Tributario e Fiscale

Sunday 22 October 2006

La circolare anti evasione fiscale.

La circolare anti evasione
fiscale.

Agenzia Entrate
– Direzione Centrale Accertamento – Circolare n. 32/E – 19 ottobre 2006
Oggetto: Indagini finanziarie – Poteri degli uffici: art. 32, primo comma,
numeri 2), 5) e 7) del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e art. 51, secondo
comma, numeri 2), 5) e 7), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificati
dai commi 402 e 403 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311

INTRODUZIONE

Generalità

Tra le novità introdotte dalla
legge 30 dicembre 2004, n. 311, Finanziaria 2005, nell’ottica del rafforzamento
dei poteri di controllo, particolarmente significative, per gli effetti diretti
nei confronti degli Uffici e della Guardia di finanza, ma
immediati anche nei confronti dell’aumentato numero degli intermediari,
risultano le regole concernenti l’attività istruttoria che nel lessico comune,
sotto la previgente disciplina, si è consolidata come quella delle
"indagini bancarie" e, talvolta, ancor più impropriamente, degli
"accertamenti" bancari. Definizione che ora, per un doveroso
adeguamento al nuovo dato normativo, deve invece registrare, quantomeno, anche
l’aggettivazione di "finanziarie", in aderenza alla dimensione e alla
destinazione assunte dal più incisivo e penetrante degli strumenti d’indagine, su richiesta e non, in quanto deputato ad operare ben oltre
il ristretto piano dei conti correnti bancari e postali, per intercettare,
invece, anche il più vasto e articolato ambito generale del mercato finanziario.

In sostanza, al predetto settore
d’indagini i commi 402 e 403 dell’art. 1 della legge, nell’ambito dei
rispettivi comparti impositivi delle imposte sui redditi e dell’imposta sul
valore aggiunto, hanno apportato un forte e importante potenziamento attraverso
interventi di varia natura che attengono, da un lato, al problema della
chiarezza e della leggibilità dei testi legislativi e, dall’altro lato,
rimuovendo anche le non poche "scorie" di segretezza opponibili
all’Amministrazione, hanno reso possibile l’accesso a una molteplicità di nuovi
rapporti: di natura soggettiva, nei confronti di qualsiasi operatore creditizio
o finanziario (comprese, con rinnovata attenzione, le società fiduciarie,
comunque denominate), e oggettiva, rispetto a ogni tipologia di rapporto,
operazione (intesa in senso omnicomprensivo) anche isolata o servizio,
indipendentemente da qualsivoglia collegamento funzionale, anche solamente
"connesso", ad un "conto" la cui nozione, peraltro, si
identifica pur’essa in un rapporto, sia pure di natura del tutto speciale, tra
intermediario e cliente.

Si tratta di un naturale approdo
della lunga evoluzione che si è mossa nel solco dell’indirizzo segnato dalla
stessa Corte Costituzionale (Sentenza n. 51 del 18 febbraio1992), in cui gli
interventi operati, a più riprese, dal legislatore hanno condotto a un totale
superamento del c.d. segreto bancario e a un rafforzamento dei poteri
conoscitivi dell’Amministrazione finanziaria, anche nel caso di inottemperanza
o di reticenza in fatto di informazioni irrinunciabili per l’attività di
controllo e di accertamento. E ciò, anche in armonia con la posizione assunta
dall’OCSE – nel quadro degli strumenti concernenti lo scambio di informazioni
recentemente approvati o aggiornati – il cui Modello di Convenzione contro le
doppie imposizioni (versione 2005), all’art. 26, paragrafo 5,
stabilisce ora il principio che uno Stato richiesto non può rifiutarsi di
fornire dette informazioni adducendo la previsione del "segreto
bancario" all’interno del proprio ordinamento.

In ogni caso, il risultato
complessivo è quello di un equo contemperamento tra l’interesse privato alla
riservatezza, derivante dal predetto riserbo "bancario", e quello
pubblico al conseguimento del gettito erariale e alla repressione dell’evasione.
E ciò nel ragionevole apprezzamento, da parte del legislatore, dei fini di
utilità e di giustizia sociale di cui agli articoli 41,
secondo comma, e 42, secondo comma, della stessa Costituzione, nella
considerazione che il legislatore non potrebbe spingersi fino a fare di tale
riserbo un ostacolo all’adempimento di doveri inderogabili di solidarietà,
primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della
individuale capacità contributiva.

In particolare, per quanto
riguarda l’eventuale "censura di violazione dell’art. 24 della
Costituzione, essa non ha fondamento, essendo il contribuente tempestivamente
informato delle richieste di acquisizione delle copie dei conti, e potendo egli
esercitare pienamente, già in sede amministrativa, e quindi in sede
giurisdizionale, il suo diritto a fornire documenti, dati, notizie e
chiarimenti idonei a dimostrare che le risultanze dei conti non sono in
contrasto con le dichiarazioni presentate o che esse non riguardano operazioni
imponibili" (Ordinanza della Corte Costituzionale n. 260 del 7 luglio
2000). Di analogo tenore – circa i parametri costituzionali riaffermati in
ordine all’utilizzo delle risultanze bancarie acquisite in sede di indagini
penali – l’ordinanza n. 33 del 26 marzo 2002.

In sostanza, conformemente ai
suddetti parametri si è consolidata la ratio che – a far data dalla legge n.
413 del 1991 – ha ispirato l’intera procedura in predicato, ma che, pur
revocando l’obbligo della preventiva dimostrazione di una evasione
rilevante per giustificare una ricostruzione, su base presuntiva, di ricavi e
compensi, non era finora riuscita a esprimere un forte e chiaro dato giuridico.

Posto che gli esiti delle
indagini in questione costituiscono, per espressa volontà di legge, una
componente essenziale delle varie forme di accertamento, il legislatore si è
dato cura di rivitalizzarne la metodologia acquisitiva, recependo anche
l’intento di espandere la tendenza a capovolgerne l’onere della prova, atteso
che anche il giudice delle leggi ha statuito che la ricostruzione della
capacità contributiva attraverso lo strumento presuntivo non viola
l’articolo 53 della Costituzione. Come dire che in materia di indagini
creditizie e finanziarie il legislatore della Finanziaria 2005 ha sbloccato non solo
la politica di efficienza ma anche quella dell’equità e della neutralità del
"rischio indagini" – rispetto alle diverse forme di investimento e di
diversificazione degli impieghi -, cancellando anche ogni residuo di
complicanza interpretativa delle norme relative e di sperequazione soggettiva e
oggettiva di riferimento.

In tale contesto, infatti, la
legge ha anche ovviato a una palese disparità di trattamento in materia di
imposte dirette, fra imprenditori e lavoratori autonomi, stabilendo che ai fini
della valenza presuntiva i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei
rapporti od operazioni, intrattenuti o effettuate con gli enti creditizi e
intermediari finanziari, in assenza dell’indicazione del beneficiario, sono
posti a base delle rettifiche e degli accertamenti – ricorrendone i presupposti
– sia come ricavi che come compensi. Fermo restando che, seppure in base alla
vigente disciplina il valore probatorio di dati, notizie e documenti,
regolarmente acquisiti, non è rigorosamente condizionato dal preventivo
esperimento del c.d. contraddittorio, la stessa Corte di Cassazione ha
ripetutamente asserito che tale esperimento, pur non rappresentando un obbligo
ma una mera facoltà, si raccomanda per principio di economicità amministrativa.

In ogni caso, l’essenza
innovativa della legge ha significato l’affinamento delle regole per tutti, non
solo per quanti sono destinati a misurarne le conseguenze, ma anche per i
soggetti tenuti, in maggior numero, ad applicare tali regole, compresi gli
organi chiamati a interpretarle e a darvi esecuzione.

Per l’intento, l’ottica del
legislatore è stata quella di contenere all’essenziale le modificazioni, sia
formali che sostanziali, preferendo ampliare i poteri e le operatività già
esistenti e numeralmente tuttora individuati ai numeri 2), 5) e 7) dell’art. 32, primo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo
comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 (numeri che, successivamente, saranno citati
anche senza i riferimenti normativi) senza indulgere alle sollecitazioni di crearne
di nuovi.

In sintesi, le modificazioni
apportate dalla legge hanno inteso porre rimedio a effettivi scoordinamenti
dell’impianto legislativo esistente non agevolmente risolvibili sul piano
interpretativo, neppure giurisprudenziale. Tali scoordinamenti, infatti, erano
venuti inevitabilmente a determinarsi a seguito della profonda evoluzione della
normativa di settore, della insorgenza di nuove funzioni o di nuove figure di
intermediari e delle conseguenti opzioni consentite agli utenti.

Si è trattato, pertanto, di
correzioni assolutamente indispensabili e comunque di significato meramente
strumentale, nel contenuto espansivo e nelle modalità e nei termini di
operatività delle norme già abbondantemente in vigore ma i cui poteri non avevano potuto essere adeguatamente esercitati.

In sostanza, si è dato corso a un
nuovo modello di gestione dei poteri preesistenti, sviluppato nel modo più
corretto ed equilibrato, poiché chiaramente improntato al rispetto dei canoni
amministrativi, come quello autorizzatorio, e dei diritti, come quello
dell’informazione del contribuente ai fini e per gli effetti della sua tutela,
soprattutto nell’ambito di un libero confronto, in sede di contraddittorio, con
l’ufficio competente all’accertamento.

Tale modello, oltre a consentire
– grazie ai suaccennati ampliamenti di natura soggettiva e oggettiva – una più
incisiva azione di contrasto all’evasione, specialmente in quei settori che
presentano maggiori difficoltà di controllo, si adegua al generale processo di
semplificazione dei procedimenti amministrativi e di accelerazione degli stessi
anche in chiave tecnologica, come – nel presente iter procedimentale – la
prevista obbligatorietà dei flussi "esclusivamente in via
telematica".

Sotto quest’ultimo profilo, è
appena il caso di precisare che per il combinato disposto del
comma 404 della legge e dei numeri 7) – come novellati, rispettivamente,
dai precedenti commi 402 e 403 ai commi terzo dell’art. 32 del D.P.R. n. 600
del 1973 e quarto dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 – resta chiaramente
stabilito che la decorrenza operativa della procedura telematica dei flussi di
richieste e relative risposte, per ovvie ragioni di ordine tecnico, non poteva
essere anteriore ad una certa data (originariamente del 1° luglio 2005,
successivamente prorogata al 1° gennaio 2006 dal provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate del 1° luglio 2005) essendo essa condizionata alla
emanazione dell’apposito provvedimento che ha fissato le specifiche modalità;
laddove la operatività della nuova disciplina è quella
stessa della generale entrata in vigore della legge, ma pur essa
successivamente prorogata, per taluni aspetti, alla predetta ultima data, ad
opera del decreto legge 30 settembre 2005, n. 203, come convertito, con
modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.

Sotto altro profilo, va altresì
precisato che per ambedue le procedure, cartacea e telematica in successione di
tempo (quest’ultima solo a partire dal 1° settembre 2006, come stabilito dal
provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 28 aprile 2006), la
decorrenza di taluni degli effetti delle modifiche strutturali, nei confronti
sia degli intermediari richiesti che dei contribuenti controllati, non può non
interessare anche i periodi d’imposta ancora accertabili alla data di entrata
in vigore delle nuove disposizioni (1° gennaio 2005). E ciò, per l’indubbia
natura procedimentale delle stesse, che non hanno mutato né il profilo
sostanziale dei singoli ambiti impositivi né, tanto meno, quello sanzionatorio,
laddove l’espansione della valenza probatoria degli esiti acquisiti trova una
naturale e concreta sterilizzazione nelle prerogative che la stessa legge
conferma per quanto riguarda la effettiva tutela e
garanzia del contribuente (autorizzazione, informazione).

Sarebbe pertanto improprio
invocare l’irretroattività delle nuove disposizioni sol perché sul piano della
tecnica legislativa non è stata espressa, almeno immediatamente, un’esplicita
volontà in senso contrario, considerato che siffatto opposto principio si è
abbondantemente consolidato nel nostro sistema, avendo trovato applicazione
ripetuta in analoghe occasioni, remote e anche recenti. Principio, peraltro,
non contraddetto dallo Statuto dei diritti del contribuente, in quanto non
disgiunto da quello della certezza del diritto e anzi correlato in senso
assoluto a quello dell’affidamento per il contribuente a non vedersi ribaltare
le regole "in corsa" ma solo quando è venuto a mutare, anche in via
interpretativa, il profilo sostanziale del rapporto giuridico d’imposta.

Peraltro, le recenti disposizioni
correttive di cui alla citata legge di conversione n. 248 del 2005 hanno –
anche sotto l’aspetto più strettamente operativo e per tutte le categorie di
contribuenti – risolto le eventuali e obiettive difficoltà organizzative
accusate dagli intermediari, al momento dell’introduzione del nuovo assetto
istruttorio, a causa del riversamento all’indietro nel tempo – in cui le
proprie procedure difettavano di sistematicità – della nuova disciplina
oggettiva, tenuto conto che questa risulta ora assolutamente compatibile con le
disponibilità pregresse e attuali degli intermediari stessi. Infatti, questi
ultimi erano e sono in possesso della strumentazione di cui all’archivio unico
informatico (AUI), imposto dal 1993 con la legge n. 197 del 1991 per prevenire
l’attività di riciclaggio di denaro avente provenienza illecita, con il limite
delle operazioni superiori, da ultimo, all’importo di euro 12.500; sulla
predetta strumentazione si fondano le richiamate disposizioni correttive al
fine di circoscrivere la base informativa – consistente in una gran mole di
transazioni, oltre quelle annotate nei conti – sulla quale, per i periodi di
imposta anteriori al 1° gennaio 2006, potranno fare affidamento gli uffici
procedenti nella formulazione delle richieste allo scopo di acquisire tutte
quelle operazioni non transitate in un conto.

A maggior ragione, per i periodi
di imposta dal 2006 in
poi, i medesimi intermediari potranno operare, ai fini delle risposte,
basandosi sulle rilevazioni ed evidenziazioni imposte dalle integrazioni
apportate, con effetto dal 1° gennaio 2006, dal nuovo assetto informativo di
cui al sesto comma dell’art. 7 del D.P.R. n. 605 del 1973, come modificato
dalla citata legge di conversione n. 248 del 2005.

La base informativa delle
indagini finanziarie si è ulteriormente arricchita con l’implementazione del
sistema dell’Anagrafe tributaria, concernente gli adempimenti degli
intermediari finanziari. Infatti, l’art. 37, comma 4, del decreto legge del 4
luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006,
n. 248, ha
previsto – nella stessa logica dell’Anagrafe dei conti e dei depositi di cui al
decreto interministeriale 4 agosto 2000, n. 269, per cui
ora la stessa risulta rivisitata e rivitalizzata, non avendo tuttora trovato
concreta attuazione – l’istituzione della "anagrafe dei rapporti" tra
intermediari finanziari e contribuenti. Quest’ultima sarà archiviata in
apposita sezione dell’Anagrafe tributaria e alimentata da comunicazioni aventi
a oggetto la sola esistenza dei rapporti, nonché la natura degli stessi, con
indicazione dei dati anagrafici dei titolari, compreso il codice fiscale. La
banca dati, la cui operatività è demandata a un provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate, sarà aggiornata a partire dai rapporti intrattenuti
con gli intermediari ancora in essere al 1° gennaio 2005 e non cessati prima
della predetta data.

Resta a dire, sempre in via
anticipatoria, che lo specifico assetto delle sanzioni amministrative in
materia, salvo l’ampliamento degli ambiti soggettivo e oggettivo di
applicazione a opera della legge, non ha minimamente
risentito di alcun inasprimento con riguardo alle nuove condotte, rispetto alle
previsioni punitive formulate dal D.lgs. n. 471 del 1997, che aveva peraltro
già eliminato il sovradimensionamento delle precedenti fattispecie punitive
rispetto non solo all’effetto deterrenza ma anche alla stessa gravità degli
inadempimenti.

Premesso tutto quanto sopra, si
precisa che l’intento delle presenti istruzioni non è quello soltanto di
aggiornare operativamente la precedente prassi in materia e, in particolare, il
contenuto della circolare n. 116/E del 1996, ma anche quello di dare soluzione
a problematiche venutesi a determinare alla luce della esperienza
successivamente maturata.

Definizioni

Sotto un profilo squisitamente
formale, tra le "definizioni" che saranno successivamente utilizzate,
si segnala che non pochi termini risultano aggiornati e altri ne sono stati
coniati, in funzione della evoluzione della legislazione di riferimento sia
tributaria che settoriale, e in particolare:

"legge" oppure
"novella" in luogo di legge 30 dicembre 2004, n. 311;

"indagini creditizie e
finanziarie" in luogo di indagini bancarie e postali;

"conto", non più inteso
come rapporto speciale, condizionante l’acquisizione degli elementi bancari e postali, ma includente anche rapporti diversi, operazioni e
servizi;

nuove
denominazioni delle autorità sovraordinate in funzione autorizzatoria come il
Direttore regionale, il Comandante regionale della Guardia di finanza e il
Direttore centrale dell’accertamento, in luogo – rispettivamente dei primi due
organi – dell’Ispettore compartimentale delle imposte dirette e quello delle
imposte indirette e del Comandante di zona della Guardia di finanza;

"banche" in luogo delle
aziende e istituti di credito;

"Poste italiane spa", o
anche semplicemente "poste", in luogo di Amministrazione postale;

"intermediario
finanziario" od "operatore finanziario", per intendere
comprensivamente "le banche, la società Poste italiane spa, gli
intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di
investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, le
società fiduciarie"; di cui alla elencazione contenuta nei novellati
numeri 6-bis e 7) degli artt. 32 del D.P.R. 29.9.1973, n. 600 e 51 del D.P.R.
26.10.1972, n. 633 (vedi Capitolo Primo);

"responsabile della
struttura accentrata" per intendere una ulteriore
categoria di possibili destinatari delle richieste delle indagini oltre i
tradizionali responsabili delle strutture locali e delle rispettive direzioni
generali dei soggetti terzi, effettivi detentori – normalmente essi soltanto –
delle informazioni sul contribuente; tale implementazione estende a tutti gli
intermediari finanziari la prassi già consentita dalla circolare 116/E –
all’epoca limitata a banche e poste – in materia di adempimenti procedurali intesi
a superare la competenza territoriale delle singole dipendenze, a prescindere
da quelle in cui il cliente-contribuente intrattiene i propri rapporti o abbia
effettuato singole operazioni (vedi paragrafo 3.1.1 del Capitolo Terzo);

"contribuente", quale
soggetto destinatario sostanziale delle indagini (vedi paragrafo
4.1 del Capitolo Quarto);

"cliente", soggetto –
di solito coincidente con il contribuente – che intrattiene un rapporto
negoziale continuativo e/o effettua singole operazioni occasionali presso
l’intermediario finanziario;

"soggetti terzi", quali
soggetti nei cui confronti vengono estese le indagini
attivate nei confronti del cliente o contribuente nelle ipotesi di rapporti
cointestati e/o in disponibilità per delega e/o per interposizione fittizia
(vedi paragrafo 5.2 del Capitolo Quinto);

"Anagrafe" in luogo di
Anagrafe dei conti e dei depositi di cui al D.I. n. 269 del 4 agosto 2000;

"Tuir", in luogo di
Testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917,
come modificato dall’art. 1 del D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344.

CAPITOLO PRIMO

Ambito soggettivo

Premessa

Come anticipato nelle Generalità,
la legge ha ampliato, sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello
oggettivo, l’ambito di operatività della procedura istruttoria in questione
attraverso la riformulazione dei numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del
1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, sia pure con contestuale
ridimensionamento dell’ambito procedurale dei rispettivi numeri 5).

Tale ampliamento rappresenta un
necessario adeguamento alla profonda mutazione intervenuta nel mondo
finanziario e creditizio, iniziata sin dai primi anni ’90, che ha cambiato il
volto e il numero degli intermediari finanziari istituzionali abilitati a compiere
operazioni di impiego, gestione e movimentazione delle disponibilità economiche
e finanziarie.

Nel settore sono entrati
Assicurazioni, Broker, Società finanziarie, Gruppi telefonici, Società di
intermediazione e altri soggetti privati, prima dediti solo a svolgere la loro
attività tipica. Infatti, attraverso la costituzione di società create allo
scopo e con la veste tipica delle attività esercitabili nei diversi ambiti,
tutti "fanno banca" o attività finanziaria.

Così, accanto alle banche e alle
poste hanno trovato ingresso le società appartenenti al cosiddetto settore
parabancario (leasing, factoring, credito al consumo), le società finanziarie,
le società di intermediazione mobiliare, le società fiduciarie, le società di
gestione del risparmio, nonché le varie forme di gestione e partecipazione in
organismi di investimento collettivo del risparmio.

Sotto il profilo espositivo,
l’ambito soggettivo della procedura istruttoria in questione sarà separatamente
illustrato con riguardo all’esercizio delle diverse potestà di cui ai numeri 5)
e ai numeri 7) sia dell’art. 32 D.P.R. n. 600 del 1973 che dell’art. 51 D.P.R.
n. 633 del 1972. In
particolare, con riferimento ai numeri 7), vengono
distintamente trattati:

Organi legittimati a formulare la
richiesta di indagine (Capitolo Terzo, paragrafo 3.1.5.1);

Organi legittimati a esercitare
il potere autorizzatorio (Capitolo Terzo, paragrafo 3.1.4);

Soggetti destinatari sostanziali
delle indagini (Capitolo Quarto, paragrafo 4.1);

Soggetti destinatari delle richieste
autorizzate, in quanto aventi la disponibilità dei dati e degli elementi
oggetto della richiesta stessa; soggetti ai quali si aggiunge ora, per
esplicita volontà di legge, la ulteriore categoria dei
responsabili di una "struttura accentrata", le cui disponibilità
documentali derivano da quelle effettive dei soggetti aderenti alla stessa
struttura accentrata (Capitolo Primo, paragrafo 1.3).

1.1. Destinatari delle richieste

Oltre le scansioni soggettive
avanti enunciate, si sottolinea che quella di cui all’ultimo alinea costituisce
lo snodo essenziale per il decollo della procedura in commento, attesa la
notevole dilatazione che tale aspetto ha ricevuto dalla legge, rispetto al più
ristretto ambito consentito dalla previgente normativa, in quanto limitato a
banche e poste.

Con il provvedimento direttoriale
del 22 dicembre 2005 sono state individuate le categorie di intermediari
destinatari delle richieste, dei quali si fornisce di seguito l’elenco.

A) – Banche

Imprese che svolgono
congiuntamente l’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico e di
esercizio del credito o, come meglio esplicitato dal decreto legislativo 1
settembre 1993, n. 385 (in seguito TUB), imprese la cui attività consiste nel
ricevere depositi o altri fondi rimborsabili dal pubblico e nel concedere
crediti per proprio conto e, in particolare, riconoscendo allo stesso organismo
la possibilità di svolgere tutte le attività elencate nell’allegato alla
Direttiva n. 89/646/CEE (seconda direttiva di coordinamento, che introduce anche
in Italia il modello di Banca Universale) poi recepita nel predetto TUB.

B) – Poste Italiane SpA

Società per azioni costituita il
28 dicembre 1998 per trasformazione dell’Ente Poste Italiane. Esercita il
servizio universale postale e dei pagamenti su tutto il territorio nazionale ed
è ripartita in cinque Divisioni tra cui quella, autonoma, di bancoposta che in
particolare interessa la procedura istruttoria in commento, trattandosi della
struttura competente per i servizi finanziari della Società.

Affiancano la predetta Divisione
due società controllate, che esercitano rispettivamente l’attività assicurativa
ramo-vita e la produzione e la gestione di fondi di investimento mobiliare.

Bancoposta colloca inoltre
prodotti di soggetti terzi come i titoli di stato, obbligazioni, ecc., esercitando anche l’attività di gestione del credito
tramite la concessione di prestiti personali fino a sessanta mesi e di mutui
ipotecari. Offre, infine, carte di credito, carte di debito, servizio di
trasferimento elettronico fondi Moneygram.

I controlli su Bancoposta sono
esercitati, come per le Banche e gli altri Intermediari finanziari, da Banca
d’Italia e da Consob.

C) – Altri intermediari
finanziari

C1) – Soggetti iscritti
nell’elenco generale di cui all’art. 106 comma 1 del TUB

Sono soggetti che esercitano
l’attività di concessione finanziamenti, locazione finanziaria, assunzione di
partecipazioni, servizi di pagamento (tra cui emissione e gestione di carte di
credito, trasferimento fondi sotto qualsiasi forma), intermediazione in cambi.

C2) – Soggetti iscritti
nell’elenco speciale tenuto da Banca d’Italia ex art. 107 del TUB

Sono gli stessi soggetti già
compresi nell’elenco generale di cui al predetto art. 106 del TUB ed esercenti
naturalmente le medesime attività. Essi si caratterizzano sia per la maggiore
dimensione che per la possibilità di esercitare, debitamente autorizzati dalla
Banca d’Italia e sentita la
CONSOB, l’attività di servizi di investimento o ad acquisire
fondi con l’obbligo di rimborso.

C3) – Soggetti che svolgono
attività finanziaria non nei confronti del pubblico

Si tratta delle Holding di partecipazione,
iscritte in una apposita sezione dell’elenco generale
di cui all’art. 113 del citato TUB.

C4) – Soggetti che rilasciano
garanzie a favore di Banche nell’interesse degli appartenenti ai soggetti
stessi

Rientrano in tale categoria i
consorzi e le cooperative di garanzia collettiva fidi, iscritte alla sezione
dell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, del TUB, che
esercitano in via esclusiva solo la predetta attività.

C5) – Soggetti che esercitano
l’attività di cambiavalute

Sono iscritti nell’apposita
sezione di cui all’art. 155, comma 5, del TUB. Si
ricorda che tra questi soggetti sono comprese anche le Associazioni Turistiche
Pro Loco.

C6) – Soggetti detti "casse
peota"

Esercitano la raccolta in ambito
locale di modesti importi, nonché l’erogazione di prestiti senza fini di lucro.
Sono iscritti nell’apposita sezione dell’elenco di cui all’art.
155, comma 6, del TUB.

C7) – Agenti in attività
finanziaria

Si tratta della categoria
definita dall’art. 1, comma 1, lettera n), del D.lgs
25 settembre 1999, n. 374 e dal successivo art. 3 dello stesso decreto. I
soggetti appartenenti a questa categoria svolgono attività di varia natura
come, ad esempio, custodia, trasporto valori, commercio in oro, gestione case
da gioco, oltre ad attività come quella immobiliare, dell’esercizio di case
d’asta, del recupero crediti, ecc..

C8) – Operatori professionali in
oro

La categoria è disciplinata dagli
artt. 1 e 2 della legge 17 gennaio 2000, n. 7. Si
tratta di soggettività che interessano pur esse l’attività istruttoria in
commento, in quanto il loro operato può dare origine a operazioni finanziarie
vere e proprie, come quelle esercitate dalle banche situate nelle zone di
Arezzo e Valenza Po (prestiti in oro, creazioni di garanzie, ecc.).

C9) – Istituti di moneta
elettronica (IMEL)

L’art. 114-bis del TUB ha
riservato l’emissione di moneta elettronica alle banche e agli IMEL, prevedendo
per questi ultimi una specifica disciplina esplicitata nella circolare della
Banca d’Italia n. 253 del 26 marzo 2004.

I predetti istituti esercitano in
via esclusiva l’attività di emissione della moneta elettronica, intendendosi
per tale "il valore monetario rappresentato da un credito nei confronti
dell’emittente, memorizzato su un dispositivo elettronico, emesso dietro
ricezione di fondi il cui valore non sia inferiore al valore monetario emesso,
accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente".
Pertanto, le somme in contanti ricevute dagli Imel sono tempestivamente
trasformate in moneta elettronica e non costituiscono depositi della clientela;
su di esse non sono conseguentemente corrisposti
interessi e non sono coperte dalle garanzie dei depositi.

Gli IMEL, pur non potendo
esercitare la concessione del credito, possono però
svolgere attività a esso connesse e strumentali, nonché offrire servizi di
pagamento in relazione alla emissione di moneta elettronica.

C10) – Imprese di investimento

Trattasi, normalmente, delle
imprese di investimento mobiliare (SIM), diverse dalle banche, tuttavia
autorizzate, insieme a queste ultime, a svolgere
servizi di investimento nei confronti del pubblico. Questa categoria è stata
introdotta dal D.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (c.d. decreto Eurosim). Sono
definite -ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. del 24 febbraio 1998, n. 58 (in
seguito solo TUF) – quali imprese di investimento soltanto le SIM e le altre
imprese di investimento aventi sede legale e direzione generale in uno Stato
sia comunitario che extra-comunitario.

