concernente strumenti
finanziari o
emittenti di strumenti
finanziari, che, se
resa
pubblica,
sarebbe idonea a influenzarne sensibilmente il prezzo».
Ad avviso dei
rimettenti, tale formula
normativa non
individuerebbe in
modo preciso la fattispecie criminosa astratta,
cosi’ da
consentire all’interprete, nel ricondurre ad essa un’ipotesi
concreta, di
esprimere un giudizio
di corrispondenza sorretto da
fondamento controllabile: e
cio’ avuto riguardo
segnatamente al
requisito dell’idoneita’ dell’informazione, una volta
resa pubblica,
ad
influenzare «sensibilmente» il prezzo.
Se e’
vero, infatti, che spesso le
norme penali si limitano ad
una descrizione
«elastica» del precetto per
realizzare nel miglior
modo possibile
l’esigenza di una
previsione tipica dei
fatti
costituenti reato,
tale tecnica d’intervento
non potrebbe pero’
spingersi fino
al punto di
rendere indeterminata la
condotta
penalmente rilevante.
Nell’ipotesi in esame,
il legislatore non
poteva, in
effetti, predeterminare tutte le
informazioni idonee ad
influenzare il prezzo dei titoli; ma avrebbe dovuto
comunque fornire
all’interprete adeguati parametri, onde permettergli di
stabilire in
quali casi
l’impatto dell’informazione sul
mercato finanziario –
tenuto conto di tutte le altre variabili esistenti
al momento in cui
l’agente
si e’ avvalso dell’informazione stessa – potesse determinare
una variazione
«sensibile» dei corsi.
L’incertezza conseguente
all’assenza di
tali indicazioni impedirebbe,
per contro, di
distinguere a priori i comportamenti leciti da quelli
illeciti, onde
l’agente saprebbe
di aver commesso
un reato solo
a seguito
dell’interpretazione operata
dal giudice sulla
base di una
valutazione
del tutto discrezionale.
Sotto tale profilo, la norma incriminatrice
si porrebbe dunque in
contrasto tanto
con il principio
di tassativita’ dell’illecito
penale,
di cui all’art. 25, secondo comma, Cost. quanto con quello di
uguaglianza, di
cui all’art. 3 Cost.,
che rimarrebbe in specie
vulnerato dai
contrastanti apprezzamenti
giurisprudenziali indotti
dalla
«vaghezza» della norma stessa.
La questione sarebbe,
d’altra parte, rilevante nei giudizi a
quibus,
in quanto una eventuale pronuncia di accoglimento inciderebbe
direttamente sulla valutazione della
condotta degli imputati, la
quale, «parametrata
a criteri precisi», potrebbe non
costituire il
delitto
contestato.
I rimettenti rilevano,
per altro verso, che l’art. 3, comma 1,
lettera
c), della legge delega n. 52 del 1996 –
legge sulla cui base
il
d.lgs. n. 58 del 1998 e’ stato emanato – attribuiva al
legislatore
delegato, in
deroga ai limiti
precedentemente posti dalla stessa
norma, la facolta’ di stabilire, per le infrazioni
alle disposizioni
dei decreti
legislativi ivi indicati,
sanzioni penali o
amministrative «identiche»
a quelle gia’
comminate dalle leggi
vigenti per
violazioni omogenee e di pari
offensivita’. Con la
formula «sanzioni
identiche» – di per
se’ non univoca, secondo i
giudici a
quibus – il
legislatore delegante avrebbe
potuto
alternativamente intendere, quanto al reato in questione, o
una pena
uguale, sia
per genere che
per entita’, a
quella comminata
dall’art.
2 della
legge 17 maggio 1991, n.
157 (Norme relative
all’uso di
informazioni riservate nelle
operazioni in valori
mobiliari e alla
Commissione nazionale per le societa’ e la borsa),
che in
precedenza disciplinava l’insider
trading, vale a dire la
reclusione fino
ad un anno e la multa fino a lire
trecento milioni
(recte: da
lire dieci milioni a lire
trecento milioni); oppure una
pena uguale
esclusivamente nel genere,
e non pure nel quantum, a
quella
ora indicata.
