Ultimi articoli

Thursday 16 February 2006

La Corte Costituzionale interviene a chiarire la possibilità di applicare il condono edilizio nelle aree vincolate.

La Corte Costituzionale
interviene a chiarire la possibilità di applicare il condono edilizio nelle
aree vincolate.

SENTENZA N. 49

ANNO 2006

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta
dai signori:

– Franco BILE Presidente

– Giovanni Maria FLICK Giudice

– Francesco AMIRANTE “

– Ugo DE SIERVO “

– Romano VACCARELLA “

– Paolo MADDALENA “

– Alfio FINOCCHIARO “

– Alfonso
QUARANTA “

– Franco GALLO “

– Luigi MAZZELLA “

– Gaetano
SILVESTRI “

– Sabino CASSESE “

– Maria Rita SAULLE “

– Giuseppe TESAURO “

ha
pronunciato la seguente

SENTENZA

nei
giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 26, comma 4; 29, comma 2
(e ivi richiamato art. 8, comma 3); 32; 33, commi 1, 2, 3 (eccettuata lettera
d) e 4; 34, commi 1 e 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna
21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività edilizia ed
applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del D.L. 30
settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326); dell’articolo 2, commi 1, 2, 5, lettera c), e 6, della legge della
Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia
straordinaria); dell’articolo 3, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione
Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi); degli
articoli 1, comma 1, limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla
presente legge»; 2, commi 1 e 2; 3, comma 1, della legge della Regione
Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti
edilizi); dell’articolo 3, commi 1, lettere a) e c), e 3, della legge della
Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono
edilizio); degli articoli 19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1,
lettere c), d), e) ed h), e 27, comma 4, della legge della Regione Umbria 3
novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni e
sanatoria in materia edilizia); e degli articoli 1; 3 (eccettuate le lettere b)
e d) del comma 2); 4; 6, commi 1, 2 e 5; 8, della legge della Regione Campania
18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326 di conversione e successive modifiche ed
integrazioni), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri,
notificati il 20, il 27, il 29 dicembre 2004, il 7 e il 13 gennaio 2005 e
depositati in cancelleria il 23, il 30 dicembre 2004 e il 7, l’11 e il 19
gennaio 2005 ed iscritti ai nn. 114 e 115 del registro ricorsi 2004 e ai nn. 2,
3, 7, 8 e 9 del registro ricorsi 2005.

Visti gli atti di costituzione
delle Regioni Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e
Campania;

udito
nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi
gli avvocati Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri,
Giandomenico Falcon e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna, Lucia Bora e
Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Stefano Grassi per la Regione Marche,
Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia, Bruno Barel per la
Regione Veneto, Giovanni Tarantini per la Regione Umbria e Vincenzo Cocozza per
la Regione Campania.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso n. 114 del 2004,
notificato il 20 dicembre 2004 e depositato il 23 dicembre
2004, il Presidente del Consiglio di ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni della
legge regionale dell’Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e
controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui
all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), e segnatamente l’art. 26, comma 4,
l’art. 29, comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l’art. 8, comma 3), l’art.
32, l’art. 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d), l’art.
34, commi 1 e 2 (con esclusione delle lettere b, c ed e del comma 2).

Con ricorso n. 115 del 2004,
notificato il 27 dicembre 2004 e depositato il 30 dicembre
2004, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 2, commi 1,
2, 5 (limitatamente alla lettera c) e 6, della legge della Regione Toscana 20
ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria).

Con ricorso n. 2 del 2005,
notificato il 29 dicembre 2004 e depositato il 7 gennaio 2005, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 3 (eccettuato il comma 4) della
legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli
abusi edilizi).

Con ricorso n. 3 del 2005,
notificato il 29 dicembre 2004 e depositato il 7 gennaio 2005, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, comma 1 (limitatamente alle
parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»), l’art. 2, commi 1 e 2, e
l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31
(Disposizioni regionali in materia di illeciti
edilizi).

Con ricorso n. 7 del 2005,
notificato il 7 gennaio 2005 e depositato in data 11 gennaio 2005, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art 3, commi
1, lettera a) e c), e 3, della legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n.
21 (Disposizioni in materia di condono edilizio).

Con ricorso n.
8 del 2005, notificato il 7 gennaio 2005 e depositato in data 11 gennaio 2005,
il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione
Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza, responsabilità, sanzioni
e sanatoria in materia edilizia), limitatamente all’art. 20, comma 1, lettere
a) e c); all’art. 21, comma 1, lettere c), d) e) ed h); agli artt. 19 e 27, comma 4 (tali ultime due disposizioni sono
impugnate in virtù della loro asserita «connessione” con le altre).

Con ricorso n. 9 del 2005,
notificato il 13 gennaio 2005 e depositato il 19 gennaio
2005, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 1, l’art. 3
(eccettuate le lettere b e d del comma 2), l’art. 4, l’art. 6 (soltanto i commi
1, 2 e 5) e l’art. 8 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10
(Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, articolo 32, così come modificato dalla legge 24 novembre 2003,
n. 326, di conversione e successive modifiche ed integrazioni).

Le disposizioni impugnate, nella
prospettazione del ricorrente, incorrerebbero nella violazione degli artt. 3
(sotto diversificati profili), 42, 81, 97, 117,
secondo comma, lettere a), e), l), s), 117, terzo comma, 119 della
Costituzione, nonché del principio di autonomia degli enti locali.

Inoltre, per ciò che riguarda
tutte le disposizioni impugnate della legge n. 10 del 2004 della Regione
Campania, il ricorrente rileva che questa legge sarebbe stata
emanata il 18 novembre 2004, e dunque quando era oramai scaduto il termine del
12 novembre 2004 stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio
2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191. Pertanto si
dovrebbe verificare la legittimità costituzionale di tutte le disposizioni
impugnate alla luce dell’art. 117, terzo comma, Cost.
e del principio di «leale collaborazione».

2. – In particolare, in relazione alla legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23
del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità
costituzionale:

a) dell’art. 26, comma 4, il
quale dispone che «le opere edilizie autorizzate e realizzate in data
antecedente all’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilità dei suoli), che presentino difformità
eseguite nel corso dell’attuazione del titolo edilizio originario, si ritengono
sanate, fermo restando il rispetto dei requisiti igienico-sanitari e di
sicurezza», poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che
introdurrebbe – peraltro in contrasto con la tendenza alla riduzione
dell’ambito applicativo della sanatoria propria di altre norme della stessa
legge regionale – «una sanatoria straordinaria gratuita ed ope legis non
sorretta da alcun principio fondamentale determinato dallo Stato, e
contrastante con le esigenze della finanza pubblica»; inoltre la medesima norma
violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una discriminazione tra i proprietari
basata sulla diversa collocazione temporale degli illeciti, consentendo la
sanatoria ex lege solo per quelli più risalenti nel tempo;

b) e c) dell’art. 29, comma 2, il
quale stabilisce che «qualora in sede di definizione della domanda di sanatoria
o di controlli successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione
del professionista abilitato» contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti
ai fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione quanto disposto
dall’articolo 8, comma 3», nonché dell’art. 8, comma 3, per quanto richiamato
dall’art. 29, secondo il quale «nel caso in cui il titolo abilitativo contenga
dichiarazioni non veritiere del progettista necessarie ai fini del
conseguimento del titolo stesso, l’Amministrazione
comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine
professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari», in quanto
entrambe le summenzionate disposizioni violerebbero l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., in relazione alla materia dell’«ordinamento civile e
penale», nonché dell’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbero
con la competenza statale concorrente in materia di «professioni»;

d) dell’art. 32, il quale
disciplina in linea generale gli interventi non ammessi a sanatoria,
aggiungendo a quelli ritenuti tali dalla normativa statale di principio, anche
gli interventi e le opere «per la cui realizzazione siano stati utilizzati
contributi pubblici erogati successivamente al 1995 a
qualunque titolo dallo Stato, dalla Regione e dagli enti locali», nonché gli
interventi realizzati su unità abitative già oggetto di titolo in sanatoria, ai
sensi dei capi IV e V della legge n. 47 del 1985 o dell’art. 39 della legge n.
724 del 1994, «per la regolarizzazione amministrativa di interventi di nuova
costruzione o di ristrutturazione nonché interventi di ampliamento o
soprelevazione che abbiano comportato nuove unità immobiliari». Tale
disposizione violerebbe gli artt. 3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto la previsione di ulteriori (rispetto a quelle
previste dalla legislazione statale) condizioni ostative all’ammissibilità
della sanatoria contrasterebbe con la normativa statale di principio, con il
principio di uguaglianza e con la disciplina costituzionale della proprietà
privata, determinando una irragionevole discriminazione «tra proprietari di
edifici ed anche tra autori (eventualmente imputati) degli illeciti edilizi»;

e)
dell’art. 33, comma 1, il quale dispone che «in tutto il territorio della
Regione non è ammesso il rilascio dei titoli in sanatoria per la costruzione di
nuovi manufatti edilizi fuori terra o interrati realizzati in contrasto con la
legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti alla data del 31 marzo 2003». Tale disposizione violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost., perché, escludendo dalla
assoggettabilità al condono edilizio i nuovi manufatti, contrasterebbe con la
norma statale di principio di cui all’art. 32, comma 25, del decreto-legge 30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale non può
essere esclusa – ma, eventualmente, soltanto delimitata – la sanabilità delle
nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni realizzate in contrasto
con gli strumenti urbanistici. Contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe
nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato – «dei rapporti
con l’Unione europea», della «moneta» e «del sistema tributario e contabile
dello Stato», nonché con l’art. 117, terzo comma, con l’art. 119 Cost. e la
potestà statale di coordinamento della finanza pubblica, con l’art. 81 Cost. in
quanto inciderebbe negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi di
spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando
una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»;
con l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della
disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del
principio di uguaglianza; con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento
civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico
riceverebbe nella Regione, per effetto dell’applicazione della norma impugnata,
un diverso trattamento giudiziario;

f) dell’art. 33, commi 2 e 3,
nella parte in cui riduce in modo sostanziale l’ammissibilità della sanatoria
per gli ampliamenti e le sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti
dall’art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale disposizione
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché,
riducendo irrazionalmente e irragionevolmente l’ambito degli interventi ammessi
al condono edilizio, contrasterebbe con l’art. 32, comma 25, del decreto-legge
n. 269 del 2003, l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l’art. 117, terzo
comma, nonché l’art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito finanziario
previsto dalla normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su
materie di competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con l’Unione
europea», «moneta») e concorrente («coordinamento della finanza pubblica»);
l’art. 81 Cost. in quanto avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte
leggi di spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio»,
determinando una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel
suo insieme»; l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo
della disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del
principio di uguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in
relazione alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e
penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico
riceverebbe, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso
trattamento giudiziario; l’art. 3 Cost. nella parte in cui introduce, per gli
edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100 metri cubi)
irragionevolmente più severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che
segna il confine tra la nozione di variazione essenziale e quella di parziale
difformità (per l’Emilia-Romagna, art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n.
31)»;

g) dell’art. 33, comma 3 (ad
eccezione della lettera d), concernente gli ampliamenti e le sopraelevazioni di
manufatti esistenti, e dell’art. 34, comma 2, concernente gli interventi di
ristrutturazione edilizia, nella parte in cui ammettono (soltanto) la sanatoria
straordinaria di interventi edilizi «che siano
conformi alla legislazione urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni
degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003», poiché
violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero con la
normativa statale di principio relativa alla individuazione degli interventi
ammissibili a sanatoria, non essendo chiara la portata del requisito della
conformità alla legislazione urbanistica e potendo esso determinare una
ridottissima possibilità di applicazione del condono, anche in relazione ad
abusi minori;

h) dell’art. 33, comma 4, il
quale stabilisce che «qualora gli ampliamenti di cui al comma 3, lettera a),
punto 1), riguardino edifici con originaria funzione diversa da
quella abitativa, tali immobili sono obbligati a mantenere una
destinazione d’uso non abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata
in vigore della presente legge», nella parte in cui vincola per venti anni la
destinazione d’uso degli immobili condonati, poiché violerebbe gli artt. 3,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, 119, 81 Cost., «l’autonomia degli enti locali in relazione all’esercizio
della potestà urbanistica», l’art. 42 Cost. e la disciplina costituzionale
della proprietà privata;

i) e l) dell’art. 34, comma 1, il
quale esclude dalla sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia
«realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni
degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo
quanto disposto dal comma 2», senza «distinguere tra ristrutturazioni per le
quali è necessario permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e
superficie utile lorda invariate» (che non comportano, di regola, alterazioni
del carico urbanistico, e dunque non implicano oneri per la riqualificazione urbana
a carico delle comunità locali), nonché dell’art. 34,
comma 2, il quale ammette a sanatoria gli interventi di ristrutturazione purché
ricorrano le condizioni elencate e siano conformi alla legislazione
urbanistica, ed in particolare, la lettera a), la quale ammette a sanatoria gli
interventi di ristrutturazione edilizia che «non comportino aumento delle unità
immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il recupero ai fini
abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari e monofamiliari»,
poiché violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbero
con la normativa statale di principio che non prevede tali limitazioni.

3. – Con riguardo alla legge
regionale della Toscana n. 53 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato
afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 2, comma 1, nella
parte in cui ammette alla sanatoria edilizia soltanto «le opere e gli
interventi (…) realizzati con variazioni essenziali dal titolo abilitativo o comunque in difformità rispetto ad esso», escludendo
dall’ambito di applicazione del condono gli immobili realizzati in assenza di
permesso di costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilità
al «rispetto dei limiti indicati dal comma 2». Tale disposizione violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto, nel circoscrivere
i limiti di volumetria e nell’escludere del tutto tipologie di abusi
dall’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria, contrasterebbe con il
principio fondamentale posto dalle norme statali concernenti il condono
edilizio che consente alle Regioni soltanto la possibilità di «specificare i
limiti (quantitativi e non) della sanabilità», nonché di «limare entro margini
di ragionevole tollerabilità (…) le volumetrie massime previste dal legislatore
statale»; l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto
inciderebbe nelle materie – affidate alla competenza esclusiva dello Stato –
dei «rapporti con l’Unione europea», della «moneta» e del «sistema tributario e
contabile dello Stato»; l’art. 117, terzo comma, e l’art. 119 Cost. e la
potestà statale di coordinamento della finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in
quanto comprimerebbe il gettito derivante dal condono edilizio sul quale più
leggi del Parlamento farebbero affidamento, ledendo «le potestà statali di
governo della finanza pubblica», e potendo «essere considerato indebita
turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; l’art. 3
Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117, comma 2, lettera l), Cost.,
in relazione alla competenza esclusiva statale in esso prevista nelle materie
dell’ordinamento civile e penale, in ragione della «asistematicità» delle
pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero chiamati a rendere in
applicazione della normativa impugnata;

b) dell’art. 2, comma 2, che
individua gli interventi non suscettibili di sanatoria, poiché violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto si discosterebbe «eccessivamente» e
«irrazionalmente», dai «limiti quantitativi» alla sanabilità di
ampliamenti e ristrutturazioni, previsti dall’art. 32, comma 25, del
decreto-legge n. 269 del 2003; violerebbe, altresì, l’art. 117, secondo comma,
lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate alla
competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea», della
«moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato»; l’art. 117, terzo
comma, e l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della finanza
pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante dal
condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento farebbero affidamento,
ledendo «le potestà statali di governo della finanza pubblica», e potendo
«essere considerato indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese
nel suo insieme»; l’art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117,
comma 2, lettera l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale in
esso prevista nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione della
«asistematicità» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni sarebbero
chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata;

c) dell’art. 2, comma 5, lettera
c), il quale esclude del tutto dalla sanatoria «le opere e gli interventi in
contrasto con le destinazioni d’uso ammesse, nella zona interessata, dagli
strumenti urbanistici vigenti al momento dell’entrata in vigore» della medesima
legge, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, introducendo «un limite
non sorretto da (un) principio determinato dal legislatore statale», nonché in quanto consentirebbe, «nella concreta
applicazione» della normativa, «discrezionalità non compatibili con la
‘meccanica’ di un condono edilizio»;

d) dell’art. 2,
comma 6, ai sensi del quale, «qualora i vincoli di cui al comma 4 e al
comma 5, lettera a), siano istituiti dopo l’entrata in vigore della presente
legge, si applica quanto previsto dall’articolo 32 della l. n. 47/1985. Si
applica ugualmente l’articolo 32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle
opere di cui al comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici»,
laddove sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della
legge de qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria»,
poiché violerebbe gli artt. 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3 Cost., in quanto il principio di eguaglianza
sarebbe «irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di
travolgere in futuro ed in modo discrezionale l’affidamento del cittadino che
autodenuncia l’abuso edilizio»; l’art. 97 Cost. ed i principi di imparzialità e
buon andamento dell’amministrazione.

4. – In
relazione alla legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004,
l’Avvocatura generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 3, commi 1 e 3,
nella parte in cui introduce limiti quantitativi all’ambito degli interventi
ammessi alla sanatoria straordinaria, riducendo le volumetrie massime
assentibili ed escludendo quasi del tutto la sanatoria
per le nuove costruzioni residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i
principi stabiliti dalla legislazione statale, poiché violerebbe gli artt. 81,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, 119 Cost. (per le medesime ragioni invocate nei ricorsi n. 114 e n. 115
del 2004), nonché l’art. 3 Cost. in quanto alterna in modo «poco razionale»
«misure di volumetria a misure di superficie», senza specificare se si tratta
di superficie utile lorda o netta, ed in quanto sopprime «la essenziale
distinzione tra nuove costruzioni e ampliamenti» ed inoltre per aver «fatto
ricorso soltanto a limiti massimi espressi in cifre assolute»;

b) dell’art. 3, nella parte in
cui – per effetto della soppressione del limite del 30 per cento della
volumetria e del limite di 3.000 metri cubi previsti dall’art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, nonché a causa della
mancata differenziazione delle nuove costruzioni non residenziali – estende
l’ambito della sanabilità, in quanto violerebbe l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato
la materia dello «ordinamento civile e penale».

5. – Con riguardo alla legge
della Regione Lombardia n. 31 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato
afferma la illegittimità costituzionale:

a), b), c) e d) dell’art. 2,
comma 1, nella parte in cui esclude dalla sanatoria straordinaria le «nuove
costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo
abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti
alla data di entrata in vigore della presente legge»;
della medesima disposizione, nella parte in cui appare escludere anche le opere
realizzate in totale difformità dal titolo o con variazioni essenziali; ancora
dell’art. 2, comma 1, nella parte in cui riduce – in relazione agli ampliamenti
– i limiti massimi di volumetria aggiuntiva ammessi a sanatoria straordinaria,
consentendoli solo ove contenuti entro il «20 per cento della volumetria della
costruzione originaria o, in alternativa, di 500 metri cubi»; dell’art. 2,
comma 2, il quale, nello stabilire che «non sono suscettibili di sanatoria i
mutamenti di destinazione d’uso, qualora superiori a 500 metri cubi per singola
unità immobiliare e non conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti
alla data di entrata in vigore della presente legge», pone due differenti
limiti, ulteriori a quelli stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilità
dei mutamenti di destinazione d’uso, «senza distinguere tra mutamenti
implicanti opere ed altri mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi
urbanistici ed altri mutamenti».