La loro attività principale è
quella dell’intermediazione titoli e di collocamento per le nuove quotazioni di
imprese. Gestiscono, inoltre, patrimoni e raccolgono risparmio; in particolare
possono negoziare azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni, prodotti
derivati, collocare e distribuire strumenti finanziari.

C11) – Organismi di investimento
collettivo del risparmio (OICR)

Il TUF all’art. 1, lett. m),
individua tali organismi nei Fondi comuni di investimento e nelle SICAV.

Queste ultime sono società per
azioni aventi per oggetto esclusivo l’investimento collettivo del patrimonio
raccolto mediante l’OPA (offerta al pubblico di proprie azioni).

Giova rammentare che la
differenza nell’investimento con una SICAV rispetto a un fondo comune, si
traduce in un acquisto di azioni invece che di quote; il sottoscrittore SICAV
può infatti partecipare all’assemblea degli azionisti,
esercitare il diritto di voto e confrontarsi con l’operato dei gestori.

Il fondo comune, naturalmente, è
da intendersi in senso ampio e quindi riferibile ai fondi mobiliari aperti,
chiusi e immobiliari.

Si ricorda altresì che fondi e
SICAV possono essere di diritto italiano o armonizzati UE e non armonizzati UE;
questi ultimi sono liberi da vincoli e limitazioni previste dalla legge
comunitaria e quindi considerati nettamente speculativi.

C12) – Società di gestione del
risparmio (SGR)

Come stabilito dagli artt. 1, 18, 33 e 36 del TUF, le SGR sono società per azioni con
sede legale e direzione generale in Italia e sono autorizzate a prestare il
servizio di gestione collettiva del risparmio che si realizza attraverso la
promozione, istituzione, organizzazione e gestione dei fondi comuni di
investimento, sia propri che istituiti da altri soggetti.

Le predette società possono
gestire anche il patrimonio delle SICAV e i fondi pensione; tale gestione si
realizza, a sua volta, mediante l’investimento avente per oggetto strumenti
finanziari, crediti, o altri beni mobili o immobili.

In pratica, le SGR rappresentano
lo strumento destinato alla gestione per conto terzi
di portafogli mobiliari. La creazione di una siffatta società all’interno di un
Gruppo finanziario consente di accentrare tutte le attività di asset
management, in precedenza svolte da diversi soggetti, all’interno dello stesso
Gruppo (banche, sim, fondi comuni, ecc.).

Le SGR oltre che gestire fondi
aperti, chiusi mobiliari e immobiliari, possono gestire anche fondi speculativi
(quote di hedge fund esteri per le quali non è
prevista l’emissione dei relativi certificati).

C13) – Società fiduciarie

Come accennato nella
Introduzione, per quanto riguarda questa categoria la legge ha mostrato una
particolare e innovativa attenzione, trasferendola espressamente dall’ambito di
operatività dei numeri 5) ai numeri 7) dei rispettivi artt. 32 del D.P.R. n.
600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Nel rinviare per una dettagliata
trattazione del tema al paragrafo successivo, è solo il caso di anticipare in
questa sede che trattasi di società che si propongono di assumere
l’amministrazione e la gestione di beni mobili, immobili e partecipazioni
per conto terzi, l’organizzazione di aziende e la rappresentanza dei
portatori di titoli e quote societarie.

Questo tipo di società è
regolamentato ancora dalla legge del 23 novembre 1939, n. 1966, richiamata
dall’art. 199 del TUF. La nuova regolamentazione introdotta dai citati numeri
7) specifica che la stessa vale anche per l’elenco delle società fiduciarie
iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’art. 20 dello stesso TUF.

Torna utile precisare che i
rapporti gestiti da una società fiduciaria sono da considerare tutti
continuativi in quanto ogni cliente deve sottoscrivere un contratto con la
società, anche se il rapporto dura soltanto per un breve periodo.
Conseguentemente non è dato riscontrare, con questi intermediari, il
verificarsi di operazioni fuori contratto o (per fare un paragone con le
operazioni per cassa in banca) operazioni extra-conto.

E’ noto che la contabilità delle
operazioni effettuate per conto della clientela viene
registrata in un apposito conto intestato alla fiduciaria e aperto presso la
banca di riferimento; si tratta in pratica di un conto globale dove vengono
registrati tutti i movimenti di entrata e di uscita dei clienti della
fiduciaria, ovviamente tenuti distinti per singolo cliente tramite opportune
codificazioni.

1.2. Evoluzione della procedura
di indagine nella normativa fiduciaria

Il nuovo numero
7) del primo comma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, come
modificato dal comma 402 dell’art. 1 della legge, riconosce all’Amministrazione
finanziaria la facoltà di richiedere, previa autorizzazione del direttore
centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale
della stessa, ovvero, per il corpo della Guardia di finanza, del comandante
regionale, alle banche, alla società Poste italiane SpA, agli intermediari
finanziari, alle imprese di investimento, agli organismi di investimento
collettivo del risparmio, alle società di gestione del risparmio e alle società
fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a
qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i
servizi prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi.

La stessa disposizione prevede,
inoltre, che alle società fiduciarie di cui alla legge 23 novembre 1939, n.
1966, e a quelle iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui all’articolo
20 del TUF, può essere richiesto, fra l’altro, specificando i periodi temporali
di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per conto dei quali esse
hanno detenuto o amministrato o gestito beni,
strumenti finanziari e partecipazioni in imprese, inequivocabilmente
individuati.

In sintesi, dunque, la legge
finanziaria 2005 ha:

proceduto
a omogeneizzare i poteri istruttori esercitabili nei confronti delle società
fiduciarie e quelli contemplati per le banche (e per gli altri intermediari
finanziari);

stabilito
la possibilità di formulare, nei confronti delle sole società fiduciarie,
richieste mirate, finalizzate alla individuazione dei titolari di beni,
strumenti finanziari e partecipazioni in imprese.

Lo stesso comma
402 ha
inoltre anche modificato il numero 5) dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, in virtù del quale
l’Amministrazione finanziaria può acquisire informazioni circa le operazioni
poste in essere dagli organi e dalle Amministrazioni dello Stato, dagli enti
pubblici non economici, dalle società ed enti di assicurazione e dalle società
ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di
terzi a favore di soggetti indicati singolarmente o per categorie. Proprio per
effetto della riforma, tale modalità di accertamento non si applica alle
banche, alla società Poste italiane s.p.a., per le
attività finanziarie e creditizie, agli intermediari finanziari, alle imprese
di investimento, agli organismi di investimento collettivo del risparmio, alle
società di gestione del risparmio e alle società fiduciarie, soggetti tutti che
rimangono, invece, compresi nel successivo numero 7) del medesimo art. 32.

Con specifico riferimento al
comparto delle società fiduciarie, deve dunque rilevarsi che le modifiche
previste ai numeri 5) e 7) dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 determinano,
innanzitutto, l’allineamento delle società fiduciarie agli altri operatori
finanziari (banche, poste, ecc.). In particolare, importante risulta l’espressa
esclusione anche delle società fiduciarie dal metodo di indagine "a
campione" (per categorie) di cui al numero 5) dell’art. 32 e l’inclusione
delle predette società esclusivamente nel numero 7), con conseguente estensione
nei loro confronti delle procedure e garanzie proprie delle procedure di
controllo finalizzate all’acquisizione dei dati in possesso delle banche. Sotto
tale profilo, dunque, può ritenersi definitivamente superata la querelle,
recentemente ripropostasi all’attenzione a seguito del parere del Consiglio di
Stato n. 2345 del 1° luglio 2003, se nei confronti delle società fiduciarie di
amministrazione, di cui alla legge 23 novembre 1939, n. 1966, siano o meno esercitabili i poteri di indagine di cui al
medesimo numero 5) dell’art. 32.

Allo scopo di meglio comprendere
le ragioni che stanno all’origine dell’intervento normativo relativo ai poteri
istruttori esercitabili nei confronti delle fiduciarie, e dunque anche i motivi
del nuovo assetto conferito in via normativa allo specifico comparto, occorre
rammentare che, sotto la previgente disciplina l’art. 32, primo comma, n. 5),
del D.P.R. n. 600 del 1973 stabiliva che, per l’adempimento dei loro compiti,
gli uffici delle imposte potessero, tra l’altro,
richiedere alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e
pagamenti per conto di terzi, ovvero attività di gestione e intermediazione
finanziaria, anche in forma fiduciaria, la comunicazione, anche in deroga a
contrarie disposizioni legislative, statuarie o regolamentari, di dati e
notizie relativi a soggetti indicati singolarmente o per categorie.

L’esercizio del surriferito
potere nei confronti delle società fiduciarie, non sottoposto peraltro ad alcun
preventivo provvedimento autorizzatorio, è sempre stato tuttavia problematico,
soprattutto in considerazione del fatto che la richiamata formulazione
normativa non avrebbe offerto adeguata copertura giuridica per la formulazione
di richieste della specie nei confronti delle società fiduciarie c.d.
"statiche".

La distinzione tra fiduciarie di
"amministrazione" o "statiche" e fiduciarie di
"gestione" o "dinamiche" trova radice nel disposto di cui
all’art. 17 della legge 2 gennaio 1991, n. 1, che ha introdotto la possibilità
per le fiduciarie di esercitare l’attività di gestione dei patrimoni mediante
operazioni aventi ad oggetto valori mobiliari, previa iscrizione nell’albo
CONSOB di cui all’art. 3 della medesima legge. Una parte delle società
fiduciarie costituite e operanti in conformità alla legge 23 novembre 1939, n.
1966, avvalendosi del dettato normativo testé richiamato, ha chiesto e ottenuto
l’iscrizione al summenzionato albo, mentre la parte restante ha continuato a
operare in via ordinaria, precludendosi, a norma di quanto disposto dal comma 5
del citato art. 17, la possibilità di effettuare operazioni di gestione sui
valori mobiliari a esse fiduciariamente intestati. Ne
è sorta la summa divisio tra fiduciarie "dinamiche" (iscritte
nell’albo di cui all’art. 3 della legge n. 1 del 1991) e fiduciarie
"statiche" (che, non essendo iscritte nell’albo di cui al citato art.
3, si sono limitate a proseguire l’attività di mera custodia e amministrazione
dei titoli).

La normativa richiamata è stata
poi confermata sostanzialmente dall’art. 60, comma 4, del D.lgs. 23 luglio
1996, n. 415 (c.d. "decreto Eurosim") che, nel recepire la direttiva
93/22/CEE, ha di fatto sostituito la disciplina della
legge n. 1 del 1991, e dall’art. 199 del TUF, a sua volta sostitutivo del
decreto Eurosim.

Medio tempore è intervenuta la
novella legislativa dell’art. 32, primo comma, numero
5), del D.P.R. n. 600 del 1973, recata dall’art. 18 della legge 30 dicembre
1991, n. 413.

In precedenza, il dettato
normativo infatti prevedeva solo la facoltà di
"richiedere alle pubbliche amministrazioni, agli enti pubblici, alle
società ed enti di assicurazione ed agli enti e società che effettuano
istituzionalmente riscossioni e pagamenti per conto di terzi, la comunicazione,
anche in deroga a contrarie disposizioni legislative, statutarie e
regolamentari, di dati e notizie relativi a soggetti indicati singolarmente e
per categorie". La novella del 1991 ha esteso il potere di chiedere dati e notizie anche a soggetti che effettuano
"attività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in forma
fiduciaria".

La successione delle innovazioni
nell’ordinamento ha dunque offerto a parte della dottrina e della
giurisprudenza il destro per sostenere che, nel riferirsi ai soggetti che
esercitano attività di gestione in forma fiduciaria, il legislatore tributario
del 1991 ha
inteso riferirsi esclusivamente alle fiduciarie c.d. "dinamiche" e
non anche a quelle "statiche".

Oltre al controverso tema della
applicabilità alle fiduciarie statiche del potere di cui all’art.
32, numero 5), del D.P.R. n. 600 del 1973, ulteriori elementi hanno
contribuito a rendere critica, se non impossibile, l’attivazione del potere in
narrazione. Tra questi, in particolare, l’opinione secondo la quale la norma
non avrebbe contemplato la possibilità di chiedere, partendo
dall’identificazione di un bene, le generalità del soggetto fiduciante, essendo
essa strutturata e materialmente formulata solo per rispondere all’esigenza
inversa (dalle generalità del fiduciante, alla identificazione dell’oggetto del
rapporto o dei rapporti dallo stesso intrattenuti con la società fiduciaria).

Le modifiche normative introdotte
dalla legge finanziaria 2005
a proposito dei poteri esercitabili nei confronti delle
società fiduciarie si pongono dunque, sotto questo particolare profilo, come
momento di superamento definitivo delle problematiche occorse in vigenza del
numero 5) dell’art. 32 nella sua precedente formulazione.

L’inserimento delle società
fiduciarie nel numero 7) dell’art. 32 comporta in primo luogo che gli uffici
dell’Agenzia delle entrate e i comandi della Guardia di finanza potranno
richiedere alle società fiduciarie, così come a tutti gli altri operatori
finanziari, informazioni circa le operazioni da loro concluse fornendo
nominativa indicazione dei contribuenti sottoposti ad accertamento: agli uffici
e ai comandi suddetti è così permesso – derogando alla riservatezza fiduciaria
– di risalire, muovendo dall’indicazione della persona sottoposta ad
accertamento (elemento noto) alle operazioni – anche fiduciarie – da questo poste in essere (elemento ignoto).

Come accennato, il nuovo numero
7) dell’art. 32 prevede, inoltre, che alle società fiduciarie di cui alla legge
n. 1966 del 1939, e a quelle iscritte nella sezione speciale dell’albo di cui
all’articolo 20 del TUF, può essere richiesto, fra l’altro, specificando i
periodi temporali di interesse, di comunicare le generalità dei soggetti per
conto dei quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito
beni, strumenti finanziari e partecipazioni in imprese,
inequivocabilmente individuati.

Come risulta sia dalla sua
collocazione sistematica che dall’utilizzo dell’intercalare "fra
l’altro", tale seconda parte della norma, esclusivamente riferita alle
società fiduciarie sia di amministrazione che di gestione, si pone come
complementare rispetto alla prima parte della stessa avente carattere generale
nei confronti di tutti gli operatori finanziari, ivi comprese le medesime
società fiduciarie: essa prende specificamente in considerazione il fenomeno
dell’intestazione fiduciaria di beni, consentendo all’Amministrazione
finanziaria di derogare alla riservatezza fiduciaria, in presenza peraltro non
solo delle medesime garanzie procedurali di cui alla prima parte della norma,
ma anche delle particolari condizioni poste dalla
medesima disposizione speciale per consentire tale deroga.

In particolare, i poteri di
indagine consentiti all’Amministrazione finanziaria nei confronti
dell’intestazione fiduciaria di beni, strumenti finanziari e partecipazioni
possono essere esercitati a condizione, da un lato, che l’oggetto dell’indagine
sia precisamente (inequivocabilmente) individuato con
specifica indicazione sia del bene fiduciariamente intestato che del periodo
temporale di interesse per l’indagine e, dall’altro, che sia precisato il
collegamento fra l’intestazione fiduciaria e l’attività di indagine svolta nei
confronti dei soggetti sottoposti o sottoponibili ad accertamento. Non solo la
particolare condizione dell’inequivoca indicazione ma, soprattutto, la natura
speciale e complementare della disposizione in tema di intestazione fiduciaria
rispetto alla prima parte della norma, impongono tale relazione fra l’oggetto
della specifica indagine (il bene fiduciariamente intestato) e l’oggetto
dell’attività di accertamento (il soggetto o i soggetti cui essa è rivolta).

Come la prima parte della norma
consente, muovendo dall’indicazione della persona sottoposta ad accertamento
(elemento noto), di risalire alle operazioni – anche fiduciarie – da questo poste in essere (elemento ignoto), così la seconda
parte della norma consente, muovendo dall’indicazione specifica dell’oggetto
della intestazione fiduciaria (elemento noto), di risalire al soggetto (elemento
ignoto) la cui identità è elemento informativo indispensabile al fine dello
sviluppo delle attività istruttorie in corso di svolgimento.

Proprio con riferimento a tale
seconda parte della norma, in sede di primi commenti della nuova disciplina,
sono state avanzate interpretazioni non condivisibili sulle quali si ritiene
pertanto necessario indugiare sia pure brevemente.

Affermare, in particolare, che
per svolgere un’indagine nei confronti dell’intestazione fiduciaria di beni è
necessario che l’ufficio individui "inequivocabilmente" il soggetto
nei cui confronti sta svolgendo accertamento è statuizione palesemente priva di
fondamento logico: significherebbe infatti che la
norma speciale ha voluto solo ribadire ciò che già è detto nella prima parte
della norma, anch’essa pacificamente applicabile alle società fiduciarie.
L’indagine nominativa, e cioè partendo dall’indicazione – che non può che
essere precisa e inequivoca – del soggetto nei cui confronti si sta svolgendo
accertamento, è già prevista dalla prima parte generale della norma, dove si fa
espresso riferimento ai "clienti" che intrattengono rapporti o hanno
effettuato operazioni (anche fiduciarie) con tutti gli operatori finanziari.

Allo scopo di meglio dunque
chiarire le ragioni sottese al rinnovato potere istruttorio attivabile nei
confronti delle società fiduciarie, si propone la seguente esemplificazione.

Si supponga che sia in corso di svolgimento un’attività di controllo nei
confronti della ALFA s.p.a. soggetto residente, il cui intero capitale sociale
è rappresentato da azioni detenute da un soggetto ignoto che le ha intestate
fiduciariamente a una società costituita ai sensi della legge n. 1966 del 1939.

Si supponga ora che nel corso
delle attività di controllo i funzionari preposti individuino
vendite di beni effettuati dalla ALFA s.p.a. nei confronti di una società belga
BETA S.A. a prezzi mediamente inferiori a quelli di mercato. In virtù delle
disposizioni recate dal Tuir, agli artt. 110 e 9, i prezzi di dette transazioni
possono essere rettificati dall’Amministrazione finanziaria, dando quindi luogo
all’accertamento di un maggior reddito imponibile in capo a ALFA s.p.a., quando però sia dimostrato che la controparte nelle
operazioni appartenga al medesimo gruppo di imprese cui fa capo la società
suscettibile di accertamento. Tale circostanza, essenziale, nella fattispecie,
ai fini dell’esame, non è appurabile se non risalendo nella catena di controllo
della ALFA s.p.a. Ne consegue la necessità di interpellare la società
fiduciaria intestataria del pacchetto azionario della verificata allo scopo di
acquisire l’informazione rilevante.

Va peraltro osservato che qualora
l’informazione sia altrimenti desumibile (perché, ad esempio, fornita
direttamente dalla società in sede di verifica o ricavabile dai bilanci della
stessa società o dal suo sito internet), la formulazione della richiesta alla
società fiduciaria non trova ragion d’essere se non nella remota (ma pur sempre
possibile) ipotesi che l’informazione aliunde desunta risulti poi non veritiera
o solo in parte veritiera.

Mentre non è dunque previsto che,
nel formulare la richiesta di autorizzazione, i funzionari procedenti diano
indicazione in via presuntiva di uno o più soggetti individuati quali
potenziali titolari effettivi delle azioni o dei beni, è invece richiesto che
sia data chiara e puntuale indicazione delle ragioni per via delle quali la
richiesta nei confronti della società fiduciaria costituisce momento
significativo delle attività di indagine in corso. Nell’ambito dell’esame di
merito di sua competenza, l’autorità deputata a rilasciare la specifica
autorizzazione dovrà pertanto sincerarsi del ricorrere della surriferita
circostanza, valutando, in particolare, sulla base degli elementi prospettati
dall’ufficio o dal comando richiedente, quale pregiudizio possa derivare
all’indagine in corso qualora l’informazione non venisse
acquisita e l’eventuale esistenza di fonti alternative e affidabili da cui
attingere la medesima informazione.

Va conclusivamente rimarcato che
le indicazioni operative appena fornite in particolare con riguardo allo
specifico potere attivabile solo nei confronti delle società fiduciarie hanno
il precipuo scopo di evitare l’affiorare di prassi collocabili nell’alveo delle
c.d. fishing expeditions ossia di richieste che non trovano radice in obiettive
esigenze istruttorie connesse ad attività di indagine in corso. Tali richieste,
in quanto non rispondenti alla ratio legis che ha ispirato la novella
introdotta dalla legge, devono considerarsi non adeguatamente motivate e, come
tali, devono essere respinte dalle autorità competenti al rilascio
dell’autorizzazione.

1.3. Responsabile della struttura
accentrata

Come già accennato in precedenza,
e reso evidente dal citato provvedimento telematico, vista l’evoluzione
dell’organizzazione del sistema creditizio e finanziario e la nuova struttura
che, attualmente, i grandi gruppi bancari e finanziari si sono dati – e si
stanno ancora dando -, con riguardo ai destinatari delle richieste degli uffici
occorre tener presente che:

– il processo di concentrazione
bancaria ha creato numerosi Gruppi bancari, di diverse dimensioni, da cui sono
scaturite grandi Banche spa che hanno inglobato numerosi Istituti di credito;

– queste concentrazioni di banche
sono avvenute sia tramite fusioni per incorporazione che per raggruppamenti a
modello federativo;

– molte banche sono scomparse,
altre, pur mantenendo la loro denominazione, sono diventate soggetti
completamente diversi.

Conseguentemente, continuare a
indirizzare le richieste a ogni singolo soggetto bancario o finanziario, come
fatto sinora, si è rilevato poco aderente alla realtà attuale oltre che
scarsamente produttivo.

Preso atto della descritta
situazione, il legislatore ha inserito in entrambi i numeri 7), sia dell’art.
32 del D.P.R. n. 600 del 1973 che dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972,
un’ulteriore categoria di destinatari delle richieste, individuandola nei
responsabili della "struttura accentrata" degli intermediari.

In proposito, giova ricordare che
in precedenza già la circolare 116/E (Capitolo II, paragrafo 4) aveva
introdotto il concetto di sede accentrata, sia per le richieste che per le
relative risposte, suggerendo agli uffici di privilegiare, quando possibile, l’inoltro diretto alle direzioni generali delle banche,
anziché alle singole dipendenze.

A seguito della predetta
integrazione normativa, la ricordata nozione amministrativa di sede accentrata
è stata estesa oltre l’ambito dello stesso istituto di credito nominativamente
e singolarmente individuato, per rapportarsi alla nuova configurazione di
raggruppamento bancario, qualora il rappresentante dello stesso raggruppamento sia stato formalmente delegato non solo alle funzioni di
semplice collettore delle richieste, ma anche a quelle di incaricato per le
relative risposte, con ciò assumendo nella procedura istruttoria in questione
la veste di "responsabile della struttura accentrata", sia ai fini
della veridicità e dei tempi di corrispondenza, sia agli effetti sanzionatori
(per quest’ultimo aspetto, vedi in particolare Capitolo Sesto).

Si tratta, naturalmente, per
quanto già precisato, di una categoria di destinatari diversa da tutte le
altre, in quanto sprovvista in proprio della effettiva
disponibilità degli elementi oggetto di indagine, considerato che i
rapporti sottostanti intercorrono tra le singole società che si sono accentrate
e il contribuente oggetto dell’indagine.

Concludendo, si ritiene che il
percorso operativo degli uffici richiedenti possa riassumersi nei termini
seguenti:

1)con riguardo al settore
bancario occorre propedeuticamente distinguere le banche interessate da un
processo di incorporazione, per le quali la richiesta va diretta alla direzione
generale del soggetto incorporante, da quelle aggregate con modello federativo,
per le quali la richiesta va inoltrata a ogni singolo soggetto giuridico;

2)per i gruppi bancari che hanno
costituito apposite strutture accentrate, anche ai fini delle indagini
bancarie, la richiesta va indirizzata al responsabile della stessa struttura;

3)per tutte le altre banche, va
intesa come destinataria delle richieste la rispettiva direzione generale o
centrale, ovvero le singole loro dipendenze;

4)per tutti gli altri
intermediari finanziari trovano applicazione gli stessi criteri sopra
descritti, ove ne ricorrono i presupposti.

In particolare si sottolinea, sia
pure sotto il profilo essenzialmente funzionale, che, con riguardo alle poste,
le relative richieste possono essere indirizzate all’apposito ufficio
accentrato della Direzione Generale di Roma, oppure, in caso di indagini
localmente mirate, all’Ufficio provinciale o regionale competente.

CAPITOLO II

Ambito oggettivo

Premessa

Come sommariamente anticipato nel
paragrafo dedicato alle Generalità riguardante il
complesso innovativo realizzato dalla legge, i novellati numeri 7) dell’art. 32
del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 hanno notevolmente
ampliato anche il numero e la qualità degli elementi informativi accessibili da
parte degli uffici e degli altri organi legittimati all’esercizio dell’attività
istruttoria in commento.

Quanto sopra è stato realizzato
attraverso l’adozione di una formulazione più ampia dei predetti numeri 7), la quale comprende dati e informazioni relativi non solo ai
rapporti di conto e a quelle operazioni che vi transitano, come stabilito dalla
normativa in essere fino al dicembre 2004, ma anche "… a qualsiasi
rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi
prestati, con i loro clienti, nonché alle garanzie prestate da terzi.".
Ribadendo, in particolare, che tale formulazione non riguarda più soltanto
banche e poste, ma anche tutti gli altri intermediari finanziari come descritti
nel Capitolo Primo.

Come è evidente, la novella
formulazione risulta talmente omnicomprensiva da raccogliere dentro di sé
l’operatività di tutti gli intermediari, non solo finanziaria, ma anche quella
relativa ai servizi accessori e ai mezzi di pagamento.

Risultano in
tal modo eliminati anche tutti gli equivoci interpretativi derivanti
dalla formulazione della normativa previgente, causa non ultima anche delle
frequenti sovrapposizioni dei ripetuti numeri 7) rispetto ai numeri 5) degli
stessi articoli 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972,
con particolare riguardo sia alla fase procedurale, autorizzata ovvero libera,
sia alla qualità dei dati e delle notizie passibili di acquisizione.

Deve comunque ascriversi al nuovo
impianto normativo il definitivo superamento della pregressa distinzione, in
tema di acquisizione degli elementi informativi, tra operazioni di conto e
operazioni extra-conto, le quali ultime sono ora legalmente transitate nel
vocabolo "operazioni".

In altri termini gli uffici,
dalla data di entrata in vigore della legge (1°gennaio 2005) e con efficacia
riferita anche ai pregressi periodi di imposta, possono correlare le loro
richieste a tutti i rapporti, continuativi e non, vale a dire aperture,
variazioni e chiusure di conti, libretti, depositi e altro, operazioni singole,
contratti relativi a cassette di sicurezza, mutui, finanziamenti di qualsiasi
natura e tutte le altre operazioni di qualsiasi specie, sia finanziarie che
relative a servizi accessori e ai mezzi di pagamento, sempreché rilevanti agli
effetti di indagine fiscale. Naturalmente, sia per quanto già precisato nella
Introduzione sia per quanto meglio specificato in questo stesso paragrafo, le
disposizioni correttive di cui alla legge di conversione n. 248 del 2005, per i
periodi di imposta anteriori al 1° gennaio 2006, stabiliscono che la base informativa
delle operazioni extra conto resta circoscritta a quella alimentante l’archivio
unico informatico (AUI), con il limite delle operazioni superiori, da ultimo,
all’importo di euro 12.500.

Giova inoltre ricordare, sotto il
profilo acquisitivo, che tra i rapporti e le operazioni connesse o inerenti
agli stessi rientrano, per espressa disposizione legale, rimasta immutata
rispetto alla precedente previsione – descritta nella citata circolare n. 116/E
-, le "garanzie prestate da terzi". Trattasi dei casi in cui un
soggetto terzo rilascia, volontariamente, delle garanzie all’intermediario a
favore del contribuente sul quale è in corso l’indagine, con la sola
differenza, rispetto al passato, che l’intermediario deve ora fornirne gli
elementi in un unico contesto come dati anch’essi tempestivamente accessibili,
in quanto afferenti la sfera del contribuente oggetto dell’indagine. A maggior
ragione, si configurano come acquisibili le garanzie prestate dallo stesso
contribuente sui crediti o affidamenti ricevuti dall’intermediario finanziario,
in linea con quanto già riconosciuto pacificamente dalla medesima circolare
sopra citata.

Quanto alle eventuali e diverse
competenze rivestite dagli intermediari, al di fuori delle specifiche attività
finanziarie e creditizie, avanti delineate, si rinvia a quanto esplicitato
riguardo ai numeri 5), come meglio precisato nel successivo Capitolo Settimo,
paragrafo 7.2, con riguardo ad esempio alla vendita di gadget, di biglietti per
manifestazioni varie, ecc..