Nel primo
caso, peraltro, l’art. 180 del
d.lgs. n. 58 del 1998
violerebbe l’art. 76
Cost. per eccesso
di delega, avendo
il
legislatore delegato stabilito una pena – reclusione fino
a due anni
e multa fino a lire seicento milioni (recte: da
lire venti milioni a
lire seicento
milioni) – superiore a quella
fissata dalla legge di
delegazione. Nel secondo caso, sarebbe invece la citata disposizione
della legge
n. 52 del 1996 a porsi in
contrasto con gli artt. 76 e
25, secondo comma, Cost., per non aver stabilito il
quantum di pena
con cui
sanzionare le violazioni
considerate, con conseguente
indeterminatezza
del criterio di delega.
Anche tale
seconda questione sarebbe
rilevante nei giudizi a
quibus, stante
l’incidenza che il suo
accoglimento avrebbe sulla
valutazione
della condotta degli imputati.
2. –
In ambedue i giudizi di costituzionalita’ e’
intervenuto il
Presidente del
Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale
dello Stato, il
quale ha chiesto che le
questioni
siano dichiarate non fondate.
Quanto alla
prima questione –
dopo aver ricordato
come la
pressoche’ costante
giurisprudenza
costituzionale abbia ritenuto
legittimo il
ricorso del legislatore
a concetti «elastici» nella
definizione
delle
fattispecie di reato, sul rilievo che ogni norma,
in quanto
descrittiva di fattispecie astratte, sconta comunque un
margine di
indeterminatezza
nell’individuazione dei
comportamenti
concreti da
sussumere in essa
– la difesa erariale osserva come
l’esigenza di
determinatezza dell’illecito penale
si connoti in
maniera diversa
a seconda degli
elementi di fattispecie presi in
considerazione. Conformemente a quanto affermato da questa
Corte con
la
sentenza n. 247 del 1989, essa si porrebbe ad un livello piu’ alto
rispetto agli
elementi costitutivi, ossia a quelli che concorrono a
definire il
discrimine tra il lecito e l’illecito: elementi tra i
quali
non potrebbe peraltro annoverarsi il dato quantitativo espresso
nell’art.
180 del d.lgs.
n. 58 del 1998
dall’avverbio
«sensibilmente». Nella specie, difatti, il comportamento vietato e
riprovevole –
espressivo del contenuto
offensivo tipico della
fattispecie, posta
a tutela del
corretto funzionamento, della
trasparenza e
della credibilita’ del mercato –
consisterebbe nello
sfruttamento di
un’informazione di cui il pubblico non dispone, con
la consapevolezza che
tale informazione, se resa pubblica, sarebbe
idonea ad
influenzare il prezzo
dello strumento finanziario di
riferimento. L’elemento quantitativo, inerente
al carattere
«sensibile» di
tale influenza, si
limiterebbe, per converso, ad
assolvere una
funzione di «filtro selettivo», che, senza incidere
sulla «dimensione intrinsecamente lesiva» del
fatto, ne connota solo
la gravita’,
segnando il punto
a partire dal quale l’intervento
punitivo
e’ ritenuto opportuno.
Col prevedere l’elemento
in questione, d’altro
canto, il
legislatore nazionale
si sarebbe doverosamente
allineato alla
definizione di
informazione privilegiata posta
in sede comunitaria
dall’art.
1 della
direttiva n. 89/592/CEE, ed ora
riprodotta nella
direttiva 2003/6/CE sugli abusi di mercato: direttiva,
quest’ultima,
che, secondo
quanto si legge nel
«considerando» n. 44, «rispetta i
diritti fondamentali
e osserva i
principi riconosciuti … dalla
Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione
europea», la quale,
all’art.
49, sancisce a
sua volta i principi della legalita’ e
proporzionalita’
dei reati e delle pene.