Le indicate disposizioni, secondo
il ricorrente, violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e)
ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost. per le medesime
ragioni invocate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004;

e) dell’art. 3, comma 1, ove
«considerato esaustivo ed a se stante» rispetto alla legislazione statale, e
dunque, «interpretabile a contrario» nel senso di consentire un ampliamento
dell’ambito della sanatoria, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe contrastante «con il principio posto
dall’art. 32, comma 27, lettera d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n.
269, e l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto invaderebbe
l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e
penale».

6. – In
relazione alla legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, l’Avvocatura
generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 3, comma 1, lettera
a), il quale ammette a sanatoria «le tipologie di
opere di cui all’allegato 1 della legge sul condono» a condizione che «gli
ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale, artigianale e
agricolo-produttiva non superino il 20 per cento della superficie coperta fino
ad un massimo di 450 metri quadrati di superficie lorda di pavimento», poiché
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, in quanto, individuando i limiti
quantitativi degli abusi sanabili con riferimento alla superficie e non al
volume, renderebbe possibile il superamento del limite di 750 metri cubi
fissato dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, in contrasto
con i principi fondamentali della materia «governo del territorio» individuati
dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 nella disciplina statale posta
dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in particolare con il limite
massimo delle volumetrie sanabili ivi indicato; nonché l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., in quanto, estendendo l’ambito della sanabilità,
determinerebbe una palese invasione della competenza statale in materia di
«ordinamento civile e penale»;

b) dell’art. 3, comma 1, lettera
c), il quale, nella parte in cui dispone che «le tipologie di
opere di cui all’allegato 1 della legge sul condono sono suscettibili di
sanatoria edilizia a condizione che (…) c) le nuove costruzioni siano
pertinenze di fabbricati residenziali prive di funzionalità autonoma, fino ad
un massimo di 300 metri cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove
costruzioni residenziali» diverse da quelle pertinenziali e aventi volumetria
non superiore a 300 metri cubi, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto contrasterebbe con «un principio determinato dal legislatore
statale» nonché con la «configurabilità» – che sarebbe stata ammessa anche
dalla Corte costituzionale – «di una sanatoria straordinaria di illeciti
urbanistici»; violerebbe, inoltre, l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e
la competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica;
l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe sulla
competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con l’Unione europea»,
«moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost., per contrasto con il
principio di copertura finanziaria; l’art. 3, Cost. e il principio di
eguaglianza ivi sancito; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in quanto
invaderebbe l’ambito della competenza statale esclusiva in materia di
«ordinamento civile e penale»;

c) dell’art. 3, comma 3, il quale
dispone che «ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 32, commi 26 e
27, della legge sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui
all’articolo 32» della legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, «sono
suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia
precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti
interventi, ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione
del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere,
qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento
dell’immobile; b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini
di volume». Tale disposizione, nella misura in cui farebbe riferimento ad
interventi non incidenti sulla volumetria, ma solo sulla «superficie utile»,
escludendo dalla sanatoria «ogni altro intervento abusivo», violerebbe gli
artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le
medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. sia in
quanto sarebbe riservata al legislatore statale «la tutela dei valori (ad
esempio ambientali) presidiati» dai vincoli di cui all’art. 32 della legge n.
47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la sanatoria che
sarebbe invece esclusa in via assoluta dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

7. – In
relazione alla legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, l’Avvocatura
generale dello Stato afferma la illegittimità costituzionale:

a) dell’art. 20, comma 1, lettera
a), il quale, nel disciplinare la sanabilità degli
ampliamenti di fabbricati esistenti introducendo limiti quantitativamente
diversi rispetto a quelli previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n.
269 del 2003, discrimina tra unità immobiliari destinate ad attività produttive
ed altre unità immobiliari e determina tali limiti in «metri quadri di
superficie utile coperta», anziché in termini di volume, così violando gli
artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le
medesime ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);

b) dell’art. 20, comma 1, lettera
c), il quale ammette la sanatoria delle «opere riconducibili alle seguenti
tipologie di illecito edilizio indicate con i numeri
3, 4, 5 e 6 dell’Allegato 1» al decreto-legge n. 269 del 2003, anche con
eventuale modifica delle destinazioni d’uso le quali «siano esse realizzate in
conformità o in difformità dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli
strumenti urbanistici alla data del 2 ottobre 2003», poiché violerebbe l’art.
117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la data del 2 ottobre 2003 fosse
riferita alla realizzazione delle opere, contrasterebbe «con il fondamentale
principio posto dall’art. 32, comma 25, del citato decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, il quale fa riferimento alle opere realizzate entro il 31 marzo
2003»; l’art. 117, secondo comma, lettera l), in quanto invade la competenza
esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale;

c) dell’art. 21, comma 1, lettera
c), nella parte in cui esclude la sanabilità di opere
abusive che comportino «utilizzo di aree in zona agricola per usi del suolo
diversi da quello agricolo», potendo determinare la preclusione della sanatoria
nelle zone agricole, oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20,
comma 1, lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona E»,
poiché violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto determinerebbe una irragionevole diminuzione
dell’ambito degli interventi condonabili;

d) dell’art.
21, comma 1, lettera d), il quale, escludendo dal condono edilizio
straordinario i «nuovi edifici, salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1,
lettera b)», della medesima legge regionale, ridurrebbe l’ambito delle
fattispecie passibili di sanatoria, in contrasto con i principi fondamentali
posti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del
quale sarebbero ammesse a sanatoria anche le «nuove costruzioni residenziali»,
violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119
Cost. (per le medesime ragioni svolte nei ricorsi n. 114 e n. 115 del 2004);

e) dell’art. 21, comma 1, lettera
e), nella parte in cui esclude la sanabilità dell’ampliamento di edifici la cui «intera» costruzione abbia già beneficiato
di «precedenti condoni edilizi», poiché violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto
introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un principio della
legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost., in
quanto gli attuali proprietari degli edifici in questione potrebbero essere
soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai proprietari degli
immobili all’epoca in cui essi sono stati realizzati; l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost. in quanto tale discriminazione sarebbe invasiva della
competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale»;

f) dell’art. 21, comma 1, lettera
h), il quale – nell’escludere dalla sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle zone omogenee A di cui al D.M. n.
1444/1968» ad eccezione «di quelli di cui all’articolo 20, comma 2» – equipara
«i centri storici ai ‘siti archeologici’ e tutti i
relativi edifici a quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico», così
determinando una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi per i
quali è ammesso il condono edilizio; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime
ragioni indicate nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004);

g) dell’art. 19, il quale al
comma 1 afferma che «i limiti, le condizioni e le modalità per il rilascio del
titolo abilitativo in sanatoria (…) sono disciplinate dal presente titolo», mentre al successivo comma 2 afferma che «per
quanto non disposto dal presente titolo si applicano» le normative statali del
1985 e del 1994, nonché i termini temporali, le modalità e le procedure
previste dalle norme statali del 2003, «in connessione con le doglianze in
precedenza formulate»; tale disposizione violerebbe gli artt. 3, 81, 117,
secondo e terzo comma, e 119 Cost., in quanto
conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre, in quanto la mancata menzione
delle «successive modifiche ed integrazioni» della disciplina statale del 1985
e del 1994 potrebbe «ingenerare incertezze e controversie»;

h) dell’art. 27, comma 4, il
quale dispone che «l’ampliamento di cui alla lettera a) del comma 1
dell’articolo 20, per gli edifici costituiti da più unità immobiliari dello
stesso avente titolo, o da unità immobiliari pertinenziali insistenti
all’interno del lotto o dell’area, sempre dello stesso avente titolo, è ammesso
per una sola volta ed è riferito alla sommatoria delle superfici di tutte le
unità immobiliari interessate, salvo che ogni unità immobiliare si configuri
come autonoma struttura abitativa, produttiva o a servizi», laddove dovesse
intendersi riferito anche ai casi di più proprietari di unità
immobiliari comprese in edificio condominiale o di un unico proprietario di più
unità immobiliari autonome, poiché violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost.

8. – Con riguardo alla legge
della Regione Campania n. 10 del 2004, l’Avvocatura generale dello Stato
afferma la illegittimità costituzionale:

a) degli artt. 1, 3 (eccettuate
le lettere b e d del comma 2), 4, 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8, in quanto
emanati quando era oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12
novembre 2004) stabilito dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio
2004, n. 168 (Interventi urgenti per il contenimento della spesa pubblica),
convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per
l’emanazione della legge di cui al comma 26 dell’art. 32 del decreto-legge n.
269 del 2003, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost. e il principio di
«leale collaborazione», in quanto, decorso il termine suddetto, la potestà
normativa regionale avrebbe potuto essere esercitata
soltanto recependo la normativa statale già divenuta applicabile, «senza
possibilità di contraddirla»;

b), c), d), e) dell’art. 1, comma
1, il quale dispone che «la presente legge disciplina la
possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria
degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo
32, convertito in legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e
successive modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di essere
interpretato nel senso di escludere «dal tessuto normativo complessivo» le
disposizioni statali in esso citate; dell’art. 3, comma 1, nella parte in cui
esclude dalla sanatoria straordinaria tutte le «opere abusive che hanno
comportato la realizzazione di nuove costruzioni difformi dalle norme
urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data
di esecuzione delle stesse», in contrasto con l’art. 32 del decreto-legge n.
269 del 2003, ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente darebbe rilevanza
a norme e strumenti urbanistici non più vigenti al momento dell’entrata in
vigore della legge regionale; dell’art. 4, comma 1, lettera a), il quale,
disponendo che sono sanabili le opere abusive rientranti tra le tipologie di
cui all’allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le stesse «hanno
comportato un ampliamento del manufatto inferiore al quindici per cento della
volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi
complessivamente i 250 metri cubi», pone per gli ampliamenti due limiti più
severi rispetto a quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra loro
cumulativi in tal modo restringendo l’ambito della sanatoria; dell’art. 4,
comma 1, lettera b), il quale stabilisce che sono sanabili le opere abusive che
«hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data
di esecuzione delle stesse e aventi una volumetria inferiore a 250 metri cubi
per singola richiesta di titolo edilizio in sanatoria, sempre che la nuova
costruzione non superi complessivamente i 600 metri cubi».

Tutte le summenzionate
disposizioni violerebbero, secondo il ricorrente, l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, introducendo limiti quantitativi alla
sanabilità delle opere abusive «irrazionalmente ed eccessivamente inferiori a
quelli determinati dall’art. 32, comma 25», della normativa statale,
contrasterebbero con i principi fondamentali da essa posti; l’art. 117, terzo
comma, l’art. 119 Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento
della finanza pubblica; l’art. 117, secondo comma, Cost., in quanto
inciderebbero sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con
l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost.,
per contrasto con il principio di copertura finanziaria; l’art. 3, Cost. e il
principio di eguaglianza ivi sancito;

f) dell’art. 3,
comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1,
lettera c), nella parte in cui restringono l’ambito degli interventi sanabili
negando rilevanza al parere favorevole delle autorità preposte alla tutela del
vincolo senza distinguere se tale vincolo sia anteriore all’abuso ovvero
successivo, poiché violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e
119 Cost. (per le medesime ragioni di cui al punto precedente), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.;

g) dell’art. 3, comma 2, lettera
a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), nella parte
in cui estendono l’ambito degli interventi sanabili in ragione del riferimento
alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti
alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e
strumenti che potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di
entrata in vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, poiché violerebbero l’art.
117, terzo comma, Cost. contrastando con i principi fondamentali posti dalla
normativa statale; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto
invadono la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e
penale»;

h) dell’art. 3, comma 2, lettera
c), il quale, disponendo che non possono essere sanate le opere «realizzate su
aree facenti parte o di pertinenza del demanio pubblico», e non distinguendo
tra demanio statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l’ambito
delle ipotesi di esclusione dalla sanabilità già
prevista dall’art. 32, comma 14, decreto-legge n. 269 del 2003, poiché
violerebbe gli artt. 42 e 117, secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al demanio statale, per il quale la
sanabilità delle opere è subordinata al previo esplicito consenso dello Stato
proprietario; l’art. 117, terzo comma, Cost. in quanto contrasterebbe con un
principio determinato dalla normativa statale (art. 32, comma 14, del
decreto-legge n. 269 del 2003 e art. 32, comma 6, della legge n. 47 del 1985);
l’art. 117, terzo comma, Cost. in relazione ai beni del demanio provinciale e
comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe sorretta da alcun
principio determinato dalla normativa statale;

i) dell’art. 4, comma 1, lettera
d), il quale ammette alla sanatoria gli interventi che «hanno comportato un
ampliamento del manufatto, già oggetto di condono ai sensi delle disposizioni
di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, o ai sensi della legge
23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento della
volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi
complessivamente i cento metri cubi», poiché
violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost. (per ragioni identiche
a quelle svolte nei ricorsi nn. 114 e 115 del 2004), nonché
l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della proprietà.

9. – Nel giudizio instaurato con
ricorso n. 114 del 2004, la Regione Emilia-Romagna, con atto depositato il 12
gennaio 2005, si è costituita in giudizio, chiedendo che le questioni proposte
dal Presidente del Consiglio dei ministri siano dichiarate inammissibili o infondate,
e riservando ulteriori deduzioni ad una successiva
memoria.

10. – Nella memoria depositata in
data 30 novembre 2005, la Regione Emilia-Romagna osserva innanzitutto che
l’art. 33, comma 1, avrebbe riguardo «ad uno solo dei sette tipi di intervento che compongono il genus ‘interventi di nuova
costruzione’» di cui al punto g) dell’Allegato alla legge regionale n. 31 del
2002, e all’interno di quel tipo, si riferirebbe «solo ai nuovi manufatti, e
non agli ampliamenti». Inoltre, l’esclusione del condono per le costruzioni
edificate ex novo in modo totalmente abusivo rientrerebbe nel potere regionale
di modulare la dimensione del condono all’interno dei principi fondamentali,
come espressamente riconosciuto da questa Corte nella sentenza n. 196 del 2004
e nella sentenza n. 71 del 2005. Relativamente alle
censure svolte nei confronti dell’art. 33, commi 2 e 3, la Regione premette che
tale disposizione ammette il rilascio del titolo in sanatoria – seppur solo in
determinati casi – per gli ampliamenti e le sopraelevazioni di manufatti
esistenti conformi alla legislazione urbanistica ma contrastanti con gli
strumenti urbanistici vigenti il 31 marzo 2003.

Per quanto riguarda i limiti
quantitativi al condono, rileva la difesa regionale che non esisterebbe alcun
nesso tra l’istituto della variazione essenziale (neppure considerato dal
decreto-legge n. 269 del 2003) e quello del condono: il primo rileverebbe ai
fini del tipo di sanzione, il secondo avrebbe come risultato
la regolarizzazione dell’opera.

Per quanto
riguarda l’art. 34, commi 1 e 2, il quale non ammette la sanatoria per gli
interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in contrasto con la
legislazione urbanistica o le prescrizioni degli strumenti vigenti al 31 marzo
2003, la Regione sostiene che il condono sarebbe escluso solo per le ristrutturazioni
contrarie alla legislazione urbanistica, mentre le altre ristrutturazioni
sarebbero condonabili anche se contrarie agli strumenti urbanistici, purché
ricorrano le condizioni indicate.

Le censure concernenti
la violazione delle potestà statali in materia di rapporti con l’Unione
europea «e relativi stringenti ‘vincoli’», di moneta e di sistema tributario e
contabile dello Stato, oltre che inammissibili per genericità, essendo prive di
argomentazione, sarebbero altresì «stravaganti» ed infondate.
Dietro l’impropria invocazione di tali parametri normativi, vi sarebbe il
rifiuto di prendere atto che la titolarità del diritto di stabilire con legge
le dimensioni del condono edilizio – come chiarito dalla Corte – non spetta in
via esclusiva allo Stato, ma è condivisa tra lo Stato
e le Regioni.

Inammissibile per genericità
sarebbe anche la censura sollevata in relazione all’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. Essa sarebbe altresì infondata
dal momento che l’art. 26, comma 2, della legge impugnata precisa che i limiti
posti non incidono sull’estinzione del reato, che consegue al pagamento
dell’oblazione.

Priva di fondamento sarebbe
inoltre la asserita lesione del principio di
uguaglianza in quanto le pronunce ‘asistematiche’ di cui si duole l’Avvocatura,
sarebbero frutto dell’esistenza della competenza legislativa regionale in
materia di governo del territorio.

Per quanto attiene all’art. 32
legge regionale, la Regione rileva che solo se l’unità abitativa è stata
oggetto in passato di un rilevante abuso (condonato) essa non è ammessa alla
nuova sanatoria.

Inoltre, l’esclusione degli
interventi abusivi per la cui realizzazione sono stati
utilizzati contributi pubblici si giustificherebbe per la riprovevolezza della
condotta ed avrebbe finalità sia afflittiva verso il trasgressore, sia
preventiva.

L’obbligo, posto dall’art. 33,
comma 4, di non modificare per 20 anni la destinazione d’uso non abitativa per
gli ampliamenti abusivi che beneficino della sanatoria, mirerebbe a non incentivare ampliamenti abusivi di edifici non residenziali.
In tale prospettiva la limitazione del diritto di proprietà si giustificherebbe
alla luce dell’art. 42, secondo comma, Cost.

Per quanto concerne l’art. 26,
comma 4, che prevede la sanatoria delle opere edilizie autorizzate e realizzate
anteriormente alla legge n. 10 del 1977, che
presentino difformità esecutive, osserva la Regione che la disposizione avrebbe
ad oggetto una sola tipologia di abusi, e cioè le difformità esecutive lievi e
risalenti nel tempo e si giustificherebbe per l’esigenza di assicurare la
certezza del diritto e la facilità degli scambi privati. Essa inoltre,
opererebbe non solo ai fini del condono straordinario, ma anche «a regime».

Inammissibile sarebbe infine la
censura proposta avverso l’art. 29, comma 2, e l’art. 8, comma 3, per carenza di specificazione nella delibera del Consiglio dei
ministri. Tale censura sarebbe comunque infondata,
in quanto basata su una erronea lettura della norma la quale non riguarda le
asseverazioni del professionista in quanto la norma impone semplicemente oneri
di comunicazione alle competenti autorità, delle risultanza istruttorie da cui
risulta che le asseverazioni non corrispondono al vero.

11. – Anche l’Avvocatura dello
Stato ha depositato una memoria nella quale, oltre a ribadire
le censure già proposte nel ricorso n. 114 del 2004, si sofferma sulle
previsioni in tema di sanabilità di ampliamenti e sopraelevazioni, contenute
nell’art. 33, commi 2 e 3, della legge regionale emiliana. Tale disposizione,
ammettendo il condono solo per le opere che pur essendo difformi dalla
legislazione urbanistica, siano conformi alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, contrasterebbe con il «principio-cardine di una normativa del
condono edilizio» che, per definizione opererebbe in
deroga agli strumenti urbanistici. In ordine al
diverso trattamento riservato agli edifici residenziali (art. 33, comma 3,
lettera b) rispetto a quelli non residenziali (art. 33, comma 3, lettera a),
esso non troverebbe riscontro nella normativa statale, ed inoltre, nella parte
in cui limita l’aumento di cubatura sanabile, contrasterebbe con il principio
enunciato dall’art. 32, comma 25, decreto-legge n. 269 del 2003. Tale principio
sarebbe violato anche dalla totale esclusione della sanabilità di ampliamenti e sopraelevazioni realizzati in edifici
residenziali diversi da quelli unifamiliari e bifamiliari.