Precisato tutto quanto sopra,
occorre ribadire in particolare che, per i periodi di imposta anteriori al 1°
gennaio 2006, le disposizioni correttive innanzi citate hanno limitato l’ambito
della base informativa sulla quale gli uffici procedenti possono legittimamente
fare affidamento per l’acquisizione delle operazioni non transitate in un
conto, rinviando alla sola strumentazione di cui all’archivio unico informatico
(AUI) e, quindi, con possibilità acquisitiva riferita esclusivamente alle
operazioni di importo superiore a euro 12.500; limite questo non operante per
le operazioni annotate, invece, in un conto.

Al riguardo, non può sottacersi
la circostanza che, durante il periodo intercorrente dall’entrata in vigore
della legge finanziaria (1° gennaio 2005) sino al 2 dicembre 2005, data
precedente quella di entrata in vigore delle disposizioni correttive di cui
all’art. 2, comma 14-ter, della citata legge n. 248 del 2005, potrebbero aver
operato, ratione temporis, le regole originarie che non prevedevano limiti di
acquisizione con riferimento alle predette operazioni "fuori conto",
a prescindere dalla loro ricomprensione, di ordine quantitativo e qualitativo,
nell’anzidetta strumentazione AUI. Ovviamente, le richieste e relative risposte
già esitate, così come i successivi, eventuali utilizzi, in mancanza di una espressa norma di diritto transitorio, spiegheranno ogni
possibile effetto in coerenza con i generali principi di efficacia temporale
delle norme e di conservazione degli atti eseguiti, in quanto le introdotte
disposizioni correttive hanno valenza applicativa solo dalla data della loro
entrata in vigore.

2.1. Rapporti, operazioni e
servizi oggetto delle richieste

Da quanto enunciato
riassuntivamente sia nelle Generalità della presente
circolare, sia nel precedente paragrafo, la portata innovativa della manovra 2005 in tema di
"indagini bancarie" si riscontra, oltre che nell’aumentato numero
degli intermediari destinatari delle richieste, nel significativo ampliamento
del numero e della qualità delle operazioni intercettabili
dall’Amministrazione.

In particolare, sotto l’aspetto
oggettivo, la nuova strategia perseguita dalla legge è stata quella di superare
l’angusta nozione di "copia dei conti intrattenuti" – ancorché in
precedenza allargata ai rapporti inerenti e connessi – per approdare alla più
ampia area di indagine relativa a "qualsiasi rapporto intrattenuto od
operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati" con la clientela
di cui ai riformulati numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51
del D.P.R. n. 633 del 1972.

Da tale nuova formulazione
onnicomprensiva deriva anzitutto la possibilità di acquisire dati, notizie e
documenti prescindendo dalla natura della singola operazione, sia essa
collegata o meno a qualsivoglia tipologia di rapporto
con i diversi intermediari finanziari.

In altri termini, con specifico
riferimento alle suddette categorie legali (rapporti, operazioni, inclusi i
servizi prestati) il legislatore ha sostanzialmente individuato tutte le
operazioni relative all’attività esercitabile dagli intermediari, siano esse
operazioni relative a rapporti continuativi o servizi offerti
continuativamente, ovvero operazioni riferibili a servizi singolarmente
prestati.

Pertanto, tutte le suddette
operazioni – di qualsiasi specie esse siano, finanziarie o di diversa natura –
sono oggi intercettabili ai fini dell’esercizio del potere istruttorio come
novellato dalla legge. Tuttavia, ai fini di un’esplicativa esposizione della
materia in commento, si passa qui di seguito a sussumere nelle categorie legali
di cui sopra i principali insiemi di atti concretamente realizzabili con gli
intermediari finanziari attraverso la costituzione o meno di un rapporto,
servizi inclusi.

La prima fattispecie operativa
individuata è data dalla locuzione "rapporti"; alla luce di quanto
argomentato, questa categoria è relativa a tutte le attività aventi carattere
continuativo – con ciò intendendo un riferimento temporale congruo –
esercitabili dagli intermediari finanziari, ovvero ai servizi offerti
continuativamente al cliente, instaurando con quest’ultimo un "complesso
di scambio" all’interno di una forma contrattuale specifica e durevole nel
tempo. Ove mancassero questi due ultimi requisiti essenziali, la fattispecie
operativa non potrebbe più essere definita "rapporto" in senso
compiuto.

Per altro verso, la oggettiva
mancanza del suddetto "complesso di scambio" definisce comunque altre
fattispecie: l’operazione isolata e l’offerta del singolo servizio. Appare
evidente che in ogni caso si tratta di "operazioni", in quanto il
singolo servizio offerto dà comunque luogo a una singola operazione di
rilevanza contabile; in mancanza di quest’ultimo connotato contabile, non si
configura un fenomeno finanziario analizzabile relativamente alle indagini in
questione.

Quanto ora
precisato sulle predette categorie legali rende evidente che le
operazioni da analizzare sono riconducibili a un rapporto, ovvero ne restano
fuori in maniera isolata, in quanto nascono e si esauriscono istantaneamente.

Tra le operazioni poste più
frequentemente in essere dagli intermediari con i loro clienti, rientrano:

operazioni
di natura finanziaria, ovvero tutte le transazioni caratterizzate, in via
generale, da movimentazioni di titoli e denaro. E’ evidente che, pur nella generalità
del significato, tali operazioni risultano interessanti soltanto se qualificate
dal punto di vista fiscale, in quanto strumentali e utili all’indagine
finanziaria;

operazioni
relative, in particolare, a mezzi di pagamento, ovvero operazioni mirate,
rintracciabili anch’esse all’interno di un rapporto o anche come isolate, che
riguardano gli incassi, i pagamenti, i trasferimenti in denaro contante, gli
assegni (in tutte le loro accezioni), i vaglia postali, i bonifici e
l’emissione e la gestione di carte di credito. Tali operazioni per la loro
peculiarità, che è evidente, risultano disciplinate specificamente dalla normativa antiriciclaggio;

operazioni
relative a servizi accessori, in quanto connessi a un rapporto e quindi da
considerarsi operazioni aggiuntive del rapporto principale, per quanto non
possa escludersi la loro effettuazione anche come operazioni isolate o rapporti
a sé stanti. Esse riguardano la custodia e l’amministrazione di strumenti
finanziari, la locazione di cassette di sicurezza, consulenza alla clientela in
materia, tra l’altro, di strategia d’impresa e di emissione e di collocamento
di strumenti finanziari, domiciliazione di bollette, utenze, intermediazione in
cambi, concessione di finanziamenti agli investitori per consentire loro di
effettuare una operazione relativa a strumenti
finanziari.

Occorre a questo punto rammentare
quanto già accennato sempre nelle Generalità, e meglio viene
precisato nel Capitolo Ottavo, e cioè che per tutte le operazioni, salvo che
esse siano collegate a un rapporto o servizio già evidenziato, le
determinazioni previste dal nuovo assetto informativo – come modificato dalla
citata legge di conversione n. 248 del 2005 – esigono che dal 1° gennaio 2006
gli intermediari finanziari (in primis banche e poste, che forniscono prodotti
specifici) devono uniformarsi e ottemperare, anche attraverso la rilevazione ed
evidenziazione del codice fiscale, al disposto del sesto comma dell’art. 7 del
D.P.R. n. 605 del 1973, già novellato dalla legge.

Giova comunque precisare che
l’art. 2, comma 14-ter, della citata legge di conversione, per i periodi
d’imposta anteriori al 1° gennaio 2006, ha limitato l’acquisizione degli elementi
relativi ad un’operazione non riconducibile ad un rapporto continuativo
soltanto a quelli che hanno alimentato, per qualità e quantità, la base
informativa della procedura antiriciclaggio (AUI). Ciò equivale ad escludere
dall’ambito di acquisibilità tutte le operazioni che tipologicamente non sono
ricomprese nella procedura di rilevazione ai fini del riciclaggio o che pur
essendovi ricomprese, ne fuoriescono perché di importo, anche frazionato,
inferiore al limite complessivo di 12.500 euro.

2.2. Le cosiddette operazioni
extra-conto

Prima di entrare nel merito dello
specifico argomento, giova sottolineare quanto anticipato al precedente
paragrafo circa il generale ambito applicativo della procedura di indagine che,
nella sua onnicomprensività, si estende ora oltre l’angusto limite della
nozione di "conto", così abbracciando qualsiasi rapporto intrattenuto
od operazione effettuata dalle banche, poste o altro operatore finanziario, con
la rispettiva clientela.

Nel precedente contesto normativo,
ruotante quindi intorno alla suddetta nozione, qualsiasi operazione che
contabilmente ne fosse scollegata, automaticamente
fuoriusciva dalla potestà acquisitiva degli organi di indagine fiscale.

Si fa riferimento, appunto, a
tutte quelle operazioni che avvenivano, e tutt’ora avvengono, comunemente
"allo sportello", prevalentemente bancario e postale, ma anche di
altri intermediari finanziari, contro presentazione di contante o assegni,
senza transito nello speciale rapporto di conto.

In tal senso, costituiscono
tipiche operazioni di sportello la richiesta di assegni circolari, il bonifico
per cassa, il cambio assegni, l’acquisto di valuta estera, la sottoscrizione e
la negoziazione di titoli e certificati di deposito.

La stessa
circolare 116/E del maggio 1996, come già precisato fondata sul limitato
concetto di conto mutuato dal decreto del Ministero del Tesoro del 19 dicembre
1991, escludeva coerentemente tutte le anzidette operazioni in quanto non
riconducibili, né inerenti, al predetto concetto.

Allo stesso modo, sono operazioni
allo sportello anche quelle effettuate con delega per la richiesta di assegni
circolari o di bonifici per cassa.

Per tutte le anzidette operazioni
occorre pertanto analizzare eventuali annotazioni autografe, del tipo
"dipendente dello Studio X" oppure "segretaria del Dott.
Y", le quali necessitano al cassiere per memorizzare il soggetto che
fisicamente ha compiuto l’operazione, come persona conosciuta, affidabile e in
ogni caso individuabile.

Quantunque sotto il profilo della
espansiva potestà acquisitiva operata dalla legge le ripetute operazioni non
facciano più eccezione, va bene ricordare che sono fruibili come informazioni,
oltre alle operazioni sopra citate come esempio, anche alcuni rapporti
specifici quali i conti transitori, le cassette di sicurezza, il patto
compensativo, e tutti gli altri rapporti elencati alla
tabella 3 allegata al Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 22
dicembre 2005.

In particolare, per quanto
riguarda i conti transitori si rammenta che in precedenza erano esclusi dalla
potestà acquisitiva degli organi procedenti, sempreché utilizzati da banche e
poste come conti "meramente interni" per loro esigenze organizzative.
Infatti nell’ambito di tali conti venivano
regolarmente registrate tutte le operazioni che in un secondo momento,
contestualmente alla estinzione del conto transitorio stesso, erano
definitivamente scritturate contabilmente nel proprio ambito naturale
costituito dal rapporto speciale di conto. In tal senso, si era espressa la
predetta circolare 116/E, nel presupposto che in effetti
i conti in questione rispondessero, senza eccezioni, alla predetta finalità e
procedura.

Fermo restando che i conti
transitori anche in precedenza potessero e dovessero
essere invece ricompresi nell’ambito operativo delle indagini in questione
qualora fossero stati impiegati per scopi diversi e distorti da quelli propri
dell’istituto, occorre subito rilevare che, pure a prescindere da tali scopi
particolari, alla stregua della novella legislativa essi costituiscono ora
oggetto di intercettazione, in quanto sicuramente riconducibili alla innovativa
categoria delle "operazioni".

2.3. Prodotti bancoposta

Meritevoli di apposita disamina
sono anche i prodotti bancoposta, ricompresi nella tabella delle operazioni di
cui al successivo paragrafo 2.4; questi prodotti, disciplinati dal D.P.R. 14
marzo 2001, n. 144 e successive modificazioni, costituiscono, come innanzi più volte precisato, oggetto delle richieste di indagine.

Al riguardo, si rammenta che
determinati servizi postali – conti correnti postali (oggi conti bancoposta),
libretti di deposito (oggi libretti di risparmio postale) e buoni postali
fruttiferi – erano già acquisibili in vigenza della disciplina risultante dalla
precedente formulazione di entrambi i numeri 7), rispettivamente dell’art. 32
del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, per i
quali pertanto non si rendono necessari particolari chiarimenti.

Per tutti gli altri prodotti che,
a seguito dei novellati numeri 7), sono pur essi acquisibili, si ritiene
opportuno evidenziare soprattutto quelli che, non rivestendo carattere
continuativo, erano finora sprovvisti dei dati e delle informazioni di
interesse fiscale e che si caratterizzano in modo significativo rispetto alle
tradizionali operazioni effettuate dalle banche e dagli altri intermediari.

Bollettini di conto corrente
postale.

Le informazioni che si possono rilevare
sui bollettini, oltre l’importo e il numero di conto corrente del beneficiario
con i relativi dati identificativi, sono quelle riguardanti l’ufficio di
pagamento, la data del versamento, i dati del versante e il suo codice fiscale
soltanto se trattasi di bollettino premarcato.

Naturalmente, a partire dal 1°
gennaio 2006 (vedi art. 2, comma 14, lettera c), del D.L. 29 settembre 2005, n.
203), le predette informazioni non riguardano i versamenti in conto corrente
postale effettuati per un importo unitario inferiore alla soglia di 1.500 euro

Vaglia postale.

A questo prodotto si applicano le
disposizioni dell’assegno circolare (D.P.R. n. 144 del 2001), dal quale il
vaglia postale si differenzia per la sola ragione che, mentre nell’assegno
circolare il trasferimento dei fondi avviene con l’emissione del titolo da
parte di una banca, nel vaglia postale la trasmissione del titolo e il
trasferimento dei fondi è curato sempre dalla posta, in ogni parte del
territorio nazionale.

Le informazioni rilevabili sui
vaglia sono: la data di emissione, l’importo, il mittente e il beneficiario con
i relativi indirizzi, data e agenzia di pagamento.

Se il mittente o anche il
beneficiario sono titolari di conto corrente postale, si possono ottenere, per
ciascuno di essi, ulteriori dati (codice fiscale e
data di nascita).

Assegno vidimato.

L’assegno postale vidimato è un
titolo a copertura garantita, addebitato al momento della vidimazione sul conto
corrente del cliente titolare di conto-bancoposta; a questo prodotto si
applicano le disposizioni dell’assegno bancario (D.P.R. n. 144 del 2001).

Infatti
è ammessa la girata e la clausola di non trasferibilità, è presentabile
all’incasso nei due mesi successivi dalla data di vidimazione e non subisce
limite d’importo.

Di questo prodotto esistono due
tipologie: assegno vidimato emesso preso l’ufficio postale ove è ubicato il
conto e assegno vidimato emesso centralmente.

I predetti assegni possono essere
versati o presentati all’incasso presso qualsiasi ufficio postale o negoziati
in banca.

Le informazioni rilevabili da
tale prodotto comprendono: i dati dell’assegno, i dati dell’emittente in quanto
titolare di conto, l’agenzia di pagamento e la data di estinzione, nome o
ragione sociale del beneficiario. Nel caso in cui il titolo venga
versato su un conto corrente postale, ovviamente si rendono disponibili anche
tutti i dati del beneficiario.

– Servizio Eurogiro.

Si tratta di un sistema di
pagamento internazionale. Consente la trasmissione e la ricezione di fondi in
via telematica tra Stati autorizzati a utilizzare la rete dedicata.

Il servizio offerto da tale
sistema è fruibile anche da parte di soggetti che non hanno attivato un conto
corrente postale.

Eurogiro assolve la funzione di
mezzo di pagamento anche a fronte di invii in contrassegno
(pacchi/raccomandate).

Sotto l’aspetto informativo, da
tale servizio sono rilevabili dati analitici sia in entrata che in uscita
(dall’estero), riguardanti tanto il mittente che il beneficiario.

Il sistema è regolato dalla
disciplina Eurogiro, dalle norme UPU (Unione Postale Universale), nonché da
specifici accordi bilaterali.

– Servizio MoneyGram.

Tale servizio consente di inviare
denaro contante in ogni parte del mondo in tempo reale, tramite una estesa rete di agenti MoneyGram, collegati tra loro
telematicamente. Nel nostro Paese, a seguito di un accordo con la società
MoneyGram, opera come agente della stessa Poste
Italiane spa.

Sotto il profilo operativo il
limite per ogni singolo invio è pari ad euro 2.582,28; per più invii,
complessivamente superiori a euro 18.000,00, necessita apposita autorizzazione
da parte della società MoneyGram.

Le informazioni che possono
essere rilevate dall’operazione, riguardano i dati del mittente, l’ufficio di
emissione, i dati del beneficiario, il paese di destinazione; nonché i dati
sulla transazione (importo,cambio, valuta, ecc.).

2.4. Tabella delle operazioni

Per facilitare l’individuazione
dei movimenti oggetto di richiesta, siano essi riferibili o meno a
operazioni, servizi, o rapporti continuativi, gli organi procedenti fanno
riferimento alla tabella generale delle operazioni, unita al provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 dicembre 2005, come allegato 1.

Tale tabella riporta nella prima
colonna i codici che consentono a ciascun operatore finanziario un’agevole
ricerca nel proprio archivio delle informazioni richieste, in quanto da esso già utilizzati nell’attività istituzionale per
classificare tutte le operazioni, riconducibili o meno ad un rapporto.

Nella seconda colonna viene fornita una descrizione analitica di ogni operazione.

La stessa tabella costituisce
naturalmente parte integrante del tracciato XML utilizzato, per le richieste e
le relative risposte, in termini di linguaggio comune e condiviso per
comunicare le informazioni relative alle singole movimentazioni.

A proposito di tale tracciato,
nel rinviare ad ulteriori istruzioni operative per la compilazione dello
stesso, si sottolinea che esso è fondamentalmente strutturato nel seguente
modo:

Anagrafica
soggetto

Rapporti Saldi
Operazioni o movimenti

nel caso
di operazioni o movimenti relativi a rapporti,

oppure:

Anagrafica
soggetto Operazioni o movimenti

nel caso
di operazioni o movimenti non connessi a rapporti.

Ciò comporta che, nel tracciato
relativo, le risposte vengono organizzate secondo una
struttura gerarchica che, a partire dal soggetto sottoposto a indagine, nel
caso di presenza di rapporti, riporta i tipi di rapporto sottostanti, i saldi
iniziale e finale e l’elenco delle operazioni relative; nel caso di assenza di
rapporti, nel tracciato viene indicato unicamente l’elenco delle operazioni
cosiddette extra conto.

Infine, nel caso in cui emergano
collegamenti con altri soggetti, vengono rilevati i
dati anagrafici dei soggetti collegati, mentre, nel caso di operazioni
effettuate a nome o per conto di terzi, sono rilevati altresì i dati anagrafici
dei soggetti autori materiali delle operazioni stesse.

2.5 La tabella dei rapporti

Come già anticipato, nel sistema
delle indagini finanziarie per rapporto deve intendersi ogni attività avente
carattere continuativo esercitabile dagli intermediari finanziari ovvero i
servizi offerti continuativamente al cliente, instaurando con quest’ultimo un
"complesso di scambio" all’interno di una forma contrattuale
specifica e durevole nel tempo.

Nella tabella dei rapporti, allegato
2 al citato provvedimento direttoriale del 22 dicembre 2005, sono stati
pertanto elencati tutti quei rapporti significativi ai fini fiscali.

Sono stati inseriti, ad esempio,
i rapporti che implicano un deposito (compresi i certificati di deposito e
altri titoli acquistati allo sportello), i rapporti di portafoglio, i rapporti
creditizi sia per cassa che non (crediti di firma), i tipi di finanziamento, i
contratti di cassetta di sicurezza, i conti transitori, etc.

In generale, in aggiunta a quanto
già specificato in materia di rilevazione dei dati anagrafici dei soggetti, si
precisa che per qualsiasi rapporto in disponibilità del soggetto sottoposto a
controllo, vanno indicati i dati del rapporto (codice rapporto, identificativo
rapporto), i dati dei collegamenti e dei soggetti collegati, nonché tutte le
operazioni in esso contenute. Nel caso in cui il
soggetto sottoposto a controllo abbia agito come
autore materiale, oltre ai dati del rapporto, vanno indicate solo le operazioni
a lui riferibili.

La tabella dei rapporti in parola
costituisce uno degli elementi principali della procedura telematica, perché
consente di ricevere dagli operatori finanziari un’informazione completamente
strutturata secondo la logica rapporti/ operazioni
all’interno dei rapporti (ad esempio i movimenti di un conto corrente).

2.6. La tabella dei collegamenti

La tabella, allegato 6, punto
5.4, al citato provvedimento, riporta i codici da 1 a 7 per identificare i tipi
di collegamento che si possono instaurare tra soggetti diversi, comunque
connessi fattivamente ad un rapporto, consentendo l’acquisizione di altre
informazioni che potrebbe essere utile conoscere ai fini dell’indagine.

Il codice 1 identifica che il
rapporto è cointestato.

Il codice 2 identifica il
collegamento del soggetto controllato con società terze, dove lo stesso
soggetto ha una carica sociale o è socio con poteri di firma, limitati o
illimitati.

I codici 3 e 4 identificano i
collegamenti per deleghe, procure e mandati ricevuti o rilasciati da/a terzi.

I codici 5 e 6 identificano i
collegamenti dell’indagato per garanzie personali ricevute o prestate da/a
terzi.

Il codice 7 svolge funzioni
puramente residuali.

I codici di collegamento sono
indispensabili per ricostruire la relazione complessa fra soggetti all’interno
di un rapporto al fine di consentire agli organi procedenti una visione
complessiva dell’architettura di un rapporto. Ad esempio i codici 2, 4 e 6
forniscono un quadro d’insieme degli intrecci societari.

E’ indispensabile, quindi, che i
codici di questa tabella siano incrociati con i codici della tabella rapporti.

2.7. Casi di esclusione oggettiva

Alcune operazioni, rilevate dagli
operatori finanziari, sono state escluse dalla comunicazione mediante la
procedura telematica sulla base di due principi: il primo è rappresentato
dall’esigenza di evitare che le informazioni, già in possesso
dell’amministrazione finanziaria, perché comunicate con altre modalità, siano
oggetto di richiesta; il secondo è costituito dalla non significatività, ai
fini dei controlli fiscali, di alcune informazioni relative alle operazioni
(es. vendita di biglietti).

2.7.1 Informazioni già in
possesso dell’amministrazione finanziaria

Nel provvedimento stesso, tra le
operazioni elencate nell’allegato 1, si trovano, con l’esplicita
raccomandazione di non procedere a rilevazione, qualora eseguite extra-conto:

– pagamento di pensioni;

– pagamento di utenze;

– pagamento di imposte, tasse e
canoni radiotelevisivi;

– pagamento di contributi
assicurativi e previdenziali.

In particolare, sono da
comprendere nel novero delle utenze i servizi di somministrazione dell’energia,
dell’acqua e del gas, dei servizi di telecomunicazione, questi ultimi relativi
all’utenza business. Si tratta di informazioni già costituenti oggetto di
comunicazione all’Anagrafe tributaria sulla base di specifiche disposizioni
normative.

Per operazioni relative ai
pagamenti di imposte e tasse escluse dalla rilevazione, si intendono i
pagamenti di tributi e contributi eseguiti a favore dell’Amministrazione
finanziaria o degli enti locali, anche tramite organismi preposti alla
riscossione, con le relative sanzioni e interessi.

Tali informazioni sono già
disponibili, per la consultazione, nel sistema informativo dell’Anagrafe
tributaria nell’area relativa alla riscossione.

2.7.2. Operazioni non
significative per i controlli

Nella tabella allegato 1 al
provvedimento in esame, sono presenti le operazioni significative ai fini dei
controlli. Fra quelle non significative si segnalano in primo luogo quelle
relative al pagamento e al collocamento di prodotti assicurativi, nonché le
operazioni effettuate tra intermediari finanziari (banca-banca / fondi propri).

Successivamente alla
pubblicazione del provvedimento, in risposta ad
ulteriori richieste di chiarimenti pervenute dalle associazioni di categoria
degli operatori finanziari, sono state individuate talune operazioni da non
rilevare, se effettuate per cassa. In particolare sono escluse:

– pagamento di ticket sanitari;

– pagamento di canoni cimiteriali
per lampade votive;

– pagamenti relativi a titoli di
trasporto pubblico e privati;

– acquisti e/o prenotazione di
biglietti relativi a manifestazioni sportive, fieristiche, artistiche e
spettacoli di vario genere;

– pagamenti o incassi effettuati
nell’ambito del servizio di tesoreria svolto per conto dello Stato o di enti
pubblici non economici.

Tali pagamenti, anche se
effettuati tramite RID, MAV, RAV, sono da escludere.

Infine sono da escludere
operazioni eseguite da particolari soggetti come le operazioni effettuate dagli
addetti alla custodia e trasporto valori, dai pubblici ufficiali e dai
coadiutori di giustizia.

Analogamente, i corpi di polizia
e gli appartenenti alle forze armate sono talvolta comandati, sia per conto
dell’Amministrazione di appartenenza sia in base ad appositi incarichi, di
eseguire la "scorta" valori fino a destinazione.

Le operazioni eseguite dagli
addetti alla sicurezza, non possono essere ricondotte, ai fini fiscali, a tali
soggetti e, quindi, non devono essere rilevate.

Peraltro, le società di vigilanza
e trasporto valori sono agenti in attività finanziaria e, quindi, espressamente
inclusi nella Tabella degli operatori finanziari e, come tali, possibili
destinatari in proprio di analoghe richieste di dati.

In relazione alla
operazioni eseguite dai pubblici ufficiali e dai coadiutori di
giustizia, si rileva che viene effettuato dagli intermediari finanziari un
elevato numero di operazioni di invio, ai pubblici ufficiali incaricati (notai,
segretari e messi comunali), di titoli cambiari ed assegni insoluti, affinché i
predetti soggetti possano procedere alla levata del protesto.

I pubblici ufficiali, nonché i
loro incaricati, sono soliti riscuotere le somme dovute e procedere al
riversamento delle stesse in banca in forma cumulativa e, quindi, senza
indicare i dati del soggetto che esegue il pagamento.

Analogamente sono da escludere le
operazioni dei coadiutori di giustizia, come, ad esempio, il curatore
fallimentare, che nell’esercizio delle sue mansioni procede a incassare somme
dovute alla massa fallimentare, nonché a eseguire i pagamenti dovuti e quelle
dei pubblici ufficiali incaricati di riversare le somme incassate a titolo di
penalità (multe, ammende, ecc.), che procedono a versare il relativo ammontare
in unica soluzione sui conti dell’Amministrazione di appartenenza.

2.7.3. Il leasing operativo

Fra le operazioni escluse dalla
rilevazione particolare attenzione meritano quelle relative al leasing
operativo, il quale non comporta la realizzazione di un’operazione di
finanziamento, giusto l’orientamento confermato con la risoluzione n. 175/E del
12 agosto 2003.

Infatti, il rapporto giuridico
che si attua tra il produttore del bene che lo concede in locazione e il
locatore che utilizza il bene nella propria attività di impresa o
professionale, non è da ritenersi un rapporto di finanziamento e come tale è da
escludere dall’ambito di applicazione della normativa sulle indagini
finanziarie.

Nella prassi commerciale può
accadere, peraltro, che un medesimo soggetto (ad es. un intermediario
finanziario) eserciti, accanto al leasing operativo anche il leasing
finanziario che, come si deduce dalla definizione contenuta nell’art.
17, comma 2 della legge 2 maggio 1976 n. 183, presenta, a differenza del
primo, le caratteristiche proprie di un rapporto di finanziamento ed è quindi
da inserire tra le operazioni da rilevare.

2.8. Archivio Unico Informatico
(A.U.I.)

Tale archivio, istituito con la
legge del 5 luglio 1991, n. 197, come misura intesa a
prevenire l’attività di riciclaggio di denaro di provenienza illecita e
finalizzato anche alla eventuale segnalazione di operazioni sospette, consiste
in un sistema informatico di acquisizione e di archiviazione, per dieci anni,
delle transazioni di importo superiore ai 20.000.000 delle vecchie lire (pari a
euro 10.329,14); detto limite è stato rideterminato in 12.500 euro dal Decreto
del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 17 ottobre 2002, con effetto
dal 12 dicembre 2002.

Soggetti obbligati alla tenuta di
tale sistema, in base all’elenco contenuto nell’art. 2 della citata legge, come
aggiornato dall’art. 2 del D.lgs. del 20 febbraio 2004, n. 56, sono attualmente
i seguenti:

Banche

Società di intermediazione
mobiliare (SIM)

Imprese assicurative

Società fiduciarie

Società di gestione del risparmio
(SGR)

Società di investimento a
capitale variabile (SICAV)

Poste Italiane S.p.a.