Se e’ vero, inoltre, che, in assenza di
riferimenti numerici, la
valenza dell’elemento
in parola appare prima facie sfuggente, pur
tuttavia, legare
tale insopprimibile (proprio
perche’ imposto a
livello
comunitario) riferimento quantitativo ad un dato percentuale,
avrebbe reso
praticamente impossibile il giudizio sull’idoneita’ ex
ante dell’informazione ad
alterare il prezzo del valore mobiliare:
giacche’, ove
la «prognosi postuma»
dovesse «coprire» anche un
preciso valore
numerico, essa rimarrebbe
«confinata nel regno
dell’irrealta». Il ricorso ad una clausola «flessibile»
sarebbe reso
ineluttabile anche dalla natura eminentemente relativa
della nozione
di
«influenza sensibile», strettamente collegata alle caratteristiche
dello strumento
finanziario al quale
la notizia privilegiata si
riferisce: rispetto
ad un titolo
relativamente stabile, infatti,
anche una
variazione di pochi
punti percentuali potrebbe essere
considerata significativa; mentre
rispetto ad uno
strumento
finanziario «fisiologicamente» soggetto
ad oscillazioni,
difficilmente
si potrebbe giungere alla medesima conclusione.
La valutazione in
ordine alla capacita’ dell’informazione di
incidere sensibilmente
sul corso di un dato strumento finanziario
potrebbe giovarsi,
per altro verso,
di «consolidate regole
di
esperienza». Al riguardo, verrebbe
segnatamente in rilievo
la
disposizione dell’art. 114, comma 1, primo periodo, del
d.lgs. n. 58
del 1998, la quale – ponendosi come una sorta di
pendant della norma
impugnata
– stabilisce che «gli emittenti quotati e i soggetti che li
controllano informano
il pubblico dei fatti che accadono nella loro
sfera di
attivita’ e in quella delle societa’ controllate, non di
pubblico dominio
e idonei, se
resi pubblici, a
influenzare
sensibilmente il
prezzo degli strumenti
finanziari». Sulla base di
tale prescrizione
– oltre che delle specificazioni
fornitene dalla
CONSOB nell’esercizio delle
sue prerogative – le societa’
quotate
pubblicano quotidianamente una
molteplicita’ di informazioni,
generando cosi’
prassi alle quali l’interprete potrebbe utilmente
attingere nell’effettuazione dell’apprezzamento di cui
si tratta;
senza considerare,
poi, che sul
legame tra le informazioni e le
variazioni del
prezzo degli strumenti
finanziari esiste una
«copiosissima» letteratura
economico-finanziaria.
Quanto alla
seconda questione, attinente al regime sanzionatorio
della fattispecie, la difesa erariale osserva come
la riformulazione
delle disposizioni
in tema di insider trading e la determinazione
delle relative
sanzioni – contrariamente a
quanto ritenuto dai
giudici rimettenti – non dovessero uniformarsi ai
principi e criteri
direttivi di cui
all’art. 3, comma 1, lettera c), della legge n. 52
del 1996.
Tali principi e
criteri si riferiscono,
infatti, ai
«decreti legislativi di cui
all’articolo 1» della legge delega, ossia
ai decreti
legislativi di attuazione
delle direttive comunitarie
comprese
nell’elenco di cui all’allegato A della legge stessa, tra le
quali
non figura la direttiva 89/592/CEE, gia’ in precedenza recepita
con la
legge n. 157 del
1991. La disciplina dell’insider trading
presente nel
d.lgs. n. 58 del
1998 si fonderebbe
piuttosto
sull’art.
