Penale
La confessione non elimina le esigenze cautelari.Cassazione – Sezione quinta penale (cc) – sentenza 19 ottobre-19 novembre 2004, n. 44883
La confessione non elimina le esigenze cautelari.
Cassazione – Sezione quinta penale (cc) – sentenza 19 ottobre-19 novembre 2004, n. 44883
Presidente Providenti
– Relatore Marini
Pg Mura – ricorrente Riolo
La Corte osserva
Con ordinanza 6 maggio 2004 il Gip di Palermo sostituiva nei confronti di Riolo Giorgio – indagato di concorso esterno in
associazione a delinquere di tipo mafioso, nonché dei
reati di favoreggiamento personale, abuso di ufficio e accesso abusivo a
sistema informativo protetto da
misura di sicurezza, tutti aggravati ex articolo 7 legge 203/91 e aggravato –
la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti
domiciliari; riteneva, infatti, fermo il grave quadro indiziario in ordine a
tutti i reati, attenuate le esigenze cautelari in ragione della parziale
ammissione degli addebiti da parte dell’indagato.
Investita dell’appello del
Procuratore della Repubblica in sede, il Tribunale di
Palermo, con ordinanza 29 giugno 2004, tornava ad applicare al Riolo la misura custodiale.
Disattesa, infatti, l’eccezione
difensiva in punto di mancata trasmissione di tutti gli atti procedimentale – in quanto ritenuti attinenti a diverso tema di indagine – il Tribunale rilevava che il mero
affievolimento delle esigenze cautelari, allorché queste sono, come, nel caso
in esame, presunte ex lege giusta previsione al comma
2 dell’articolo 275 Cpp dell’articolo 273, non
consente gli arresti domiciliari non potendo essere applicata in tale ipotesi
alcuna misura coercitiva diversa da quella della custodia cautelare.
L’indagato ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, deducendo: 1) violazione di legge
ovvero vizio di motivazione, con rinvio all’articolo 178 lettera c) Cpp in riferimento alla denunciata omissione di
trasmissione degli interrogatori svoltisi innanzi il Pm;
2) vizio della motivazione in punto di applicazione degli articoli 274 e 275 Cpp, sul rilievo che l’ambito di operatività della
presunzione legale di pericolosità è limitata al momento applicativo della
misura cautelare.
Il ricorso non può trovare
accoglimento.
Quanto al primo motivo, infatti, va
rilevato che esattamente il giudice dell’appello cautelare – fase procedimentale cui è inapplicabile, non richiamando
l’articolo 310 comma 2 Cpp, tra i commi dell’articolo
309, anche il comma 5 in punto di effetti caducatori dell’inosservanza del termine per la
trasmissione degli atti al giudice ad quem
(Cassazione, Sezione prima, 4272/97, Dander) – ha
ritenuto sostanzialmente irrilevante la mancata trasmissione dei verbali di
interrogatorio dell’indagato, trattandosi di una circostanza in fatto già
acquisita e valutata dal giudice a quo – il Gip del
Tribunale di Palermo – come dimostrativa dell’affievolimento delle esigenze
cautelari; tale giudizio non è stato censurato dal difensore, neppure
resistendo all’appello del Procuratore della Repubblica in sede, sotto il
profilo che dovesse invece estendersi alla radicale reclusione delle esigenze
medesime, ed al tema di decisione – circoscritto, ormai, anche in ragione del
principio devolutivo applicabile nella specie, alla
quaestio juris se fosse sufficiente la semplice
attenuazione dei pericula libertatis,
in relazione a soggetti indagati di reati ricompresi
nell’ambito di previsione della presunzione ex comma 3 dell’articolo 275 Cpp – era dunque totalmente superflua la trasmissione di
quegli atti.
Sul punto, il motivo si limita a
prospettare, senza di ciò dare il minimo conto, la “necessità” dei verbali
ovvero una violazione dei diritti di difesa che deve dirsi non soltanto insussistente,
per le ragioni testé esposte, ma anche perché lo
stesso ricorrente riconosce di non avere fatto richiesta di copia di tali atti
prima dell’udienza (riferendosi la richiesta alla copia dell’atto di appello
del Pg), comunque pervenuti al Tribunale per il
giorno dell’udienza, per poi censurare la mancata concessione di un termine a
difesa che, in realtà (ed a prescindere dalla circostanza che il difensore non
può non avere conosciuto già in precedenza il contenuto dell’atto), non era
minimamente funzionale al rispetto affettivo del principio del contraddittorio.
Infondato è altresì il secondo
motivo.
Ed invero, premesso che non è qui in
discussione la gravità del quadro indiziario per tutte le gravi ipotesi
delittuose oggetto dell’indagine, va ricordato che
anche in tema di revoca e sostituzione della misura cautelare nei confronti
dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso (articolo 416bis Cp) trova applicazione la presunzione di pericolosità
sociale di cui al comma 3 dell’articolo 275 Cpp, impositiva della custodia cautelare in carcere.
Depone chiaramente in tal senso,
infatti, non soltanto la testuale previsione al comma 2 dell’articolo 299 Cpp – che fa «salvo quanto previsto dall’articolo 275 comma
3» proprio in presenza di «esigenze cautelari che
risultano attenuate» ovvero di «misura non più proporzionata all’entità del
fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata», ma, ancor prima,
la stessa ratio ispiratrice del comma 3 dell’articolo 275, norma che (in
sintonia con le plurime scelte repressive del Legislatore nella riposta penale
alle forme di cooperazione in attività mafiosa) muove dal presupposto che colui
che sia raggiunto da gravi indizi di colpevolezza in ordine a un delitto
associativo mafioso ovvero avente una tale matrice o connotazione, è per
definizione pericoloso e, dunque, professionalmente proteso alla commissione di
fatti criminosi di un tale gravità che si giustifichi, eccezionalmente, quale
unica misura adeguata a fronteggiare tali presunte esigenze di custodia in
carcere.
Trattasi, ovviamente, di presunzione juris tantum, notoriamente ritenuta superabile – secondo il
più avanzato orientamento della giurisprudenza di legittimità, n on solo in presenza della prova dell’avvenuta definitiva rescissione
del vincolo associativo, ma anche nell’ipotesi in cui coesistano elementi
specifici che fanno ragionevolmente escludere la pericolosità dell’indagato
(Cassazione, Sezione prima, 43572/02, Diana) – ma, nella specie, il giudizio di
mera attenuazione e, pertanto, di permanenza, delle esigenze cautelari presunte
non è stato contestato dal difensore – che anche in ricorso deduce soltanto
«una sensibile attenuazione del quadro cautelare segnatamente alle esigenze di
cui alle lettere a) e c) dell’articolo 274 Cpp» – né
comunque vengono minimamente allegati, come ignorati dal provvedimento
impugnato, elemento realmente indicativi dell’avvenuta rescissione del rapporto
associativo, ovvero dimostrativi del venir meno di ogni pericolo di una
ulteriore attività criminosa e tali, dunque, da condurre ad un giudizio
prognostico positivo sul punto.
Il ricorso, pertanto, deve essere
rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.