Agenti di cambio

Società che svolgono servizio di
riscossione tributi

Intermediari finanziari iscritti
nell’elenco speciale previsto dall’art. 107 del Testo Unico Bancario presso la Banca d’Italia

Intermediari finanziari iscritti
nell’elenco generale previsto dall’art. 106 del Testo Unico Bancario presso
l’Ufficio Italiano Cambi

Soggetti operanti nel settore
finanziario iscritti nelle sezioni dell’elenco generale previsto dagli artt.
113 e 115, commi 4 e 5, del TUB presso l’Ufficio Italiano Cambi

Sotto l’aspetto soggettivo resta
a dire che il citato D.lgs. n. 56 del 2004 ha ulteriormente ampliato le categorie dei
soggetti obbligati alla tenuta dell’A.U.I., quale
quelle dei professionisti e dei notai che, tuttavia, non risultano interessati
dalla procedura di acquisizione prevista dai numeri 7) sia dell’art. 32 del
D.P.R. n. 600 che dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Sotto l’aspetto oggettivo il
sistema in parola è inteso a raccogliere tutte le operazioni che comportano
trasmissione o movimentazione di mezzi di pagamento di qualsiasi genere, di
importo superiore – come già detto – a 12.500 euro o frazioni di 3.098,74 euro
che concorrono a raggiungere il predetto limite complessivo nell’arco dei sette
giorni lavorativi consecutivi. L’archivio contiene altresì tutte le aperture,
variazioni e chiusure di qualsiasi rapporto continuativo in essere con
l’intermediario, indipendentemente dall’importo utilizzato.

Ferma restando l’assenza, voluta
dalla legge, di una precisa elencazione delle operazioni soggette alla
rilevazione ai fini A.U.I., restano sicuramente
escluse dall’obbligo della relativa registrazione le garanzie, sia reali che
personali, nonché i conti reciproci tra banche.

In altri termini, ciò che assume
rilevanza ai fini di una tempestiva e proficua attività istruttoria da parte
degli organi procedenti, è la loro percezione e consapevolezza che, attraverso
il suddetto archivio, si rende possibile e agevole l’effettuazione di richieste
di ricerche articolate e mirate alla conoscenza sia di tutte le coordinate
identificative (ordinante, controparte, intermediario, importo se superiore al
predetto limite) sia degli altri connotati oggettivi dell’operazione (di conto,
per cassa, su Italia o su l’estero).

CAPITOLO TERZO

Procedure di acquisizione

Come anticipato nelle Generalità,
tra i settori interessati dalle modifiche apportate dalla legge e dai
successivi interventi normativi risulta quello concernente gli aspetti
procedurali di acquisizione dei dati, notizie e documenti di natura finanziaria.

Sotto il profilo delle
innovazioni occorre in particolare distinguere quattro aspetti che diversamente
caratterizzano l’ambito procedurale:

1) iter amministrativo del
procedimento istruttorio;

2) procedure telematiche delle
richieste e delle risposte;

3) impatto delle modifiche sulla
richiesta preventiva al contribuente, di cui ai numeri 6-bis) degli artt. 32
del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 (numeri, anch’essi
successivamente citati senza i riferimenti normativi), e sulla operatività
della Anagrafe prevista dal regolamento n. 269 del 2000;

4) istituzione dell’anagrafe dei
rapporti in un’apposita sezione dell’A.T. di cui all’art. 7,
sesto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 605.

3.1. Iter amministrativo del
procedimento

Al riguardo va anzitutto
precisato che i connotati normativi della sequenza procedimentale necessaria
all’esercizio del potere istruttorio in parola non hanno subito modifiche di
rilievo, bensì aggiustamenti preordinati alla:

– semplificazione dei flussi
delle richieste, tenuto conto dell’estensione soggettiva e oggettiva
dell’ambito applicativo dell’attività istruttoria;

– accelerazione della tempistica
necessaria all’acquisizione delle informazioni;

– eliminazione della obbligatoria
suddivisione in due fasi delle richieste e conseguente soppressione del
questionario per l’eventuale successiva acquisizione di ulteriori dati, notizie
e documenti;

– formalizzazione del potere
autorizzatorio e di proroga in capo al Direttore centrale accertamento, quale
autorità sovraordinata agli uffici centrali procedenti, e del potere di proroga
del termine per la risposta in capo al Comandante regionale della Guardia di
finanza, già competente per l’autorizzazione.

3.1.1. Semplificazione dei flussi
delle richieste

La disciplina in materia,
risalente nella sua struttura essenziale a epoca lontana nel tempo e allo stato
della tecnologia allora esistente, non aveva potuto recepire i progressi
verificatisi in tale campo che consentono oggi, da parte degli intermediari,
una gestione informatizzata e integrata per reti telematiche di gruppo;
infatti, i grandi Gruppi bancari, grazie alle innovazioni procedurali, si sono
diffusamente attrezzati con appositi Centri autonomi i quali fanno da collettori
delle richieste di informazioni per tutti i soggetti appartenenti al gruppo
stesso, provvedendo anche a fornire le rispettive risposte.

Tenuto conto di tale situazione,
i commi 402 e 403, integrando sul punto i numeri 7), hanno individuato quale
possibile destinatario delle richieste, oltre che i tradizionali responsabili
delle strutture locali o delle rispettive direzioni generali (come peraltro già
espressamente ammesso dalla ripetuta circolare 116/E),
anche il "responsabile della struttura accentrata" al quale,
pertanto, può ora essere indirizzata la richiesta di informazioni.

3.1.2. Accelerazione della
tempistica

Le medesime ragioni che hanno
ispirato la modifica di cui al punto precedente stanno alla base della
riduzione dei termini minimi e massimi previsti per le risposte, apportata
dalla legge, con i commi 402 e 403, ai numeri. 7), attraverso il dimezzamento a
"trenta" giorni del termine minimo di sessanta per la risposta, e
della contrazione a "venti" giorni del termine massimo di trenta per
la relativa proroga.

Un ulteriore effetto
acceleratorio è indotto dall’eliminazione della obbligatoria suddivisione in
due fasi delle richieste e conseguente soppressione del questionario per
l’eventuale successiva acquisizione di ulteriori dati, notizie e documenti di
cui al successivo paragrafo.

Residue possibilità istruttorie
attraverso questionari sono recentemente offerte dalle modifiche introdotte dall’art. 37, comma 32, del decreto legge n. 223 del 2006
all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, primo comma, numero 4), in un ambito
diverso dalle indagini finanziarie sia pure connesso per l’oggetto degli
elementi singolarmente acquisibili, con il coinvolgimento diretto del
contribuente al quale richiedere elementi relativi a documentazione finanziaria
già acquisita. Si pensi al caso di un libretto di assegni o di un singolo
assegno di terzi rinvenuto presso il contribuente in sede di accesso; l’invio
del questionario al contribuente sottoposto a controllo consentirà di
richiedere i dati del terzo titolare del libretto o traente/giratario
dell’assegno.

3.1.3. Snellimento dell’attività
di acquisizione ed eliminazione del questionario

Secondo la precedente normativa e
la conseguente prassi amministrativa, chiarita nella
circolare 116/E, la procedura si articolava obbligatoriamente in una
prima o unica richiesta della copia dei conti, eventualmente seguita dalla
richiesta di ulteriori dati, notizie e documenti, a chiarimento delle
movimentazioni recate dalla predetta copia, attraverso l’invio di un questionario
redatto in conformità del modello approvato con il decreto interdirettoriale
del 9 dicembre 1999.

I ripetuti commi 402 e 403, nel
rivisitare le modalità di esercizio del potere istruttorio, hanno soppresso il
predetto questionario, superando la obbligatorietà di
percorrere in ogni caso le predette fasi e configurando ora la possibilità di
acquisire immediatamente, secondo concrete necessità istruttorie, singoli e
specifici elementi senza il preventivo condizionamento della prima fase
consistente nell’acquisizione della copia dei conti. E ciò anche in conseguenza
dell’ampliamento degli elementi acquisibili, oltre quelli relativi ai conti di
banche e poste, i soli ottenibili secondo la previgente disciplina.

Gli organi procedenti
dimensioneranno l’attività istruttoria, pertanto, procedendo a un’unica
richiesta ovvero a richieste frazionate, con l’ovvio riconoscimento di un
autonomo termine di risposta per ognuna di esse, non
inferiore a trenta giorni, ancorché tutte fondate sulla originaria
onnicomprensiva autorizzazione.

La suesposta modifica procedurale
ha altresì comportato che, oltre l’immediata acquisizione dei conti cointestati
secondo quanto consentito dalla precedente disciplina, viene
legittimata ora, altrettanto immediatamente, anche quella relativa ai conti in
disponibilità dei quali, invece, in prima battuta si poteva solo ottenere la
segnalazione per poi acquisirne la copia nella successiva fase del
questionario. Tale effetto di concentrazione degli elementi acquisibili ha come
ulteriore conseguenza la possibilità di ottenere contestualmente ai conti – sia
essi cointestati ovvero in disponibilità – i nominativi, rispettivamente, dei
soggetti cointestatari e dei titolari dei conti sui quali il contribuente ha, a
vario titolo, la disponibilità di operare secondo quanto risulta agli atti
presso l’intermediario. Le descritte conseguenze, valevoli oggi per tutti gli
intermediari per analoghi rapporti continuativi, confermano sostanzialmente,
sia pure con riguardo ai rapporti intrattenuti con banche e poste, quanto
precisato dalla circolare n. 116/E in ordine agli elementi acquisibili ai sensi
dei precedenti numeri 7) e ora ottenibili anche a seguito di un’unica richiesta
in base ai medesimi numeri dei novellati artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e
51 del D.P.R. n. 633 del 1972. Vedi in proposito anche quanto accennato sulla
Tabella dei collegamenti, allegata al provvedimento attuativo della procedura
telematica delle richieste e delle risposte, al Capitolo Secondo, paragrafo
2.6.

3.1.4. Potere autorizzatorio

Le modifiche intervenute circa il
potere autorizzatorio hanno comportato meri aggiustamenti in ordine alla
titolarità di tale potere, alla luce della nuova configurazione organizzativa
dell’Amministrazione finanziaria intervenuta nel tempo e di quanto parzialmente
già recepito in tal senso dal regolamento n. 269 del 2000 istitutivo della
Anagrafe, sia pure non ancora operativa.

Tale ultimo provvedimento,
infatti, all’art. 4, comma 2, lett. d), prevede che le richieste all’Anagrafe
possono essere avanzate dai "… funzionari del Dipartimento delle entrate o
dagli ufficiali della Guardia di finanza, su autorizzazione, rispettivamente …
del direttore centrale per l’accertamento e la programmazione o dei direttori
regionali delle entrate, dei comandanti regionali della Guardia di
finanza". Per ovvie ragioni temporali, tale disposizione non aveva potuto
prendere atto delle modifiche introdotte dall’art. 22 del regolamento di
organizzazione dell’allora Ministero delle finanze, recato dal D.P.R. 26 marzo
2001 n. 107, che, avendo soppresso il potere di sindacato ispettivo del
Servizio centrale degli ispettori tributari, ne aveva espunto il potere
autorizzatorio in capo al suo Direttore, parallelamente a quello di richiesta
delle indagini da parte dei singoli ispettori.

La medesima disposizione già
conteneva, invece, l’indicazione del potere di autorizzazione in capo al
Direttore centrale dell’accertamento e pertanto la legge adegua ora l’art. 32
del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972
all’evoluzione organizzativa dell’Amministrazione finanziaria, peraltro già
recepita legittimamente dalla prassi operativa in base al decreto legislativo
n. 300 del 1999, istitutivo dell’Agenzia delle entrate, e dalla normativa di
funzionamento di quest’ultima. In particolare, si precisa che tale estensione
si è resa indispensabile per l’esercizio autonomo di rilevanti funzioni
attribuite direttamente al predetto organo centrale; si pensi, ad esempio, alle
verifiche di particolare rilevanza nei confronti di soggetti di grandi
dimensioni – eseguite, anche a livello nazionale, da un Settore appositamente istituito
– e all’assolvimento di specifici adempimenti di natura comunitaria o pattizia,
nell’ambito dell’assistenza e della cooperazione amministrativa con gli altri
Stati membri dell’Unione europea, oppure di Paesi convenzionati con il nostro
per prevenire e reprimere l’evasione e le doppie imposizioni.

3.1.5. Precisazioni sulla prassi
precedente di cui alla circolare 116/E del 1996

Sotto altra angolazione, pur in
mancanza di specifiche modifiche normative, si rende opportuno fornire maggiori
precisazioni in ordine a problematiche sorte nella prassi applicativa delle
disposizioni tuttora vigenti, con riguardo a quanto affermato nella circolare
n. 116/E del 1996:

– organi legittimati a formulare
la richiesta di informazioni in materia di indagini creditizie e finanziarie;

– informativa degli intermediari
al contribuente;

– modalità di notifica della
richiesta di indagine agli intermediari;

– tessera di riconoscimento
funzionale per gli accessi.

3.1.5.1. Organi legittimati a
formulare la richiesta di informazioni

Nella complessa procedura
istruttoria delle indagini relative alle imposte sui redditi, all’Iva e
all’Irap, il primo atto, anche in ordine temporale, coincide con la richiesta
rivolta dall’organo procedente alla rispettiva autorità sovraordinata.

Sotto la previgente normativa,
dapprima la circolare 116/E e successivamente i numeri 6-bis), nonché l’art. 4,
lettera d), del decreto interministeriale n. 269 del 2000 istitutivo
dell’Anagrafe, sulla scorta e nei limiti delle rispettive fonti di
legittimazione, avevano puntualmente indicato i soggetti autorizzati a
procedere alla richiesta medesima.

Con riferimento
al testo della circolare 116/E, sotto tale profilo riassuntiva della citata
normativa, i soggetti legittimati a presentare la richiesta – all’epoca limitata
alle banche e alle poste per quanto riguarda la copia dei conti e al
contribuente con riguardo alla dichiarazione relativa ai "rapporti"
intrattenuti con tutti gli intermediari – erano: gli uffici delle imposte
dirette; gli uffici dell’imposta sul valore aggiunto; il sistema informativo
del Ministero delle finanze; la
Guardia di finanza; gli Ispettori del Servizio centrale
tributario; le Commissioni tributarie provinciali e regionali.

La predetta elencazione, per le
ragioni di seguito indicate a fianco di ciascun soggetto, risulta ora così
strutturata da:

– gli uffici centrali della
Direzione centrale accertamento dell’Agenzia delle entrate (art. 32 del D.P.R.
n. 600 del 1973 e art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, come novellati dai commi
402 e 403 della legge, il cui testo per lo specifico punto è stato adeguato in
base al D.lgs. n. 300 del 1999 e alla relativa normativa di funzionamento, tra
cui il D.P.R. 23 marzo 2001, n. 107, che ha abrogato l’art. 62-sexies, comma 2,
del D.L. n. 331 del 1993, che già aveva esteso il potere di controllo e di
verifica all’autorità centrale);

– gli uffici locali dell’Agenzia
delle entrate (artt. 32 e 51 già citati, come novellati dalla legge, in base
all’evoluzione dell’Amministrazione finanziaria registrata dal predetto decreto
legislativo istitutivo dell’Agenzia, nonché della normativa di funzionamento
della stessa);

– la Guardia di finanza (art.
32 e 33, terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 e art. 63 del D.P.R. n. 633
del 1972);

– le Commissioni tributarie provinciali
e regionali di cui all’art. 1 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545
(art. 7 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546).

Come risulta dalla suesposta
elencazione, il Servizio centrale degli ispettori tributari
istituito, com’è noto, dall’art. 9 della legge 24 aprile 1980, a seguito delle
modifiche introdotte da ultimo dal già citato art. 22 del regolamento di
organizzazione recato dal decreto n. 107 del 2001, svolgendo un’attività che
non può più configurarsi di sindacato ispettivo – in quanto non più ricompresa
nella funzione di controllo dei contribuenti – resta escluso dal novero dei
soggetti legittimati a formulare le richieste.

3.1.5.2. Modalità di notifica
della richiesta di indagine agli intermediari

In merito allo specifico
argomento, come già presupposto dalla circolare 116/E,
la richiesta di indagini "bancarie", rivestendo anch’essa natura
ricettizia, deve essere notificata al soggetto destinatario in quanto la
produzione dei relativi effetti si ricollega, appunto, alla notificazione della
richiesta stessa; infatti, il termine, anche come dimezzato dalla legge,
decorre dalla data del suo ricevimento da parte dell’operatore finanziario
richiesto.

Ai fini del perfezionamento del
procedimento notificatorio, dal quale dipendono le garanzie di conoscibilità
della richiesta, la stessa circolare citata – ovviamente tarata ad un sistema
istruttorio su base cartacea i cui flussi erano gestiti secondo modalità
tradizionali – aveva precisato che lo strumento partecipativo fosse anzitutto da ravvisarsi nel servizio postale, in
aggiunta a quello previsto dall’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973, per
espresso rinvio, ai fini delle imposte sui redditi, fattone dall’art. 32, secondo comma. Infatti, l’art. 3, quinto comma, del D.L.
15 settembre 1990, n. 261, convertito con modificazioni dalla legge 12 dicembre
1990, n. 331 e l’art. 6, primo comma, del D.L. 9 settembre 1992, n. 372,
convertito con modificazione dalla legge 5 novembre 1992, n. 429, aveva esteso
a tutti gli uffici finanziari il sistema di notifica delle richieste della
copia dei conti a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento già previsto, ai
soli fini dell’Iva, dall’art. 51, terzo comma, del
D.P.R. n. 633 del 1972. E’ appena il caso di rammentare, per completezza, la
praticabilità in materia anche della notifica postale prevista dall’art. 14
della legge n. 890 del 1982 (notifica atti giudiziari), generalmente
applicabile a tutti gli avvisi e atti tributari.

Per quanto riguarda la Guardia di finanza, la
medesima circolare, nonostante il silenzio delle citate disposizioni, aveva
precisato che le stesse modalità fossero applicabili anche da parte dei
rispettivi Comandi operativi. In aggiunta, nella stessa sede, era stato
consentito – nell’ovvio presupposto che al termine "notifica" va
riconosciuto anche un valore atecnico, comprensivo della consegna "a
mano" – una modalità di partecipazione irrituale rispetto a quella propria
di natura processual-civilistica, ma ancora più garantista quanto alla
effettività del requisito di conoscibilità.

Le suddette procedure di notifica
(postali e ordinaria), pur nel silenzio della legge,
trovavano in precedenza applicazione anche, e dal 1° settembre 2006 in via esclusiva, per
le richieste avanzate ai fini dell’esercizio del potere di richiesta di cui ai
numeri 5) delle citate disposizioni; in considerazione che a partire dallo
stesso anno le richieste di cui ai numeri 7) saranno inoltrate avvalendosi
soltanto di apposita procedura telematica.

In altri termini, le descritte
modalità di notifica nei confronti degli intermediari finanziari, come già
detto connaturate al sistema cartaceo delle richieste, hanno ceduto il posto a
una coerente metodologia di notifica, in conseguenza della previsione normativa
di cui alla lettere c) dei commi 402 e 403 della
legge. Infatti, tali lettere hanno rispettivamente inserito dopo il secondo e
il terzo comma degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633
del 1972 la disciplina di una nuova ed esclusiva procedura telematica delle
richieste e delle risposte, come descritta al successivo paragrafo 3.2, la
quale ne condiziona gli effetti a diverse modalità e
tempistica di perfezionamento del procedimento partecipativo.

In particolare
– oltre al citato paragrafo 3.2 – si fa riferimento a quanto specificato
nella parte motiva del provvedimento direttoriale del 22 dicembre 2005, laddove
è precisato che la comunicazione per tale procedura telematica si conforma alle
stesse regole "previste per la comunicazione tramite raccomandata".

3.1.5.3. Documento di
riconoscimento funzionale per gli accessi e qualifica dei soggetti abilitati

La circolare 116/E, nel
descrivere le varie fasi in cui si articolava la complessa procedura di
acquisizione dei dati, notizie e documenti in materia,
precisa che l’Amministrazione, per ultimo "può avvalersi della possibilità
di accedere, mediante propri funzionari presso le banche e gli uffici dell’ente
Poste", "allo scopo di rilevare direttamente i dati richiesti e non
trasmessi entro i termini previsti dalla legge ovvero qualora sussista il
fondato sospetto che i dati medesimi, ancorché inviati nei termini, non siano
rispondenti al vero, ovvero si dimostrino incompleti o inesatti".

Al riguardo, l’articolo 33 del
D.P.R. n. 600 del 1973, nel disporre che "gli uffici delle imposte hanno
facoltà di disporre l’accesso di propri impiegati muniti di apposita
autorizzazione ……….. presso le aziende e istituti di
credito e l’Amministrazione postale allo scopo di rilevare direttamente i dati
e le notizie relative ai conti la cui copia sia stata richiesta a norma del n.
7) dello stesso art. 32…" evidenzia che tali accessi debbano "essere
eseguiti, previa autorizzazione dell’ispettore compartimentale delle imposte
dirette ovvero, per la Guardia
di finanza, del Comandante di zona, da funzionari dell’Amministrazione
finanziaria con qualifica non inferiore a quella di funzionario tributario e da
ufficiali della Guardia di finanza di grado non inferiore a capitano". In
materia di Iva, alle stesse disposizioni fa rinvio l’ultimo comma dell’art. 52
del D.P.R. n. 633 del 1972.

Inoltre, lo stesso art. 33
rimanda ad un specifico decreto per la determinazione
delle "modalità di esecuzione degli accessi con particolare riferimento…
al rilascio e alle caratteristiche dei documenti di riconoscimento e di
autorizzazione".

L’articolo 3 del D.M. 15
settembre 1982 ha
previsto che "I … funzionari e ufficiali accedono muniti delle ordinarie
tessere di riconoscimento".

E’ noto altresì che la disciplina
in argomento aveva evidenziato le seguenti due
criticità:

– la sostanziale mancanza della
tessera AT per l’identificazione funzionale del personale dell’Agenzia, per la
sopravvenuta incompetenza al rilascio da parte sia del Dipartimento delle
Politiche Fiscali sia della stessa Agenzia delle entrate, mancante della
relativa dotazione tecnico-operativa;

– la necessità di aggiornare la
previsione specifica della qualifica di funzionario alla luce della nuova
organizzazione dell’Agenzia stessa onde evitare qualsiasi rilievo, da parte
dell’intermediario destinatario dell’accesso, in merito alla detta carenza di
legittimazione attiva.

In merito alla prima delle due
anzidette criticità si rammenta che con provvedimento dell’Agenzia del 5 aprile
2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 91 del 20 aprile 2005, è stata
istituita per tutto il personale dell’Agenzia stessa la nuova tessera di
riconoscimento. Tale iniziativa consentirà, anche per quanto interessa il
personale impegnato in attività di accesso e verifica di disporre di un
documento con cui attestare, incontestabilmente, agli intermediari ed ai
contribuenti destinatari del controllo, la propria identità e qualifica.

La seconda delle medesime
criticità è stata superata, in luogo di un apposito provvedimento, con la
stessa configurazione amministrativa del personale, recata dal vigente
contratto collettivo nazionale di lavoro, per la parte normativa quadriennio
2002/2005; per effetto di tale riorganizzazione, gli accessi presso gli
intermediari finanziari sono pertanto consentiti al personale inquadrato nella
terza area funzionale, già corrispondente alle precedenti posizioni C/1, C/2 e
C/3.

3.2. Procedure telematiche delle
richieste e delle risposte

Come accennato nelle Generalità,
il nuovo modello di gestione dell’attività istruttoria in questione si inquadra
nel generale processo di semplificazione dei procedimenti amministrativi e di
accelerazione degli stessi soprattutto in chiave tecnologica. Infatti,
relativamente all’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, il
comma 402, lettera c), della legge dispone che "Le richieste di cui
al secondo comma, numero 7), nonché le relative risposte, anche se negative,
sono effettuate esclusivamente in via telematica". Analoga disposizione,
relativamente all’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, è stata prevista dalla lettera c) del successivo comma 403.

Per la formale convergenza a tale
approccio tecnologico, per entrambe le citate disposizioni si prevede che
"Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite
le disposizioni attuative e le modalità di trasmissione delle richieste, delle
risposte, nonché dei dati e delle notizie riguardanti i rapporti e le
operazioni indicati" nei citati numeri 7).

Per ovvie ragioni di ordine
tecnico, il legislatore, al successivo comma 404, ha disposto che le
anzidette disposizioni, e solo quelle che riguardano specificamente le modalità
di trasmissione dei flussi "hanno effetto dal 1° luglio 2005", salvo
"diversa decorrenza successiva, in considerazione dell’esigenze
di natura esclusivamente tecnica". Ciò che, nel frattempo, è, peraltro,
avvenuto in forza del provvedimento direttoriale del 1° luglio 2005, con il
quale il predetto effetto è stato postergato alla data del 1° gennaio 2006. Con
successivi provvedimenti direttoriali del 24 febbraio 2006 e del 28 aprile 2006
si è data attuazione complessiva alla nuova procedura rinviandone ulteriormente
gli effetti operativi al 1° settembre 2006.

In altri termini, la decorrenza
della procedura telematica in esame non poteva essere anteriore a quest’ultima
data (1° settembre 2006), fermo restando che la nuova disciplina sostanziale
introdotta dalla legge – e fino al 31 agosto 2006 esercitabile esclusivamente
su base cartacea – ha continuato dal 1° gennaio 2005 (cioè dalla generale
entrata in vigore della legge) a essere applicata senza soluzione,
indipendentemente dai tempi di attuazione della nuova modalità di trasmissione
(vedi circolare n. 10/E del 16 marzo 2005 che, al punto 3.7, conferma la
legittimità dello strumento di trasmissione delle richieste mediante notifica
ai sensi dell’art. 60 del D.P.R. n. 600 del 1973).

Resta a dire, per completezza di
trattazione dello specifico argomento, che il nuovo sistema di indagini
istruttorie nel suo complesso non soggiace al disposto di cui all’art. 2, comma
2, dello Statuto dei diritti del contribuente, atteso che tale disposto prevede
testualmente che "in ogni caso le disposizioni tributarie non possono
prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata
anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore
……." .E’ agevole infatti
constatare che gli "adempimenti" di cui trattasi sono previsti a
carico dell’intermediario, quale soggetto terzo, e non nei suoi confronti come
"contribuente"; sussistendo evidenti ragioni organizzative anche nei
suoi riguardi di intermediario, è stata la legge stessa, come al precitato
comma 404, che ne ha previsto espressamente una tempistica diversa, fissata,
come già detto, originariamente alla data 1° luglio 2005, poi definitivamente
al 1° settembre 2006.

Per altro verso, si è già
precisato sempre nelle Generalità che la decorrenza degli effetti, anche per
quanto riguarda la tradizionale procedura cartacea finché operante, interessa,
anche i periodi di imposta per i quali non è ancora
spirato il termine di decadenza previsto dalle diverse normative di settore.

A seguito dell’emanazione di
tutti i citati provvedimenti direttoriali, e in particolare del provvedimento
del 22 dicembre 2005, l’architettura della nuova procedura risulta articolata
sulla informatizzazione del flusso delle richieste e delle risposte in maniera
aperta, così da consentire a ogni istituto creditizio e finanziario, con
semplici modifiche software non comportanti onerosi adeguamenti di sistema, di
"scambiare" le necessarie informazioni in materia con l’Agenzia.

Il meccanismo prevede infatti l’utilizzo del formato XML, quale contenitore in
cui inserire le informazioni, le cui specifiche tecniche e relative istruzioni
operative sono allegate al citato provvedimento. Il file XML, inoltre, viaggia
crittografato, al fine di evitare ogni intromissione di soggetti estranei al
mittente e al destinatario, e in quanto firmato elettronicamente garantisce la
corretta sottoscrizione degli atti istruttori.

Il canale trasmissivo, infine, si
fonda sulla posta elettronica certificata – le cui regole di utilizzo sono
fissate dal regolamento emanato con il D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68,
pubblicato nella G.U. n. 97 del 28 aprile 2005 e dal decreto 2 novembre 2005,
pubblicato nella G.U. n. 266 del 15 novembre 2005 – la quale
consente di produrre gli stessi effetti giuridici che attualmente sono tipici
delle notifiche a mezzo raccomandata. Giova rammentare che per posta
elettronica certificata (PEC) si intende uno strumento analogo a quello della
tipica posta elettronica, ove gli indirizzi e-mail sono certificati da soggetti
inseriti in un apposito elenco, istituito presso il Centro Nazionale per l’Informatica
nella Pubblica Amministrazione (CNIPA), i quali
agiscono da certificatori del flusso e da garanti della trasmissione e della
notifica degli atti telematici.