8 della
legge n. 52 del 1996, nella parte in cui delegava
il Governo
ad emanare testi
unici delle disposizioni dettate
in
attuazione
della delega prevista dall’art. 1, coordinando con esse le
norme vigenti
nelle stesse materie ed apportando a queste ultime le
integrazioni
e le modificazioni necessarie al predetto coordinamento;
nonche’ sull’art. 21
della medesima legge, che al comma 3 prevedeva
che – in sede di riordinamento normativo, a norma
dell’art. 8, delle
materie concernenti
gli intermediari, i
mercati finanziari e
mobiliari e
gli altri aspetti
comunque connessi – le
sanzioni
amministrative e penali potessero essere «coordinate con
quelle gia’
comminate da
leggi vigenti in
materia bancaria e creditizia per
violazioni
che siano omogenee e di pari offensivita».
In ogni
caso, anche l’art. 3, comma 1,
lettera c), della legge
n.
52 del 1996 prevedeva che si
stabilissero, per le infrazioni alle
disposizioni dei
decreti legislativi, sanzioni
penali o
amministrative
identiche a quelle eventualmente comminate dalle leggi
vigenti per
violazioni omogenee e di
pari offensivita’. La legge
delega,
pertanto – nel conferire al legislatore delegato il potere di
riordinare
l’intera materia dei reati relativi al mercato finanziario
– avrebbe rimesso,
per l’un verso
o per l’altro,
allo stesso
legislatore delegato la concreta determinazione del
quantum di pena:
e cio’
in un’ottica di armonizzazione tra sanzioni similari destinate
a «convivere» all’esito dell’adozione dei
decreti delegati; non gia’
tra sanzioni
destinate a «succedersi» tra loro
in relazione ad una
medesima
fattispecie di reato, com’e’ per quelle comminate in tema di
insider trading,
dapprima dall’art. 2 della legge n. 157 del 1991 e
poi
dall’art. 180 del d.lgs. n. 58 del 1998.
Lo stesso art. 2 della precedente legge,
d’altra parte – se pure
fissava in via
generale, nel comma 5, la pena della reclusione fino
ad un
anno e della
multa da lire dieci milioni a lire trecento
milioni
– prevedeva, nei commi 3 e 7, il raddoppio di tale pena per i
reati commessi
da azionisti di controllo, amministratori e soggetti
similari, nonche’
da ministri e
sottosegretari di Stato
in
particolari circostanze.
Nel riordino operato dal testo unico del
1998, essendo scomparse tali figure speciali di insider
trading, la
pena sarebbe
stata unificata al livello piu’
alto, in un’ottica di
omogeneizzazione di
indiscutibile competenza del
legislatore
delegato.
3. –
Nel giudizio di costituzionalita’ promosso dal Tribunale di
Siracusa si e’ altresi’ costituito M. C. S., imputato
nel processo a
quo, il
quale ha chiesto, preliminarmente, che questa Corte sollevi
innanzi a
se’ questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 3
della legge
n. 52 del 1996
in riferimento agli artt. 25, secondo
comma, e
76 Cost., conformemente
all’eccezione gia’ sollevata
nell’ambito del
giudizio principale e
ritenuta manifestamente
infondata dal
giudice rimettente. Ad avviso della parte privata,
l’assoluta genericita’
della delega legislativa
avrebbe infatti
«lacerato» il necessario rapporto
tra potere esecutivo e legislativo,
affidando al
primo scelte di
criminalizzazione di esclusiva
competenza
del secondo.
Quanto al resto, la parte privata insta per
l’accoglimento delle
questioni
di costituzionalita’ sollevate dal giudice a quo.
Considerato in diritto
1. – I Tribunali di
Siracusa e di Roma, con ordinanze di tenore
pressoche’ identico,
sollevano due questioni
di legittimita’
costituzionale inerenti
alla disciplina del
reato di abuso
di
informazioni
privilegiate (insider trading).
I giudici rimettenti dubitano, in primo
luogo, della legittimita’
costituzionale, in
riferimento agli artt. 3 e 25, secondo comma,
Cost., dell’art. 180 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n.