12. – Nel giudizio introdotto con
il ricorso n. 115 del 2004, la Regione Toscana si è costituita in giudizio, con
atto depositato il 14 gennaio 2005, chiedendo che le questioni proposte con il
ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri siano
dichiarate inammissibili o infondate, e
riservando ulteriori deduzioni ad una successiva memoria.

13. – Nella memoria depositata successivamente, la difesa regionale afferma, innanzitutto,
che le disposizioni impugnate rispetterebbero i limiti fissati dalla giurisprudenza
costituzionale sul condono edilizio, tenendo conto «della specificità della
situazione sia normativa che territoriale della Toscana». In coerenza con la
legislazione regionale in materia di attività
edilizie, l’art. 2 della legge impugnata esclude dal condono le edificazioni
totalmente nuove e senza titolo, nonché le ristrutturazioni urbanistiche
anch’esse senza titolo. Invece, per tutte le restanti opere sarebbe
ammessa la sanatoria straordinaria sia se realizzate in mancanza del titolo sia
se in difformità dal medesimo.

Infondate sarebbero le censure
con cui lo Stato lamenta la violazione della competenza statale in materia di
rapporti con l’Unione europea, moneta e di
coordinamento della finanza pubblica. In particolare, ove si trascurasse, come
fa l’Avvocatura dello Stato, il contenuto specifico della normativa, si
consentirebbe sempre al legislatore statale di interferire in ambiti di
competenza regionale in nome del «coordinamento della finanza pubblica», perché
la disciplina di tutte le materie ha risvolti in
termini finanziari.

Inammissibile sarebbe poi la
censura formulata in relazione all’art. 3 Cost., in
quanto generica. Essa sarebbe comunque infondata,
perché la possibilità per i legislatori regionali di disciplinare la sanatoria
straordinaria sarebbe stata riconosciuta come legittima dalla Corte.

Ugualmente generica, e comunque infondata, sarebbe
la censurata violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. La
legge regionale infatti, non inciderebbe sulla sfera penale del condono, ma si
limiterebbe a regolarne gli effetti amministrativi e le relative sanzioni
amministrative.

Per quanto
concerne i limiti posti dall’art. 2, comma 5, lettera c), alla sanabilità dei
mutamenti di destinazione d’uso, afferma la Regione che l’impugnazione del
Governo sarebbe inammissibile perché si risolverebbe in un sindacato di merito.
Essa sarebbe comunque infondata,
dal momento che il cambio di destinazione d’uso avrebbe rilevanti conseguenze
dal punto di vista urbanistico.

Infondata, sarebbe infine la
censura mossa avverso l’art. 2, comma 6: subordinandosi, infatti, la sanatoria
delle opere, nel caso in cui i vincoli siano stati apposti dopo l’entrata in
vigore della legge, alla valutazione dell’autorità preposta al vincolo, si
opererebbe una «scelta ragionevole ed equilibrata nel rapporto tra le istanze e le aspettative del privato che ha commesso
l’abuso, con quelle di salvaguardare un’area che necessita di una particolare
tutela».

14. – Anche l’Avvocatura dello
Stato ha depositato una memoria nella quale ribadisce
e specifica le censure mosse avverso l’art. 2 della legge regionale della
Toscana n. 53 del 2004. Tale disposizione, infatti, impedirebbe la sanatoria
straordinaria delle nuove costruzioni residenziali, in contrasto con il principio
determinato dal legislatore statale.

Anche la
disciplina degli ampliamenti sarebbe irragionevolmente riduttiva di quella
statale a danno delle costruzioni residenziali, mentre accettabili sarebbero i
limiti previsti dall’art. 2, comma 2, lettera c), per le costruzioni destinate
ad uso non abitativo.

Secondo la difesa statale, tali
previsioni sarebbero incostituzionali, dal momento che il legislatore regionale
non potrebbe negare «in misura prevalente (rispetto al ‘quantum’
di volumetria ammesso a sanatoria dalla legge statale) la sanabilità degli
abusi edilizi», in quanto, diversamente, si vanificherebbe la cogenza dei
principi determinati dal Parlamento, degradandoli a «velleitarie esortazioni
ottative».

15. – Nel giudizio introdotto con
ricorso n. 2 del 2005, con atto depositato il 27 gennaio 2005, si è costituita
in giudizio la Regione Marche, concludendo nel senso
della inammissibilità, e comunque dell’infondatezza,
del ricorso.

In particolare,
la pretesa incostituzionalità dell’art. 3 della legge regionale, per violazione
degli artt. 117 e 119 Cost, sarebbe priva di fondamento, in quanto la
Corte costituzionale, con la sent. n. 196 del 2004,
avrebbe riconosciuto alle Regioni un «ruolo indefettibile» nell’attuazione del
condono edilizio straordinario.

Inoltre, le dichiarazioni di incostituzionalità da parte della medesima sentenza dei
commi 25 e 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nella parte in
cui non prevedono che la legge regionale possa disporre in materia di una larga
discrezionalità in questi ambiti equivarrebbe a legittimare le leggi regionali
a subordinare le tipologie di abuso ritenute condonabili ad ulteriori limiti.
Quindi, le Regioni sarebbero state «legittimate ad ampliare l’elenco delle
opere non condonabili, stabilendo criteri e limiti, incidendo anche sulla
stessa possibilità di conseguire il condono per determinate categorie di opere o per determinate zone».

In relazione
alla «abolizione asseritamene operata dall’art. 3 del limite del 30%
della volumetria», la difesa della Regione afferma che la norma sarebbe
pienamente legittima poiché «il limite del 30% (costituirebbe) parametro
alternativo a quello dell’ampliamento superiore a 750 metri cubi per
l’ammissibilità alla sanatoria secondo espressa previsione del comma 25
dell’art. 32» della legislazione statale.

Quanto alla affermata
lesione, da parte della legge impugnata, delle competenze statali in materia di
rapporti con l’Unione europea, di «moneta», e di coordinamento della finanza
pubblica, la Regione osserva che tali competenze non potrebbero «in ogni caso
ledere quelle costituzionalmente garantite determinandone una invasione».

Sarebbe inoltre
priva di fondamento la necessità – affermata dall’Avvocatura dello Stato – di
preservare «l’affidamento sul gettito del condono edilizio per la copertura
(art. 81 Cost.) di spese pubbliche» laddove comporti un’indebita
invasione della competenza regionale costituzionalmente garantita tramite
«l’imposizione di dettagliati strumenti concreti». A sostegno di tale
affermazione viene anche ricordata la sentenza n. 390 del 2004 di questa Corte.

La asserita
violazione del principio di eguaglianza, nonché dell’art. 117, comma secondo,
lettera l), Cost., inoltre, sarebbe insussistente in quanto – come proverebbe
anche la stessa sentenza n. 196 del 2004 nella parte in cui evidenzia il
differente «trattamento costituzionale» degli aspetti penalistici e di quelli
amministrativistici del condono – la competenza dello Stato in materia penale
non potrebbe essere «lesiva delle competenze costituzionali costituzionalmente
garantite», dal momento che essa, come affermato anche dalla sentenza n. 185
del 2004, sarebbe una competenza «strumentale, potenzialmente incidente nei più
diversi ambiti materiali». Analoghe considerazioni varrebbero anche per la
materia «ordinamento civile».

16. – L’Avvocatura dello Stato ha
depositato, in data 30 novembre 2005, una memoria nella quale precisa che deve
ritenersi escluso dalla materia del contendere l’art. 3,
comma 3, della legge della Regione Marche, potendo la Regione ridurre la
volumetria massima sanabile rispetto a quella prevista dal legislatore statale,
ed escludere la condonabilità «in qualche zona omogenea».

Peraltro residuerebbero le
censure svolte in relazione ai commi 1 e 2 dell’art.
3: l’Avvocatura in particolare, sostiene che il legislatore marchigiano avrebbe
eluso «in modo ‘poco visibile’ e però efficace» i principi fondamentali posti
dallo Stato in materia di condono edilizio, ponendo un limite volumetrico alla
sanabilità talmente basso da escludere, di fatto, quasi del tutto la sanabilità
delle nuove costruzioni residenziali. La circostanza che questa Corte abbia riconosciuto alle Regioni la possibilità di prevedere
limiti volumetrici inferiori a quelli stabiliti dal legislatore statale, ad
avviso dell’Avvocatura, non sarebbe risolutiva, dal momento che, in ogni caso,
non si potrebbero operare riduzioni tali da vanificare i principi determinati
dal legislatore statale.

Nella memoria si ribadisce, inoltre, che la soppressione del limite del 30%
della volumetria originaria, nonché la mancata previsione di un limite
d’insieme complessivo, determinerebbe un illegittimo ampliamento della
sanatoria.

17. – Anche la Regione Marche, in
data 30 novembre 2005, ha depositato una memoria nella quale ribadisce
innanzitutto che questa Corte, nelle sentenze n. 196 del 2004 e n. 71 del 2005,
se ha riconosciuto come spettante allo Stato la determinazione della portata
massima del condono edilizio, ha ritenuto sussistente il potere delle Regioni
di modularne l’ampiezza entro i limiti massimi fissati dalla legge nazionale.
In quest’ambito, la Regione avrebbe esercitato l’attività di controllo del
territorio, in coerenza anche con la propria precedente normativa in materia.

Per quanto concerne le singole
censure, la difesa regionale osserva come la previsione nell’art. 3 della legge
impugnata di limiti volumetrici espressi in cifre assolute, anziché in misura
percentuale, sarebbe coerente con l’art. 32, comma 25,
del decreto-legge n. 269 del 2003, il quale prevede, per gli ampliamenti il
limite del 30% della volumetria originaria come alternativo a quello di 750 mc.

In ordine alla
censura formulata sul preteso contrasto dell’art. 3 con l’art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., per invasione dei compiti attribuiti alla
competenza esclusiva statale in materia di rapporti con l’Unione europea e di
«moneta», la difesa regionale rileva come ciò che sarebbe da considerare
riservato alla competenza esclusiva dello Stato dovrebbe attenere ad una
politica economica che abbia valenza sul piano nazionale per la sua rilevanza
macroeconomica.

Infondata sarebbe altresì la asserita violazione dell’art. 117, terzo comma, e
dell’art. 119 Cost. per invasione dei compiti attribuiti alla competenza
statale di coordinamento della finanza pubblica, dal momento che tali
competenze non potrebbero in ogni caso ledere quelle costituzionalmente garantite
alle Regioni determinandone un’indebita invasione. La Corte avrebbe più volte
affermato che il legislatore statale può legittimamente imporre agli enti
autonomi vincoli alle politiche di bilancio «ma solo,
con ‘disciplina di principio’, ‘per ragioni di coordinamento finanziario
connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi
comunitari’».

In ordine al
preteso contrasto dell’art. 3 della legge regionale con il principio di
eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e con la competenza esclusiva di cui
all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., la Regione aggiunge che nella
sentenza n. 196 del 2004 «la linea di riparto scelta dalla Corte, in tema di
condono edilizio, passi per la distinzione tra sanatoria penale (di esclusiva
competenza statale) e sanatoria amministrativa (di competenza, potrebbe dirsi,
quasi completamente regionale)».

Per quanto attiene infine alla
pretesa violazione della competenza statale esclusiva nella materia
«ordinamento civile», questa Corte, già nella sentenza n. 282 del 2002, avrebbe
chiarito che (nell’ipotesi specifica in materia di responsabilità civile in
materia sanitaria), «si deve escludere che ogni disciplina, la quale tenda a
regolare e vincolare l’opera dei sanitari, e in quanto tale sia suscettibile di
produrre conseguenze in sede di accertamento delle
loro responsabilità, rientri per ciò stesso nell’area dell’ordinamento civile,
riservata al legislatore statale».

18. – Nel giudizio introdotto con
ricorso n. 3 del 2005, con atto depositato in data 28 gennaio 2005 si è
costituita in giudizio la Regione Lombardia, richiedendo che le questioni
proposte dal ricorso statale siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

Quanto alla asserita
inammissibilità delle censure statali, la Regione Lombardia osserva che essa
dipenderebbe, in primo luogo, dalla circostanza secondo la quale esse prendono
le mosse dall’«erroneo presupposto che l’unica fonte di disciplina della
materia sia costituita dalla legge regionale, e non piuttosto – come ha sottolineato
la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 196 – dal combinato disposto
della legislazione statale e di quelle regionali». In secondo luogo, la inammissibilità delle censure mosse dalla difesa erariale
dipenderebbe dalla loro «indeterminatezza, oscurità e genericità», che
determinerebbero difficoltà nella loro interpretazione.

Quanto agli aspetti di merito, la
difesa regionale osserva anzitutto come non sia svolta
alcuna censura nei riguardi dell’art. 1, comma 1, della legge regionale;
trattasi comunque di disposizione semplicemente finalizzata a chiarire il
carattere meramente derogatorio della disciplina regionale rispetto a quella
statale, la quale, dunque, si applicherebbe a tutti gli aspetti non regolati
dalla legge regionale.

Quanto alle censure relative alla diminuzione dei limiti volumetrici massimi
alla sanabilità delle opere ed alla esclusione della possibilità di sanatoria
per le nuove costruzione, la Regione evidenzia come la sentenza n. 196 del
2004, sia nelle motivazioni che nel dispositivo, abbia «espressamente
riconosciuto in tale ambito la facoltà per la Regione di ridurre gli indici
volumetrici condonabili in virtù della legge statale». Inoltre, la Regione nota
come la stessa avvocatura riconosca il potere della Regione di specificare i
limiti, anche quantitativi, della sanabilità, seppur solo nell’ambito della
«ragionevole tollerabilità»: in tali limiti la resistente ritiene
che la legge regionale si sia comunque mantenuta.

Quanto al divieto di sanatoria
delle opere relative a nuove costruzioni, la difesa
della resistente nota come la legge impugnata – lungi dal comportare «un
diniego totale» di sanatoria degli illeciti urbanistici come sostiene
l’Avvocatura dello Stato – non porrebbe alcun divieto assoluto di sanatoria, ma
avrebbe semplicemente escluso la possibilità di condonare abusi edilizi
caratterizzati da un particolare rilievo sul piano urbanistico. Ciò, peraltro, in attuazione di quanto esplicitamente affermato
dalla Corte costituzionale nella menzionata sentenza n. 196 del 2004.

Più in particolare, la Regione evidenzia come la norma impugnata si sia limitata a non
consentire le «opere realizzate in assenza o in difformità del titolo
abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni
degli strumenti urbanistici». Viceversa, sarebbero suscettibili di sanatoria «tutte le altre fattispecie di abuso non
previste dalla legge regionale e contemplate dalla legge statale».

Anche le censure mosse nei
confronti dell’art. 2, comma 2, della legge regionale n. 31 del 2004 sarebbero infondate,
poiché tale disposizione si limita a «consentire la sanabilità di quei
mutamenti considerati inammissibili ai sensi della vigente legge regionale n. 1
del 2001», mentre, per tutti gli altri abusi relativi ai
mutamenti di destinazione d’uso «continuerà a trovare applicazione la
disciplina statale».

Da ultimo, la Regione Lombardia
espone alcune considerazioni difensive in relazione alla
pretesa incostituzionalità dell’art. 3, comma 1, della legge regionale impugnata,
asserendo che con questa disposizione il legislatore lombardo ha inteso
semplicemente «ribadire e consacrare, anche in un testo legislativo regionale,
quanto già previsto dalla legislazione statale».

19. – L’Avvocatura dello Stato ha
depositato, in data 14 novembre 2005, una memoria nella quale circoscrive e
specifica l’ambito delle censure formulate nel ricorso introduttivo n. 3 del
2005.

Innanzitutto, precisa che non è
stato impugnato l’art. 2, comma 1, primo periodo, della legge della Regione
Lombardia n. 31 del 2004, nella parte in cui disciplina gli ampliamenti.

Per quanto concerne la censura
avente ad oggetto la medesima norma, ma nella parte in cui in modo non
specifica se fossero esclusi dalla sanatoria solo gli
interventi realizzati in assenza del titolo abilitativo, ovvero anche quelli
realizzati in totale difformità da esso o con variazioni essenziali, afferma il
ricorrente che non vi sarebbe più controversia. La Regione, infatti, nel
proprio atto di costituzione avrebbe specificato la portata della disposizione,
precisando che tali opere (realizzate in difformità o con variazioni
essenziali) sarebbero sanabili. Tuttavia, prosegue l’Avvocatura, «non risulta che il chiarimento sia stato portato (…) a
conoscenza dei comuni e – tempestivamente – della generalità dei cittadini e
che ad esso le amministrazioni si attengano».

La Regione avrebbe circoscritto
la portata anche dell’art. 2, comma 2, riferendola ai
soli mutamenti di destinazione d’uso qualificati inammissibili dalla propria
legge regionale n. 1 del 2001. Questa interpretazione riduttiva «elimina, nel
concreto una parte cospicua della materia controversa, lasciando di essa solo la parte residua». Anche
tale interpretazione, tuttavia non sarebbe stata divulgata.

Analogamente, alla luce
dell’interpretazione fornitane dalla Regione, verrebbe meno anche la censura relativa all’art. 3, comma 1, nella parte in cui avrebbe
ampliato l’ambito degli interventi condonabili.

Pertanto, ritiene l’Avvocatura
che la controversia «parrebbe ridimensionata, sul piano pratico, per quanto
concerne l’art. 2, comma 2, e l’art. 3, comma 1».

Conseguentemente, il nucleo delle
censure sarebbe circoscritto all’art. 2, comma 1, nella parte in cui esclude la
sanabilità delle nuove costruzioni residenziali. A tale riguardo, il ricorrente
ribadisce le censure già svolte nell’atto
introduttivo, precisando che la sentenza n. 196 del 2004 e il punto 2) del
dispositivo, invocato dalla Regione a giustificazione della legittimità della
disposizione, avrebbe ampliato le possibilità di intervento dei legislatori
regionali nell’ambito della competenza legislativa concorrente, ma non li
avrebbe liberati dal dovere di conformarsi ai principi determinati dal
Parlamento nazionale. Pertanto al legislatore regionale sarebbe consentito
apportare solo articolazioni e specificazioni della disciplina statale.

20. – Nella ulteriore
memoria depositata il 30 novembre 2005, la Regione Lombardia prende atto che, a
seguito delle considerazioni svolte dall’Avvocatura dello Stato, gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, della legge impugnata non
sarebbero più oggetto del giudizio.

Anche in
relazione all’art. 2, comma 2, vi sarebbe un difetto di interesse al
ricorso, in quanto l’Avvocatura avrebbe ritenuto la controversia
‘ridimensionata’ a seguito dei chiarimenti forniti dalla difesa regionale, ma,
ciononostante, avrebbe insistito per l’annullamento della norma, affermando di
non essere autorizzata ad abbandonare il ricorso. Tale interesse non potrebbe
essere ravvisato nella asserita mancata divulgazione
dell’interpretazione della legge regionale, dal momento che la Regione avrebbe
reso ai Comuni lombardi numerosi pareri in merito e, comunque, la non corretta
interpretazione della legge regionale da parte delle amministrazioni comunali
non potrebbe costituire oggetto del sindacato di legittimità costituzionale.