Nel merito, la procedura ha
inteso concretizzare i seguenti obiettivi:

– velocizzare la fase istruttoria
dell’indagine nei confronti di tutti gli intermediari finanziari indicati nei
novellati numeri 7) e con riguardo ai singoli dati ed elementi informativi
relativi a qualsivoglia rapporto od operazione (senza alcuna specifica)
intercorrenti con i rispettivi clienti;

– economizzare costi e tempi di
lavoro sia all’Agenzia che agli intermediari medesimi;

– realizzare un maggiore livello
di riservatezza, specialmente per il contribuente, rispetto all’attuale
procedura su supporto cartaceo.

In definitiva, la legge, sia pure
rinviando al citato provvedimento per le specifiche modalità di attuazione, ha
convertito in flusso telematico quanto già finora gestito su supporto cartaceo
e disponibile informaticamente presso gli intermediari, fermo restando che
l’operatività del sistema di richiesta è condizionata dalle prescritte
autorizzazioni, rilasciate dai competenti organi sovraordinati.

Sotto tale profilo, è opportuno
sottolineare che la richiesta di tale autorizzazione, in corrispondenza a
quanto verrà precisato al paragrafo 4.2 del Capitolo
Quarto, essendo rapportata in precedenza ai soli soggetti banche e poste, deve
essere ora riferita – ove occorra – anche alle altre tipologie di intermediari
indicate dai novellati numeri 7).

Al fine di scongiurare ogni
eventuale eccesso nell’utilizzo delle potenzialità offerte dalla innovativa
procedura telematica, è solo il caso di aggiungere che, non solo in funzione
delle effettive necessità istruttorie (subordinate alla prevedibile proficuità
dei relativi esiti) ma anche sul piano della riservatezza, è opportuno
modulare, con maggiore attenzione rispetto al passato, le richieste sulle
categorie di operatori finanziari compatibili con la posizione del soggetto
sottoposto a controllo. In altri termini, anche allo scopo di evitare una
diffusa divulgazione dell’esistenza di un’indagine nominativa, si vuole
richiamare l’attenzione degli organi procedenti a un utilizzo dello strumento
istruttorio coerentemente con le indispensabili necessità della specifica indagine.
Nella stessa ottica di meglio calibrare dette necessità istruttorie e di
dimensionarne in maniera più mirata il campo di indagine, l’art.
37, comma 4, del decreto legge n. 223 del 2006 ha previsto
un’apposita base informativa consistente in una banca dati dei rapporti
intrattenuti con gli intermediari (vedi più precisamente il successivo
paragrafo 3.3.1 e il Capitolo Ottavo).

3.3. Impatto delle modifiche
della legge sui numeri 6-bis) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51
del D.P.R. n. 633 del 1972 e sul regolamento di cui al decreto n. 269/2000 istitutivo della Anagrafe

E’ noto che il nostro
ordinamento, per assecondare le avvertite esigenze di economicità, di
efficienza e di speditezza dell’azione accertatrice e con l’intento -ai fini
della propedeutica e specifica attività istruttoria in argomento – di
individuare "a monte" i conti dei soggetti sottoposti a controllo,
aveva già previsto all’art. 20, comma 4, della legge n. 413 del 1991,
l’istituzione di un’anagrafe, nella quale realizzare una sorta di censimento di
tutti i conti e depositi esistenti, non solo presso banche e poste, e dalla
quale attingere i dati identificativi di ogni soggetto che intrattenga
tali rapporti o che degli stessi possa disporre.

Infatti, il nuovo assetto,
regolamentato con il citato decreto interministeriale 4 agosto 2000, n. 269, e
basato su un sistema informativo gestito dalla società interbancaria per
l’automazione (SIA), avrebbe comportato un generale ed evidente valore aggiunto
sulla tempistica delle indagini e ai fini del relativo avvio ha inteso
sostanzialmente superare l’operatività dell’istituto della richiesta al
contribuente dei propri conti ai sensi e per gli effetti dei numeri 6-bis)
degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.

Come emerge dal dato normativo
del citato decreto interministeriale, si trattava di un procedimento che per la
prima volta aveva disposto in modo inequivocabile le
varie competenze organiche e i tempi di operatività delle richieste (da
motivare succintamente ai sensi dell’art. 3, comma 1) e delle relative
risposte, nonché l’oggetto delle stesse esplicitamente ricomprendendovi,
soprattutto, "…gli estremi identificativi dei rapporti di conto e di
deposito, la data di accensione …" (art. 3, comma 2, lettera b). Per
ottenere tali estremi identificativi (è necessaria) occorreva, come peraltro
per la richiesta diretta alle banche e alle poste, un’apposita autorizzazione
rilasciata dalla autorità sovraordinata, prevista dalla
lettera d) del comma 2 dell’art. 4 dello stesso regolamento.

Tuttavia, per scelta legislativa,
l’effettiva operatività dell’Anagrafe era subordinata alla emanazione di alcuni
decreti, la cui complessità sotto l’aspetto contenutistico era apparsa evidente
sin dall’originaria previsione regolamentare; detti decreti avevano la finalità
di disciplinare, nell’ordine e ai sensi:

– dell’art. 4, comma 4, del
regolamento, le modalità di inoltro delle richieste al
Centro operativo (C.O.), nonché quelle delle relative risposte;

– dell’art. 5,
comma 3, le modalità di trasmissione e di acquisizione dei dati tra il
C.O. e la SIA e
tra questa società e gli intermediari finanziari;

– dell’art. 5, comma 4, le
procedure tecnico-operative per lo svolgimento dell’attività, la disciplina dei
relativi oneri e le modalità del controllo a opera del
C.O. sul servizio SIA.

Come è noto, ulteriori difficoltà
avevano interessato, oltre i predetti aspetti
tecnico-funzionali e di sicurezza dell’Anagrafe, anche aspetti di
specificazione operativa della nozione di conto, laddove si trattava di
distinguerne le tipologie concretamente rientranti nell’ambito applicativo
della procedura.

In tale contesto si rammenta che,
nella perdurante attesa dell’istituzione della citata Anagrafe, il legislatore,
nel tentativo di soddisfare analoghe esigenze di individuazione dei conti del
contribuente, era nel frattempo intervenuto, provvedendo ad inserire – tramite l’art. 3, comma 177, della legge. n.
549 del 1995 – negli artt. 32, primo comma, D.P.R. n.
600 del 1973 e 51, secondo comma, D.P.R. n. 633 del 1972, i numeri 6-bis), nei
testi all’epoca vigenti, con la previsione per gli organi procedenti, previamente
autorizzati, di richiedere direttamente "…ai soggetti sottoposti ad
accertamento, ispezione e verifica il rilascio di una dichiarazione contenente
l’indicazione della natura, del numero e degli estremi identificativi dei
rapporti intrattenuti…" con gli intermediari finanziari nazionali e
stranieri.

Le sopraggiunte modifiche
legislative hanno reso la parallela necessità di adeguare anche il contenuto
dispositivo di quest’ultimo potere.

A tal fine, infatti, il comma. 402, lettera a), numero 3), così come l’omologo numero 3)
del comma 403, hanno sostituito il primo periodo di detti numeri 6-bis) per
adeguarlo al contenuto di cui ai numeri 7).

Sotto il profilo oggettivo,
devesi sottolineare che nella precedente disciplina la formulazione letterale
dei ripetuti numeri 6-bis) accreditava testualmente una potenzialità di
indagine superiore a quella consentita dai previgenti numeri 7), ove si faceva
univoco ed esclusivo riferimento ai "conti", anziché al più
comprensivo concetto di "rapporti". Nella nuova versione di entrambi
i citati numeri si è venuta invece a verificare una difformità di contenuto a
favore dei numeri 7), atteso che questi contemplano "rapporti",
"operazioni" e "servizi", laddove l’ambito applicativo dei numeri 6-bis) resta limitato ai soli
"rapporti" intrattenuti dal contribuente.

La diversa formulazione tuttavia
– essendo al limite anche i "servizi", qualora
"intrattenuti" in via continuativa, riconducibili alla più generale
nozione di "rapporti" -, risulta ampiamente giustificata dalla consapevolezza
del legislatore di non aggravare eccessivamente lo sforzo ricostruttivo e
mnemonico del contribuente per quanto riguarda, oltre che tutti i
"rapporti", come in precedenza (con "…ogni altro intermediario
finanziario nazionale o straniero, in corso ovvero estinti da non più di cinque
anni…"), anche tutte le "operazioni" dallo stesso effettuate
isolatamente ed episodicamente nel tempo.

3.3.1 Nuove comunicazioni
all’anagrafe tributaria da parte degli operatori finanziari, ai sensi dell’art.
37 del decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006

Sempre al fine di razionalizzare
il processo di acquisizione degli elementi utili alle indagini finanziarie e
nella stessa logica della Anagrafe di cui al decreto legge n. 269 del 2000, l’art. 37, comma 4, del D.L. n. 223 del 2006 ha apportato le
seguenti modifiche all’art. 7 del D.P.R. n. 605 del 1973:

al sesto
comma, prevedendo la comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte degli
intermediari finanziari relativa alla "esistenza dei rapporti, nonché la
natura degli stessi". Dette comunicazioni sono "archiviate in
apposita sezione, con indicazione dei dati anagrafici dei titolari, compreso il
codice fiscale";

all’undicesimo
comma, prevedendo che le predette comunicazioni, al pari delle rilevazioni e
delle evidenziazioni di qualsiasi rapporto od operazione di natura finanziaria,
effettuata per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, sono
utilizzabili ai fini delle richieste e delle risposte in via telematica, nonché
per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo. Detti elementi, inoltre,
con puntuale riferimento all’art. 4, comma 2, lettere
a), b), c) ed e) dello stesso decreto n. 269 del 2000 sono utilizzabili da
organi diversi dall’amministrazione finanziaria per l’espletamento degli
accertamenti finalizzati alla ricerca e all’acquisizione della prova e delle
fonti di prova nel corso di un procedimento penale, sia in fase di indagini
preliminari, sia nelle fasi processuali successive, ovvero degli accertamenti
di carattere patrimoniale per le finalità di prevenzione previste da specifiche
disposizioni di legge e per l’applicazione delle misure di prevenzione.

Il successivo
comma 5 dello stesso art. 37 del D.L. n. 223 del 2006 – nel rinviare ad
un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare
ai sensi dello stesso art. 7, undicesimo comma, del
D.P.R. n. 605 del 1973 la determinazione delle specifiche tecniche e dei
termini per le predette comunicazioni – puntualizza che l’obbligo di
comunicazione telematica riguarda tutti i rapporti ancora in essere al 1° gennaio
2005, non rilevando la circostanza che successivamente a tale data essi siano
cessati; per converso l’obbligo non è configurabile in relazione ai soggetti
con i quali il rapporto sia cessato prima del 1° gennaio 2005 (cfr. circolare n. 28/E del 2006, paragrafo 47).

Le descritte modifiche si
prefiggono, anzitutto, in un’ottica di semplificazione dell’approccio
istruttorio con i contribuenti che intrattengono continuativamente rapporti con
gli intermediari finanziari, la formazione di una banca dati aggiornata in
un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, alimentata dalle comunicazioni in
via telematica di elenchi, completi di codice fiscale, dei soggetti con i quali
gli intermediari intrattengono i rapporti stessi, con la specificazione della natura
di questi ultimi. E ciò, per la ragione che la nuova strumentazione è rivolta a
una attività di selezione preventiva al fine di
dimensionare più precisamente le indagini e, quindi, di consentire – anche in
funzione del rispetto della privacy dei contribuenti – agli uffici procedenti,
almeno tendenzialmente, di coinvolgere solo gli intermediari che hanno
intrattenuto rapporti con i contribuenti medesimi.

In altri termini, la nuova banca
dati supera anche sotto il profilo procedimentale il regolamento di cui al D.I.
n. 269 del 2000, ferma restando per il suo utilizzo la necessità della
preventiva autorizzazione dell’organo gerarchicamente sovraordinato, la quale
avrà "efficacia omnicomprensiva" anche per l’inoltro
delle singole richieste agli intermediari individuati, in quanto l’utilizzo
della banca dati stessa avviene esclusivamente ai sensi e per gli effetti di
cui ai numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n.
633 del 1972.

L’interpretazione
letterale del comma 4 dell’art. 37 in commento esclude dall’obbligo di
comunicazione tutte le operazioni extra-conto ("non contenute" cioè
in un rapporto), fermo restando che per queste ultime operazioni gli
intermediari hanno l’obbligo, dal 1° gennaio 2006, di rilevarle e tenerle in
evidenza con le generalità dei soggetti che le pongono in essere, al fine
dell’attuazione della procedura telematica delle richieste e delle risposte
nell’ambito delle indagini finanziarie.

Ovviamente, gli uffici
indipendentemente dall’entrata in funzione della nuova anagrafe dei rapporti e
del suo contenuto, potranno formulare – in caso di necessità istruttoria e
sulla base dei numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del
D.P.R. n. 633 del 1972 – richieste aventi ad oggetto:

qualsiasi
rapporto anche cessato primo del 1° gennaio 2005;

qualsiasi
operazione contenuta in un conto;

qualsiasi
operazione extra-conto effettuata prima del 31 dicembre 2005, il cui ammontare
sia superiore a 12.500 euro;

qualsiasi
operazione extra-conto di qualsiasi ammontare effettuata dal 1° gennaio 2006.

Per tutte le tematiche relative
alle modifiche apportate al decreto n. 605 del 1973, in materia di
anagrafe tributaria, si rinvia anche al Capitolo Ottavo, dedicato
specificamente agli adempimenti degli intermediari finanziari.

CAPITOLO QUARTO

Garanzie a tutela del soggetto
sottoposto a indagini

Nel paragrafo delle Generalità si
è avuto modo di rammentare che il sistema istruttorio, come rivisitato dalla
legge, ha preso atto, esaltandola, della codificazione del principio di un equo
bilanciamento tra le forti esigenze di acquisizione dei dati finanziari
indispensabili per l’attività di controllo e di accertamento e le parallele
espressioni di garanzia per il contribuente, costituite dall’autorizzazione,
dal dovere di informativa, nonché dalle direttive per il corretto utilizzo
degli elementi acquisiti – vedi successivo Capitolo Quinto – per scongiurare
ogni sospetto di illegittimità della relativa procedura.

4.1. Soggetti destinatari
sostanziali delle indagini

Sotto il profilo soggettivo, la
speciale attività istruttoria delle indagini creditizie e finanziarie prevista
dai numeri 7) in commento – analogamente alla diversa procedura di cui ai
numeri 5), esaminata nel successivo Capitolo Settimo – coinvolge entità
diverse, in quanto destinatarie – a diverso titolo e con interessi a volte
contrapposti – delle disposizioni che, in materia composita, realizzano il
sistema normativo di riferimento, ora novellato.

Si tratta, nell’ordine, non solo
di azione, delle seguenti categorie di soggetti:

– degli organi procedenti
preventivamente autorizzati dalle rispettive autorità sovraordinate per i quali
si rinvia al paragrafo 3.1.5.1 del Capitolo Terzo;

– degli intermediari, detentori –
a ragione della propria attività – dei dati, notizie e documenti, dei quali si
occupa il Capitolo Primo;

– dei clienti-contribuenti,
effettivi destinatari del controllo fiscale – però legittimamente estensibile
anche a soggetti "terzi", allorquando sia configurabile una loro
fittizia interposizione -, dei quali pure si fornisce nel presente paragrafo
una sommaria indicazione, anche prescindendo dalle inevitabili differenziazioni
connesse all’utilizzo dei diversi poteri e metodologie di richieste.

L’area operativa dello schema
giuridico delineato dai ripetuti numeri 5) e 7), a parte la citata diversità
dell’iter procedurale e, conseguentemente, del potenziale probatorio espresso
dai rispettivi esiti acquisiti, ruota intorno a un "comune"
destinatario.

Infatti, il soggetto di effettivo
riferimento delle varie potestà contemplate, nel loro complesso, sia dall’art.
32 del D.P.R. n. 600 del 1973 che dall’omologo art. 51 del D.P.R. n. 633 del
1972 conduce sempre a un soggetto spesso denominato come
"contribuente", almeno fino alla novella della legge, riconfermato
sostanzialmente anche dai rispettivi numeri 6-bis), come ugualmente sostituiti
dalla legge.

Tale termine, ai fini impositivi,
esprime una nozione tecnico-giuridica che (sottacendo le permanenti dispute
dottrinarie) coincide con "colui che è soggetto alla potestà dell’ente
impositore", cioè a dire il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria.

Ai fini istruttori, il vocabolo
"contribuente", anche se letteralmente abbandonato dalla legge,
ricomprende non solo titolari di situazioni e presupposti anche
plurisoggettivi, ma in più destinatari privi di una relazione giuridica diretta
con il Fisco nazionale.

In sostanza, l’esigenza di
un’adeguata operatività del potere di controllo ha indotto il legislatore ad
attrarre nell’area della specifica soggettività istruttoria anche figure che
nel campo strettamente tributario risultano sprovviste dell’anzidetto status,
ovvero, in sede civilistica, hanno una limitata rilevanza giuridica.

La scelta legislativa, quindi,
indipendentemente dai predetti schemi giuridici, elaborati sia dal diritto
tributario che dal diritto comune, importa l’individuazione di una molteplicità
di soggetti, anche privi – come detto – di un rapporto diretto con il
presupposto fiscale, con il chiaro intento di agevolare l’accertamento e la
riscossione del credito d’imposta nei confronti non solo di contribuenti
nazionali ma anche di soggetti residenti esteri; questi, infatti, oltre che
potenziali destinatari di accertamento, sono passibili d’indagini finanziarie e
creditizie anche quando nei loro confronti manchi un immediato interesse
nazionale (in applicazione degli artt. 65 del D.P.R. n. 633 del 1972 e 31-bis
del D.P.R. n. 600 del 1973, attuativi di direttive comunitarie e di trattati
contro le doppie imposizioni).

In estrema sintesi, sono da
considerare "contribuenti" o comunque destinatari, ai fini e per gli
effetti dell’applicazione della disciplina istruttoria in commento, non solo le
"persone fisiche e giuridiche" – come impropriamente riassunte
dall’art. 1, comma 1, del D.I. n. 269 del 2000, istitutivo dell’Anagrafe – ma
ogni altro soggetto, titolare o meno di situazioni giuridiche che costituiscono
il presupposto del tributo, anche come destinatario unitario soltanto di
accertamento e non anche di imputazione del reddito.

Sotto tale
profilo, sono pertanto da ricomprendersi tra i destinatari delle indagini,
oltre ovviamente alle predette categorie di soggetti, anche: le società di
persone ed enti assimilati, non escluso il GEIE; le associazioni tra artisti e
professionisti, ivi comprese le società tra professionisti; gli enti pubblici e
privati non commerciali; le società e gli enti di ogni tipo, anche senza
personalità giuridica, come le stabili organizzazioni di soggetti esteri non
residenti – definite oggi, autonomamente, dall’art. 162 del TUIR -, nonché le
persone fisiche, non residenti nel territorio dello Stato.

Ferma restando, senza eccezioni,
la soggezione alle indagini in questione di tutte le predette categorie di
destinatari, occorre tuttavia rammentare che, tra gli effetti prodotti sia dalle operazioni di rimpatrio e di regolarizzazione
delle attività detenute all’estero, sia dalla fruizione di alcune attività
definitorie, quelli di maggior rilevanza si individuano nella preclusione sia
degli accertamenti tributari e contributivi sia delle attività investigative
con riguardo anche alle indagini "bancarie".

Conseguentemente, mentre i
soggetti intermediari in caso di richieste formulate loro ai sensi dei citati
artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 sono
esonerati dall’obbligo di fornire agli organi procedenti indicazioni relative
ai conti segretati, parallele conseguenze si configurano per gli stessi
destinatari interessati, i quali – essendo i conti aperti in seguito alla procedura
di emersione in regime di assoluta riservatezza – restano pur essi esclusi
dall’operatività delle predette indagini. In particolare, relativamente alle
richieste avanzate loro – ai sensi e per gli effetti dei numeri 6-bis) – per le
somme e i valori rimpatriati in conseguenza dello "scudo" fiscale,
essi potranno altresì astenersi dal fornire la prescritta dichiarazione,
opponendo agli uffici richiedenti la segretezza derivante dalla normativa
sull’emersione introdotta dalla legge 23 novembre 2001, n. 409, di conversione,
con modificazioni, del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, e successive
integrazioni e modifiche.

4.2. Autorizzazione

Nella complessa attività di
accertamento la fase istruttoria costituisce, com’è noto, un momento delicato
in quanto tendente alla necessaria acquisizione di tutti gli elementi che
saranno utilizzati quale supporto per l’eventuale emanazione del provvedimento
finale di effettivo esercizio della pretesa tributaria.

Con particolare riferimento allo
specifico contesto delle indagini in questione, per l’acquisizione dei relativi
elementi la vigente disciplina prevede, in più, la previa autorizzazione
dell’organo sovraordinato all’ufficio procedente; le modifiche della legge sul
punto non hanno tuttavia apportato alcuna integrazione, se non quella che
scaturisce quale conseguenza dell’ampliamento soggettivo e oggettivo delle
indagini stesse. In proposito, occorre tuttavia ribadire quanto già accennato
al Capitolo Terzo, paragrafo 3.3.1, in ordine alla necessità della preventiva
autorizzazione dell’organo gerarchicamente sovraordinato anche per accedere
alla nuova "anagrafe dei rapporti", istituita dal
comma 4 dell’art. 37 del decreto legge n. 233 del 2006, in quanto il suo
utilizzo avviene esclusivamente ai sensi e per gli effetti di cui ai numeri 7)
degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.
L’autorizzazione rilasciata a tali fini varrà ovviamente anche per l’inoltro delle specifiche richieste agli intermediari
individuati attraverso detta anagrafe e, naturalmente, anche per tutti gli
altri intermediari che per necessità istruttorie dovessero essere coinvolti.

Per quanto riguarda il profilo
soggettivo, torna utile rammentare la circostanza – ancora valevole, fino
all’entrata in funzione della procedura telematica – che nella richiesta di
autorizzazione alla predetta autorità sovraordinata l’ufficio procedente, in
vigenza della procedura di acquisizione dei dati contenuti nel solo rapporto
speciale individuato in un "conto", doveva fare riferimento
esclusivamente a banche e poste. E’ evidente che, a seguito dell’eliminazione
di tale condizionamento e del conseguente ampliamento delle categorie coinvolte
nell’assolvimento degli obblighi informativi, anche il suddetto schema di
richiesta, cartaceo o telematico, deve registrare una parallela dilatazione nel
numero dei soggetti destinatari delle richieste stesse.

Prescindendo dalle suesposte
particolarità, valgono comunque le precisazioni già fornite con la ripetuta
circolare n. 116/E in ordine alla natura discrezionale della predetta
autorizzazione, alla sua funzione di legittimazione all’uso dello strumento
istruttorio nonché di controllo del corretto utilizzo dello stesso; ferma
restando l’esigenza di verificare la sussistenza dei predetti requisiti legali
e di procedere al rilascio dell’atto per singoli nominativi, nonostante
l’ammissibilità di una richiesta cumulativa, avendo cura di rapportarsi –
soprattutto in questa fase che rappresenta lo snodo per l’ulteriore divenire
dell’intera procedura – al pieno rispetto dei principi di economicità e
proficuità dell’azione amministrativa.

Nella stessa circolare era stato
altresì precisato che la funzione legittimante dell’autorizzazione si
estendeva, oltre ai conti intestati e cointestati al soggetto controllato,
anche a quelli nella sua "disponibilità", sebbene questi ultimi,
ancorché senza obbligo di ulteriore autorizzazione, potessero essere
effettivamente acquisiti solo attraverso una successiva e apposita richiesta
alla banca nel rispetto del principio di "tutela del terzo",
rappresentato dall’intestatario di un conto diverso dallo stesso soggetto
controllato.

Per la nozione di tali conti, che
a seguito degli interventi operati dalla citata legge n. 413 del 1991 hanno
introdotto le nozioni di conti "intrattenuti" (vedi numeri 7) e di
conti "in disponibilità" (art. 7, sesto comma, del D.P.R. n. 605 del
1973), la citata circolare precisava ancora che in essa
rientravano "tutti i conti per i quali il contribuente abbia la
possibilità di disporre in virtù di mandato da parte dell’intestatario del
conto (ad es.: conti sui quali il titolare abbia rilasciato deleghe, conti
intestati a società per i quali gli amministratori abbiano ricevuto poteri di
disposizione)". Trattasi naturalmente di una nozione diversa da quella
invece utilizzabile, in modo distorto, per conseguire un illecito risparmio
d’imposta, in collegamento con il fenomeno dell’interposizione soggettiva
fittizia per la quale si rinvia al paragrafo 5.2 del
Capitolo Quinto.

Occorre ora precisare che, a
seguito delle modifiche apportate dalla legge e in coerenza con le conseguenti
linee di semplificazione e di accelerazione dell’iter amministrativo, risulta
chiaramente superata l’esigenza di una doppia richiesta per l’acquisizione dei
predetti conti in disponibilità, ferma restando l’esclusione di una specifica
autorizzazione, diversamente da quanto invece necessita per le predette ipotesi
di interposizione soggettiva fittizia.

A quanto già precisato è da
aggiungere inoltre che l’autorizzazione, quale atto preparatorio allo
svolgimento della fase endoprocedimentale dell’istruttoria, non assume
rilevanza esterna, autonoma ai fini della sua immediata impugnabilità, in
quanto non immediatamente né certamente lesiva sotto il profilo tributario della
posizione giuridica del contribuente interessato che non ha ancora subito o
potrebbe addirittura non subire alcun atto impositivo. Tale ultima
precisazione, peraltro, ha trovato conforto nella giurisprudenza del Consiglio
di Stato, consolidatasi sul punto, con riferimento alla quale si richiama la
decisione della Sezione IV, n. 264 del 7 aprile 1995, sulla cui base gli atti relativi alle indagini possono essere
eventualmente sindacati nella successiva fase contenziosa una volta che l’atto
finale di esercizio della pretesa tributaria sia contestato davanti alle
Commissioni tributarie competenti. Si aggiunge che con tale decisione è stata
ribadita altresì l’accessibilità agli atti preparatori di natura tributaria
solo a conclusione del procedimento di accertamento, in conformità dello schema
previsto specificamente per i procedimenti tributari dalla legge n. 241 del
1990, secondo il combinato disposto degli artt. 13 e 24 della stessa legge, nel
testo anteriore alle modifiche apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.

Infatti, detta temporanea
limitazione, anche nella previgente normativa, non attenuava il valore di
garanzia che l’autorizzazione riveste nell’ambito di indagini così penetranti,
atteso che essa, quale atto amministrativo preparatorio, consente al
contribuente di valutarne l’iter logico-giuridico, con la connessa
documentazione, in sede di accesso, esperibile – presso l’ufficio che lo
detiene -, ai sensi della ripetuta legge n. 241 del 1990, a conclusione
dell’intero procedimento di formazione dell’atto di accertamento.

A maggior ragione resta ora
esclusa temporaneamente l’accessibilità – tra i vari atti preparatori – della
predetta autorizzazione, nonostante l’avvenuta soppressione del rinvio all’art. 13, comma 2, da parte del comma 6 dell’art. 24,
atteso che quest’ultimo articolo – nella nuova formulazione di cui alla citata
legge n. 15 del 2005 – al comma 1, lettera c), prevede, nel complesso,
l’esclusione del diritto di accesso "nei procedimenti tributari, per i
quali restano ferme le particolari norme che li regolano".

Apposite cautele sono previste
per assicurare la riservatezza di tale atto, relativamente alle quali si rinvia
a quanto precisato al successivo paragrafo 4.6.

4.2.1. Superamento dell’obbligo
di allegare l’autorizzazione alle richieste

Come già precisato, l’indicazione
nell’autorizzazione dei motivi a supporto delle richieste di indagini bancarie
e creditizie deriva da precise disposizioni di legge.
Infatti, a stabilire la necessità dell’autorizzazione, così amministrativamente
strutturata, sono gli stessi articoli 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del
D.P.R. n. 633 del 1972, interpretati anche in modo assolutamente garantista
delle esigenze difensive del contribuente sottoposto a controllo.

Pur convenendo sulla ritenuta
necessarietà e obbligatorietà della motivazione in tema, è stato tuttavia
espresso il timore che l’atto autorizzatorio, in quanto obbligatoriamente
allegato alla richiesta, se facente riferimento a specifici esiti dell’attività
ispettiva in precedenza operata, potrebbe rivelarsi inaffidabile sul piano
della tutela dei diritti del soggetto verificato, fino al punto da
compromettere lo stesso rapporto intercorrente tra la banca stessa e il suo cliente.