58, nella parte
in cui
– nel definire
l’«informazione
privilegiata» come
«un’informazione specifica di
contenuto determinato, di cui il
pubblico
non dispone, concernente strumenti finanziari o emittenti di
strumenti finanziari,
che, se resa
pubblica, sarebbe idonea ad
influenzarne sensibilmente
il prezzo» – «non contiene parametri
sufficientemente determinati
per stabilire quando l’influenza sul
prezzo dei
titoli determinata dalla
condotta incriminata debba
considerarsi
"sensibile"».
In assenza, infatti, di specifiche indicazioni riguardo
ai casi
nei quali
l’impatto dell’informazione sul
mercato finanziario –
tenuto conto di tutte le altre variabili esistenti
al momento in cui
l’agente si
e’ avvalso dell’informazione
stessa – puo’ determinare
una variazione
«sensibile» dei corsi,
la fattispecie criminosa
astratta non
risulterebbe descritta in
modo preciso, cosi’
da
consentire all’interprete, nel
ricondurre ad essa
un’ipotesi
concreta, di
esprimere un giudizio
di corrispondenza sorretto da
fondamento controllabile. In tale
situazione di incertezza, non
sarebbe dunque possibile distinguere a priori i
comportamenti leciti
da quelli illeciti, onde l’agente saprebbe di
aver commesso un reato
solo a
seguito dell’interpretazione operata dal giudice sulla base di
una
valutazione del tutto discrezionale: con conseguente vulnus tanto
del principio di determinatezza della fattispecie
incriminatrice che
del principio
di uguaglianza, quest’ultimo in
rapporto ai
contrastanti
apprezzamenti giurisprudenziali indotti dalla «vaghezza»
della
norma.
I giudici a
quibus censurano, in
secondo luogo, il regime
sanzionatorio della
fattispecie, ventilando alternativamente o un
vizio di eccesso di delega (art. 76 Cost.) dello
stesso art. 180 del
d.lgs. n. 58
del 1998; ovvero la violazione degli artt. 25, secondo
comma, e 76
Cost. ad opera dell’art. 3, comma 1, lettera c), ultima
parte, della
legge delega 6 febbraio 1996, n. 52.
Quest’ultima disposizione – osservano i rimettenti – attribuiva
al legislatore
delegato la facolta’ di stabilire
sanzioni penali o
amministrative «identiche»
a quelle gia’
comminate dalle leggi
vigenti, per violazioni omogenee e di pari
offensivita’. Il concetto
di «identita»
delle sanzioni – in
assunto non univoco – potrebbe
essere peraltro
interpretato, quanto al reato in
questione, in due
modi diversi.
Si potrebbe ritenere,
cioe’, da un
lato, che il
legislatore delegante
intendesse riferirsi ad una pena
uguale, sia
per genere
che per entita’,
a quella comminata dall’art. 2 della
legge 17 maggio
1991, n. 157, che in precedenza
disciplinava
l’insider trading
(reclusione fino ad un anno e multa da lire dieci
milioni a lire trecentomilioni): nel qual caso,
tuttavia, l’art. 180
del d.lgs.
n. 58 del 1998 si porrebbe in
contrasto col criterio di
delega, avendo
previsto una pena superiore (reclusione fino a due
anni e
multa da lire venti milioni a lire seicentomilioni).
In alternativa, l’«identita» potrebbe
ritenersi riferita
esclusivamente al
genere, e non anche all’entita’, della sanzione
contemplata dalla
norma anteriore. In questa
ipotesi, sarebbe
peraltro l’art. 3,
comma 1, lettera c), ultima parte, della legge
n.
52 del
1996 a ledere i parametri costituzionali dianzi indicati,
per non
aver stabilito il
quantum di pena con cui reprimere la
violazione de
qua, enunciando, cosi’,
un criterio di
delega
indeterminato.
2. – Stante l’identita’
sostanziale delle questioni sollevate
dalle due
ordinanze di rimessione, i relativi giudizi vanno riuniti
per
essere definiti con un’unica decisione.
3.1.
– La prima
questione, sollevata da
entrambi i giudici
rimettenti,
e’ inammissibile.