Con riguardo alla
impugnazione dell’art. 2, comma 1, la Regione Lombardia osserva che
l’Avvocatura nella memoria in cui aveva riconosciuto che effettivamente la
legge lombarda non prevedeva un divieto assoluto di sanatoria, ha riproposto le
censure ai commi 1 e 2 dell’art. 2, e per di più ha affermato che qualsiasi
eccezione al principio della sanabilità degli abusi sulle nuove costruzioni
sarebbe da considerare illegittima in quanto lesiva del principio fondamentale
della sanabilità degli illeciti realizzati sulle nuove costruzioni. In tal modo
la difesa statale avrebbe ampliato e mutato il thema decidendum, con
conseguente inammissibilità della nuova censura.

Nel merito, tali censure
sarebbero infondate dal momento che l’art. 2,
comma 1, avrebbe escluso la sanatoria solo per gli
abusi edilizi particolarmente rilevanti sul piano urbanistico e ciò avrebbe
fatto nell’ambito dei poteri regionali, così come riconosciuti da questa Corte
nelle sentenze n. 196 del 2004 e nn. 70 e 71 del 2005.

Infondate sarebbero le censure di
violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere a), e), l), dell’art. 119 Cost., nonché dell’art. 3 Cost., dal momento che questa Corte
avrebbe ricondotto alla competenza concorrente i1 potere delle Regioni di
specificare, articolare e persino derogare alla disciplina statale.

Con riguardo alle censure mosse
avverso l’art. 2, comma 2, la Regione rileva come la
difesa dello Stato, dopo aver preso atto dell’interpretazione sistematica della
norma svolta nella memoria di costituzione, ha affermato che essa avrebbe
eliminato una parte cospicua della controversia, pur lasciandone una parte
residua, senza tuttavia chiarire quale essa fosse. Tale censura sarebbe dunque
inammissibile per carenza di interesse e per mancata
identificazione della disposizione violata, nonché per genericità ed
imprecisione della censura.

21. – Nel giudizio introdotto con
ricorso n. 7 del 2005, con atto depositato il 26 gennaio 2005, la Regione
Veneto si è costituita in giudizio, chiedendo che le questioni proposte con il
ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri siano
dichiarate inammissibili o infondate, e
riservando ad una successiva memoria.

22. – Nella memoria depositata in
data 30 novembre 2005, la Regione Veneto sostiene, innanzitutto, che il ricorso
dello Stato sarebbe fondato su una lettura parziale e fuorviante della sentenza
n. 196 del 2004; significativa sarebbe anche la
sentenza n. 71 del 2005, nella quale questa Corte avrebbe espressamente
riconosciuto alle Regioni il potere di determinare, entro i limiti fissati
dalla legge statale, tipologie ed entità degli abusi assentibili.

Per quanto
attiene alla censura mossa avverso l’art. 3, comma 1, lettera c), della legge
impugnata, il quale pone, per la sanabilità delle nuove costruzioni, il duplice
limite che esse siano pertinenziali a fabbricati residenziali e che abbiano una
volumetria massima di 300 metri cubi, la difesa regionale osserva come tale
disposizione avrebbe rispettato la condizione generale posta dal legislatore
nazionale, pur introducendo condizioni più restrittive, sulla base della
particolare «esperienza urbanistico-edilizia veneta». Con la
disposizione impugnata, pertanto, il legislatore veneto avrebbe rispettato i
limiti posti dalla normativa statale facendo un uso del potere ad esso spettante ben più limitato rispetto a quanto
consentito.

Anche le censure mosse avverso l’art. 3, comma 3, sarebbero infondate.
Innanzitutto, la norma si riferirebbe alle aree assoggettate ai vincoli di cui
all’art. 32, della legge n. 47 del 1985, ossia ai vincoli non preclusivi in via
assoluta dell’edificabilità e pertanto non sarebbe neppure ipotizzabile la
lamentata violazione dell’art. 33 della stessa legge riguardante le aree
soggette ai vincoli di inedificabilità.

D’altra parte, la
ammissione di alcuni mutamenti di destinazione d’uso e delle «opere o
modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume» escluderebbe dalla
sanatoria qualsiasi altro intervento abusivo.

A tale riguardo, si osserva come la Regione non avrebbe inteso discostarsi dalla
disciplina statale di cui all’art. 32 della 1egge n. 47 del 1985 ed all’art.
32, comma 27, del decreto-legge n. 269 del 2003. Anzi, a fronte dell’incertezza
interpretativa in ordine alla portata delle
disposizioni citate, il legislatore veneto si sarebbe limitato a chiarire che
la normativa statale, «anche se intesa nel senso più restrittivo, non preclude
la sanatoria amministrativa di abusi che abbiano natura insignificante rispetto
al vincolo paesaggistico o ambientale». Sarebbe pertanto ammessa la sanatoria
dei mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova
destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile; sarebbe
inoltre ammessa la sanatoria delle opere o modalità di esecuzione
non valutabili in termini di volume. La norma riguarderebbe, pertanto, ipotesi
già desumibili in via interpretativa, in quanto prive di impatto
esterno, per le quali sarebbe irrilevante la circostanza che l’area sia o meno
soggetta a vincolo paesaggistico o ambientale.

La difesa regionale eccepisce,
poi, l’inammissibilità e l’improcedibilità della censura, dal momento che la
disposizione impugnata sarebbe stata modificata
dall’art. 19 della legge della Regione Veneto 25 febbraio 2005, n. 8.

La Regione contesta, da ultimo,
le censure mosse all’art. 3, comma 1, lettera a),
concernente gli ampliamenti di costruzioni a destinazione industriale,
artigianale, agricolo-produttiva, ed impugnato dallo Stato perché consentirebbe
il superamento del limite massimo fissato dal legislatore statale. In realtà,
osserva la difesa regionale, con tale disposizione si sarebbe voluto limitare
l’ammissibilità del condono, allo stesso tempo prendendo atto che il criterio
urbanistico di riferimento utilizzato dal legislatore statale non corrisponde a
quello utilizzato dalla legislazione urbanistica veneta per disciplinare gli
edifici a destinazione produttiva. Conseguentemente, la Regione avrebbe
«convertito» il parametro dei metri cubi in quello dei metri quadrati; avrebbe
altresì ridotto i limiti massimi di ammissibilità
della sanatoria rispetto al «tetto» statale, limitando l’ampliamento sanabile
al 20% della superficie coperta originaria e la superficie massima
dell’ampliamento sanabile a 450 mq; avrebbe inoltre reso, da alternative,
cumulative le due condizioni sopra indicate. La doverosità del rispetto di
ambedue i limiti non consentirebbe mai il superamento
del «tetto» statale, in quanto il 20% della superficie coperta esistente
sarebbe logicamente inferiore al 30% del volume esistente ed inoltre, in quanto
il limite dei 450 mq di superficie coperta massima dell’ampliamento, operando
«congiuntamente col limite del 20% della superficie coperta», rileverebbe «solo
se ed in quanto comprima ulteriormente l’ampliamento sanabile, escludendo anche
ampliamenti di per sé rispettosi della soglia del 20% della superficie coperta
esistente se comunque troppo ampi».

23. – L’Avvocatura dello Stato,
in data 22 novembre 2005, ha depositato una memoria nella quale ribadisce le censure svolte nel ricorso avverso la legge
regionale del Veneto n. 21 del 2004.

24. – Nel giudizio introdotto con
ricorso n. 8 del 2005, con atto depositato il 4 febbraio 2005, si è costituita
in giudizio la Regione Umbria, concludendo nel senso
della inammissibilità, e comunque della infondatezza,
delle censure proposte dal ricorso statale.

La resistente, in via
preliminare, afferma che per la sentenza n. 196 del 2004 i contenuti di
principio da ritenersi sottratti al legislatore regionale sono, oltre ai
profili penalistici, solo la «previsione del titolo abilitativo edilizio in
sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo delle
opere condonabili, la determinazione delle volumetrie massime condonabili». Per le restanti parti, le Regioni potrebbero
quindi introdurre discipline differenti.

In
riferimento alle censure mosse nei confronti dell’art. 21, comma 1, lettera d),
la difesa regionale osserva che la sentenza n. 196 del 2004 ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269
del 2003 nella parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al
successivo comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a quelli ivi
indicati. Da ciò discenderebbe che il solo principio fondamentale desumibile
dalla disposizione in questione è rappresentato dalla indicazione
del limite massimo di 750 metri cubi per ogni titolo abilitativo in sanatoria.
Peraltro, la Regione osserva che la disposizione impugnata non escluderebbe il
condono per gli ampliamenti delle nuove costruzioni residenziali, ma lo circoscriverebbe soltanto.

In relazione
alle censure proposte nei confronti dell’art. 20, comma 1, invece, la
resistente osserva che la espressione dei limiti in metri cubi, anziché in
metri quadri, non può essere considerata un principio fondamentale della materia,
stante la agevole convertibilità dei metri quadri in metri cubi, in base alla
considerazione dell’altezza media degli edifici del tipo di volta in volta in
questione, o la maggiore altezza in concreto risultante. Il legislatore
regionale avrebbe altresì contemplato l’eventualità che l’immobile sia
particolarmente alto – in quanto, ad esempio, adibito a scopi industriali –
precisando all’art. 20, comma 3, che le «opere di cui al comma 1, lettere a) e
b), e al comma 2 non possono comunque comportare il
superamento dei limiti volumetrici massimi stabiliti all’articolo 32, comma 25
del D.L. n. 269/2003». Per l’ipotesi in cui l’abuso determini solo un aumento
del volume, ma non anche della superficie (ad es. una sopraelevazione o uno
scantinato), l’art. 27, comma 2, prevede il ricorso ad
una formula matematica per determinare la superficie corrispondente e
determinare quindi la compatibilità dell’intervento con i limiti prescritti
nell’art. 20, comma 1, lettera a).

Quanto poi alla differenziazione
che la legge regionale opera tra unità immobiliari destinate ad abitazioni e
quelle destinate ad attività produttive e servizi, essa sarebbe pienamente
giustificata e comunque sarebbe il frutto di una
scelta di politica edilizio-urbanistica che competerebbe alla Regione.

Le questioni di costituzionalità
proposte dal ricorso statale inerenti la presunta
violazione della competenza statale in materia di rapporti con l’UE, moneta e
sistema tributario e contabile dello Stato, secondo la resistente, andrebbero
ritenute inammissibili per evidente genericità. Ancora, nessuna motivazione
sorreggerebbe la presunta violazione della competenza statale in materia di
sistema tributario e contabile dello Stato.

Nel merito, tali censure
sarebbero infondate, poiché basate sull’erroneo
presupposto secondo il quale la potestà normativa regionale incontrerebbe «un
limite nel rispetto dell’ampiezza del gettito finanziario stabilito
unilateralmente dal Governo in tema di condono ed altrettanto unilateralmente
destinato a coprire altre spese statali» e comunque
contrastate da quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n.
196 del 2004.

Quanto alle censure relative all’art. 21, comma 1, lettera c), la Regione
afferma come esse siano frutto di una erronea lettura della disposizione, che
invece si riferisce «esclusivamente all’utilizzo dell’area agricola per usi
diversi da quello agricolo».

I rilievi concernenti
la lettera e), invece, sarebbero infondati,
in quanto la distinzione della posizione dei fabbricati interamente condonati
in precedenza non sarebbe affatto irragionevole.

La censura concernente
l’art. 21, lettera h), sarebbe inammissibile, a causa della sua
genericità; comunque, nel merito, si osserva come la «grandissima valenza
storica, artistica e culturale» dei centri delle città umbre rende non
irragionevole la loro assimilazione ai siti archeologici e all’edificato civile
di particolare rilievo architettonico e paesistico.

Pretestuosi sarebbero, invece, i rilievi mossi nei confronti dell’art. 19, dal momento che le
disposizioni statali espressamente richiamate solo dal comma 2, sarebbero
riferite anche al comma 1 dello stesso art. 19.

Del pari destituite di fondamento
sarebbero le censure concernenti l’art. 27, comma 4, che distingue l’ipotesi in
cui le più unità immobiliari appartenenti allo stesso proprietario si
configurino come un’unica unità abitativa o produttiva, ovvero come distinte ed
autonome tra loro, ammettendo che solo nel secondo caso il condono possa
riguardare ciascuna unità abitativa.

25. – L’Avvocatura dello Stato ha
depositato, in data 15 novembre 2005, una memoria nella quale, prendendo atto
delle difese svolte dalla Regione Umbria, circoscrive l’ambito delle censure,
individuando i «punti non, o non più controversi anche per segnalare l’utilità
– ai fini di certezza giuridica – di esplicite
specifiche puntualizzazioni in proposito nella motivazione della emananda
sentenza».

Innanzitutto il ricorrente
afferma che è «superata» la censura relativa all’art.
20, comma 1, lettera c), dal momento che la Regione ne ha fornito
un’interpretazione conforme alla normativa statale.

Anche la questione concernente l’art. 27, comma 4, «può essere superata
esplicitandosi che» tale norma non deroga ai limiti posti dall’art. 20, comma
3, della stessa legge regionale, e cioè ai limiti volumetrici massimi stabiliti
all’articolo 32, comma 25 del decreto-legge n. 269 del 2003.

Non più controverso sarebbe anche
l’art. 19 del quale la Regione avrebbe fornito un
interpretazione conforme alla normativa statale, nonché l’art. 21, comma 1,
lettera c), il quale non escluderebbe la sanabilità delle costruzioni
realizzate in zona agricola.

Conseguentemente, il nucleo delle
censure sarebbe circoscritto all’art. 21, comma 1,
lettera d), nella parte in cui esclude la sanabilità delle nuove costruzioni
residenziali. A tale riguardo, il ricorrente afferma che la sentenza n. 196 del
2004 non avrebbe liberato i legislatori regionali dal
dovere di conformarsi ai principi determinati dal Parlamento. Pertanto al
legislatore regionale sarebbe consentito apportare solo articolazioni e
specificazioni della disciplina statale.

L’Avvocatura ribadisce
altresì le censure fondate sugli artt. 81, 117, terzo comma, e 119 Cost., dal momento che i legislatori regionali non potrebbero
sottrarre risorse finanziarie essenziali al bilancio dello Stato e turbare il
difficile equilibrio della finanza pubblica statale, dal momento che le
esigenze di politica economico-finanziaria nazionale «necessariamente pervadono
tutte le materie» rientranti nella competenza concorrente.

Il ricorrente ribadisce
infine le censure relative all’art. 20, comma 1, lettera a), e all’art. 21,
lettera e) della legge regionale, mentre «reputa preferibile non insistere
nella domanda di parziale demolizione» dell’art. 21, lettera h), tenuto conto
della scarsa rilevanza pratica della questione.

26. – La Regione Umbria, nella
memoria depositata il 29 novembre 2005, ribadisce che
le censure svolte dallo Stato avverso la legge impugnata non terrebbero conto
della sentenza n. 196 del 2004, la quale avrebbe individuato, sia pure a titolo
esemplificativo, i principi fondamentali contenuti nell’art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003. Non costituirebbe invece principio fondamentale la indicazione delle quantità sanabili in metri cubi, come
invece asserito dall’Avvocatura dello Stato. D’altra parte, la disciplina
regionale si limiterebbe a circoscrivere la sanatoria alle opere realizzate in
assenza o difformità dal titolo abilitativo, purché conformi alle norme
urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti al 2 ottobre 2003.

Per quanto attiene alla lamentata
lesione dell’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), Cost.,
la difesa regionale rileva che tali censure sarebbero immotivate. Qualora esse
dovessero essere lette come sostegno alla asserita
violazione della materia del coordinamento della finanza pubblica, sarebbero infondate.
La imposizione di un vincolo, «per di più di entrata»,
alla autonomia di bilancio non sarebbe, infatti, principio generale di
coordinamento della finanza pubblica.

L’esclusione dalla sanatoria
degli immobili che abbiano beneficiato di precedenti
condoni edilizi (art. 21, comma 1, lettera e) rientrerebbe nella potestà
riconosciuta al legislatore regionale di introdurre esclusioni ulteriori
rispetto a quelle previste dalla disciplina statale, e giustificata dalla
tutela di finalità generali, come il contrasto della recidiva e dell’abitualità
nella commissione degli abusi.

La limitazione alla condonabilità
degli abusi realizzati nei centri storici, censurata dallo Stato, si
giustificherebbe se inquadrata nella valenza storica e artistica dei centri
urbani della Regione Umbria.

La resistente precisa, altresì,
come le limitazioni alla sanatoria poste dai legislatori regionali
inciderebbero, a differenza di quanto mostra di ritenere l’Avvocatura dello
Stato, solo sul rilascio del titolo abilitativo in sanatoria e non sulla estinzione del reato, di modo che, quand’anche l’abuso
non fosse sanabile sotto il profilo amministrativo in base ad una previsione
regionale restrittiva, il suo autore potrebbe comunque beneficiare dell’effetto
estintivo del reato.

La difesa regionale precisa,
infine, come l’art. 27, comma 4, si riferisca chiaramente alle ipotesi di più
unità immobiliari dello stesso proprietario comprese in un
unico edificio e non autonome.

27. – Nel giudizio introdotto con
ricorso n. 9 del 2005, con atto depositato il 4 febbraio 2005, la Regione
Campania si è costituita in giudizio, contestando l’ammissibilità e la
fondatezza del ricorso statale.

La difesa regionale innanzitutto
afferma che il termine di quattro mesi non decorrerebbe dalla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 168 del 2004,
bensì dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, e cioè dal 1°
agosto 2004, che ha apportato emendamenti sul punto specifico.

La difesa regionale eccepisce comunque l’inammissibilità delle censure prospettate con
riguardo al mancato rispetto del termine, in quanto sollevate in modo
dubitativo.

Nel merito contesta che tale
termine sia e possa essere qualificato come perentorio. In ogni caso, esso
sarebbe del tutto sganciato dall’impianto concettuale utilizzato dalla Corte
nella sentenza n. 196 del 2004, la quale, nel disporre che la legge statale
dovesse fissare un congruo termine per l’emanazione delle leggi regionali, collegava tale previsione al principio di leale
cooperazione.

La Regione eccepisce come ulteriore profilo di inammissibilità del ricorso,
l’impugnativa di alcune soltanto delle norme contenute nella legge regionale,
in tal modo operando una non consentita frammentazione di un unitario
intervento regionale. Quanto poi alle censure relative alle
singole disposizioni, la Regione ne eccepisce innanzitutto l’inammissibilità,
per carenza dell’argomentazione nonché per genericità dei parametri evocati.

Nel merito tali censure sarebbero
infondate in quanto la Regione avrebbe esercitato l’autonomia di scelta risconosciutale
dalla Corte in ordine alla delimitazione della possibilità, delle condizioni e
delle modalità della sanatoria straordinaria.

Anche la previsione della esclusione dalla sanabilità delle opere ricadenti sul
demanio pubblico rientrerebbe tra le scelte che la Corte ha attribuito alla
Regione, laddove ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge
statale che non ha previsto l’applicabilità della disciplina regionale anche al
demanio statale.

In via subordinata, la difesa
regionale chiede che ove la Corte ritenga che il termine per l’emanazione della
legge regionale decorresse dal 12 luglio 2004, sollevi avanti a sé la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del decreto-legge n. 168
del 2004, «nella parte in cui limita a soli quattro mesi il termine per
l’esercizio della potestà legislativa regionale», trattandosi di termine
incongruo rispetto alla pluralità di contenuti e alla complessità delle scelte
che il legislatore regionale doveva operare, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. e del principio di leale
collaborazione.

28. – La Regione Campania ha
depositato una memoria difensiva in data 8 ottobre 2005, nella quale insiste
perché la Corte costituzionale dichiari inammissibile, e comunque
infondato, il ricorso statale.