Per quanto già rilevato in
precedenza, si conviene che, tra i poteri di controllo a disposizione degli
organi fiscali in funzione dell’attività accertatrice, quello relativo
all’accesso ai dati bancari e finanziari impone specifiche garanzie, non solo
per la forte incisività di tale potere, ma anche per i peculiari interessi
coinvolti.

Tra le anzidette garanzie,
l’autorizzazione, ai sensi e per gli effetti dei più volte
citati numeri 7), costituisce lo strumento giuridico di maggiore rilevanza, sia
per la funzione di valutazione preventiva che di legittimazione quanto
all’esercizio in concreto dello specifico potere.

In altri termini, tale atto,
nella sua forma ordinaria e anche a prescindere dalle novità successivamente
introdotte in materia di riservatezza, contempla in modo indefettibile il
requisito essenziale dell’esplicitazione dei motivi sottostanti l’indagine, in
ossequio al principio di trasparenza e di effettività della tutela
giurisdizionale di ogni soggetto.

In tale ottica, la circolare n.
116/E del 1996, secondo lo schema della costruzione tradizionale dell’atto
amministrativo, ebbe a suggerire:

1)all’autorità sovraordinata di
ascrivere, tra i titoli necessari al rilascio dell’autorizzazione per
l’esercizio dell’indagine, il controllo preventivo dei requisiti di legittimità
e di merito;

2)all’organo procedente di
allegare alla richiesta fatta alla banca o alle poste copia di detta
autorizzazione, costituendone, questa, un "elemento essenziale".

Quanto alla determinazione di cui
al punto 2) torna altresì utile rammentare che la sua previsione, ancorché non
imposta dalla legge, venne ritenuta confacente alla
natura e alla funzione dell’atto, in un’epoca ancora caratterizzata dalla
suggestione dell’improvviso e integrale superamento delle deroghe al segreto
bancario, ad opera dell’art. 18 della legge n. 413 del 1991.

Sennonché, successivamente, sia
la legge n. 675 del 1996 che, ancor più, il codice in materia di protezione dei
dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, hanno
posto l’esigenza di imprimere un nuovo assetto anche alla soggetta materia,
imponendo il rispetto del patrimonio riservato di cui è titolare il
"cliente" (bancario, postale, ecc…) per evitare che l’autorizzazione
– specie se motivata con notizie che potrebbero rivelarsi screditanti sotto il
profilo economico-tributario – possa trasformarsi in un atto lesivo dei suoi
rapporti fiduciari con l’intermediario.

In effetti, nella prassi
applicativa, si è avuto modo di constatare che il diritto di difesa del
soggetto sottoposto a indagini bancarie e finanziarie potrebbe risultare
talvolta pregiudicato dall’applicazione automatica dell’anzidetta
determinazione, atteso che la parte motiva, anche se prescritta dallo schema
legale dell’atto amministrativo autorizzatorio, laddove particolarmente
dettagliata, potrebbe produrre effetti distorsivi e comunque eccedenti la
stessa lettera e finalità delle legge.

Quanto alle diverse soluzioni
percorribili per ovviare ai denunciati inconvenienti, è da escludere quella
volta a mantenere l’obbligo di allegazione dell’atto, sia pure emendato della
parte rilevatrice delle risultanze lesive dell’interesse del cliente. Ciò in
quanto si è ritenuto che essa, in buona sostanza, porterebbe a segregare e a
segretare una parte soltanto dell’esplicitazione dei motivi, con il rischio non
solo di incorrere nei problemi di sospetta illegittimità dell’atto, ma di
provocare indubbie difficoltà e oneri a carico degli organi incaricati dell’inoltro alla banca della richiesta supportata dalla
autorizzazione così emendata.

Si ritiene invece, nel solco di
pacifica e condivisa qualificazione dell’adempimento istruttorio in questione
tra le cosiddette "prestazioni imposte", che la relativa richiesta,
in quanto caratterizzata da particolare efficacia, anche oltre i caratteri di autoritarietà
ed esecutorietà che assistono l’atto amministrativo, non necessiti, né punto né
poco, dell’allegazione in questione, peraltro, come già detto, sprovvista di
qualsiasi specifico obbligo di fonte legale.

Aggiungasi che, a escludere anche
su di un piano logico-giuridico qualsiasi obbligo di partecipazione alla banca
richiesta dei motivi dell’atto, sta la circostanza
che, anche a detta della citata sentenza della Cassazione – secondo cui
"l’autorizzazione attiene ai rapporti interni" – essa si riferisce a
una prescrizione endoprocedimentale sicuramente estranea alla condizione di
efficacia e di operatività della banca richiesta.

Si ravvisa pertanto l’opportunità
di pervenire a uno sbocco più risolutivo del problema, eliminando l’obbligo
dell’anzidetta allegazione, in modo intrinsecamente e formalmente ineccepibile,
anche perché parallelamente rispettoso sia delle esigenze esecutive
dell’intermediario che di quelle di riservatezza del contribuente assoggettato
a indagine, nonché di semplificazione delle modalità operative degli uffici
procedenti.

Nei confronti dell’intermediario
risulta infatti agevole constatare la totale assenza
di un interesse a conoscere le motivazioni istruttorie specifiche di un
accertamento fiscale in corso, con il rischio, semmai, di vederne
impropriamente utilizzate la ragione e la natura, nei confronti del cliente
sottoposto a indagine fiscale.

Con riferimento a quest’ultimo
soggetto è altrettanto agevole rilevare che il suo indubbio interesse al
rispetto delle prerogative di riservatezza nei confronti della banca e di ogni
altro intermediario verrebbe pienamente garantito
laddove i suoi diritti di tutela potranno essere esercitati tramite la
conoscenza delle specifiche motivazioni contenute nell’autorizzazione alla
quale potrà accedere, naturalmente, dopo l’eventuale notifica dell’avviso di
accertamento.

Nell’ottica della tutela della
riservatezza, la suesposta determinazione si rafforza ulteriormente nella
considerazione che, nella perdurante inoperatività dell’Anagrafe, l’avvento
della procedura telematica può coinvolgere ora anche tutti gli intermediari, i
quali, pur non intrattenendo, nella stragrande maggioranza, rapporti con il
cliente soggetto a indagine, verrebbero comunque a conoscenza dei motivi a
supporto dell’autorizzazione stessa, in maniera eccessiva rispetto ai principi
di pertinenza, utilità e proporzionalità dei dati richiesti.

Questa criticità sarà
tendenzialmente superata con l’operatività della nuova base informativa,
istituita presso l’Anagrafe tributaria, avente a oggetto l’esistenza dei soli
rapporti ancora in essere al 1° gennaio 2005 o costituiti a partire da tale
data; vedi Capitolo Terzo, paragrafo 3.3.1.

In attuazione di quanto sopra,
restano conseguentemente superate le istruzioni impartite al Cap. II, punto 4,
9° capoverso e punto 5, primo capoverso, della citata circolare n. 116/E del
1996, con le quali viene disposto l’obbligo di
allegazione della ripetuta autorizzazione alle richieste da inviare a banche e
poste, stabilendo nel contempo che in dette richieste, in luogo di tale
obbligo, va prevista l’indicazione degli estremi dell’autorizzazione già
rilasciata dagli organi sovraordinati.

4.3. Informativa degli
intermediari al contribuente

Nella scomposizione dei vari
profili in cui si articola il complesso innovativo recato dalla legge nello
specifico campo delle indagini istruttorie si è avuto modo di precisare che la
novella normativa si è tradotta anzitutto in un percorso che tra le nuove
positive caratterizzazioni ha esaltato quelle già in essere con la normativa
previgente, di equilibrio e garanzia, in quanto prevalentemente nominativa e,
come e più di prima, riservata, autorizzata e partecipata al
cliente-contribuente.

In merito a tale ultimo connotato
la circolare 116/E – paragrafo 4 del Cap. III -, pur con riferimento alla
banca, e, ovviamente, anche alle poste, ha fatto talune precisazioni che qui
integralmente si richiamano ma che si ritiene di dover integrare nel modo
seguente.

Il "destinatario" della
richiesta, da intendersi ora come qualsiasi degli intermediari indicati ai
numeri 7), una volta ricevuta la richiesta da parte dell’organo procedente
"ne dà notizia immediata al soggetto interessato", in forza del
penultimo periodo di tali numeri.

Trattasi di una specie soltanto
del più generale obbligo informativo che la legge ha
previsto per consentire al contribuente di approntare le difese più appropriate
a proposito delle indagini creditizie e finanziarie iniziate nei suoi
confronti.

Con identica formulazione
ancorché con diversa destinazione si esprimono, nei vari contesti normativi in
cui l’analogo obbligo informativo è prescritto, l’art. 33 del D.P.R. n. 600 del
1973 e l’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972 per l’esecuzione di accessi,
ispezioni e verifiche, ora presso tutti gli intermediari, per rilevare
direttamente i dati e le notizie relativi attualmente a tutti i rapporti e
operazioni con gli stessi intrattenuti o eseguiti.

Con particolare riguardo
all’ulteriore e specifico obbligo imposto agli intermediari, la compressa
locuzione "notizia immediata" utilizzata dal legislatore – rimasta
qualitativamente inalterata anche dopo la legge – si rivela, per certo,
immediatamente espressiva della peculiare esigenza e urgenza di avvertire il
cliente-contribuente che è stata intrapresa nei suoi confronti un’attività
istruttoria, il cui svolgimento non è condizionato né dal consenso
dell’intermediario né, tanto meno, da quello dello stesso cliente. Sulla
valenza di tale obbligo di tempestiva informazione si è espressamente pronunciata
la stessa Corte Costituzionale, in relazione alla censura di violazione
dell’art. 24 della Costituzione (diritto alla difesa); con Ordinanza n. 260 del
6 luglio 2000, la stessa Corte ha affermato che il contribuente tempestivamente
informato può esercitare pienamente, già in sede amministrativa e quindi anche
in sede giudiziale, il suo diritto a dimostrare l’irrilevanza fiscale degli
elementi finanziari acquisiti.

Sotto il profilo metodologico, la
locuzione legislativa non si diffonde sulla forma e sulla procedura per
ottemperare all’obbligo d’informativa, lasciando chiaramente intendere che
qualsiasi mezzo utilizzato, se idoneo a garantire la certezza e la tempestività
della comunicazione, risulta adeguato per soddisfare tale obbligo.

Sotto altro profilo, invece, in
mancanza di un orientamento prevalente, giurisprudenziale o dottrinario –
tranne che per l’accesso -, non è stata conseguentemente sollecitata un’interpretazione
amministrativa a riguardo di taluni specifici aspetti.

Giova, pertanto, sottolineare in
primis che al predetto dovere d’informativa, sia pure dall’incerta natura, non
corrisponde in maniera speculare un vero e proprio diritto di informazione da
parte del cliente, in special modo nei confronti dell’organo procedente la cui
legittimazione circa la procedura istruttoria, anche in caso di totale
inadempimento dello stesso intermediario, non risulta minimamente incisa.

Resta escluso, inoltre, che l’organo
procedente possa essere coinvolto nella scelta delle
modalità di informazione né che sia competente a intervenire d’ufficio in via
sostitutiva o integrativa quando l’intermediario ometta di provvedervi o
soddisfi l’obbligo in maniera incompleta.

In un’ottica di raffronto con i
principi che supportano l’attività provvedimentale dell’ufficio, l’eventuale
inadempimento di tale obbligo non rappresenta né comporta un vizio di
legittimità derivata dell’atto di accertamento, a seguito del quale, anzi, diviene
esercitatile, nei confronti dell’Ufficio stesso, il diritto di accesso all’atto
di autorizzazione, ora non più allegabile alla richiesta rivolta
all’intermediario, come illustrato al precedente paragrafo
4.2.1.

Tale conclusione si rafforza,
coerentemente con i ruoli diversi – rispetto a quello dell’organo procedente –
che per legge sia l’intermediario sia il cliente-contribuente sono chiamati a
svolgere nel contesto globale della procedura, qualora si tenga conto delle
seguenti circostanze:

a) l’intermediario è soggetto
estraneo al rapporto impositivo e alla stessa Amministrazione finanziaria ed è
obbligato ad adempiere alla richiesta come a un dovere
pubblico (rectius, prestazione imposta); proprio per questo lo stesso
intermediario è da considerarsi, in via di principio, non responsabile nei
confronti del cliente per l’osservanza di un ordine, sempreché questo non si
evidenzi come palesemente illegittimo e conseguentemente contestabile sotto il
profilo della correttezza contrattuale e delle regole generali di diritto
comune;

b) il cliente-contribuente, senza
risultare ancora leso nell’ambito di operatività della richiesta dell’organo
procedente e tanto meno nella sfera di efficacia del successivo ed eventuale
avviso di accertamento, una volta informato può preparare le sue difese e
preordinare i suoi chiarimenti nell’ottica e in vista dell’invito ad aderire al contraddittorio preventivo, così partecipando
alla ricostruzione dell’effettivo valore probatorio dei dati e delle
informazioni trasmessi all’ufficio e resi parallelemente disponibili anche a
lui stesso.

Naturalmente, nessun obbligo di
informativa si configura a carico di qualsiasi degli intermediari richiesti, in
mancanza di rapporti intrattenuti con il cliente oggetto di indagine.

Tutto quanto sopra realizza e si
riassume, secondo l’intenzione del legislatore, in un preventivo bilanciamento
tra due interessi contrapposti:

– da una parte, l’obbligo di
comunicazione all’interessato – senza peraltro la previsione di alcuna
specifica sanzione – non entrando nella catena procedimentale eventualmente
sfociante nell’avviso di accertamento, neppure incide sulle vicende di questo,
poiché trattasi di adempimento estraneo e di cui è unilateralmente onerato il
solo soggetto intermediario;

– dall’altra, l’intervenuta
conoscenza da parte del soggetto controllato della esistenza dell’indagine in
corso sollecita e consente la collaborazione di quest’ultimo per una sua
eventuale partecipazione attiva al procedimento che lo riguarda.

4.4. Contraddittorio preventivo

Entrambi i numeri 2) del primo e
secondo comma, rispettivamente, degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51
del D.P.R. n. 633 del 1972 definiscono il potere dell’ufficio procedente di
invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire allo scopo di
fornire dati, notizie e – ai soli fini Iva, anche –
chiarimenti, rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti
relativamente ai "rapporti ed alle operazioni", i cui dati, notizie e
documenti siano stati acquisiti a norma dei numeri 7) dei predetti commi,
ovvero rilevati direttamente dalla Guardia di finanza nell’esercizio dei poteri
di polizia giudiziaria e da essa trasmessi all’ufficio stesso. In proposito,
giova segnalare che l’art. 2, commi 8 e 9, del decreto-legge n. 203 del 2005 ha esteso ora tale
potere – attraverso apposita integrazione dei citati numeri 2) – anche con
riferimento ai dati e agli elementi "acquisiti ai sensi dell’art.
18, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n.
504", in materia di accertamento delle imposte sulla produzione e sui
consumi.

Indipendentemente da tale ultima
e occasionale integrazione, si precisa anzitutto che la legge ha modificato il
testo precedentemente in vigore al solo scopo di ampliarne, per un necessario
coordinamento con i citati e novellati numeri 7), l’ambito oggettivo, riferito
ora più genericamente "ai rapporti ed alle operazioni" anziché alle
sole "operazioni annotate nei conti". Salvo tale ampliamento di
natura contenutistica, la legge non ha pertanto modificato l’assetto originario
del potere in questione che conserva e anzi esalta, per l’ufficio, la sua
eminente vocazione probatoria e, per il contribuente, il ruolo funzionale di un
particolare strumento di tutela.

Ne consegue che, come in
precedenza, tale potere si sostanzia nell’utilizzo di una speciale forma procedimentalizzata
di partecipazione del contribuente all’attività istruttoria dell’ufficio per il
tramite del cosiddetto "contraddittorio" tra le due parti, propedeutico – anche se non obbligatorio: vedi, Cassazione,
Sez. V, nn. 11094/1999, 7329/2003, 7267/2003 – all’emanazione dell’eventuale
atto impositivo.

Tale istituto risulta infatti essenziale nella fase prodromica dell’accertamento
in quanto l’indagine – prima solamente di natura bancaria e ora più in generale
finanziaria -, pur realizzando un’importante attività istruttoria, non
costituisce uno strumento di applicazione automatica, atteso che i relativi
esiti devono essere successivamente elaborati e valutati per assumere, non solo
in sede amministrativa ma anche in quella giudiziaria, la valenza di elementi
precisi e fondanti ai medesimi fini impositivi.

In sostanza, il preventivo
contraddittorio di cui ai ripetuti numeri 2) si configura, in via di principio,
come un passaggio opportuno per provocare la partecipazione del contribuente,
finalizzata a consentire un esercizio anticipato del suo diritto di difesa,
potendo lo stesso fornire già in sede precontenziosa la prova contraria, e
rispondente a esigenze di economia processuale, al fine di evitare l’emissione
di avvisi di accertamento che potrebbero risultare immediatamente infondati
alla luce delle prove di cui il contribuente potesse disporre.

In ordine alla valenza da
attribuire alla partecipazione del contribuente, dal tenore letterale della
disposizione e secondo un recente consolidato orientamento, l’invito a
comparire costituisce una mera facoltà dell’ufficio e non un obbligo; pertanto
il mancato invito dell’ufficio medesimo non inficia la legittimità della
rettifica, ove basate sulle presunzioni previste dalle norme in esame.
Peraltro, detto orientamento sostiene che la mancata instaurazione del
contraddittorio non degrada la prevista presunzione legale a presunzione
semplice, fermo restando, quindi, l’onere probatorio contrario in capo al
contribuente (da ultimo, Cassazione n. 8253/2006 e n.
5365/2006).

Il valore probatorio degli
elementi raccolti, anche in esito al contraddittorio esperito, configurando una
presunzione di natura juris tantum, esonera l’ufficio dal dimostrare,
relativamente agli elementi medesimi, la sussistenza dei requisiti, ex art.
2729 c.c., delle presunzioni richieste come
"gravi, precise e concordanti".

Si tratta, com’è noto, del
particolare regime probatorio ricadente nel sistema delle presunzioni legali
"relative" di cui all’articolo precedente dello stesso codice civile,
comportante per l’ufficio l’esonero dalla prova che però
è trasferita in senso negativo a carico del contribuente. Sistema, questo,
diverso da quello delle presunzioni semplici, non stabilite dalla legge, la cui
idoneità probatoria è rimessa invece alla "prudenza del giudice".

In altri termini, il contribuente
sottoposto a controllo potrà, in sede precontenziosa o meno, fornire, a seconda dei diversi ambiti impositivi: la dimostrazione
circa l’irrilevanza ai fini impositivi dei movimenti finanziari acquisiti o
rilevati; l’indicazione dei soggetti effettivamente beneficiari dei
prelevamenti; l’annotazione dei predetti movimenti nelle scritture contabili o
in dichiarazione, ai fini della determinazione del reddito; in definitiva,
l’indicazione di qualsivoglia ulteriore chiarimento ritenuto necessario
dall’ufficio procedente per la valorizzazione dei dati e delle informazioni ai
fini della loro presuntiva utilizzazione in sede di accertamento.

Quanto all’aspetto operativo, il
contraddittorio si instaura mediante un apposito invito con la partecipazione
del contribuente, o di un rappresentante da lui delegato, all’incontro con il
responsabile dell’ufficio.

Il contenuto dell’invito a
comparire si compone delle seguenti indicazioni:

– dei presupposti legislativi
legittimanti l’esercizio del potere;

– della data e del luogo di
comparizione del contribuente, con facoltà di avvalimento di un suo
rappresentante munito di apposita procura ai sensi dell’art. 63 del D.P.R. n.
600 del 1973;

– del termine di comparizione,
non inferiore a quindici giorni dalla data di notifica dell’invito;

– del motivo dell’invito con la
specificazione, anche sommaria, degli elementi informativi che formeranno
oggetto di contestazione;

– degli effetti scaturenti dalla
mancata o incompleta adesione all’invito a comparire in relazione alla
previsione di cui al quarto comma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973,
fermi restando quelli derivanti dalla particolare efficacia probatoria di cui al numero 2) dello stesso articolo, attesa la
consequenziale rinuncia, da parte del contribuente stesso, alla possibilità di
fornire la prova contraria già in fase di controllo istruttorio.

A questo ultimo riguardo merita
di essere rammentato che gli effetti dell’attuale quarto comma sono stati
introdotti dall’art. 25 della legge 18 febbraio 1999, n. 28. Si tratta di una
disposizione con evidente funzione di deterrenza nei confronti del contribuente
affinché non si sottragga a una fattiva collaborazione già in fase
procedimentale amministrativa, attraverso la previsione di effetti preclusivi
consistenti nell’inutilizzabilità – eventualmente anche da parte dell’ufficio
pur esso penalizzato, seppure incolpevolmente, in termini di economicità
operativa – di elementi di prova contraria a vantaggio dello stesso
contribuente. Tale prova potrà essere fornita, ai sensi del successivo quinto
comma, qualora il contribuente dimostri in giudizio di
"non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non
imputabile", depositando apposita dichiarazione allegata all’atto
introduttivo del primo grado.

Le richieste fatte e le risposte
ricevute devono essere riportate in un apposito processo verbale, recante la
sottoscrizione del contribuente o del suo rappresentante, oppure l’indicazione
del motivo della mancata sottoscrizione di questi. Copia di tale documento deve
comunque essere rilasciata alla parte.

Qualora il contribuente non
aderisca all’invito a comparire ovvero dichiari di non essere in grado di
rispondere (perché "non ricorda") ovvero, secondo una preordinata
linea difensiva, decida di non rispondere o non
fornisca valide argomentazioni, restano ferme le descritte previsioni normative
in tema di presunzioni in quanto lo svolgimento del contraddittorio non risulta
affetto da alcuna lesione per aver assolto la precipua funzione partecipativa.

Per completezza, merita di essere
ricordata la fattispecie, più volte dibattuta in
dottrina e giurisprudenza, riguardante la legittimità o meno del
contraddittorio esperito da un organo diverso dall’ufficio competente.

In proposito si osserva che,
stante la diretta riconducibilità all’attività di accertamento della
valutazione delle risposte e dei chiarimenti forniti dal contribuente, spetta
esclusivamente all’ufficio locale – istituzionalmente e territorialmente
competente in ragione del domicilio fiscale del contribuente soggetto a
controllo – la decisione finale circa l’attitudine degli esiti acquisiti a
costituire il presupposto da porre a base della rettifica o dell’accertamento,
secondo lo schema legale della presunzione e del conseguente onere della prova
liberatoria offerta dal contribuente.

Qualora tale fase
"dialettica" sia stata svolta con l’intervento di altro organo
competente e, segnatamente, dalla Guardia di finanza, il contributo offerto da
tale contraddittorio, se ritenuto appagante per l’analisi dell’ufficio, esonera
quest’ultimo dalla successiva ripetizione dell’esperimento, sempreché
formalizzato in un processo verbale.

Peraltro, siffatta
interpretazione, oltre a rispettare i principi di economicità, efficienza,
efficacia e trasparenza dell’azione amministrativa, si rivela altresì coerente
con lo stesso dettato normativo che prevede – sia d’iniziativa che su richiesta dell’ufficio – la collaborazione della Guardia
di finanza, tanto ai fini istruttori che repressivi, estendendole le
"norme e le facoltà" di cui agli artt. 51 e 52 del D.P.R. n. 633 del
1972 e dell’art. 33 del D.P.R. n. 600 del 1973 e, quindi, chiaramente,
coinvolgendola anche per l’instaurazione del contraddittorio.

Per converso, qualora gli esiti
di tale contraddittorio non si rivelino coerenti con le risultanze istruttorie
e le elaborazioni analitiche dell’ufficio, questo, al precipuo fine di
utilizzare la presunzione legale di cui ai ripetuti numeri 2), provvederà ad
approfondire direttamente le incongruenze o le esigenze successivamente
evidenziatesi rispetto al contenuto del verbale pervenuto, tramite la ripetizione
del contraddittorio già effettuato.

4.5. Atti istruttori: effetti ed
eventuale tutela

Come già precisato nel precedente
paragrafo, i numeri 2) dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’omologo
art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 richiedono che l’invito a comparire – come
peraltro altri atti istruttori – deve "indicare il motivo" della
relativa richiesta al fine di consentire al contribuente sottoposto a controllo
di poter essere adeguatamente informato dell’attività istruttoria che l’ufficio
procedente sta ponendo in essere a seguito degli esiti della precedente fase
acquisitiva di cui ai numeri 7).

In proposito si rammenta che, in
via generale, l’esercizio dei poteri istruttori è regolato dal principio
inquisitorio ai fini dell’acquisizione delle prove dell’evasione da parte
dell’ufficio procedente, mentre la parte conserva soltanto un "interesse
alla prova", nel senso che essa è onerata a dimostrare i fatti (o i
presupposti) che giocano a suo favore nella determinazione dell’obbligazione
tributaria.

Infatti, la struttura del
procedimento tributario di accertamento si incentra su un unico soggetto, e
cioè il soggetto passivo di imposta (rectius: il contribuente), con la
conseguenza che non è neppure astrattamente configurabile la partecipazione di
terzi. Per tale ragione nei procedimenti tributari in genere, e in particolare
in quello di accertamento, come già precisato al paragrafo
4.2 del Capitolo Quarto, non si applicano – rispettivamente ai sensi
degli artt. 13 e 24 della legge n. 241 del 1990 e successive modifiche e
integrazioni – le disposizioni recate dalla legge stessa in tema di accesso
partecipativo (art. 10) e di accesso conoscitivo o informativo (art. 22),
"ma soltanto le particolari norme che regolano i procedimenti tributari".

Da tale principio discende
logicamente che nel procedimento di accertamento tributario, mentre il
contraddittorio è consentito soltanto nei casi e con i limiti fissati dalle
singole leggi di imposta, la conoscibilità dei relativi atti istruttori – anche
ai fini della loro esclusiva impugnabilità come atti presupposti – è differita
al momento dell’emanazione dell’avviso di accertamento.

In particolare, relativamente
alla impugnabilità degli atti tributari è utile ricordare che a far data dal 1°
gennaio 2002, la legge n. 448 del 2001 (successiva alla legge n. 212 del 2000,
recante lo Statuto dei diritti del contribuente) ha riformulato l’articolo 2
del D.lgs. n. 546 del 1992, stabilendo l’appartenenza alla giurisdizione
tributaria di tutte le controversie aventi a oggetto tributi.

Ovviamente, ciò non vuol dire che
la novella abbia previsto un riparto assorbente della materia tributaria, in
quanto si rende tuttora possibile l’intervento anche in tale materia del
giudice amministrativo.

Del resto, se così non fosse,
resterebbe privo di significato l’articolo 7, comma 4, del citato Statuto che
appunto precisa come "La natura tributaria dell’atto non preclude il
ricorso agli organi di giustizia amministrativa quando
ne ricorrono i presupposti".

Tuttavia, quanto al concreto
intervento del giudice amministrativo, in estrema sintesi, occorre fare
riferimento alla natura dell’atto e/o al tipo di vizio denunziato laddove
coinvolga solo profili estranei e/o differenziati rispetto a quelli strettamente
tributari.

In tale ottica, la scriminante
tra giurisdizione tributaria e amministrativa va ricercata in termini di
differenziazione tra atti amministrativi il cui unico effetto è rivolto a
finalità di soluzione tributaria (Commissioni) e atti idonei a produrre effetti
ulteriori e diversi rispetto quelli propriamene
tributari (TAR).

La suesposta premessa di
carattere generale vale anche nel caso in cui venga
sostenuta, in sede di giurisdizione amministrativa, l’autonoma impugnabilità
presso il TAR di un atto istruttorio – peraltro solo prodromico al
provvedimento finale di accertamento – quale l’atto di invito al
contraddittorio di cui ai precitati numeri 2); atto istruttorio che, ove
utilizzato secondo lo schema legale previsto, non coinvolge interessi di natura
diversa da quella strettamente tributaria e, perciò, non si rivela suscettibile
di comprimere situazioni soggettive del contribuente diverse da quelle relative
al rapporto di imposta.

Una volta esclusa la
giurisdizione amministrativa in quanto la materia contestata è di esclusiva
natura tributaria, si deve ricordare che sul punto la Corte di Cassazione –
nell’ambito della speciale giurisdizione tributaria – ha sempre affermato, da
ultimo anche a Sezioni Unite, che gli atti prodromici di quelli indicati
nell’art. 19 del D.lgs. n. 546 del 1992 non sono autonomamente impugnabili, per cui i vizi ad essi relativi possono essere fatti valere
solo in sede di impugnazione dell’atto finale di accertamento.