Nel denunciare un
difetto di determinatezza della
figura
criminosa di
cui all’art. 180 del d.lgs. n. 58 del 1998, connesso
alla genericita’
del requisito dell’idoneita’ dell’informazione
privilegiata ad
influenzare «sensibilmente» il
prezzo di strumenti
finanziari, i
giudici rimettenti non chiedono, tuttavia, ne’ che la
Corte rimuova, dalla
descrizione della fattispecie penale, il solo
avverbio
«sensibilmente» (intervento che, peraltro, determinerebbe un
effetto in
malam partem, dilatando
il perimetro di operativita’
dell’incriminazione); ne’,
in senso opposto, che la Corte
cancelli
nella
sua interezza la norma incriminatrice censurata.
Come emerge
non soltanto dal
dispositivo delle ordinanze di
rimessione, ma
anche dalla motivazione
in punto di rilevanza, i
giudici a
quibus invocano piuttosto
l’addizione, alla formula
definitoria dell’«informazione privilegiata», di «parametri» atti a
rendere piu’
puntuale e sicura l’identificazione dell’elemento di
fattispecie in
discorso. La rilevanza della
questione nel giudizio
principale, infatti, discenderebbe – secondo quanto si
afferma nelle
predette ordinanze
– non gia’
dalla circostanza che, in caso di
pronuncia di accoglimento, gli imputati dovrebbero
essere senz’altro
assolti (come
ovviamente avverrebbe qualora
si fosse chiesta la
rimozione dell’intera
norma incriminatrice); quanto piuttosto dal
fatto che,
ove la questione venisse accolta, la condotta
ascritta
agli
imputati medesimi – valutata alla stregua di «criteri precisi» –
«potrebbe non integrare il
delitto loro contestato».
I giudici rimettenti non specificano
peraltro in alcun modo quali
siano,
in concreto, i «parametri sufficientemente determinati» di cui
essi auspicano
l’introduzione: postulando, cosi’, una operazione di
«riempimento» dei
contenuti della norma
che – al di la’ di ogni
rilievo
circa la validita’ delle censure su cui il quesito si fonda –
si palesa
comunque estranea, per il suo
carattere apertamente
«creativo», ai
poteri di questa
Corte, rimanendo eventualmente
affidata
alla discrezionalita’ del legislatore.
A quest’ultimo riguardo, va rilevato come la disciplina
oggetto
dello scrutinio
di costituzionalita’ appaia in effetti destinata ad
essere rivista
nell’immediato dal legislatore – anche per l’aspetto
che specificamente interessa
in questa sede
– nel quadro
dell’attuazione di due direttive comunitarie: la direttiva
2003/6/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 28
gennaio 2003, relativa
all’abuso di
informazioni privilegiate e alla manipolazione del
mercato (abusi
di mercato), che sostituisce ed
abroga la direttiva
89/592/CEE, in
attuazione della quale
la disciplina dell’insider
trading era stata originariamente introdotta nel
nostro ordinamento;
nonche’ la
direttiva 2003/124/CE della
Commissione del 22 dicembre
2003, recante modalita’ di esecuzione di essa.
Infatti, mentre
l’art. 1, numero 1, della direttiva 2003/6/CE
contiene una
nuova definizione dell’«informazione privilegiata»,
peraltro non
troppo dissimile, nella
sostanza, da quella
gia’
presente nella
direttiva 89/592/CEE; l’art. 1
della direttiva
2003/124/CE – nella specifica prospettiva di
«accrescere la certezza
del diritto
per i partecipanti
al mercato» (v. il «considerando»
n.
3) –
reca, a sua
volta, indicazioni complementari
intese a
puntualizzare ulteriormente
la definizione suddetta, sia per quanto
attiene al
«carattere preciso» della
notizia, sia per quel che
riguarda
il requisito dell’«importanza del suo impatto potenziale sui
prezzi degli
strumenti finanziari o
degli strumenti derivati
connessi». E, in
correlazione a tali previsioni, la modifica della
disposizione censurata
e’ gia’ di
fatto prevista nel progetto di
legge comunitaria per il 2004, in corso di
approvazione da parte del
Parlamento.