In particolare, la resistente
contesta la configurazione del termine posto all’esercizio della potestà
legislativa regionale come perentorio. Si tratterebbe, invece, di un termine
posto a presidiare la «effettiva reciproca collaborazione fra i livelli di
governo, al fine di consentire la operatività della
scelta del condono».

Peraltro, la Regione ribadisce la incongruità del termine in concreto stabilito
dalla legge statale, e dunque la sua illegittimità costituzionale.

Le doglianze espresse nel ricorso
statale circa il merito delle scelte operate con la legge regionale, inoltre,
sarebbero infondate, in quanto «sul piano urbanistico-amministrativo»
la Corte costituzionale avrebbe già «definitivamente riconosciuto alle Regioni una ampia discrezionalità».

29. – L’Avvocatura dello Stato ha
depositato, in data 5 novembre, una memoria nella quale, anzitutto, contesta
che l’impugnazione di alcune soltanto delle norme contenute nella legge
regionale campana determini l’inammissibilità del ricorso.

Ribadisce
inoltre l’illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate «per
inottemperanza, in quanto tardivamente prodotte, alle indicazioni date» dalla
Corte nella sentenza n. 196 del 2004 e per conseguente inosservanza del
principio di leale collaborazione e violazione dell’art. 117, terzo comma,
Cost.

Tale censura, ove ritenuta
fondata, sarebbe assorbente rispetto alle doglianze
specifiche prospettate nel ricorso «in via logicamente subordinata».

L’Avvocatura infine contesta il
carattere generico delle difese svolte dalla Regione.

In tutti i ricorsi sopra
menzionati il Presidente del Consiglio dei ministri precisa inoltre che la declaratoria
di illegittimità costituzionale delle disposizioni
impugnate non produrrebbe alcuna lacuna, posto che da essa deriverebbe «il
riespandersi della normativa statale».

30. – Nel corso dell’udienza
pubblica il rappresentante dell’Avvocatura generale dello Stato ha insistito
per la dichiarazione di illegittimità costituzionale
di tutte le norme impugnate, non essendo stato autorizzato a rinunziare ad
alcuna di esse.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha
impugnato numerose disposizioni di sette leggi regionali: gli artt. 26, comma 4; 29 comma 2 (e, per quanto ivi richiamato, l’art. 8,
comma 3); 32; 33, commi da 1 a 4 (eccettuata, nel comma 3, la lettera d); 34,
commi 1 e 2 (con esclusione delle lettere b, c, d ed e del comma 2), della
legge della Regione Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e
controllo dell’attività edilizia ed applicazione della normativa statale di cui
all’articolo 32 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche
dalla legge 24 novembre 2003, n. 326); l’art. 2, commi 1, 2, 5 (limitatamente
alla lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana 20 ottobre 2004, n. 53
(Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria); l’art. 3 (eccettuato il
comma 4) della legge della Regione Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla
sanatoria degli abusi edilizi); gli artt. 1, comma 1 (limitatamente alle
parole «salvo quanto disposto dalla presente legge»); 2, commi 1 e 2; 3, comma
1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 (Disposizioni
regionali in materia di illeciti edilizi); gli artt. 3, commi 1 (eccettuata la lettera b) e 3, della legge della Regione
Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di condono edilizio);
gli artt. 19; 20, comma 1, lettere a) e c); 21, comma 1,
lettere c), d), e) ed h); 27, comma 4 (tali ultime due disposizioni sono
impugnate in virtù della loro asserita «connessione» con le altre), della legge
della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza,
responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia); gli artt. 1, 3 (eccettuate le lettere b e d del comma 2); 4; 6 (soltanto i
commi 1, 2 e 5) e 8 della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10
(Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto legge 30 settembre
2003, n. 269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n.
326, di conversione e successive modifiche ed integrazioni).

I parametri costituzionali che,
sotto differenziati profili, si assumono violati sono
gli artt. 3; 42; 81; 97; 117, secondo comma, lettere a), e), l), s); 117, terzo
comma; 119 Cost., nonché i principi di autonomia degli
enti locali e di leale collaborazione fra Stato e Regioni.

2. – Considerata la sostanziale
identità della materia, nonché l’analogia di gran
parte delle questioni prospettate, i giudizi possono essere riuniti per essere
affrontati congiuntamente e decisi con unica sentenza.

3. – Le molteplici questioni di
costituzionalità sollevate nei ricorsi del Presidente del
Consiglio dei ministri possono essere sintetizzate nei termini seguenti.

I) L’art. 26, comma 4, della
legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale dispone che «le
opere edilizie autorizzate e realizzate in data antecedente all’entrata in
vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme sulla edificabilità
dei suoli), che presentino difformità eseguite nel corso dell’attuazione del
titolo edilizio originario, si ritengono sanate, fermo restando il rispetto dei
requisiti igienico-sanitari e di sicurezza», violerebbe l’art. 117, terzo
comma, Cost., dal momento che introdurrebbe – peraltro in contrasto con la
tendenza alla riduzione dell’ambito applicativo della sanatoria propria di
altre norme della stessa legge regionale – «una sanatoria straordinaria
gratuita ed ope legis non sorretta da alcun principio fondamentale determinato
dallo Stato, e contrastante con le esigenze della finanza pubblica»; inoltre, la
medesima norma violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una
discriminazione tra i proprietari basata sulla diversa collocazione temporale
degli illeciti, consentendo la sanatoria ex lege solo per quelli più risalenti
nel tempo.

II e III) L’art. 29, comma 2,
della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale stabilisce
che «qualora in sede di definizione della domanda di sanatoria o di controlli
successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione
del professionista abilitato” contenga dichiarazioni non veritiere, rilevanti
ai fini del conseguimento del titolo, «trova applicazione quanto disposto
dall’articolo 8, comma 3», nonché l’art. 8, comma 3, della medesima legge, per
quanto richiamato dall’art. 29, secondo il quale «nel caso in cui il titolo
abilitativo contenga dichiarazioni non veritiere del progettista necessarie ai
fini del conseguimento del titolo stesso, l’Amministrazione
comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine
professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari»,
violerebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla
materia dell’«ordinamento civile e penale», nonché dell’art. 117, terzo comma,
Cost. in quanto contrasterebbe con la competenza statale concorrente in materia
di «professioni»;

IV) L’art. 32, della legge
regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, che disciplina in linea generale
gli interventi non ammessi a sanatoria, aggiungendo a quelli ritenuti tali
dalla normativa statale di principio anche gli interventi e le opere «per la
cui realizzazione siano stati utilizzati contributi pubblici erogati successivamente al 1995 a qualunque titolo dallo Stato,
dalla Regione e dagli enti locali», nonché gli interventi realizzati su «unità
abitative già oggetto di titolo in sanatoria, ai sensi dei capi IV e V della
legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività
urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), o
dell’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), per la regolarizzazione amministrativa di interventi
di nuova costruzione o di ristrutturazione nonché interventi di ampliamento o
soprelevazione che abbiano comportato nuove unità immobiliari», violerebbe gli
artt. 3, primo comma, 42, 117 e 119 Cost., in quanto
la previsione di ulteriori (rispetto a quelle previste dalla legislazione
statale) condizioni ostative all’ammissibilità della sanatoria contrasterebbe
con la normativa statale di principio, con il principio di uguaglianza e la
disciplina costituzionale della proprietà privata, determinando una
irragionevole discriminazione «tra proprietari di edifici ed anche tra autori
(eventualmente imputati) degli illeciti edilizi».

V) L’art. 33, comma 1, della
legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale dispone che «in tutto il territorio della Regione non è ammesso il rilascio
dei titoli in sanatoria per la costruzione di nuovi manufatti edilizi fuori
terra o interrati realizzati in contrasto con la legislazione urbanistica o con
le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data del 31 marzo
2003», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché, escludendo dalla
assoggettabilità al condono edilizio i nuovi manufatti, contrasterebbe con la
norma statale di principio di cui all’art. 32, comma 25, del decreto-legge 30
settembre 2003 n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la
correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326, secondo la quale non può
essere esclusa – ma, eventualmente, soltanto delimitata – la sanabilità delle
nuove costruzioni residenziali di modeste dimensioni realizzate in contrasto
con gli strumenti urbanistici; contrasterebbe, inoltre, con l’art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate
alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea»,
della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato», nonché con
l’art. 117, terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento
della finanza pubblica; con l’art. 81 Cost., in quanto inciderebbe
negativamente sulla copertura finanziaria di molte leggi di spesa che «fanno
affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando una «indebita
turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»; violerebbe
altresì l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della
disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del
principio di uguaglianza; violerebbe, infine, l’art. 117, secondo comma,
lettera l), Cost. relativamente alla competenza statale esclusiva in materia di
ordinamento civile e penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito
urbanistico riceverebbe nella Regione, per effetto dell’applicazione della
norma impugnata, un diverso trattamento giudiziario;

VI) L’art. 33, commi 2 e 3, della
legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, nella parte in cui limita
in modo sostanziale l’ammissibilità della sanatoria per gli ampliamenti e le
sopraelevazioni, discostandosi dai limiti previsti dall’art. 32, comma 25, del
decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché ridurrebbe irrazionalmente e irragionevolmente
l’ambito degli interventi ammessi al condono edilizio dalla normativa statale;
l’art. 117, secondo comma, lettere a) ed e), l’art. 117, terzo comma, nonché
l’art. 119 Cost., in quanto ridurrebbe il gettito finanziario previsto dalla
normativa statale sul condono edilizio, in tal modo incidendo su materie di
competenza statale esclusiva («rapporti dello Stato con l’Unione europea»,
«moneta») e concorrente («coordinamento della finanza pubblica»); l’art. 81
Cost., in quanto avrebbe effetto sulla copertura finanziaria di molte leggi di
spesa che «fanno affidamento sul gettito del condono edilizio», determinando
una «indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese nel suo insieme»;
l’art. 3, Cost., in quanto la restrizione dell’ambito applicativo della
disciplina statale del condono edilizio comporterebbe una violazione del
principio di uguaglianza; l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in
relazione alla competenza statale esclusiva in materia di ordinamento civile e
penale, dal momento che la medesima tipologia di illecito urbanistico
riceverebbe, per effetto dell’applicazione della norma impugnata, un diverso
trattamento giudiziario; l’art. 3 Cost., nella parte in cui introduce, per gli
edifici bifamiliari (art. 32, comma 3, lettera b), un limite (100 metri cubi)
irragionevolmente più severo rispetto a quello (cento metri quadrati) «che
segna il confine tra la nozione di variazione essenziale e quella di parziale
difformità (per l’Emilia-Romagna, art. 23 della legge reg. 25 novembre 2002, n.
31)».

VII) L’art. 33, comma 3 (ad
eccezione della lettera d), della legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del
2004, concernente gli ampliamenti e sopraelevazioni di manufatti esistenti, e
l’art. 34, comma 2, concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia,
nella parte in cui ammettono la sanatoria straordinaria (soltanto) di interventi edilizi «che siano conformi alla legislazione
urbanistica ma che contrastino con le prescrizioni degli strumenti urbanistici
vigenti alla data del 31 marzo 2003», violerebbero l’art. 117, terzo comma,
Cost., in quanto contrasterebbero con la normativa statale di principio
relativa alla individuazione degli interventi ammissibili a sanatoria, non
essendo chiara la portata del requisito della conformità alla legislazione
urbanistica e potendo esso determinare una ridottissima possibilità di
applicazione del condono, anche in relazione ad abusi minori.

VIII) L’art. 33, comma 4, della
legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale stabilisce che
«qualora gli ampliamenti di cui al comma 3, lettera a), punto 1), riguardino
edifici con originaria funzione diversa da quella abitativa,
tali immobili sono obbligati a mantenere una destinazione d’uso non
abitativa nei venti anni successivi alla data di entrata in vigore della
presente legge», nella parte in cui vincola per venti anni la destinazione
d’uso degli immobili condonati, violerebbe gli artt. 3, 117, secondo comma,
lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119, 81 Cost.,
«l’autonomia degli enti locali» in relazione all’esercizio della potestà
urbanistica, nonché l’art. 42 Cost. e la garanzia costituzionale della
proprietà.

IX e X) L’art. 34, comma 1, della
legge regionale dell’Emilia-Romagna n. 23 del 2004, il quale esclude dalla
sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia «realizzati in contrasto
con la legislazione urbanistica o con le prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data del 31 marzo 2003, fatto salvo quanto disposto
dal comma 2», senza «distinguere tra ristrutturazioni per le quali è necessario
permesso di costruire e ristrutturazioni a volumetria e superficie utile lorda
invariate» (che non comportano, di regola, alterazioni del carico urbanistico,
e dunque non implicano oneri per la riqualificazione urbana a carico delle
comunità locali), nonché l’art. 34, comma 2, lettere
a) e d) della medesima legge, il quale ammette a sanatoria gli interventi di
ristrutturazione purché ricorrano le condizioni elencate e siano conformi alla
legislazione urbanistica, ed in particolare la lettera a), la quale ammette a
sanatoria gli interventi di ristrutturazione edilizia che «non comportino
aumento delle unità immobiliari, fatte salve quelle ottenute attraverso il
recupero ai fini abitativi dei sottotetti, in edifici residenziali bifamiliari
e monofamiliari», violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
contrasterebbero con la normativa statale di principio che non prevede tali
limitazioni.

XI) L’art. 2, comma 1, della
legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, nella parte in cui ammette alla
sanatoria edilizia soltanto «le opere e gli interventi
(…) realizzati con variazioni essenziali dal titolo abilitativo o, comunque, in
difformità rispetto ad esso» (lettera a), escludendo dall’ambito di
applicazione del condono gli immobili realizzati in assenza di permesso di
costruire, ed inoltre, nella parte in cui subordina la sanabilità al «rispetto
dei limiti indicati dal comma 2», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in
quanto, nel circoscrivere i limiti di volumetria e nell’escludere del tutto
tipologie di abusi dall’ambito degli interventi ammessi alla sanatoria,
contrasterebbe con il principio fondamentale posto dalle norme statali
concernenti il condono edilizio che consente alle Regioni soltanto la
possibilità di «specificare i limiti (quantitativi e non) della sanabilità»,
nonché di «‘limare’ entro margini di ragionevole tollerabilità (…) le
volumetrie massime previste dal legislatore statale»; l’art. 117, secondo
comma, lettere a) ed e), Cost., in quanto inciderebbe nelle materie – affidate
alla competenza esclusiva dello Stato – dei «rapporti con l’Unione europea»,
della «moneta» e del «sistema tributario e contabile dello Stato»; l’art. 117,
terzo comma, l’art. 119 Cost. e la potestà statale di coordinamento della
finanza pubblica; l’art. 81 Cost., in quanto comprimerebbe il gettito derivante
dal condono edilizio sul quale più leggi del Parlamento farebbero affidamento,
ledendo «le potestà statali di governo della finanza pubblica», e potendo
«essere considerato indebita turbativa dell’equilibrio finanziario del Paese
nel suo insieme»; l’art. 3 Cost. ed il principio di eguaglianza; l’art. 117,
secondo comma, lettera l), Cost., in relazione alla competenza esclusiva statale
in esso prevista nelle materie dell’ordinamento civile e penale, in ragione
della «asistematicità» delle pronunzie giurisdizionali che i giudici comuni
sarebbero chiamati a rendere in applicazione della normativa impugnata.

XII) L’art. 2, comma 2, della legge
regionale della Toscana n. 53 del 2004, che individua gli interventi non
suscettibili di sanatoria, violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto si discosterebbe «eccessivamente» e
«irrazionalmente», dai «limiti quantitativi» alla sanabilità di ampliamenti e
ristrutturazioni, previsti dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del
2003; violerebbe, altresì, gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 119 Cost. (per ragioni identiche a quelle indicate
per le questioni sub VI e XI).

XIII) L’art. 2, comma 5, lettera
c), della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, il quale esclude del
tutto dalla sanatoria «le opere e gli interventi in contrasto con le
destinazioni d’uso ammesse, nella zona interessata, dagli strumenti urbanistici
vigenti al momento dell’entrata in vigore» della medesima legge, violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost, perché introdurrebbe «un limite non sorretto da
(un) principio determinato dal legislatore statale», nonché
in quanto consentirebbe, «nella concreta applicazione» della normativa,
«discrezionalità non compatibili con la ‘meccanica’ di un condono edilizio».

XIV) L’art. 2,
comma 6, della legge regionale della Toscana n. 53 del 2004, ai sensi
del quale, «qualora i vincoli di cui al comma 4 e al comma 5, lettera a), siano
istituiti dopo l’entrata in vigore della presente legge, si applica quanto
previsto dall’articolo 32 della l. n. 47/1985. Si applica ugualmente l’articolo
32 della l. n. 47/1985 per la sanatoria delle opere di cui al
comma 5, lettera a), conformi agli strumenti urbanistici», laddove
sembra attribuire ai vincoli istituiti dopo l’entrata in vigore della legge de
qua «la forza di impedire la sanatoria straordinaria», violerebbe gli artt. 81,
117, secondo e terzo comma, e 119 Cost.; l’art. 3
Cost., in quanto il principio di eguaglianza sarebbe «irrazionalmente leso
dalla facoltà (e dalla attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo
discrezionale l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio»;
l’art. 97 Cost. ed i principi di imparzialità e buon andamento
dell’amministrazione.

XV) L’art. 3, commi 1 e 3, della
legge regionale della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui
introduce limiti quantitativi all’ambito degli interventi ammessi alla
sanatoria straordinaria, riducendo le volumetrie massime assentibili ed escludendo
quasi del tutto la sanatoria per le nuove costruzioni
residenziali, in tal modo ponendosi in contrasto con i principi stabiliti dalla
legislazione statale, violerebbe gli artt. 81, 117, secondo comma, lettere a),
e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per identiche
ragioni rispetto a quelle indicate per le questioni sub VI e XI), nonché l’art.
3 Cost., in quanto alterna in modo «poco razionale» «misure di volumetria a
misure di superficie», senza specificare se si tratta di superficie utile lorda
o netta, ed in quanto sopprime «la essenziale distinzione tra nuove costruzioni
e ampliamenti» ed inoltre in quanto fa «ricorso soltanto a limiti massimi
espressi in cifre assolute».

XVI) L’art. 3 della legge
regionale della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui – per effetto
della soppressione del limite del 30 per cento della volumetria e del limite di
3.000 metri cubi previsti dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, nonché a causa della mancata differenziazione delle nuove
costruzioni non residenziali – estende l’ambito della sanabilità, violerebbe
l’art. 117, terzo comma, Cost., nonché, più specificamente, l’art. 117, secondo
comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce alla competenza esclusiva dello
Stato la materia dello «ordinamento civile e penale».