Peraltro, tale conclusione si
rivela strettamente coerente con il sistema di impugnabilità prefigurato dal
predetto articolo che elenca le specifiche tipologie degli atti espressamente
impugnabili, tra i quali non è certamente rinvenibile quella degli atti
istruttori. In conseguenza, eventuali doglianze di un contribuente
inottemperante alla richiesta, in quanto supposta causa di una
ingiusta lesione, potranno essere fatte valere davanti alle Commissioni
tributarie, anche attraverso l’impugnazione del provvedimento che irroghi in
via autonoma le sanzioni previste, e cioè prima dell’emanazione dell’atto
finale di esercizio della pretesa tributaria.

Per quanto attiene in particolare
alle eventuali contestazioni aventi a oggetto la presunta mancanza di
motivazione delle richieste medesime, giova ricordare che il termine
"motivo" qui utilizzato assume un significato diverso e meno ampio di
"motivazione" prevista per la legittimità degli atti amministrativi
in generale in cui tale obbligo assolve la funzione di strumento di tutela del diritto
di difesa e assurge perciò a livello di requisito per la validità intrinseca
dell’atto. Infatti, soltanto per quest’ultima connotazione, l’art. 7 della
legge n. 212 del 2000 prescrive che devono essere portati a conoscenza del
contribuente "i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell’amministrazione".

Nell’ipotesi all’esame, invece,
tenendo conto che si tratta di atti istruttori destinati ad azionare la
dialettica tra ufficio e contribuente, è la singola legge d’imposta che ritiene
sufficiente la mera indicazione del "motivo" – niente affatto
equipollente alla "motivazione" – inteso come delimitazione dello
scopo che l’ufficio procedente si prefigge con l’invito a comparire di cui ai
numeri 2), come, analogamente, con altri atti istruttori.

In proposito, e più in
particolare, occorre evidenziare che il contribuente ancor prima dell’invito al
contraddittorio, ha avuto conoscenza non solo
dell’avvio delle indagini bancarie attraverso la comunicazione che
l’intermediario finanziario per obbligo di legge è tenuto – ai sensi dei numeri
7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 –
a inoltrare senza indugio al contribuente stesso, ma anche dell’ampia e
immediata disponibilità delle stesse informazioni che l’intermediario ha
fornito all’ufficio procedente; infatti, si ricorda che è già prassi delle
banche (estensibile anche agli altri intermediari finanziari) rilasciare copia
del relativo carteggio su iniziativa del contribuente medesimo, nel proprio "interesse
anticipato" alla prova.

Com’è evidente, in questa
fattispecie è la stessa legge a garantire il diritto del contribuente a una
forma di partecipazione al procedimento, anche se indiretta, sia attraverso lo
specifico obbligo informativo posto a carico dell’operatore finanziario sia mediante la doverosa disponibilità dello stesso a
fornirgli tutti gli elementi informativi resi all’amministrazione procedente.

Conclusivamente, per tutte le
suesposte ragioni relative alle fattispecie esaminate si ritiene che resti
esclusa la sussistenza di una tutela non solo dinanzi
al giudice amministrativo ma anche di quella, in via immediata, dinanzi alle
stesse Commissioni tributarie. Infatti, l’attività istruttoria è sindacabile –
in via differita – innanzi a tale giudice speciale solo contestualmente
all’impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento di accertamento o
eventualmente – prima e in via autonoma – contro il provvedimento che irroghi
le sanzioni per la mancata risposta. Peraltro dinanzi a questi, previa
allegazione all’atto introduttivo del giudizio di primo grado della
documentazione a suo tempo richiesta e non prodotta nei termini, il
contribuente può eventualmente dichiarare di non aver potuto adempiere
alle richiesta stessa per causa a lui non imputabile.

4.6. Riservatezza dei dati e
delle informazioni

Al riguardo, va anzitutto
rilevato che la nuova formulazione dei numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n.
600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, nell’esigere dagli organi
procedenti la preventiva acquisizione dell’autorizzazione per l’esecuzione
delle indagini presso qualsiasi intermediario finanziario – e non, come nel
precedente regime, presso le sole banche e poste – ha conseguentemente dilatato
l’ambito di tutela della riservatezza, già prevista limitatamente al segreto
bancario, alla segretezza fiduciaria e al più generale dovere di riserbo cui
sono tenuti gli intermediari stessi circa i rapporti, le operazioni e i servizi
intrattenuti con i loro clienti.

Va, peraltro, ricordato che per
tale riservatezza l’ordinamento giuridico non ha approntato un’esplicita
tutela, per cui la fonte dell’obbligo al segreto – non
solo a quello bancario – trova fondamento nella consolidata prassi tendente ad
attribuire protezione alle informazioni in possesso degli intermediari
finanziari, sia pure assoggettata dalla costante giurisprudenza a limitazioni
per tutelare altri interessi, costituzionalmente garantiti, che con essa
potrebbero entrare in conflitto.

Alla luce del predetto canone
ermeneutico, è pacifico che il dovere di riservatezza resta subordinato alla superiore esigenza, garantita dall’articolo 53 della
Costituzione, dell’accertamento dell’illecito tributario, in quanto la tutela
del segreto non può spingersi fino al punto di erigere il riserbo a ostacolo
insuperabile all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, primo fra
tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità
contributiva di ciascuno.

In sostanza, l’acquisizione dei
documenti e dei dati relativi ai clienti, detenuti – anche confidenzialmente –
dagli intermediari finanziari, è sempre consentita nel rispetto dei vincoli e
delle autorizzazioni previste dalle vigenti disposizioni contenute nei già
menzionati numeri 7), che testimoniano l’equo compromesso tra il principio
costituzionale della capacità contributiva e quello, ritenuto di rango
inferiore, della riservatezza dei dati creditizi e finanziari.

In questo rinnovato quadro di
riferimento, resta immutata l’esigenza che i predetti dati, una volta
acquisiti, restino comunque riservati. La risalente normativa – art. 18, comma
4, della legge 30 dicembre 1991, n. 413 -, come chiarita nella circolare n.
116/E, offre infatti al contribuente sottoposto a
controllo una particolare e compiuta tutela della riservatezza delle
informazioni richieste e acquisite. Infatti, il comma 4 del citato articolo 18
prevede: "I soggetti che rilasciano le autorizzazioni previste dalle norme
di cui al presente articolo, per le richieste e per gli accessi, devono
impartire le opportune disposizioni per l’utilizzo riservato e corretto dei
dati e delle notizie raccolti rilevanti ai fini
dell’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto o delle imposte sui
redditi.". Per le relative violazioni si ricorda che, sempre a tutela
della riservatezza delle informazioni raccolte – non risultando abrogato dalla
riforma del sistema sanzionatorio amministrativo per le violazioni alle norme
tributarie – l’art. 18, comma 5, della citata legge n. 413 del 1991, prevede,
oltre all’eventuale azione disciplinare, la sanzione amministrativa – da euro 516 a euro 5.165 -, da
irrogare "nei confronti di chiunque, senza giusta causa, rivela tali dati
o notizie, ovvero li impiega a profitto altrui o ad altrui danno", salvo
che il fatto costituisca reato di rivelazione di segreti di ufficio di cui
all’art. 326 del codice penale.

Al riguardo, occorre precisare
che la richiamata disciplina risulta essere un’anticipazione coerente con
quanto previsto, in generale (successivamente, per quanto riguarda il
"trattamento") dalla normativa in materia di protezione dei dati
personali di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003, pur restando ferma la
specialità delle previsioni sanzionatorie rispetto a quelle previste da tale
decreto. Occorre, conseguentemente, richiamare all’attenzione dei soggetti
titolari del potere autorizzatorio di cui al paragrafo 3.1.4
del Capitolo Terzo il dovere di ribadire agli uffici richiedenti, nell’atto di
autorizzazione, l’osservanza delle necessarie cautele sia nella fase
acquisitiva dei dati con riferimento a tutta la normativa sopra commentata e
sia nella fase del trattamento dei dati medesimi in virtù del decreto
legislativo sopravvenuto.

La anzidetta
sovrapposizione dell’impianto normativo relativo alla privacy – già
disciplinato dalla legge n. 675 del 1996 e ora dal Codice di cui al decreto
legislativo n. 196 del 2003 – al sistema delle garanzie "settoriali",
si fonda su un insieme di regole volte a tutelare non soltanto la riservatezza
nel suo significato tradizionale di diritto al segreto, ma soprattutto nel più
incisivo e attuale potere del singolo di conoscere e controllare la
circolazione delle informazioni della propria sfera intima, anche sotto il
profilo della correttezza delle stesse e della legittimità dei relativi
trattamenti.

In altri termini, i successivi
interventi legislativi, per eliminare l’elevato rischio di lesione del diritto
alla riservatezza del singolo, hanno previsto un articolato sistema di misure
minime di sicurezza nel trattamento dei dati personali, inteso nell’ampia e
condivisa accezione di "singola operazione o complesso di operazioni,
svolte con o senza l’ausilio di mezzi elettronici o comunque automatizzati,
concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione,
l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto,
l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la
cancellazione e la distruzione dei dati" (art. 4 del citato D.lgs. n. 196).

A questo riguardo, si ricorda che
l’Agenzia delle entrate si è dotata di specifiche regole comportamentali per la
sicurezza informatica e il trattamento dei dati su supporto cartaceo le quali, ovviamente devono essere osservate, nell’esercizio
delle rispettive funzioni assegnate dal personale civile e militare impegnato
nelle indagini creditizie e finanziarie.

In proposito, non è superfluo
sottolineare che le stesse regole trovano applicazione anche nel sistema
telematico introdotto dai commi 402 e 403 della legge – vedi il paragrafo 3.3
del Capitolo Terzo – in cui sussiste in generale la garanzia che tutti i diritti e tutte le condizioni giuridiche nonché
tutte le informazioni irrinunciabili non devono essere compromessi dalle nuove
tecniche che prescindono dal flusso materiale dei dati e dalla presenza fisica
delle parti coinvolte.

In questa ottica, la garanzia che
il dato sia reso disponibile esclusivamente ai
soggetti legittimati al suo utilizzo, con la conseguente riduzione, a livelli
accettabili, del rischio che soggetti terzi possano accedere all’informazione
senza averne il diritto, assume rilevanza sotto il duplice profilo:

– della riservatezza da parte
degli intermediari nella raccolta e nella trasmissione dei dati a essi richiesti;

– della riservatezza nella
custodia e nell’utilizzo dei dati acquisiti dagli uffici e dagli altri organi.

Relativamente al primo profilo,
fino al 1° settembre 2006, data di esclusiva operatività della predetta
procedura telematica dell’inoltro delle richieste e
dell’invio delle risposte, resta ferma la prassi amministrativa delineata con
la circolare n. 116/E. Pertanto, il responsabile della struttura coinvolta, non
appena predisposta la documentazione richiesta (copia dei conti, operazioni
fuori conto, ecc., concernenti il contribuente
sottoposto a controllo), è obbligato ad usare la massima cautela per impedire
che della documentazione stessa possano prendere visione soggetti non
autorizzati, provvedendo a trasmettere, in plico chiuso, i dati raccolti, indirizzandoli
in forma riservata al titolare dell’ufficio richiedente.

Per quanto riguarda il secondo
aspetto, ai fini che qui maggiormente interessano, gli atti e i documenti,
nonché le eventuali copie – trasmessi dagli intermediari finanziari e
contenenti i dati e le notizie relativi ai rapporti e operazioni intrattenute
con i loro clienti – devono essere custoditi in contenitori sicuri e conservati
in archivi ad accesso selezionato. Qualora essi siano consegnati dal capo
ufficio al funzionario incaricato del trattamento, questi è tenuto a
conservarli e a trattare i relativi dati senza mai lasciare incustoditi i
documenti stessi, per cui, in caso di allontanamento,
deve mettere in sicurezza le aree nelle quali avviene il trattamento dei dati
stessi.

Sempre nel rispetto delle
predette cautele, i documenti in parola potranno essere riacquisiti sia per
soddisfare ulteriori incombenze istruttorie o atti procedimentali sia per
inviare i dati ivi contenuti a uffici esterni, ai quali va sempre rammentato
che tali dati sono sottoposti alla descritta disciplina della riservatezza.

CAPITOLO QUINTO

Utilizzo dei dati, notizie e
documenti acquisiti nel corso delle indagini

Premessa

Come ampiamente illustrato in
precedenza, l’indagine creditizia e finanziaria costituisce un’autonoma
attività istruttoria che può essere esercitata anche indipendentemente da
precedenti attività di controllo, quali verifiche o ispezioni documentali, sia
pure nell’osservanza delle regole fissate dai novellati numeri 7) degli artt.
32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, a differenza di
quanto previsto dai numeri 6-bis), pur essi novellati, che invece necessitano
sempre dell’attivazione di una preventiva procedura di accertamento, ispezione
o verifica.

Tuttavia, per l’esercizio del
potere di cui ai citati numeri 7), secondo un normale canone di procedibilità
immanente anche in materia tributaria, è agevole constatare che il suo innesco
non possa avvenire ad libitum da parte degli organi
procedenti, richiedendosi invece che sia comunque iniziata un’attività di
controllo, anche in funzione selettiva nell’ambito della programmazione
dell’attività stessa.

Persiste pertanto la necessità
della sussistenza di motivi che, seppure non più tassativamente indicati ex
lege – come nei soppressi artt. 35 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51-bis del
D.P.R. n. 633 del 1972 -, sono tuttavia rinvenibili nelle seguenti
disposizioni:

artt. 31 e 31-bis del D.P.R. n.
600 del 1973, nell’ambito delle diverse attribuzioni degli uffici, anche per
quanto riguarda l’assolvimento di taluni obblighi internazionali di natura
pattizia o comunitaria;

art. 37 del D.P.R. n. 600 del
1973, primo comma, riguardante il controllo delle dichiarazioni anche in
relazione alla predisposizione dei criteri selettivi per l’individuazione dei
soggetti da sottoporre a controllo;

art. 38
del D.P.R. n. 600 del 1973, per la rettifica delle
dichiarazione delle persone fisiche;

art. 39
del D.P.R. n. 600 del 1973, per la determinazione dei redditi di impresa e di
lavoro autonomo per i quali è prevista la tenuta delle scritture contabili;

art. 40
del D.P.R. n. 600 del 1973, per la rettifica delle dichiarazioni dei soggetti
diversi dalle persone fisiche;

art. 41
del D.P.R. n. 600 del 1973, per l’accertamento d’ufficio in caso di omessa
presentazione delle dichiarazione o di dichiarazioni
nulle;

artt. 51, primo
comma, 54, 55 e 65 del D.P.R. n. 633 del 1972 per l’esercizio delle
analoghe facoltà, già precedentemente individuate ai fini delle imposte sui
redditi;

artt. 23, 24 e 25 del D.Lgs. 15
dicembre 1997, n. 446, istitutivo dell’Irap, per l’esercizio delle relative
attività.

Sotto il profilo operativo, oltre
l’indicazione delle predette disposizioni, ulteriori motivi di innesco delle
indagini in questione sono individuabili nelle ipotesi delineate nella
circolare 131/E del 30 luglio 1994 – parte terza – dal punto di vista
soggettivo e oggettivo, alle quali opportunamente si rinvia, in coerenza con i
noti principi di economicità e proficuità nell’azione di controllo, ferma
restando la "corretta e riservata utilizzazione dei dati e delle
notizie" acquisiti.

E’ appena il caso di rammentare,
per completezza di argomento, che limitatamente alle attività istruttorie in
commento, le motivazioni condizionanti l’esercizio della collaterale potestà
prevista dagli artt. 33, secondo comma, del D.P.R. n.
600 del 1973 e 52, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 sono individuabili
nel corpo delle stesse disposizioni.

5.1. Gestione delle risultanze
emerse dalle indagini

Premesso quanto sopra, lo scopo
dell’indagine consiste, in pratica, nell’acquisizione della copia dei
"conti" relativi ai singoli rapporti od operazioni di natura
finanziaria, compresi gli eventuali servizi e garanzie – con allegata la
documentazione sottostante -, intrattenuti dal contribuente con "banche,
società Poste italiane spa, intermediari finanziari, imprese di investimento,
organismi di investimento collettivo del risparmio e società fiduciarie"
per ricostruire l’effettiva disponibilità reddituale ovvero il volume delle
operazioni imponibili e degli acquisti effettuati dal contribuente stesso al
fine di rettificarne le relative dichiarazioni.

Ovviamente, la documentazione
così ottenuta sarà analizzata a cura dell’organo procedente al fine di riscontrare
direttamente se le movimentazioni – attive (accreditamenti) e passive
(prelevamenti) – ivi evidenziate siano o meno coerenti
con la contabilità del soggetto sottoposto a controllo, ovvero non siano
imponibili o non rilevino per la determinazione del reddito e/o della base
imponibile IVA, come anche, con riguardo alle persone fisiche, non risultino
compatibili con la loro complessiva capacità contributiva.

Qualora, invece, alle predette
movimentazioni non sia possibile dare immediata rilevanza e concludenza ai fini
dell’accertamento, l’ufficio procedente, pur nell’ambito delle sue autonome
valutazioni discrezionali, aziona opportunamente l’interpello preventivo del
contribuente, istituto già esaminato al paragrafo 4.4
del Capitolo Quarto.

A quest’ultimo riguardo, si
ritiene che in linea di principio possano assumere valida valenza
giustificativa – soprattutto in caso di discordanza tra i dati bancari e
finanziari e le rilevazioni contabili – gli atti e i documenti che provengono
dalla Pubblica amministrazione, da soggetti aventi pubblica fede (notai,
pubblici ufficiali, ecc…), da soggetti terzi in qualità di "parte" di
rapporti contrattuali di diversa natura, così come nel caso di rimborsi,
risarcimenti, mutui, prestiti, ecc.… Poiché le presunzioni legali, inoltre,
possono venire contraddette anche da giustificazioni
di carattere tecnico, legate al particolare operare del tributo, si precisa
che, soprattutto in funzione prospettica dell’accertamento unificato, il
contraddittorio deve essere condotto tenendo conto della specificità della
singola imposta, in quanto – in linea di massima – la giustificazione ai fini
Iva di un movimento "bancario" può non essere automaticamente valida
o significativa anche ai fini reddituali.

In particolare, per quanto riguarda
la determinazione del reddito, il numero 2) del primo comma
dell’articolo 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevede che i dati e gli
elementi risultanti dai rapporti e dalle operazioni intercettati ai sensi del
successivo numero 7) o rilevati secondo la particolare procedura di cui
all’articolo "33, secondo e terzo comma, sono
posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39,
40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la
determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo
stesso fine".

Si rammenta – come anticipato al paragrafo 4.4 del Capitolo Quarto – che, ai
fini presuntivi di cui al citato n. 2), l’art. 2, comma 9, del decreto-legge n.
203 del 2005, consente ora di utilizzare anche i dati e gli elementi
"acquisiti ai sensi dell’art. 18, comma 3, lettera b), del decreto
legislativo 26 ottobre 1995, n. 504", in materia di accertamento delle
imposte sulla produzione e sui consumi; tale disposizione, peraltro, già prevedeva,
sia pure genericamente, la possibilità di utilizzo di tali elementi "anche
ai fini dell’accertamento in altri settori impositivi".

A prescindere da tale ultima
integrazione, quanto finora delineato sta a significare che, nel nuovo contesto
normativo, non solo i versamenti risultanti dai conti bancari ma anche quelli
rilevati dai conti finanziari o da operazioni "fuori conto" si
presumono come ricavi, compensi ovvero elementi positivi rappresentativi per le
sole persone fisiche di altri elementi reddituali da porre a base delle
rettifiche e degli accertamenti di tipo analitico, analitico-induttivo,
induttivo e sintetico, laddove la locuzione "posto a base" va intesa
come il riconoscimento legale dell’attitudine probatoria che tali
movimentazioni assumono ai fini dell’efficacia presuntiva che l’organo
procedente intende utilizzare per assolvere il proprio onere dimostrativo.

In proposito, occorre altresì
sottolineare che il dato letterale della disposizione in commento, al pari
dell’omologa previsione in materia di Iva, fa riferimento all’endiadi
"dati ed elementi", mentre il testo anteriore alla novella utilizzava
l’espressione "i singoli dati ed elementi". La mancata conferma
dell’aggettivo "singoli" non deve indurre, tuttavia, a un facile
sovradimensionamento della relativa soppressione nel senso che la stessa non
rappresenta sostanzialmente un allargamento delle modalità di utilizzo degli
elementi di prova.

Tale abolizione, in concreto, non
consente di ritenere che la contestazione dei singoli addebiti possa avvenire
per "masse" o addirittura sulla base di un mero "saldo
contabile", atteso che, anche dopo tale soppressione, l’analisi deve
riguardare ogni singolo elemento della movimentazione, quand’anche ricompresa
in un’operazione unica e, a maggior ragione, quando si tratti di operazioni
autonome. Valga, a titolo di esempio, il caso in cui il contribuente versi con
un’unica distinta più assegni bancari, assegni circolari, assegni postali,
vaglia ed eventualmente contanti, ecc…, annotati sul
conto corrente bancario con un’unica e complessiva rappresentazione numeraria.

Conseguentemente, nella
esemplificata fattispecie – eventualmente comprensiva anche di operazioni di
segno negativo – occorrerà che l’organo procedente distingua per i singoli
prelevamenti e versamenti, nonché per qualsiasi altra operazione finanziaria, i
rispettivi elementi identificativi, senza escludere in via di principio la
possibilità di una compensazione di operazioni di segno contrario, sempreché il
contribuente specifichi il beneficiario della operazione passiva contestata,
qualificando così anche l’inerenza dell’operazione.

Sotto altro profilo, stante
l’espresso richiamo della norma alle ordinarie tipologie di accertamento si
ritiene che l’operatività delle presunzioni in esame si estenda, almeno dal
lato dei versamenti, alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie
reddituali.

Analogamente, il
medesimo numero 2) prevede che, alle "stesse condizioni"
(mancata considerazione in dichiarazione e rilevanza fiscale), i prelevamenti o
gli importi riscossi nell’ambito di tali rapporti od operazioni e non
risultanti dalle scritture contabili, nel caso in cui il soggetto controllato
non ne indichi l’effettivo beneficiario, sono considerati ricavi o compensi e
accertati in capo allo stesso soggetto.

Evidentemente, la disposizione
intende procedimentalizzare l’analisi, da parte dell’ufficio finanziario, della
maggiore capacità di spesa non giustificata dal contribuente, e correlare tale
maggiore capacità di spesa con le ulteriori operazioni attive effettuate
presuntivamente "in nero".

Oltre a ciò, appare opportuno
evidenziare che, stante il riferimento normativo alle scritture contabili, tale
ultima disposizione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti
obbligati alla tenuta delle stesse scritture, e quindi solo nel caso in cui sia configurabile un’attività economica, anche di natura
professionale.

Resta inteso che si sottrae alla
regola dell’inversione dell’onere della prova l’ipotesi in cui il contribuente
indica il beneficiario del prelevamento utilizzato per l’acquisto di un bene o
servizio non fatto transitare in contabilità; in tale ipotesi non scatta il
meccanismo presuntivo ma l’operazione deve essere
valorizzata alla stregua degli ordinari criteri dell’accertamento, i quali
presiedono al riconoscimento del costo in funzione della ricostruzione del
relativo ricavo. Per quanto riguarda, più in generale, la tematica del
riconoscimento dei costi non contabilizzati si rinvia al
successivo paragrafo 5.5 dedicato alla "Incidenza dei costi
occulti".

Con specifico riguardo
all’imposta sul valore aggiunto, la disciplina contenuta nell’art. 51, secondo
comma, numero 2), del D.P.R. n. 633 del 1972 prevede che i dati in argomento,
acquisiti sia secondo la procedura di cui al successivo
numero 7), sia attraverso i poteri e le facoltà di cui ai successivi
articoli 52, ultimo comma, e 63, primo comma, siano posti a base delle
rettifiche e degli accertamenti previsti agli articoli 54 e 55 del medesimo
decreto, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto in
dichiarazione o che gli stessi non si riferiscono a operazioni imponibili.
Analogamente a quanto previsto per le imposte sui redditi, l’art.
2, comma 8, del citato decreto-legge n. 203 del 2005, consente ora di
utilizzare i dati e gli elementi acquisiti, ai sensi dell’art. 18, comma 3,
lettera b), del decreto-legislativo n. 504 del 1995, ai fini dell’accertamento
delle imposte sulla produzione e sui consumi.

I versamenti non giustificati
potranno essere contestati come operazioni imponibili, cessioni o prestazioni
non contabilizzate, mentre i prelevamenti potranno essere valorizzati come
acquisti in nero.

L’aliquota IVA con cui
valorizzare tali importi è, nel caso in cui non sia determinabile quella
propria della singola operazione, l’aliquota in prevalenza applicata. In tal
caso, naturalmente, si deve operare in maniera distinta per i prelevamenti e i
versamenti.

Si ricorda che, in relazione al
trattamento fiscale degli acquisti non fatturati, non è più previsto il
pagamento dell’imposta, stante l’abrogazione dell’articolo 41 del decreto IVA a opera dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 471 del
1997. Si richiama, a tal proposito, il punto 2.7 della
circolare 23/E del 25 gennaio 1999 con riferimento all’applicabilità del
contenuto dell’articolo 41 del D.P.R. n. 633 del 1972 alle violazioni commesse
in vigenza di tale disposizione.

5.2. Utilizzo degli elementi
risultanti dalle indagini esperite nei confronti di terzi

Un ulteriore approfondimento del
dato normativo contenuto nei citati numeri 2) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600
del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 si rende necessario con riferimento
all’intestazione soggettiva fittizia dei "conti", intesa come
strumento negoziale utilizzato in modo distorto per procurare al disponente un
illecito risparmio di imposta. Si tratta ovviamente di un’ipotesi di
"disponibilità" diversa da quella già considerata ed esplicitata nel paragrafo 4.2 del Capitolo Quarto, concernente le
legittime facoltà di disposizione dei conti intestati a soggetti diversi da
quello controllato in virtù di deleghe espresse rilasciate all’intermediario,
per gli effetti delle quali si fa rinvio, in tema di rapporti parentali,
all’analisi raccomandata dalla sentenza della Cassazione n. 8826 del 28 giugno
2001, sul titolo sottostante le deleghe medesime. Afferma, in proposito, la Suprema Corte che in
tale ambito di rapporti (figlio/genitori) la presunta imputabilità al delegato
delle posizioni creditorie e debitorie annotate sui conti del
delegante resta "su un piano enunciativo" qualora l’ufficio
non provi che le operazioni compiute sono effettivamente "ascrivibili alle
operazioni proprie del rappresentante".

Comunque, nonostante la mancanza
di un’espressa previsione normativa, risulta ormai fuori di dubbio
l’estendibilità delle indagini ai conti di "terzi", cioè di soggetti
non interessati dall’attività di controllo, atteso che – per la costante
giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo (da
ultimo, Cassazione n. 2738/2001) – le citate disposizioni, utilizzando
la locuzione "i dati e gli elementi risultanti dai conti possono essere
posti a base delle rettifiche e degli accertamenti", legittimano anche
l’apprensione di quei conti di cui il contribuente sottoposto a controllo ha
avuto la concreta ed effettiva disponibilità, indipendentemente dalla formale
intestazione.

In questo ambito, si rammenta che
nello stesso filone giurisprudenziale, non poche pronunce (per
tutte, Cassazione n. 8683/2002), in relazione alla possibilità di
acquisire legittimamente i dati relativi ai conti correnti del coniuge, hanno
affermato che secondo l’esperienza comune costituisce un espediente normale
l’intestazione dei conti correnti alla moglie quando il contribuente sia
passibile di controlli fiscali. La sentenza sopra richiamata fornisce,
peraltro, un’ulteriore motivazione al suesposto criterio di estendibilità delle
indagini bancarie affermando che se la legge consente l’acquisizione delle
garanzie prestate da terzi, a maggior ragione è consentita l’acquisizione dei
dati relativi ai conti correnti del coniuge. Analoga considerazione è stata
svolta (Cassazione n. 4987/2003) anche per i conti intestati a soggetti terzi
rispetto a una società sottoposta a controllo – sia essa di persone o di
capitali, a ristretta base azionaria –, allorché gli stessi soggetti risultano
legati alla medesima da particolari rapporti (cointeressenza, rappresentanza
organica, ecc…), atteso che tali rapporti giustificano di per sé la presunzione
di riferibilità dei conti e dei dati da essi
desumibili alla società oggetto di indagine, indipendentemente dalla formale ed
estranea intestazione.