3.2. – La
seconda questione, anch’essa
sollevata da entrambi i
rimettenti,
e’ manifestamente inammissibile.
Anche a voler prescindere, infatti, dalla
prospettazione in forma
ancipite del
quesito – che gia’ di per se’
costituirebbe motivo di
inammissibilita’, alla
stregua della costante
giurisprudenza di
questa Corte
(cfr., ex plurimis, ordinanze n.
128, n. 159 e n. 299
del 2003)
– e’ dirimente il rilievo che il quesito stesso poggia su
un erroneo
presupposto interpretativo: quello,
cioe’, che la
disciplina dell’abuso
di informazioni privilegiate
contenuta nel
d.lgs. n. 58
del 1998 sia stata emanata sulla
base della delega di
cui all’art. 1,
e quindi dei
principi e criteri direttivi di cui
all’art.
3, comma 1, lettera c), della legge n. 52 del 1996.
La citata
legge delega prevedeva,
in realta’, un intervento
normativo, nel
settore degli intermediari e dei mercati finanziari,
articolato
in due fasi successive. Essa delegava anzitutto il Governo
a dare
attuazione al complesso
di direttive comunitarie comprese
nell’allegato A
alla legge stessa (art. 1):
direttive tra le quali
non figurava
la direttiva 89/592/CEE
del 13 novembre 1989, sul
coordinamento
delle normative concernenti le operazioni effettuate in
possesso di
informazioni privilegiate (insider
trading), per
l’evidente ragione
che essa era
gia’ stata in precedenza attuata
dalla legge
n. 157 del 1991. Nell’allegato erano invece comprese le
direttive
93/6/CEE e 93/22/CEE, relative, rispettivamente, ai servizi
di investimento
nel settore dei valori mobiliari
e all’adeguatezza
patrimoniale delle
imprese di investimento e degli
enti creditizi:
direttive
la cui attuazione – ai sensi del comma 2 dell’art. 21 della
legge delega,
che dettava i principi e criteri
direttivi specifici
per la
materia – doveva avvenire nel termine di centoventi
giorni
dall’entrata in
vigore della legge
stessa (termine piu’ breve di
quello
generale di un anno stabilito dall’art. 1).
E’ solo
a tale prima
fase – sfociata nel decreto legislativo
23 luglio 1996,
n. 415 (Recepimento della direttiva 93/22/CEE del
10 maggio 1993
relativa ai servizi di
investimento nel settore dei
valori mobiliari
e della direttiva
93/6/CEE del 15 marzo
1993
relativa
all’adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e
degli enti
creditizi), cui la disciplina dell’abuso di informazioni
privilegiate rimaneva
affatto estranea – che si riferiscono, in
effetti, i
principi e criteri
direttivi in materia sanzionatoria
enunciati dall’art. 3, comma 1, lettera c), della legge
delega: cio’
desumendosi
chiaramente dall’alinea dello stesso art. 3, in forza del
quale i principi e criteri in questione erano
destinati a presiedere
all’emanazione
dei «decreti legislativi di cui all’articolo 1».