XVII, XVIII, XIX, XX) L’art. 2,
comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, nella parte in cui
esclude dalla sanatoria straordinaria le «nuove costruzioni, residenziali e
non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non
conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge»; nonché nella
parte in cui appare escludere anche le opere realizzate in totale difformità
dal titolo o con variazioni essenziali; ed infine, nella parte in cui riduce –
in relazione agli ampliamenti – i limiti massimi di volumetria aggiuntiva
ammessi a sanatoria straordinaria, consentendoli solo ove contenuti entro il
«20 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa,
di 500 metri cubi»; l’art. 2, comma 2, della medesima legge, il quale, nello
stabilire che «non sono suscettibili di sanatoria i mutamenti di destinazione
d’uso, qualora superiori a 500 metri cubi per singola unità immobiliare e non
conformi alle previsioni urbanistiche comunali vigenti alla data di entrata in
vigore della presente legge», pone due differenti limiti, ulteriori a quelli
stabiliti dalla normativa statale, alla sanabilità dei mutamenti di
destinazione d’uso, «senza distinguere tra mutamenti implicanti opere ed altri
mutamenti e tra mutamenti incidenti sui carichi urbanistici ed altri
mutamenti», violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, 119 Cost. (per ragioni identiche a
quelle indicate per le questioni sub VI e XI).

XXI) L’art. 3, comma 1, della
legge della Regione Lombardia n. 31 del 2004, ove «considerato esaustivo ed a
se stante» rispetto alla legislazione statale, e dunque, «interpretabile a
contrario» nel senso di consentire un ampliamento dell’ambito della sanatoria,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
sarebbe contrastante «con il principio posto dall’art. 32, comma 27, lettera
d)», del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269; violerebbe altresì l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto invaderebbe l’ambito della
competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile e penale».

XXII) L’art. 3, comma 1, lettera
a), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, il quale ammette a sanatoria
«le tipologie di opera di cui all’Allegato 1 della
legge sul condono» a condizione che «gli ampliamenti di costruzioni a
destinazione industriale, artigianale e agricolo-produttiva non superino il 20
per cento della superficie coperta fino ad un massimo di 450 metri quadrati di
superficie lorda di pavimento», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost, in
quanto, individuando i limiti quantitativi degli abusi sanabili con riferimento
alla superficie e non al volume, renderebbe possibile il superamento del limite
di 750 metri cubi fissato dall’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del
2003, in contrasto con i principi fondamentali della materia «governo del
territorio» individuati dalla sentenza di questa Corte n. 196 del 2004 nella
disciplina statale posta dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, ed in
particolare con il limite massimo delle volumetrie sanabili ivi indicato,
nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto, estendendo
l’ambito della sanabilità, determinerebbe una palese invasione della competenza
statale in materia di «ordinamento civile e penale».

XXIII) L’art. 3, comma 1, lettera
c), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, il quale, nella parte in
cui dispone che «le tipologie di opera di cui
all’allegato 1 della legge sul condono» sono suscettibili di sanatoria edilizia
a condizione che «le nuove costruzioni siano pertinenze di fabbricati
residenziali prive di funzionalità autonoma, fino ad un massimo di 300 metri
cubi», esclude dal condono edilizio le «nuove costruzioni residenziali» diverse
da quelle pertinenziali e aventi volumetria non superiore a 300 metri cubi,
violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto contrasterebbe con «un
principio determinato dal legislatore statale», nonché con la «configurabilità»
– che sarebbe stata ammessa anche da questa Corte – «di una sanatoria
straordinaria di illeciti urbanistici»; l’art. 117, terzo comma, l’art. 119
Cost. e la competenza statale in materia di coordinamento della finanza
pubblica; l’art. 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), Cost., in quanto
inciderebbe sulla competenza esclusiva statale in materia di «rapporti con
l’Unione europea», «moneta», «ordinamento civile e penale»; l’art. 81 Cost.,
per contrasto con il principio di copertura finanziaria, l’art. 3, Cost. e il
principio di eguaglianza ivi sancito.

XXIV) L’art. 3, comma 3, della
legge della Regione Veneto n. 21 del 2004 – il quale dispone che «ad
integrazione di quanto previsto dall’articolo 32, commi 26 e 27, della legge
sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui all’articolo 32» della
legge n. 47 del 1985 e successive modificazioni, «sono suscettibili di
sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia precluso dalla
disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti interventi,
ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione
del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere,
qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento
dell’immobile; b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini
di volume», nella misura in cui farebbe riferimento ad interventi non incidenti
sulla volumetria, ma solo sulla «superficie utile», escludendo dalla sanatoria
«ogni altro intervento abusivo», violerebbe gli artt. 117, secondo e terzo
comma, 81, 119 e 3 Cost. (per le medesime ragioni svolte sub VI e XI), nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sia in
quanto sarebbe riservata al legislatore statale «la tutela dei valori (ad
esempio ambientali) presidiati» dai vincoli di cui all’art. 32 della legge n.
47 del 1985, sia in quanto possa in concreto consentire la sanatoria che
sarebbe invece esclusa in via assoluta dall’art. 33 della legge n. 47 del 1985.

XXV) L’art. 20,
comma 1, lettera a), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il
quale nel disciplinare la sanabilità degli ampliamenti di fabbricati esistenti,
introduce limiti quantitativamente diversi rispetto a quelli previsti dall’art.
32, comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, discrimina tra unità
immobiliari destinate ad attività produttive o a servizi e altre unità
immobiliari, determina tali limiti in «metri quadri di superficie utile
coperta», anziché in termini di volume, in violazione degli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per
identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI, XI).

XXVI) L’art. 20, comma 1, lettera
c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale ammette la
sanatoria delle «opere riconducibili alle seguenti tipologie di
illecito edilizio indicate con i numeri 3, 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al
decreto-legge medesimo, anche con eventuale modifica delle destinazioni d’uso»
le quali «siano esse realizzate in conformità o in difformità dalle norme
urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici alla data del 2
ottobre 2003», violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto, ove la
data del 2 ottobre 2003 fosse riferita alla realizzazione delle opere,
contrasterebbe «con il fondamentale principio posto dall’art. 32, comma 25, del
citato decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269», il quale fa riferimento alle
opere realizzate entro il 31 marzo 2003; l’art. 117, secondo comma, lettera l),
Cost., in quanto invaderebbe la competenza esclusiva dello Stato in materia di
«ordinamento civile e penale».

XXVII) L’art. 21, comma 1,
lettera c), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, nella parte in cui
esclude la sanabilità di opere abusive che comportino
«utilizzo di aree in zona agricola per usi del suolo diversi da quello
agricolo», potendo determinare la preclusione della sanatoria nelle zone
agricole, oltretutto in contraddizione con il precedente art. 20, comma 1,
lettera a), numero 3, ove viene espressamente menzionata la «zona E», determinerebbe
una irragionevole diminuzione dell’ambito degli interventi condonabili, così
violando gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma,
e 119 Cost. (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni
sub VI e XI).

XXVIII) L’art.
21, comma 1, lettera d), della legge della Regione Umbria n. 21 del
2004, il quale, escludendo dal condono edilizio straordinario i «nuovi edifici,
salvo quanto previsto dall’art. 20, comma 1, lettera b)», della medesima legge
regionale, ridurrebbe l’ambito delle fattispecie passibili di sanatoria, in
contrasto con i principi fondamentali posti dall’art. 32, comma 25, del
decreto-legge n. 269 del 2003, ai sensi del quale sarebbero ammesse a sanatoria
anche le «nuove costruzioni residenziali», in violazione degli gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per
identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXIX) L’ art.
21, comma 1, lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, nella
parte in cui esclude la sanabilità dell’ampliamento di edifici la cui «intera»
costruzione abbia già beneficiato di «precedenti condoni edilizi», violerebbe
l’art. 3 Cost., in quanto introdurrebbe una disuguaglianza non sorretta da un
principio della legislazione statale; gli artt. 3 e 42 Cost.,
in quanto discriminerebbe gli attuali proprietari degli edifici in questione
che potrebbero essere soggetti diversi dagli autori dei precedenti abusi e dai
proprietari degli immobili all’epoca in cui essi sono stati realizzati; l’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto la discriminazione tra
proprietà edilizie e relativi proprietari sarebbe invasiva della competenza
esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale».

XXX) L’art. 21, comma 1, lettera
h), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale – nell’escludere
dalla sanatoria gli interventi «di ampliamento nelle
zone omogenee A di cui al D.M. n. 1444/1968, nonché
nei centri storici», ad eccezione «di quelli di cui all’articolo 20, comma 2» –
equipara «i centri storici ai ‘siti archeologici’ e tutti i relativi edifici a
quelli sottoposti a vincolo extraurbanistico», determinando una irragionevole
diminuzione dell’ambito degli interventi per i quali è ammesso il condono
edilizio, violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., (per identiche ragioni rispetto a quelle indicate nelle
questioni sub VI e XI).

XXXI) L’art. 19 della legge della
Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale al comma 1 afferma che «i limiti, le
condizioni e le modalità per il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria
(…) sono disciplinate dal presente titolo», mentre al
successivo comma 2 afferma che «per quanto non disposto dal presente titolo si
applicano» le normative statali del 1985 e del 1994, nonché i termini
temporali, le modalità e le procedure previste dalle norme statali del 2003,
«in connessione con le doglianze in precedenza formulate», violerebbe gli artt.
3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost., in
quanto conterrebbe disposizioni poco chiare ed inoltre, in quanto la mancata
menzione delle «successive modifiche ed integrazioni» della disciplina statale
del 1985 e del 1994 potrebbe «ingenerare incertezze e controversie».

XXXII) L’art. 27, comma 4, della
legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, il quale dispone che «l’ampliamento
di cui alla lettera a) del comma 1 dell’articolo 20, per gli edifici costituiti
da più unità immobiliari dello stesso avente titolo, o da unità immobiliari
pertinenziali insistenti all’interno del lotto o dell’area, sempre dello stesso
avente titolo, è ammesso per una sola volta ed è riferito alla sommatoria delle
superfici di tutte le unità immobiliari interessate, salvo che ogni unità
immobiliare si configuri come autonoma struttura abitativa, produttiva o a
servizi», laddove dovesse intendersi riferito anche ai casi di più proprietari di unità immobiliari comprese in edificio condominiale o di
un unico proprietario di più unità immobiliari autonome, violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost.

XXXIII) Gli artt. 1, 3
(eccettuate le lettere b e d del comma 2), 4, 6 (soltanto i commi 1, 2 e 5) e 8
della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, in quanto emanati quando era
oramai decorso il termine di quattro mesi (scaduto il 12 novembre 2004) stabilito
dall’art. 5, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168 (Interventi
urgenti per il contenimento della spesa pubblica), convertito con modificazioni
nella legge 30 luglio 2004, n. 191, per l’emanazione della legge di cui al
comma 26 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero
l’art. 117, terzo comma, Cost. e il principio di ‘leale collaborazione’, in
quanto, decorso il termine suddetto, la potestà normativa regionale avrebbe
potuto essere esercitata soltanto recependo la normativa statale già divenuta
applicabile, «senza possibilità di contraddirla».

XXXIV, XXXV, XXXVI, XXXVII)
L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, il quale
dispone che «la presente legge disciplina la possibilità,
le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria degli abusi edilizi
di cui al decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, articolo 32, convertito in
legge dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, articolo 1 e successive
modificazioni e integrazioni», laddove sia suscettibile di essere interpretato
nel senso di escludere «dal tessuto normativo complessivo» le disposizioni
statali in esso citate; l’art. 3, comma 1, della medesima legge, nella parte in
cui esclude dalla sanatoria straordinaria tutte le «opere abusive che hanno
comportato la realizzazione di nuove costruzioni difformi dalle norme
urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data
di esecuzione delle stesse», in contrasto con l’art. 32 del decreto-legge n.
269 del 2003, ed inoltre nella parte in cui, irrazionalmente darebbe rilevanza
a norme e strumenti urbanistici non più in vigore al momento dell’entrata in
vigore della legge regionale; l’art. 4, comma 1, lettera a), della medesima
legge, il quale, disponendo che sono sanabili le opere abusive rientranti tra
le tipologie di cui all’allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, se le
stesse «hanno comportato un ampliamento del manufatto inferiore al quindici per
cento della volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento
non superi complessivamente i 250 metri cubi», pone per gli ampliamenti due
limiti più severi rispetto a quelli previsti dalla norma statale ed inoltre tra
loro cumulativi, in tal modo restringendo l’ambito della sanatoria; l’art. 4,
comma 1, lettera b), della medesima legge, che disponendo che sono sanabili le
opere abusive che «hanno comportato la realizzazione di nuove costruzioni
conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle stesse e aventi una
volumetria inferiore a 250 metri cubi per singola richiesta di titolo edilizio
in sanatoria, sempre che la nuova costruzione non superi complessivamente i 600
metri cubi», violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119
Cost., (per ragioni identiche rispetto a quelle
indicate nelle questioni sub VI e XI).

XXXVIII) L’art.
3, comma 2, lettera a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma
1, lettera c), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte
in cui restringono l’ambito degli interventi sanabili negando rilevanza al
parere favorevole delle autorità preposte alla tutela del vincolo, senza
distinguere se tale vincolo sia anteriore all’abuso ovvero successivo,
violerebbero gli artt. 3, 81, 117, secondo e terzo comma, e 119 Cost. (per le
medesime ragioni di cui alle questioni sub VI e XI), nonché
l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

XXXIX) L’art. 3, comma 2, lettera
a), «con i connessi commi 3 e 4», e l’art. 4, comma 1, lettera c), della legge
della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte in cui estendono l’ambito
degli interventi sanabili in ragione del riferimento alle norme urbanistiche e
alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di esecuzione delle opere abusive, norme e strumenti che
potrebbero risultare meno severi di quelli vigenti alla data di entrata in
vigore del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbero l’art. 117, terzo comma,
Cost. ponendosi in contrasto con i principi fondamentali posti dalla normativa
statale, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto
invaderebbero la competenza statale esclusiva in materia di «ordinamento civile
e penale».

XL) L’art. 3, comma 2, lettera
c), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004, nella parte in cui,
disponendo che non possono essere sanate le opere «realizzate su aree facenti
parte o di pertinenza del demanio pubblico», e non distinguendo tra demanio
statale e demanio provinciale e comunale, estenderebbe l’ambito delle ipotesi di esclusione dalla sanabilità già prevista dall’art. 32,
comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003, violerebbe gli artt. 42 e 117,
secondo comma, lettera g), Cost., in relazione al
demanio statale, per il quale la sanabilità delle opere è subordinata al previo
esplicito consenso dello Stato proprietario; l’art. 117, terzo comma, Cost. in
quanto contrasterebbe con un principio determinato dalla normativa statale
(art. 32, comma 14, del decreto-legge n. 269 del 2003 e art. 32, comma 6, della
legge n. 47 del 1985); l’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione ai beni del
demanio provinciale e comunale, in quanto la disposizione regionale non sarebbe
sorretta da alcun principio determinato dalla normativa statale.

XLI) L’art. 4,
comma 1, lettera d), della legge della Regione Campania n. 10 del 2004,
il quale ammette alla sanatoria gli interventi che «hanno comportato un
ampliamento del manufatto, già oggetto di condono ai sensi delle disposizioni
di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, capi IV e V, o ai sensi della legge
23 dicembre 1994, n. 724, articolo 39, inferiore al cinque per cento della
volumetria della costruzione originaria, sempre che l’ampliamento non superi
complessivamente i cento metri cubi», violerebbe gli artt. 3, 81, 117, secondo
e terzo comma, e 119 Cost. (per le medesime ragioni di cui alle questioni questioni sub VI e XI), nonché l’art. 42 Cost. e
la garanzia costituzionale della proprietà.

4. – Le censure prospettate
dall’Avvocatura dello Stato sono nella loro grande
maggioranza riconducibili a pochi macrogruppi omogenei.

Questi macrogruppi possono essere
così individuati.

1) Questioni in cui si contesta
la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante l’esclusione
dal condono sul versante amministrativo di talune tipologie di
abusi edilizi: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub V, VI,
IX, XI (in parte), XVII, XVIII, XXIII, XXIV (in parte), XXVIII, XXX, XXXV;

2) questioni in cui si contesta
la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante la riduzione
dei limiti quantitativi delle volumetrie condonabili: a tale gruppo sono
riconducibili le questioni sub XI (in parte), XII, XV, XIX, XXV, XXXVI, XXXVII,
XLI;

3) questioni in cui si contesta
la riduzione dell’ambito della sanatoria straordinaria mediante l’introduzione,
ai fini della condonabilità di taluni interventi, di ulteriori
condizioni rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003: a tale gruppo sono riconducibili le questioni sub IV, VII, VIII, X, XIII,
XIV, XX, XXVII, XXIX, XXXII, XXXVIII, XL;

4) questioni in cui si contesta
l’ampliamento degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa: a tale
gruppo sono riconducibili le questioni sub I, XVI,
XXI, XXII, XXIV (in parte), XXXIX;

5) questioni in cui si contesta
il mancato rispetto del termine previsto per l’emanazione della legge regionale
di cui all’art. 32, comma 26, del decreto-legge n. 269
del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, da parte dell’art. 5, comma
1, del decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004:
questioni sub XXXIII.

Estranee a queste categorie, in
quanto sostanzialmente eterogenee, risultano le sole
questioni sub II, III, XXVI, XXXI, XXXIV.

5. – In via preliminare, deve
essere dichiarata la inammissibilità di alcune delle
questioni sollevate dalla Avvocatura dello Stato relativamente a disposizioni
legislative che non risultano individuate nelle corrispondenti delibere del
Governo e nei relativi allegati. Come, infatti, questa Corte ha più volte
affermato, la delibera del Consiglio dei Ministri o la relazione ministeriale a
cui questa rinvii devono necessariamente indicare le specifiche disposizioni
che si ritiene di impugnare (si vedano, ex plurimis, le sentenze n. 300 del
2005; n. 43 e n. 134 del 2004, n. 315 del 2003, n. 533 del 2002).

La deliberazione del Consiglio
dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica determinazione di
impugnare la legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21, e la allegata relazione del Ministro per gli affari regionali
non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art. 3, comma 1,
lettera a), né dell’art. 3, comma 3. Sono pertanto inammissibili le questioni
sub XXII e XXIV.

Analogamente, la deliberazione
del Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica
determinazione di impugnare la legge della Regione Umbria 3 novembre 2004, n.
21, e la allegata relazione del Ministro per gli
affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art.
19 e dell’art. 27, comma 4. L’Avvocatura, nel ricorso, motiva laconicamente
l’impugnazione di tali disposizioni sostenendo che esisterebbe una «connessione
con le doglianze fin qui formulate»; in realtà, si tratta semplicemente di
un’affermazione del tutto generica, tale da non giustificare la censura di
norme non specificamente individuate nella deliberazione dell’organo politico.
Pertanto, anche le questioni sub XXXI e XXXII sono inammissibili.

Infine, la deliberazione del
Consiglio dei ministri del 23 dicembre 2004 contiene una generica
determinazione di impugnare la legge della Regione Campania 18 novembre 2004,
n. 10, e la allegata relazione del Ministro per gli
affari regionali non fa menzione, fra le diverse norme da impugnare, dell’art.
1, comma 1. Pertanto è inammissibile la questione sub
XXXIV.

5.1. – Deve essere dichiarata,
altresì, inammissibile l’impugnazione dell’art. 1, comma 1, della legge della
Regione Lombardia n. 31 del 2005, che il ricorrente effettua
limitatamente alle parole «salvo quanto disposto dalla presente legge».

L’Avvocatura si limita infatti ad indicare, nell’epigrafe del ricorso, tale
disposizione tra quelle oggetto di impugnazione, omettendo però di svolgere
alcuna argomentazione al riguardo. La censura manca pertanto dei requisiti
minimi che, secondo il costante orientamento di questa Corte, gli atti
introduttivi del giudizio in via principale devono presentare (sentenze n. 423
e n. 286 del 2004).

6. – Tutte le disposizioni
regionali impugnate hanno ad oggetto la disciplina del condono edilizio
straordinario del 2003, e sono state emanate ai sensi dell’art. 32, commi 26 e
33, del decreto-legge n. 269 del 2003, così come modificato dalla legge di
conversione n. 326 del 2003, come risultante a seguito della pronuncia di
parziale illegittimità costituzionale operata con la sentenza n. 196 del 2004
di questa Corte; sentenza cui ha dato esplicitamente esecuzione l’art. 5 del
decreto-legge n. 168 del 2004, convertito dalla legge n. 191 del 2004.

Dal momento che larga parte delle
questioni di costituzionalità sollevate dal ricorrente e delle argomentazioni
svolte dalle difese regionali si fondano su differenziate,
se non contrapposte, interpretazioni della giurisprudenza di questa Corte su questa
legislazione relativa al recente condono edilizio straordinario, appare
necessario richiamarne alcuni fondamentali contenuti.

Nella citata sentenza n. 196 del
2004, questa Corte ha affermato esplicitamente che nella disciplina del condono
edilizio di tipo straordinario convergono la competenza legislativa esclusiva
dello Stato per quanto riguarda la esenzione dalla
sanzionabilità penale (con la correlativa disciplina strumentale della piena
collaborazione dei Comuni con gli organi giurisdizionali quindi chiamati ad
applicare la legge sul condono) e la competenza legislativa di tipo concorrente
delle Regioni ad autonomia ordinaria in tema di «governo del territorio»,
nonché di «valorizzazione dei beni culturali ed ambientali», oltre a varie
altre competenze innominate riconducibili al quarto comma dell’art. 117 Cost.
(ad esempio, commercio, turismo, insediamenti produttivi). Al tempo stesso, non
si può sottovalutare la tradizionale titolarità da parte dei Comuni dei
fondamentali poteri di gestione dell’assetto urbanistico ed
edilizio del territorio, ivi compreso l’ordinario e limitato potere di
sanatoria edilizia, poteri che certamente potrebbero risultare anche
radicalmente vulnerati dall’imposizione di uniformi condoni straordinari, che
non tengano in adeguata considerazione le diverse legislazioni urbanistiche
regionali e le stesse condizioni urbanistiche ed edilizie dei diversi
territori. Da ciò la conclusione «che, in riferimento
alla disciplina del condono edilizio (per la parte non inerente ai profili
penalistici, integralmente sottratti al legislatore regionale, ivi compresa –
come già affermato in precedenza – la collaborazione al procedimento delle
amministrazioni comunali), solo alcuni limitati contenuti di principio di
questa legislazione possono ritenersi sottratti alla disponibilità dei
legislatori regionali, cui spetta il potere concorrente di cui al nuovo art.
117 Cost. (ad esempio certamente la previsione del titolo abilitativo edilizio
in sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di
realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie
massime condonabili). Per tutti i restanti profili è
invece necessario riconoscere al legislatore regionale un ruolo rilevante – più
ampio che nel periodo precedente – di articolazione e specificazione delle
disposizioni dettate dal legislatore statale in tema di condono sul versante
amministrativo» (paragrafo 20 del Considerato in diritto).

D’altra parte, nella medesima
sentenza sono state superate le censure fondate sull’asserita irrimediabile
violazione dei primari valori della tutela dei beni ambientali e paesaggistici
di cui all’art. 9 Cost., solo con la affermazione che
«la tutela di un fondamentale valore costituzionale sarà tanto più effettiva
quanto più risulti garantito che tutti i soggetti istituzionali cui la
Costituzione affida poteri legislativi ed amministrativi siano chiamati a
contribuire al bilanciamento dei diversi valori in gioco. E il doveroso
riconoscimento alla legislazione regionale di un ruolo specificativo
–all’interno delle scelte riservate al legislatore nazionale – delle norme in
tema di condono contribuisce senza dubbio a rafforzare la più attenta e
specifica considerazione di quegli interessi pubblici, come la tutela
dell’ambiente e del paesaggio, che sono – per loro
natura – i più esposti a rischio di compromissione da parte delle legislazioni
sui condoni edilizi». Né si dimentichi che, sempre nella sentenza n. 196 del
2004, questa Corte ha potuto dichiarare infondate
le censure relative all’adozione di un nuovo condono
straordinario in relazione alla presunta violazione del principio di
ragionevolezza (a causa della asserita mancanza di circostanze eccezionali che
potessero giustificare la ulteriore reiterazione di un provvedimento certamente
lesivo della certezza del diritto) solo dando al comma 2 dell’art. 32 del
citato decreto-legge n. 269 del 2003 il significato di individuare la
giustificazione del condono da esso previsto «nelle contingenze particolari
della recente entrata in vigore del testo unico delle disposizioni in materia
edilizia (…), nonché dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della seconda
parte della Costituzione, che consolida ulteriormente nelle Regioni e negli
enti locali la politica di gestione del territorio».

Su questa base, le numerose
dichiarazioni di parziale illegittimità dell’art. 32 erano esplicitamente
finalizzate ad eliminare le limitazioni che «escludono il legislatore regionale
da ambiti materiali che invece ad esso spettano», pur
nel pieno rispetto delle esclusive responsabilità della legge statale sul
versante delle sanzioni penali. In particolare, per ciò che concerne l’ampiezza
della discrezionalità riconosciuta al legislatore regionale in materia di
condono sul versante della disciplina amministrativa, nella sentenza n. 196
questa Corte ha «dichiarato costituzionalmente illegittimo anzitutto il comma
26 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa
determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a
sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di
cui all’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003». Analoga dichiarazione di illegittimità costituzionale ha pronunziato in relazione
al «comma 25 dell’art. 32, nella parte in cui non prevede che la legge
regionale di cui al comma 26 possa determinare limiti volumetrici inferiori a
quelli indicati nella medesima disposizione».

Del tutto uniformemente, seppur
in termini sintetici, la successiva sentenza n. 71 del 2005 ha affermato «che,
a seguito della citata sentenza n. 196 del 2004, la disciplina contenuta
nell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha subito una radicale
modificazione, soprattutto attraverso il riconoscimento alle Regioni del potere
di modulare l’ampiezza del condono edilizio in relazione alla
quantità e alla tipologia degli abusi sanabili, ferma restando la spettanza al
legislatore statale della potestà di individuare la portata massima del condono
edilizio straordinario, attraverso la definizione sia delle opere abusive non
suscettibili di sanatoria, sia del limite temporale massimo di realizzazione
delle opere condonabili, sia delle volumetrie massime sanabili» (analogamente
si vedano le sentenze nn. 70 e 304 del 2005).

Al tempo stesso, la sentenza n.
70 del 2005 ha chiaramente ribadito che ciò che esula
dalla potestà delle Regioni è il «potere di rimuovere i limiti massimi di
ampiezza del condono individuati dal legislatore statale».

Su un diverso piano, la sentenza
n. 196 del 2004, in considerazione della evidente
interdipendenza fra la legislazione esclusiva statale sul condono edilizio per
quanto riguarda le conseguenze penali e quella regionale sul condono edilizio
per ciò che riguarda il versante amministrativo (sia nell’interesse delle
diverse istituzioni pubbliche, che dei vari possibili interessati), ha
affermato che «l’adozione della legislazione da parte delle Regioni appare non
solo opportuna, ma doverosa e da esercitare entro il termine determinato dal
legislatore nazionale; nell’ipotesi limite che una Regione o Provincia autonoma
non eserciti il proprio potere legislativo in materia nel termine massimo
prescritto, a prescindere dalla considerazione se ciò costituisca, nel caso
concreto, un’ipotesi di grave violazione della leale cooperazione che deve
caratterizzare i rapporti fra Regioni e Stato, non potrà che trovare
applicazione la disciplina dell’art. 32 e dell’Allegato 1 del decreto-legge n.
269 del 2003».

7. – Così richiamati i confini
tra competenza legislativa statale e competenza
legislativa regionale già individuati nella giurisprudenza di questa Corte, si
possono esaminare nel merito le censure prospettate nei ricorsi.

Logicamente preliminari sono le questioni sub XXXIII, aventi ad oggetto l’art. 1, l’art. 3,
eccettuate le lettere b e d del comma 2, l’art. 4, l’art. 6, commi 1, 2
e 5, e l’art. 8 della legge della Regione Campania n. 10 del 2004. Tali
disposizioni sono impugnate in quanto sarebbero state
adottate oltre il termine di quattro mesi dalla data di entrata in vigore del
decreto-legge n. 168 del 2004, così come convertito nella legge n. 191 del
2004, secondo quanto prescritto dall’art. 5, comma 1, del suddetto decreto.

Le questioni, pur relative solo
ad alcune disposizioni della legge regionale n. 10 del 2004, sono senz’altro ammissibili, malgrado l’eccezione prospettata
dalla difesa regionale secondo la quale, lamentandosi la sussistenza di un
vizio formale, le censure avrebbero dovuto semmai riguardare l’intera legge; al
contrario, va osservato che il limite temporale all’esercizio del potere
legislativo da parte delle Regioni in questa particolare materia concerne
esclusivamente le disposizioni che, specificando l’ambito degli interventi
condonabili sul versante amministrativo, si discostano dalle previsioni
dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come modificato dalla
legge di conversione n. 326 del 2003, e come risultante a seguito della dichiarazione
di parziale illegittimità costituzionale ad opera della sentenza n. 196 del
2004 di questa Corte. Non incontra, invece, limiti temporali del genere il
potere legislativo regionale che si svolga in
conformità dell’art. 32 o nell’ambito di una qualsiasi ordinaria materia
legislativa di competenza della Regione.

Nel merito le questioni sono
fondate.

La prescrizione del termine di
quattro mesi da parte dell’art. 5, comma 1, del
decreto legge n. 168 del 2004 dà attuazione a quanto espressamente statuito al
punto 7 del dispositivo della sentenza n. 196 del 2004, il quale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo l’art. 32, decreto-legge n. 269 del 2003 «nella
parte in cui non prevede che la legge regionale di cui al comma 26 debba essere
emanata entro un congruo termine da stabilirsi dalla legge statale». Peraltro,
nella motivazione di tale pronuncia, questa Corte ha configurato tale termine come perentorio, tanto da prevedere addirittura
che, ove le Regioni non esercitino il proprio potere entro il termine
prescritto «non potrà che trovare applicazione la disciplina dell’art. 32 e
dell’Allegato 1 del decreto-legge n. 269 del 2003, così come convertito in
legge».

Privo di pregio è il tentativo
della difesa regionale di sostenere che il termine di quattro mesi decorrerebbe
non già dalla data di entrata in vigore del decreto
legge n. 168, bensì dalla data di entrata in vigore della legge di conversione
n. 191, sulla base dell’argomentazione che appunto la legge di conversione ha
integrato il testo del comma 1 dell’art. 5, aggiungendo ad esso il secondo
periodo: a prescindere dal fatto che quest’ultimo periodo non fa che
parafrasare il contenuto della sentenza n. 196 del 2004 (prima citato) a
proposito della applicabilità della normativa statale in caso di mancato
esercizio nel termine del potere legislativo regionale, il riferimento al
termine di quattro mesi è contenuto nel primo periodo del comma 1 dell’art. 5 e
individua in modo espresso, come dies a quo, la «data di entrata in vigore del
presente decreto».

Quanto alla richiesta, formulata
in via subordinata dalla difesa regionale, che questa Corte sollevi avanti a sé
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del
decreto-legge n. 168 del 2004, «nella parte in cui limita a soli quattro mesi
il termine per l’esercizio della potestà legislativa regionale», trattandosi di
termine incongruo rispetto alla pluralità di contenuti e alla complessità delle
scelte che il legislatore regionale doveva operare, sembra sufficiente, ai fini
della dichiarazione di manifesta infondatezza di questa richiesta, rilevare che numerose Regioni hanno
adottato questa legislazione entro il termine prescritto, senza che emergessero
problemi particolari.

Deve pertanto essere dichiarata
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, dell’art. 3 (eccettuate le lettere
b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell’art. 8,
della legge della Regione Campania n. 10 del 2004. Restano conseguentemente
assorbite le ulteriori questioni concernenti le disposizioni
della legge della Regione Campania individuate sub XXXV, XXXVI, XXXVII,
XXXVIII, XXXIX, XL e XLI.

8. – Possono essere trattate
unitariamente le numerose questioni – di cui ai macrogruppi nn. 1, 2, 3
elencati al precedente par. 4 – in cui si contesta la riduzione, da parte delle
disposizioni legislative impugnate, dell’ambito della sanatoria straordinaria
sia mediante l’esclusione dal condono sul versante amministrativo di talune
tipologie di abusi edilizi, sia mediante la riduzione
dei limiti quantitativi delle volumetrie condonabili, sia infine mediante
l’introduzione, ai fini della sanabilità di taluni interventi, di ulteriori
condizioni rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003.

Queste censure sono basate, in sostanza,
sulla asserita violazione delle medesime norme
costituzionali, spesso considerate nelle loro reciproche relazioni o anche nel
loro complesso, ed in particolare:

a) dell’art. 117 Cost, secondo
comma, lettera a) (per ciò che riguarda i vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario), lettera e) (per ciò che riguarda l’esclusiva competenza
legislativa statale in tema di «moneta» e di «sistema tributario e contabile
dello Stato»), lettera s) (in relazione alla
competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente»); dell’art.
81 Cost.; dell’art. 119 Cost. (per ciò che riguarda l’autonomia finanziaria
statale sul lato delle entrate); dell’art. 117, terzo comma (per ciò che
riguarda la competenza legislativa statale in tema di determinazione dei
principi fondamentali nella materia del «coordinamento della finanza
pubblica»);

b) dell’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, e dell’art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. (per ciò che riguarda l’esclusiva
competenza legislativa statale in tema di «ordinamento civile e penale»);

c) dell’art. 117, terzo comma,
Cost., per ciò che riguarda la competenza statale in
tema di determinazione dei principi fondamentali nello specifico settore della
disciplina del condono edilizio straordinario di cui all’art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003;

d) di alcune
disposizioni costituzionali che comunque costituiscono limite anche
all’esercizio del potere legislativo da parte delle Regioni: art. 3 Cost.
(sotto vari profili), art. 42 Cost., art. 97 Cost.,
principio di autonomia degli enti locali.

8.1. – Rispetto ai parametri
costituzionali di cui al punto a) che si asseriscono violati, alcune Regioni
resistenti hanno eccepito la inammissibilità di queste
censure, data la loro sommaria e generica prospettazione; peraltro, malgrado la
indubbia sommarietà delle motivazioni svolte nei ricorsi (tanto più
discutibile, dal momento che si tratta in sostanza di riproposizione di
argomentazioni già avanzate nella vicenda processuale conclusasi con la sentenza
n. 196 del 2004), esse, nel loro complesso, esprimono comunque la tesi, più
volta ribadita nelle memorie dell’Avvocatura, che una legislazione regionale
che disciplini i profili amministrativi del condono edilizio non potrebbe
comunque produrre indirettamente una riduzione significativa delle entrate
erariali ed un conseguente squilibrio della complessiva finanza pubblica, la
cui disciplina sarebbe di esclusiva competenza statale, ponendo quindi anche a
rischio il rispetto, da parte delle istituzioni nazionali, dei vincoli europei
sulla spesa pubblica.

Le censure non sono fondate.

A prescindere dalla
irrilevanza, nel caso di specie, delle competenze statali esclusive in
tema di «moneta» e di «sistema tributario e contabile dello Stato», e dalla
improprietà del richiamo ai poteri statali in tema di principi sul
«coordinamento della finanza pubblica», le censure in esame prescindono da una
adeguata ricostruzione sistematica del Titolo V della seconda parte della
Costituzione ed in particolare dal livello di tutela costituzionale
dell’autonomia legislativa regionale che ivi è previsto. I limiti a tale
autonomia non possono che essere espressi, e ciò tanto più ove ci si riferisca
ad effetti indiretti derivanti dall’uso che una Regione faccia della propria
discrezionalità legislativa (magari, come nel caso di specie, addirittura con
la finalità di contenere un’eccezionale forma di compressione della
discrezionalità propria e degli enti locali nel settore del governo del territorio). In altri termini, è del tutto evidente che,
allorché il legislatore regionale eserciti le proprie competenze legislative
costituzionalmente riconosciute, non possa attribuirsi rilievo, ai fini
dell’eventuale illegittimità costituzionale di tale intervento, agli effetti
che solo in via indiretta ed accidentale dovessero derivare al gettito di entrate di spettanza dello Stato.

8.2. – Del pari
infondate sono le censure secondo le quali sarebbe grave «la
lesione del principio di eguaglianza (…) delle persone rispetto alla legge e
della competenza esclusiva ex art. 117 comma secondo, lettera l), Cost.»,
poiché i giudici comuni, dinanzi alla «eccessiva restrizione» da parte del
legislatore regionale dell’ambito della legislazione statale in tema di condono
edilizio sarebbero obbligati «a rendere, a carico dei proprietari ed autori di
illeciti (e di eventuali di controinteressati e parti offese), pronunce quanto
meno asistematiche». Questa Corte, con la sentenza n. 196 del 2004, ha
considerato compatibile con la Costituzione la legge
statale sul condono straordinario esclusivamente per quanto riguarda i profili
penalistici, mentre per i profili relativi alla disciplina del condono
straordinario sul piano amministrativo ha affermato che essi operano
nell’ambito della materia del governo del territorio e cioè di una materia che
per le Regioni ad autonomia ordinaria è di competenza legislativa concorrente
ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; ma ciò evidentemente significa che
la legislazione delle singole Regioni può disporre diversamente da quanto
previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla
legge n. 326 del 2003, e che quindi – da questo punto di vista – è del tutto
probabile e non certo incoerente rispetto al disegno costituzionale che siano
adottate legislazioni diversificate da Regione a Regione (come, d’altra parte,
avviene normalmente negli ambiti affidati al potere legislativo regionale), con
tutto ciò che ne consegue per gli interessati e per le pronunce giurisdizionali
che facciano applicazione di tale disciplina.

8.3. – Quanto al terzo gruppo di
norme costituzionali che sarebbero violate dalle disposizioni regionali
censurate, l’Avvocatura generale dello Stato afferma più volte che, proprio
considerando che la sentenza 196 del 2004 individua il titolo di competenza
legislativa delle Regioni in materia di condono straordinario sul versante
amministrativo nella materia «governo del territorio» contemplata nel terzo
comma dell’art. 117 Cost., le Regioni dovrebbero
rispettare i principi fondamentali determinati dal legislatore statale,
principi che sarebbero deducibili dai contenuti dello stesso art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, quale convertito dalla legge n. 326 del 2003; su
questa linea, in particolare, l’Avvocatura afferma che «la sanabilità delle
nuove costruzioni residenziali di relativamente modeste dimensioni realizzate
in contrasto con gli strumenti urbanistici (…) è principio cui ogni Regione
deve attenersi»; sostiene inoltre che i limiti ulteriori rispetto a quelli del
legislatore statale non possono essere previsti perché non sorretti da un
«principio determinato dal legislatore statale». Secondo lo Stato ricorrente,
la Regione potrebbe «specificare i limiti (quantitativi e non) della
sanabilità, e perfino “limare” entro margini di ragionevole tollerabilità (come
qualche altra Regione ha fatto) le volumetrie massime previste del legislatore
statale»; non potrebbe, invece, «negare in toto o in misura prevalente
(rispetto al quantum di volumetria ammesso dalla legge statale) la sanabilità
delle nuove costruzioni o degli ampliamenti».