L’art. 8 della legge
delega affidava, per
altro verso,
all’esecutivo
il distinto compito di emanare – nel piu’ ampio termine
di due
anni – testi
unici volti a
coordinare le disposizioni
attuative delle
direttive comunitarie con le
norme vigenti nelle
stesse materie,
apportando a queste
ultime «le integrazioni
e
modificazioni necessarie
al predetto coordinamento». Con
specifico
riferimento alle
citate direttive 93/6/CEE e 93/22/CEE,
l’art. 21,
comma
3, della
legge delega prevedeva
altresi’ che «in sede di
riordinamento
normativo delle materie concernenti gli intermediari, i
mercati
finanziari e mobiliari e gli altri aspetti comunque connessi,
cui si
provvedera’ ai
sensi dell’articolo 8, le
sanzioni
amministrative e
penali potranno essere coordinate
con quelle gia’
comminate da
leggi vigenti in
materia bancaria e creditizia per
violazioni
che siano omogenee e di pari offensivita», salvi possibili
interventi di
depenalizzazione nei limiti ivi indicati; mentre il
successivo comma 4
dello stesso articolo
abilitava il Governo a
modificare, nella
medesima sede, la
disciplina delle societa’
emittenti titoli
sui mercati regolamentati, secondo
criteri di
rafforzamento della
tutela del risparmio
e degli azionisti
di
minoranza. Ed e’
in base a
questa seconda e
distinta delega
legislativa – non sovrapponibile nei contenuti alla
prima, anche per
quanto concerne
i profili di
ordine sanzionatorio – che e’ stato
emanato il
testo unico delle
disposizioni in materia
di
intermediazione finanziaria,
di cui al d.lgs. n. 58 del 1998, nel
quale la
disciplina dell’abuso delle informazioni privilegiate ha
trovato posto
quale materia indubbiamente
concernente «i mercati
finanziari
e mobiliari».
L’erronea premessa normativa, sulla quale
si basa la questione di
costituzionalita’,
viene dunque a risolversi, quanto alla prima delle
due censure
formulate in via alternativa dai giudici rimettenti –
l’asserita illegittimita’ costituzionale dell’art. 180
del d.lgs.
n.
58 del
1998, per violazione dell’art. 76 Cost. – in una errata
individuazione della
norma della legge
di delegazione, alla cui
stregua dovrebbe
essere verificato il supposto
vizio di eccesso di
delega; e,
quanto alla seconda
censura – la
pretesa
illegittimita
costituzionale dell’art. 3, comma 1, lettera c), ultima
parte, della
legge n. 52 del 1996, per violazione degli artt. 25,
secondo comma,
e 76 Cost.
– nell’impugnazione di
una norma
inconferente.
Le considerazioni che
precedono escludono, d’altra
parte, che
possa trovare
accoglimento l’istanza della parte privata, con cui
questa Corte
e’ stata sollecitata
a sollevare dinanzi a se’ la
questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 3,
comma 1,
lettera
c), della legge
n. 52 del 1996,
per violazione degli
artt. 25, secondo comma, e 76 Cost., sotto il profilo
della assoluta
genericita’ della
delega in materia penale ivi contenuta, anche per
quel che
concerne le stesse scelte di criminalizzazione: trattandosi,
come detto,
di delega che
non si pone affatto a fondamento della
disciplina
dell’abuso di informazioni privilegiate dettata dal d.lgs.
n. 58
del 1998.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le
questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 180
del decreto legislativo
24 febbraio
1998, n. 58 (Testo
unico delle disposizioni
in materia di
intermediazione finanziaria,
ai sensi degli articoli 8 e 21 della
legge 6
febbraio 1996, n. 52), sollevate, in riferimento agli artt. 3
e 25, secondo comma, della Costituzione, dal
Tribunale di Siracusa e
dal
Tribunale di Roma con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara la
manifesta inammissibilita’ delle
questioni di
legittimita’ costituzionale del
citato art. 180 del
decreto
legislativo n. 58
del 1998, in
riferimento all’art. 76 della
Costituzione, o,
in alternativa, dell’art. 3,
comma 1, lettera c),
ultima parte,
della legge 6 febbraio 1996, n.
52 (Disposizioni per
l’adempimento di
obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia
alle
Comunita’ europee – legge comunitaria 1994), in riferimento agli
artt. 25, secondo comma,
e 76 della
Costituzione, sollevate dal
Tribunale di
Siracusa e dal
Tribunale di Roma
con le medesime
ordinanze.
Cosi’ deciso
in Roma, nella
sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1°
dicembre 2004.
Il Presidente: Onida
Il redattore: Flick
Il cancelliere:Di Paola
Depositata in cancelleria il 14 dicembre
2004.
Il direttore della cancelleria:
Di Paola