Anche volendosi prescindere dalla
stessa possibilità di configurare come principi fondamentali disposizioni estremamente puntuali e dettagliate, che permetterebbero
solo «specificazioni» e «limature» «entro margini di ragionevole
tollerabilità», il punto centrale della sentenza n. 196 del 2004 sta nel
riconoscimento al legislatore regionale di un ampio potere discrezionale nella
possibilità di definire i confini entro cui modulare gli effetti sul piano
amministrativo del condono edilizio straordinario. Ciò in ragione delle
primarie responsabilità legislative ed amministrative spettanti sulla base
delle norme costituzionali alle Regioni e agli enti locali in
relazione al governo del territorio, sia pure nel rispetto del regime
penale del condono riservato al legislatore statale, e nel rispetto dei
principi fondamentali posti dalla legge dello Stato (tra i quali la sentenza n.
196 del 2004 ha individuato «la previsione del titolo abilitativo edilizio in
sanatoria di cui al comma 1 dell’art. 32, il limite temporale massimo di
realizzazione delle opere condonabili, la determinazione delle volumetrie
massime condonabili»).

Ma soprattutto occorre
considerare che la pronuncia da ultimo citata, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del comma 25 dell’art. 32 proprio nella parte in
cui non prevedeva «che la legge regionale di cui al comma 26 possa determinare
limiti volumetrici inferiori a quelli ivi indicati»; ha inoltre dichiarato
l’illegittimità costituzionale del comma 26 dell’art. 32, nella parte in cui
non prevedeva «che la legge regionale possa determinare la possibilità, le
condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie
di abuso edilizio di cui all’Allegato 1».

Pertanto, sulla base delle
addizioni operate dalla sentenza n. 196 del 2004 al citato art. 32 del
decreto-legge n. 269 del 2003, integralmente recepite
dal legislatore nazionale con la conversione in legge dell’art. 5 del
decreto-legge n. 168 del 2004 ad opera della legge n. 191 del 2004 (articolo
intitolato: «Esecuzione di sentenza della Corte costituzionale in materia di
definizione di illeciti edilizi»), deve riconoscersi
che non esistono nella legislazione statale vigente principi fondamentali quali
quelli prospettati nei ricorsi.

8.4. – Questo riconoscimento di
un significativo potere legislativo delle Regioni in
tema di possibilità, di ampiezza e di limiti del condono edilizio straordinario
sul versante amministrativo rende infondate
anche le questioni di costituzionalità sollevate in riferimento ai parametri
costituzionali di cui al precedente gruppo d).

In particolare, risultano infondate le
censure, sollevate in relazione agli artt. 3 e 42 Cost.,
a proposito dell’art. 32 della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del
2004 (questioni sub IV). Non costituisce, infatti, irragionevole scelta
legislativa la subordinazione da parte della Regione della condonabilità delle
opere abusive alla ulteriore condizione che le
medesime non siano state realizzate con contributi pubblici erogati
successivamente all’ultimo condono, ovvero che non abbiano già beneficiato di
precedenti condoni, volendosi evidentemente in tal modo penalizzare la
reiterazione di comportamenti illeciti, nonché l’utilizzo di denaro pubblico
per la realizzazione di opere abusive. Analogamente, per l’art. 21, comma 1,
lettera e), della legge della Regione Umbria n. 21 del 2004 (questioni sub
XXIX), non risulta irragionevole che la Regione subordini la condonabilità
delle opere alla ulteriore condizione che le stesse
non abbiano già beneficiato di precedenti condoni.

Lo stesso è da dirsi per l’art.
33, comma 4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni
sub VIII), che impone che edifici con destinazione d’uso non abitativa possano
essere condonati solo se mantengono per venti anni questo tipo di destinazione;
in questa ipotesi le censure dell’Avvocatura dello
Stato muovono dalla presunta lesione, oltre che dell’art. 42 Cost., anche del
principio di autonomia degli enti locali; in realtà, si tratta di una
disposizione che non vieta l’esercizio da parte degli enti locali del potere di
ridefinire le destinazioni d’uso, ma incide soltanto sulla possibilità che
coloro che abbiano beneficiato del condono in relazione ad immobili destinati
ad usi non abitativi possano successivamente mutarne la destinazione d’uso, aggirando
la relativa disciplina.

L’art. 2, comma 6, della legge
della Regione Toscana è a sua volta censurato
(questioni sub XIV) anche perché contrasterebbe «con il principio di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) irrazionalmente leso dalla facoltà (e dalla
attuale minaccia) di travolgere in futuro ed in modo discrezionale
l’affidamento del cittadino che autodenuncia l’abuso edilizio, e con le regole
costituzionali della imparzialità e del buon andamento (art. 97, primo comma,
Cost.)». Va osservato, al contrario, che la norma regionale disciplina
semplicemente la sanatoria delle opere realizzate su aree sulle quali siano
stati apposti, dopo l’entrata in vigore della legge regionale, i vincoli di inedificabilità assoluta di cui all’art. 33, della legge
n. 47 del 1985 ovvero i vincoli idrogeologici, ambientali e paesistici,
relativi a parchi e aree protette di cui all’art. 32 della medesima legge,
subordinandola al parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo, in tal
modo dando rilevanza anche ai vincoli imposti successivamente alla
realizzazione dell’intervento abusivo secondo l’oramai consolidato orientamento
della giurisprudenza amministrativa.

8.5. – La constatata
insussistenza della lesione dei parametri costituzionali indicati comporta l’infondatezza
delle numerose censure che si basavano su di esse;
vanno pertanto respinte le questioni sub IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI, XII,
XIII, XIV, XV, XVII, XVIII, XIX, XX, XXIII, XXV, XXVII, XXVIII, XXIX, XXX.

9. – Con le residue censure
individuate nel macrogruppo 4 di cui al precedente par. 4, l’Avvocatura
contesta sostanzialmente l’effetto di ampliamento
degli interventi ammessi alla sanatoria amministrativa che verrebbe a
determinarsi sulla base di alcune disposizioni delle leggi regionali impugnate.

Come si è già ribadito
al par. 6, la giurisprudenza di questa Corte sul condono edilizio straordinario
del 2003 è costante nell’affermare che spetta al legislatore statale
determinare non solo tutto ciò che attiene alla dimensione penalistica del
condono, ma anche la potestà di individuare, in sede di definizione dei
principi fondamentali nell’ambito della materia legislativa «governo del
territorio», la portata massima del condono edilizio straordinario, attraverso
la definizione sia delle opere abusive non suscettibili di sanatoria, sia del
limite temporale massimo di realizzazione delle opere condonabili, sia delle
volumetrie massime sanabili.

L’art. 26, comma 4, della legge
della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 (questioni sub I) individua un’ipotesi di condono avente ad oggetto opere
edilizie autorizzate e realizzate anteriormente alla legge 28 gennaio 1977, n.
10 (Norme per la edificabilità dei suoli) che presentino difformità esecutive.
Tale disposizione ha contenuto più ampio rispetto alla normativa statale,
prevedendo anche che in quest’ambito la sanatoria intervenga
ope legis, dunque a prescindere dalla specifica richiesta e dalla concessione
del titolo abilitativo in sanatoria. La difesa regionale giustifica la
disposizione, sostenendo che essa avrebbe ad oggetto solo difformità esecutive
lievi e risalenti nel tempo e mirerebbe ad assicurare la certezza del diritto e
la facilità degli scambi privati.

La questione prospettata dal
ricorrente in relazione alla violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost. è fondata.

Nell’ambito della speciale
normazione relativa al condono edilizio straordinario
questa Corte – come si è detto più sopra – ha precisato che le Regioni non
possono rimuovere i limiti massimi fissati dal legislatore statale, e che, tra
i principi fondamentali cui esse devono attenersi, vi è quello proprio a fini
di certezza delle situazioni giuridiche, della previsione del titolo
abilitativo in sanatoria al termine dello speciale procedimento disciplinato
dalla normativa statale.

Poiché, dunque, l’art. 26, comma
4, della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 si risolve nella estensione della sanatoria straordinaria ad ipotesi
ulteriori rispetto a quelle previste dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del
2003, deve esserne dichiarata la illegittimità costituzionale.

L’art. 3 della legge della
Regione Marche n. 23 del 2004, secondo lo Stato ricorrente, determinando i
limiti per il conseguimento del condono amministrativo con disposizioni che in
genere riducono le volumetrie massime, non ripete però tutti i limiti massimi
determinati dal comma 25 dell’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (30%
della volumetria originaria della costruzione ampliata, 3.000 metri cubi
complessivi per le nuove costruzioni residenziali) e, quindi, per questa parte estenderebbe l’area delle opere abusive ammesse alla
sanatoria amministrativa (questioni sub XVI).

La questione prospettata dal
ricorrente in relazione alla violazione dell’art. 117,
terzo comma, Cost. è fondata.

La difesa della Regione,
anzitutto, sostiene che questi limiti potrebbero ritenersi implicitamente
richiamati, dal momento che l’art. 1 della legge regionale in questione parla
di legge che attua i «principi di cui all’art. 32 del
decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269». Tale argomento risulta
privo di pregio, dal momento che la specificità della disciplina dettata
dall’art. 3 della legge regionale, a fronte del generico richiamo all’art. 32
del decreto-legge n. 269 del 2003 contenuto nell’art. 1 della stessa legge,
osta ad una interpretazione adeguatrice del genere.

La difesa regionale sostiene,
altresì, che «l’abolizione asseritamene operata dall’art. 3 del limite del 30%
della volumetria sarebbe in ogni caso pienamente legittima»,
poiché «il limite del 30% (costituirebbe) parametro alternativo a quello
dell’ampliamento superiore a 750 metri cubi per l’ammissibilità alla sanatoria
secondo espressa previsione del comma 25 dell’art. 32».

In realtà, con riguardo
all’ampliamento degli immobili non residenziali, l’art. 3 della legge regionale
n. 23 del 2004 determina il limite in relazione (non già al volume, ma) al
diverso criterio della superficie realizzabile. Pertanto, non ponendo alcun
limite volumetrico, né richiamando le limitazioni del 30% e dei 750 metri cubi
previsti – sia pure in via alternativa – dall’art. 32,
comma 25, del decreto-legge n. 269 del 2003, la disposizione impugnata rende
possibile, per gli immobili non residenziali, la realizzazione di ampliamenti
superiori a quelli massimi previsti dalla normativa statale.

Con riguardo alla realizzazione
di nuove costruzioni residenziali, l’art. 3 della legge regionale n. 23 del
2004, pur individuando limiti più rigorosi in relazione alla
singola unità immobiliare ammessa a sanatoria (la quale non può essere
superiore a 200 metri cubi, comprese le pertinenze), non pone alcuna
limitazione alla volumetria complessiva della nuova costruzione. In tal modo,
la disposizione censurata rende possibile che la nuova costruzione residenziale
superi il limite complessivo di 3.000 metri cubi stabilito dall’art. 32, comma
25, del decreto-legge n. 269 del 2003 per tale tipologia di interventi.

Pertanto deve essere dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della
legge della Regione Marche n. 23 del 2004, nella parte in cui non prevede,
quali ulteriori condizioni per la conseguibilità della sanatoria, che le opere
abusive non residenziali non abbiano comportato un ampliamento del manufatto
superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria, e
che le nuove costruzioni residenziali non superino complessivamente i 3.000
metri cubi.

9.1. – L’art. 3, comma 1, della
legge della Regione Lombardia n. 3 del 2005 è stato impugnato
poiché la norma potrebbe essere interpretata nel senso di escludere la
sanabilità delle opere realizzate in aree vincolate solo se si tratti di
vincolo di inedificabilità, e non anche se si tratti di vincolo diverso. Ciò
sarebbe in contrasto con l’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n.
260 del 2003, il quale non consente la sanatoria delle opere realizzate su aree
comunque vincolate, e pertanto violerebbe l’art. 117,
terzo comma, Cost., nonché la competenza legislativa esclusiva statale in
materia di «ordinamento civile e penale» (questioni sub XXI).

La difesa della Regione Lombardia
ha peraltro obiettato che il legislatore regionale ha invece semplicemente
voluto «ribadire e consacrare, anche in un testo
legislativo regionale, quanto già previsto dalla legislazione statale, all’art.
32, comma 27, lettera d)». L’Avvocatura dello Stato, in una successiva memoria,
ha ritenuto tale interpretazione della norma «coerente con la normativa
statale».

Le questioni non sono fondate, dal
momento che l’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia n. 3 del
2005 si limita, effettivamente, a recepire la
normativa statale concernente la sanatoria degli abusi realizzati nelle aree
vincolate, senza introdurre ipotesi di sanatoria ulteriori rispetto a quelle
previste dal decreto-legge n. 269 del 2003.

10. – Fra le censure estranee ai
cinque macrogruppi di cui al par. 4, residuano le sole questioni sub II, III e
XXVI.

Le questioni sub II e III
riguardano la legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del 2004 che all’art.
29, comma 2, prevede che ove «in sede di definizione della domanda di sanatoria
o di controlli successivi alla stessa sia accertato che la asseverazione
del professionista abilitato (…) contenga dichiarazioni non veritiere,
rilevanti ai fini del conseguimento del titolo», si applica il terzo comma
dell’art. 8 della stessa legge, il quale dispone che «l’Amministrazione
comunale ne dà notizia all’Autorità giudiziaria nonché al competente Ordine
professionale, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni disciplinari».

A questo proposito, l’Avvocatura
dello Stato asserisce che tali disposizioni prevedono «sanzioni disciplinari ed
eventualmente penali a carico del professionista», così ledendo la competenza
esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile e penale» e della
competenza concorrente in materia di «professioni».

Le questioni non sono fondate.

Le due norme, infatti, si
limitano a prevedere un generico obbligo dell’amministrazione pubblica di
comunicazione della notizia di dichiarazioni non veritiere all’autorità
giudiziaria e all’ordine professionale, evidentemente perché questi
verifichino, rispettivamente, la eventuale sussistenza
di reati o di illeciti disciplinari, senza peraltro incidere in alcun modo
sulla disciplina penale, ovvero sulla disciplina delle professioni. D’altra
parte, previsione del tutto analoga è contenuta nell’art. 29, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia), il quale prevede che, qualora
la relazione del professionista di accompagnamento della denunzia di inizio
attività contenga dichiarazioni non veritiere, «l’amministrazione ne dà notizia
al competente ordine professionale per l’irrogazione delle sanzioni
disciplinari».

Il gruppo di questioni sub XXVI
ha ad oggetto l’art. 20, comma 1, lettera c), della legge della Regione Umbria
n. 21 del 2004; dal momento che in una disposizione che
individua le opere condonabili è contenuto un riferimento alla data del
2 ottobre 2003, l’Avvocatura generale, pur riconoscendo che non vi sarebbero
problemi se la data fosse riferita agli strumenti urbanistici, nel dubbio che
invece possa essere riferita alla data di ultimazione delle opere condonabili,
fissata al 31 marzo 2003 dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003, l’ha
impugnata «per grave contrasto con il fondamentale principio posto dall’art.
32, comma 25, del citato decreto-legge», nonché per violazione della competenza
legislativa esclusiva statale in materia di «ordinamento civile e penale». La
difesa regionale sostiene che la data del 2 ottobre si riferisce esclusivamente
«agli strumenti urbanistici, visto che la previsione di tale termine temporale
è collocata immediatamente dopo il richiamo di detti strumenti». Il ricorrente,
in una successiva memoria, ha ritenuto «superata» la questione di legittimità
costituzionale, pur non formalizzando la rinuncia alla questione stessa.

Le questioni non sono fondate.

Dal tenore letterale della
disposizione impugnata emerge chiaramente che la data del 2 ottobre 2003 in essa contenuta è riferita alla vigenza delle norme
urbanistiche e degli strumenti urbanistici rispetto ai quali devono essere
valutati gli interventi, e non già all’epoca di realizzazione degli stessi.
Quest’ultima è, infatti, fissata dallo stesso art. 20, comma 1, primo periodo,
al 31 marzo 2003, in conformità con quanto disposto dall’art. 32, del
decreto-legge n. 269 del 2003.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti
i giudizi,

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, dell’art. 3 (eccettuate le lettere
b e d del comma 2), dell’art. 4, dell’art. 6, commi 1, 2 e 5, e dell’art. 8,
della legge della Regione Campania 18 novembre 2004, n. 10 (Norme sulla
sanatoria degli abusi edilizi di cui al decreto-legge 30 settembre 2003, n.
269, articolo 32 così come modificato dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 di
conversione e successive modifiche ed integrazioni);

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione
Emilia-Romagna 21 ottobre 2004, n. 23 (Vigilanza e controllo dell’attività
edilizia ed applicazione della normativa statale di cui all’articolo 32 del
D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modifiche dalla legge 24
novembre 2003, n. 326);

dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione
Marche 29 ottobre 2004, n. 23 (Norme sulla sanatoria degli abusi edilizi),
nella parte in cui non prevede, quali ulteriori condizioni per la
conseguibilità della sanatoria, che le opere abusive non residenziali non
abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al trenta per cento
della volumetria della costruzione originaria, e che le nuove costruzioni
residenziali non superino complessivamente i 3.000 metri cubi;

dichiara
inammissibile l’impugnazione proposta, con il ricorso n. 3 del 2005, avverso
l’art. 1, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31
(Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi);

dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proposte, con il
ricorso n. 7 del 2005, avverso l’art. 3 comma 1, lettera a) e comma 3, della
legge della Regione Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni in materia di
condono edilizio);

dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proposte, con il
ricorso n. 8 del 2005, avverso l’art. 19 e l’art. 27, comma 4, della legge
della Regione Umbria 3 novembre 2004, n. 21 (Norme sulla vigilanza,
responsabilità, sanzioni e sanatoria in materia edilizia);

dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta, con il
ricorso n. 9 del 2005, avverso l’art. 1, comma 1, della legge della Regione
Campania n. 10 del 2004,

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 3,
dell’art. 29, comma 2, dell’art. 32, dell’art. 33, commi 1, 2, 3 e 4, dell’art.
34, commi 1 e 2, lettera a), della legge della Regione Emilia-Romagna n. 23 del
2004, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli
artt. 3, 42, 81, 117, secondo comma, lettere a), e) ed
l), 117, terzo comma, e 119 Cost., nonché del «principio di autonomia degli
enti locali», con il ricorso n. 114 del 2004;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, e
dell’art. 2, commi 2, 5, lettera c), e 6, della legge della Regione Toscana 20
ottobre 2004, n. 53 (Norme in materia di sanatoria edilizia straordinaria),
sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt.
3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l),
117, terzo comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 115 del 2004;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 1 e
3, della legge della Regione Marche n. 23 del 2004, sollevate dal Presidente
del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo
comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119
Cost., con il ricorso n. 2 del 2005;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1 e
2, e dell’art. 3, comma 1, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004,
n. 31 (Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi), sollevate dal
Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 3 del 2005;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1,
lettera c), della legge della Regione Veneto n. 21 del 2004, sollevate dal
Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97,
117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo
comma, e 119 Cost., con il ricorso n. 7 del 2005;

dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1,
lettere a) e c), , nonché dell’art. 21, comma 1, lettere c), d), e), h), della
legge della Regione Umbria n. 21 del 2004, sollevate dal Presidente del
Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo
comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119
Cost., con il ricorso n. 8 del 2005.

Così deciso, in
Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6
febbraio 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 10
febbraio 2006.