Ciò premesso, per quanto riguarda
l’operatività delle anzidette disposizioni, con riguardo all’attività
istruttoria in questione, resta inteso che, in via di principio, le potestà di
cui ai numeri 2) e 7) trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o
cointestati al contribuente sottoposto a controllo. E’ indubbio, però, che le
stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle
operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al
contribuente da vincoli familiari o commerciali, a condizione che l’ufficio
accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è
"fittizia o comunque è superata", in relazione alle circostanze del
caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle
posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione
"bancaria" acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999,
8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003).

L’intestazione fittizia, in
sostanza, si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso
dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili
formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da
imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento
all’attività svolta.

A tal proposito, allo specifico
fine dell’utilizzo delle speciali presunzioni legali delineate dai citati
numeri 2) si ricorda che la vigente prassi non prevede l’obbligo di
interpellare preventivamente il soggetto che abbia la titolarità formale dei
"conti" oggetto di indagine, essendo prevista soltanto la possibilità
di interpello preventivo nei confronti del contribuente sottoposto a controllo.
Ovviamente, anche se l’ufficio è tenuto a fornire la prova che i movimenti
"bancari" risultanti da detti "conti", formalmente
intestati al terzo, siano in realtà attribuibili al contribuente stesso, ove il
particolare tipo di accertamento richieda il coinvolgimento dello soggetto
interposto, nulla impedisce al predetto ufficio di rivolgersi anche a
quest’ultimo mediante apposita procedura autorizzatoria, e, al limite, ai sensi
dei numeri 4 e 8-bis dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973.

Giova peraltro ricordare che, sia
pure ai soli fini delle imposte sui redditi, per quanto riguarda le ipotesi in
cui il soggetto sottoposto a controllo ha fatto transitare sui
"conti" intestati a terzi redditi derivanti dall’esercizio della
propria attività economica o professionale, soccorre aggiuntivamente l’espressa
previsione di cui all’art. 37, comma 3, del D.P.R. n.
600 del 1973, la quale consente di attribuire appunto allo stesso soggetto
"i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti
quando sia dimostrato anche sulla base di presunzioni gravi, precise e
concordanti che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona".

E’ appena il caso di precisare
che lo schema di interposizione soggettiva fittizia delineato da quest’ultima
disposizione si caratterizza, rispetto a quello civilistico, per il fatto che
l’accordo tra interposto e interponente non interessa l’Amministrazione
finanziaria che, nonostante a sua volta sia "parte" del rapporto
obbligatorio di imposta, resta soggetto terzo non consenziente. In altri termini,
nella fattispecie tributaria l’interposizione viene
concepita come inserimento di uno schermo soggettivo fittizio e deviante fra il
contribuente e l’Amministrazione stessa, con la conseguenza che, tanto più
l’interposto (o prestanome) è passivo (cioè solo nominativamente partecipe),
tanto più l’interponente potrebbe risultare il dominus dell’accordo e in
definitiva il vero centro di imputazione dei diritti e degli obblighi giuridici
di natura fiscale.

In questa fattispecie, l’ufficio
impositore deve acquisire la prova effettiva – anche mediante presunzioni,
purché gravi, precise e concordanti – che si sia realizzato il possesso di
redditi per interposta persona e che, quindi, detti redditi, in quanto
correlabili a movimentazioni finanziarie siano da imputare all’interponente,
anche se i redditi stessi risultino formalmente dichiarati dall’interposto.

Naturalmente, nel caso in cui già
in sede di istruttoria della singola posizione del contribuente sottoposto a
controllo emergano elementi tali da stabilire in via immediata significativi
collegamenti con soggetti terzi, trova tuttora applicazione quanto già
precisato nella citata circolare n. 131/E del 1994, parte terza, circa
l’estendibilità delle indagini bancarie a tali ultimi soggetti.

5.3. Utilizzo degli esiti delle
indagini effettuate nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria

Sempre ai fini delle rettifiche e
degli accertamenti, giova rammentare che la disposizione contenuta nei ripetuti
numeri 2) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del
1972 consente altresì di utilizzare le notizie, i dati e i documenti acquisiti
nel corso di indagini creditizie e finanziarie effettuate dalla Guardia di
finanza nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria.

Difatti, tale potere è legittimamente
azionabile per effetto dell’espresso richiamo all’art. 33,
terzo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973 e agli artt. 52,
secondo comma, e 63 del D.P.R. n. 633 del 1972, i quali prevedono che il
citato organo investigativo, previa autorizzazione rilasciata dall’autorità
giudiziaria anche in deroga all’art. 329 del codice procedura penale possa
utilizzare e trasmettere agli uffici finanziari competenti i predetti elementi,
acquisiti direttamente od ottenuti da altre forze di polizia.

A questo riguardo, si richiama
l’attenzione degli uffici procedenti che in virtù del consolidato orientamento
della giurisprudenza di legittimità (Cassazione nn. 3852/2001, 15914/2001,
15538/2002), la quale ha precisato che la citata autorizzazione dell’autorità
giudiziaria è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei
soggetti coinvolti nel relativo procedimento o di terzi, resta inteso che, pur
in assenza della autorizzazione stessa ovvero in caso di incompetenza dello
stesso organo inquirente, l’eventuale acquisizione dei dati, delle notizie e
dei documenti da parte dell’organo di polizia non "tocca l’efficacia
probatoria dei dati trasmessi", per cui l’ufficio
procedente legittimamente deve porli ugualmente (c.d. principio di
conservazione della prova) a fondamento del provvedimento di accertamento.

Si sottolinea, sempre con
riguardo alla valenza probatoria dei predetti elementi, che le procedure,
amministrativa e penale, rimangono comunque distinte. Su questo ultimo punto
l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 33 del 26 febbraio 2002 ha rigettato la
censura della pretesa inconciliabile antinomia fra il regime istruttorio
probatorio proprio del procedimento penale, nel cui ambito l’indagato ha
diritto di non rispondere, e quello tributario; la Corte ha
infatti ritenuto priva di rilevanza "la circostanza che il
contribuente possa avere di fatto interesse a non addurre giustificazioni
eventualmente idonee a vincere la presunzione nel caso in cui gli elementi che
egli potrebbe addurre siano tali da esporlo a conseguenze negative in un altro,
distinto, procedimento nel quale è posta in causa un’ipotesi di responsabilità
penale dello stesso contribuente".

Ovviamente, nel caso in cui i
dati delle indagini penali non siano di per sé sufficienti per l’adozione di un
sostenibile accertamento, l’eventuale acquisizione degli ulteriori elementi
presso gli intermediari finanziari necessita dell’attivazione dell’articolata
procedura di cui ai numeri 7) e, quindi, propedeuticamente, dell’autorizzazione
dell’organo sovraordinato.

5.4. Valenza probatoria dei
prelevamenti nei confronti dei professionisti

Il comma 402,
lettera a), numero 1.1, dell’art. 1 della legge, con riferimento all’art. 32,
primo comma, punto. 2), del D.P.R. n. 600 del 1973, ha esteso ai
lavoratori autonomi la presunzione di "compensi" ai prelevamenti e
agli importi riscossi per i quali non siano stati indicati i beneficiari,
sempre secondo il citato principio dell’inerenza.

In sostanza, tale norma ha
esteso, ai fini delle imposte sui redditi, ai lavoratori autonomi il regime
presuntivo di imponibilità oltre che alle operazioni di accredito/versamenti
anche a quelle di addebito/prelevamenti o somme riscosse.
Quanto all’elemento additivo che associa ai prelevamenti gli "importi
riscossi", e che deriva sostanzialmente dall’estensione della disciplina
alle singole operazioni, si rinvia a quanto più in generale già precisato nella
Premessa al presente Capitolo, richiamando l’attenzione sulla specifica novità
che porta a considerare alla stessa stregua dei prelevamenti anche le singole
operazioni fuori conto del cambio di assegni o di valute ovvero altre
operazioni che non si realizzano – attraverso l’intermediario – in versamenti a
favore di se stesso o di altri beneficiari.

Evidentemente, l’anzidetta
disposizione intende valorizzare l’analisi, da parte dell’ufficio procedente,
della maggiore capacità di spesa, comunque manifestata e non giustificata dal
lavoratore autonomo, e correlare tale maggiore capacità con le ulteriori operazioni
attive anch’esse effettuate presuntivamente "in nero", nell’ambito
della specifica attività esercitata; e ciò, secondo una ragionevole regola di
comune esperienza che lo stesso legislatore ha tenuto presente e sulla quale ha
fondato il meccanismo presuntivo che consente, a certe condizioni, addirittura
di riprendere totalmente a tassazione i prelevamenti non giustificati.

La disposizione stessa, peraltro,
è stata adottata nel contesto di una rivisitazione complessiva dei poteri
istruttori in funzione di irrobustimento della specifica attività di controllo,
soprattutto con riguardo a quelle ipotesi in cui -anche in un’ottica di equità
sostanziale rispetto al diverso trattamento prima riservato alle categorie
imprenditoriali – la sottrazione di materia imponibile non è assolutamente da
escludere.

Anche con riguardo ai
prelevamenti dei professionisti valgono pertanto gli stessi argomenti
comunemente addotti in relazione all’efficacia probatoria dei versamenti e dei
prelevamenti già consentita dalla disciplina previgente per le imprese;
efficacia probatoria che non ha sinora trovato smentite da parte della
giurisprudenza, neanche sotto il profilo della legittimità costituzionale.
Semmai, il mantenimento dell’esclusione dei professionisti e dei loro "compensi"
dall’ambito applicativo della presunzione avrebbe dato, esso, adito a forti
sospetti di incostituzionalità, in quanto irragionevole discriminante tra le
due categorie di contribuenti che, invece, ai fini Iva
erano già trattate allo stesso modo dalla omologa disciplina dei relativi
poteri istruttori di cui all’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, numeri 2) e
7).

Sotto il citato profilo di
legittimità costituzionale, si fa rinvio in generale a quanto affermato dalla
Consulta – con sentenza del 6 giugno 2005, n. 225 -, di cui si riferisce
ampiamente nel paragrafo 5.5 con particolare alla tematica della deducibilità
dei costi non contabilizzati, anticipando in queste sede
che la presunzione circa i prelevamenti effettuati dai professionisti non
risulta neppure essa lesiva del principio di eguaglianza tra detentori o meno
di conti bancari, atteso che la stessa è suscettibile di prova contraria
attraverso l’indicazione del beneficiario delle somme prelevate dai conti.

Circa l’estensione soggettiva
della anzidetta disposizione operata dalla legge, occorre osservare in
particolare che il fondamento economico sotteso al descritto meccanismo
presuntivo, che si basa per le imprese prevalentemente sull’acquisto e vendita
di beni, è configurabile anche per i lavoratori autonomi, sebbene non vendano
beni bensì prestino servizi. E’ di agevole constatazione, invero, che per
esercitare non poche attività professionali è proprio necessario l’acquisto di
beni (ad es., acquisto di protesi o di anestetici da
parte dell’odontoiatra) o comunque di servizi (ad es., pareri tecnici,
consulenze specialistiche, richiesti da un legale) per rendere prestazioni,
anche di natura complessa.

Del resto, la soggezione anche
dei lavoratori autonomi alla regola presuntiva intende attestare nella sua
essenza, semplicemente e comprensibilmente, che i prelevamenti per i quali non
si può (illegalmente, come ad esempio, per l’eventuale pagamento di tangenti) o
non si vuole (per mero spirito evasivo, come per il pagamento di retribuzioni "fuori
busta" o di acquisti in nero) fornire detta indicazione sono da
considerare costi in nero che hanno ragionevolmente generato compensi non
contabilizzati.

Senza nondimeno sottacere che una
regola come quella introdotta – e qui considerata in un
ottica diversa da quella che attiene al riconoscimento dei costi
occulti, cui è improntato il successivo paragrafo 5.5 – spiega la sua utilità
anche per la configurazione e l’attribuzione di costi presunti a carico di una
attività professionale di un soggetto controllato, per effetto dei prelevamenti
che abbiano avuto una destinazione ufficiale e trasparente diversa da quella
reale; e ciò al fine di eludere gli obblighi contabili del professionista per
l’operazione passiva effettuata mediante l’accertato prelevamento e far
assolvere a un soggetto interposto il proprio onere finanziario verso
l’originario fornitore che non si ha interesse a indicare, nell’ambito di una
preordinata convergenza evasiva di comune convenienza.

Giova peraltro rilevare, tra le
altre considerazioni, che una siffatta regola assume anche una chiara valenza
rigoristica e deterrente per avvisare e indurre i professionisti, non meno che
gli imprenditori, a prestare particolare attenzione a una coerente rispondenza
tra movimenti, compresi i prelievi in conto corrente, e registrazioni (sul
registro dei compensi e delle spese o sui registri Iva sostitutivi), in quanto
eventuali prelievi non annotati e per i quali non si possa
o non si voglia disporre di documentazione giustificativa dei pagamenti, non
risulta per nulla illogico che vengano reputati quali compensi.

Alla luce di tutte le suesposte
considerazioni, si ritiene opportuno che gli uffici procedenti, sotto il
profilo operativo, si astengano da una valutazione degli elementi acquisiti –
non solo dai conti correnti ma da qualsiasi altro rapporto od operazione oggi
suscettibili di indagine – particolarmente rigida e formale, tale da trascurare
le eventuali dimostrazioni, anche di natura presuntiva, che trattasi di spese
non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro
occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita
rapportabile al volume di affari dichiarato.

In altri termini, nell’ambito di
una generale esigenza sussistente nei riguardi anche delle categorie
imprenditoriali, necessita un ulteriore sforzo ricostruttivo e motivato
dell’ufficio che, lungi dall’automatico trasferimento delle risultanze
"patrimoniali" emerse in sede di indagini in capo al contribuente
destinatario del controllo, qualifichi le stesse in senso "economico"
e quindi reddituale secondo la metodologia e tipologia di accertamento in concreto adottata per l’esercizio della pretesa
tributaria.

Una volta confermata la coerenza,
sotto l’aspetto sia logico che giuridico- costituzionale, della estensione
dell’efficacia presuntiva operata dalla legge relativamente ai
"prelevamenti o agli importi riscossi", non risultanti dalle scritture contabili e ingiustificati, occorre
esaminare l’utilizzabilità o meno di tale meccanismo presuntivo di imponibilità
per rettificare o accertare in aumento i redditi riferibili agli anni
pregressi, in quanto considerati, salvo prova contraria, come compensi non
dichiarati.

Al riguardo, resta anzitutto
fermo quanto precisato nel paragrafo dedicato alle Generalità circa l’efficacia
retroattiva della nuova disciplina recata dalla legge, in conformità anche
delle indicazioni fornite dall’Agenzia in occasione del convegno di
"Telefisco 2005" (vedi circolare n. 10/E del 10 marzo 2005).

Per quanto riguarda la specifica
questione della decorrenza della disposizione in funzione dell’esperimento
della presunzione di cui al numero 2) dell’art. 32 del
D.P.R. n. 600 del 1973, si ritiene che essa possa rivestire natura meramente
procedimentale e, quindi, applicabile anche per l’accertamento di annualità
pregresse rispetto alla sua entrata in vigore (1° gennaio 2005).

In tal senso, depone il fatto che
la norma stessa regolamenta il potere istruttorio dell’amministrazione
finanziaria e non direttamente le regole di determinazione e quantificazione
del reddito. A tale proposito, si richiama la conforme e copiosa giurisprudenza
della Corte di Cassazione in ordine alle modifiche introdotte nella materia
delle indagini "bancarie" dall’art. 18 della legge n. 413 del 1991 (da ultimo, Sentenza n. 10538/2006).

In altri termini, si ritiene che
per gli appartenenti alla categoria dei lavoratori autonomi la modifica
comportante la suddetta estensione non si risolva in un mutamento sostanziale
delle regole di determinazione del reddito quanto a un suo elemento essenziale,
bensì la stessa ha l’effetto di addossare ragionevolmente ai predetti
contribuenti l’onere della "prova contraria" per qualsiasi operazione
passiva posta in essere, anche in via episodica, in epoca in cui il sistema
vigente non attribuiva alle risultanze delle operazioni medesime una valenza,
sotto il profilo istruttorio, corrispondente a quella sopravvenuta.

Ne consegue che l’applicazione
estensiva ai lavoratori autonomi della presunzione di compensi per i
prelevamenti e le riscossioni non interferisce sul rapporto tributario, ma
ribalta soltanto l’onere incombente sull’Amministrazione di provare la pretesa
impositiva.

In sostanza, la pratica di tale
strumentazione istruttoria – prevista dai numeri 2) e 7) – non risulta
condizionata da alcun limite temporale, trovando applicazione quindi anche per
gli anni pregressi; infatti, "l’aspettativa di una maggiore probabilità di
sottrarsi alla scoperta di irregolarità o infrazioni non integra un diritto
tutelabile, e, quindi, può essere vanificata dalla legge sopraggiunta che renda più ampi ed efficaci gli interventi degli organi
preposti a detta scoperta" (Cassazione n. 1728/1999).

Resta inteso che nell’applicare
la norma ad annualità precedenti – ma analoga cautela si ritiene che sia
esperibile anche per le annualità dal 2005 in poi – occorrerà in ogni caso
considerare quanto già precisato dalla richiamata circolare n. 28/E del 2006, al paragrafo 7 (a commento delle modifiche
apportate all’art. 19 del D.P.R. n. 600 dal decreto legge n. 223 del 2006; vedi
il successivo paragrafo), secondo la quale "i
contribuenti interessati possono ritenersi sollevati dall’onere di fornire la
predetta dimostrazione in relazione a prelievi che, avuto riguardo all’entità
del relativo importo ed alle normali esigenze personali o familiari, possono
essere ragionevolmente ricondotte nella gestione extra-professionale".

5.4.1. Nuovi obblighi contabili
per gli esercenti arti e professioni

Anche al fine di meglio
specificare l’applicazione della novella di cui al punto precedente, l’art. 35, comma 12, del decreto legge n. 223 del 2006
-realizzando al contempo finalità generali di trasparenza contabile – ha
modificato l’art. 19 del D.P.R. n. 600 del 1973 in tema di adempimenti
contabili degli esercenti arti e professioni, prevedendo – attraverso
l’inserimento di due nuovi commi, terzo e quarto – la tenuta di uno o più conti
correnti bancari o postali ai quali affluiscono,
obbligatoriamente, le somme riscosse nell’esercizio dell’attività e dai quali
sono effettuati i prelevamenti per il pagamento delle spese. Inoltre, i
compensi in denaro per l’esercizio di arti e professioni sono riscossi
esclusivamente mediante assegni non trasferibili o bonifici ovvero altre
modalità di pagamento bancario o postale nonché mediante sistemi di pagamento
elettronico, salvo per importi unitari inferiori a 100 euro.

La circolare n. 28/E del 2006,
paragrafo 7, ha
precisato che per quanto riguarda i conti correnti bancari o postali, da tenere
obbligatoriamente sia per il prelievo di somme finalizzate al pagamento delle
spese sostenute sia per il versamento dei compensi riscossi, non
necessariamente devono essere "dedicati" esclusivamente all’attività
professionale, ma possono eventualmente essere utilizzati anche per operazioni
non afferenti l’esercizio dell’arte o della professione. Ciò significa che gli
stessi possono essere utilizzati per effettuare operazioni anche a titolo
personale, ferma restando la possibilità di utilizzo dei "prelevamenti
personali", ai fini dell’esercizio delle presunzioni legali previste dai
numeri 2) dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 51 del D.P.R. n.
633 del 1972, qualora il contribuente non ne giustifichi la destinazione.

L’obbligo di istituzione del
conto corrente bancario o postale per le finalità di cui sopra decorre
dall’entrata in vigore del citato decreto legge (4 luglio 2006).

Il successivo comma 12-bis
dell’art. 35, inserito dalla legge di conversione del 4 agosto 2006, n. 248,
dispone che l’originario limite di 100 euro di cui al quarto comma dell’art. 19
del D.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dal precedente comma 12, "si
applica a decorrere dal 1° luglio 2008. Dalla data di entrata in vigore della
legge di conversione del presente decreto e fino al 30 giugno 2007 il limite è
stabilito in 1000 euro. Dal 1° luglio 2007 al 30 giugno 2008 il limite è
stabilito in 500 euro".

A seguito delle modifiche
apportate dalla legge di conversione, la stessa circolare n. 28 precisa che
"l’obbligo di riscuotere i compensi in argomento mediante strumenti
finanziari "tracciabili", nei limiti appena richiamati, decorre dalla
data di entrata in vigore della predetta legge di conversione." (12 agosto 2006).

5.5. Incidenza dei costi occulti

Per quanto riguarda il settore
dell’imposizione diretta, particolare attenzione merita la problematica
riguardante il regime di deducibilità dei costi e delle spese correlabili ai
ricavi e ai compensi non dichiarati risultanti dall’indagini
bancarie.

Al riguardo, occorre
preliminarmente rammentare che, in forza della presunzione
legale prevista dal numero 2), primo comma, dell’art. 32 del D.P.R. n.
600 del 1973, i predetti ricavi e compensi sono "posti a base delle
rettifiche e degli accertamenti previsti dagli artt. 38, 39, 40 e 41"
dello stesso decreto; ciò significa che essi assumono, a
seconda della metodologia e tipologia di accertamento prescelta,
distinta valenza nell’ambito della determinazione della pretesa tributaria,
anche in funzione dell’ammissibilità e delle modalità del riconoscimento dei
componenti negativi.

In particolare, per quanto
concerne l’accertamento dei redditi di impresa determinati sulla base delle
scritture contabili ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973, occorre,
in via di principio, rapportarsi al disposto dell’art. 109, comma 4, lettera
b), ultimo periodo, del Tuir (applicabile anche alle imprese minori ex art. 66,
comma 3, Tuir),. il quale
prevede che "Le spese e gli oneri specificamente afferenti i ricavi e gli
altri proventi, che pur non risultando imputati al conto economico concorrono a
formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui
risultano da elementi certi e precisi.".

La lettura di questa
disposizione, condizionata dalle anzidette connotazioni di certezza e
precisione degli elementi probanti gli oneri e le spese extracontabili, va
fatta sistematicamente nell’ambito dell’operatività del primo
comma del citato articolo 39, la quale – anche in sede di valorizzazione
degli esiti delle indagini effettuate – consente di riprendere come ricavo, a
base dell’esercizio della pretesa tributaria, le movimentazioni finanziarie,
senza il parallelo riconoscimento di maggiori costi o spese in mancanza di
qualsivoglia giustificazione da parte del contribuente.

In altri termini, in caso di
accertamento fondato sia sul metodo analitico (lettere a), b) e c) del citato
primo comma) che su quello analitico-induttivo (successiva lettera d) – per
quest’ultima ipotesi, si rammenta che la ricostruzione del reddito d’impresa
trae comunque origine dalla contabilità, ma può essere supportata dall’impiego
di presunzioni che, tuttavia, devono rispettare rigorosamente i requisiti di gravità precisione e concordanza previsti dall’art. 2729
del codice civile -, nessun margine si offre all’ufficio procedente ai fini di
un possibile riconoscimento di componenti negative di cui non è stata fornita
da parte del contribuente prova certa. Sul punto, si richiama la recente
sentenza della Corte di Cassazione n. 18016 del 4 maggio 2005 (depositata il 9
settembre), secondo la quale "alla presunzione di legge (relativa) va
contrapposta una prova, non una altra presunzione
semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale"; e ciò nella
considerazione che sarebbe irragionevole far valere una diversa regola di
esperienza che a ricavi occulti siano genericamente e automaticamente
accompagnati costi occulti, mentre potrebbe assumere pari e superiore valore
una regola contraria che "a ricavi occulti siano accompagnati costi già
dichiarati in misura maggiore del reale".

La Suprema Corte,
quindi, ribadisce il principio che ove la presunzione legale operi
legittimamente è lo stesso contribuente che sia in sede amministrativa sia
eventualmente in quella contenziosa dovrà farsi carico della dimostrazione
delle proprie ragioni. Negli stessi termini si pone anche la coeva sentenza n.
19003, depositata il 28 settembre.

Naturalmente, qualora il
contribuente abbia giustificato nel corso del contraddittorio le movimentazioni
finanziarie effettuate, non opera la presunzione a livello legale e quindi, in
linea di massima, non si configura un parallelo problema di deducibilità di
costi.

Tuttavia, qualora a fronte di un
prelevamento il contribuente indichi come beneficiario un fornitore di cui non
ha provveduto a rilevare nei registri contabili le relative operazioni di
acquisto, ma di cui fornisce successivamente, in via extracontabile,
documentazione probante, l’ufficio procedente dovrà invece riconoscere detto
costo in coerenza con i criteri della ricostruzione analitico-induttiva del
reddito ai sensi della citata lettera d).

A conclusioni diverse si perviene
invece analizzando il metodo di rettifica rappresentato dall’accertamento
induttivo (o extracontabile), che è disciplinato dal secondo comma del citato
art. 39.

Com’è noto, tale tipo di
accertamento consente di determinare il reddito d’impresa "sulla base dei
dati e delle notizie comunque raccolti" dall’ufficio procedente, anche
indipendentemente dalla contabilità del contribuente e utilizzando presunzioni
pur prive degli usuali caratteri di gravità, precisione e concordanza,
sempreché ricorra – e quindi venga provata
dall’ufficio – una delle circostanze tassativamente elencate nelle lettere da
a) a d-bis) dello stesso secondo comma.

Pertanto, in caso di
ricostruzione del reddito d’impresa sulla base del predetto metodo, l’ufficio
non può non tenere conto, soprattutto in assenza di documentazione certa, di
un’incidenza percentuale di costi presunti a fronte dei maggiori ricavi
accertati; regola che, ovviamente, vale anche se in tutto o in parte i maggiori
ricavi siano stati assunti tramite indagini bancarie. E’ appena il caso di
ribadire che tale riconoscimento resta escluso ai fini Iva
poiché nel meccanismo di tale tributo la base imponibile è costituita
dall’insieme dei soli corrispettivi dovuti al cedente o al prestatore
(Cassazione n. 7973/2001).

Trattasi di un criterio che
presuppone per la determinazione del reddito da parte dell’impresa la imprescindibile esistenza di un costo a cui corrisponde
l’investimento che ha generato il ricavo, atteso che diversamente opinando
siffatta determinazione si rivelerebbe confliggente con il principio di
capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

Sotto il citato profilo di
legittimità, è il caso di sottolineare che la Consulta – con sentenza
del 6 giugno 2005, n. 225 -, sia pure con riferimento
a fattispecie pregressa riguardante l’equiparazione dei prelevamenti effettuati
da un imprenditore ai ricavi non contabilizzati -, ha definitivamente stabilito
che la relativa presunzione, sancita dall’art. 32, numero 2), del D.P.R. n. 600
del 1973, resta indenne da qualsiasi censura di illegittimità per le ragioni
che: tale presunzione non appare irragionevole in quanto il conseguente procedimento
accertativo non si traduce in una sanzione impropria né, tanto meno, in una
disparità di trattamento tra contribuenti; non sussiste alcuna violazione del
principio di capacità contributiva in quanto risulta pienamente ammissibile
l’incidenza percentuale dei relativi costi, e conseguentemente detraibili
dall’ammontare dei prelievi non giustificati, trattandosi evidentemente di
accertamento "induttivo" in senso stretto corrispondente al modello
ricostruttivo di cui all’art. 39, secondo comma, in
questione.

Ovviamente, in virtù
dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 40 del D.P.R. n. 600 del 1973, le
previsioni normative recate dall’articolo 39 spiegano la loro efficacia, oltre
che nei confronti delle persone fisiche titolari di reddito d’impresa – il cui
reddito complessivo è rettificabile ex art. 38 sia analiticamente (primo e
secondo comma) sia sinteticamente (quarto comma e seguenti) – anche nei
riguardi delle persone giuridiche individuate dall’art. 73 del Tuir e delle
società di persone e associazioni indicate nell’art. 5 dello stesso Tuir. Per
questi ultimi soggetti si osserva che a seconda che la società di persone o
l’associazione sia organizzata nella forma della società in nome collettivo o
in accomandita semplice o equiparata, ovvero in quella della società semplice o
equiparata si applicano, relativamente alle modalità di accertamento,
rispettivamente le regole dettate per le persone giuridiche (primo comma del
citato art. 40) o quelle che riguardano le persone fisiche (predetto art. 38).

Come più volte
anticipato, gli esiti delle indagini bancarie possono essere posti anche
a base degli accertamenti d’ufficio nelle ipotesi di omessa presentazione della
dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla. Anche per tale
tipologia di accertamento, disciplinata dall’art. 41 del D.P.R. n. 600 del
1973, è possibile distinguere il metodo analitico da quello induttivo.

Ai fini che qui interessano, si
ritiene utile rammentare che l’ufficio può procedere induttivamente non solo
con le stesse modalità previste dal citato secondo comma dell’articolo 39 –
cioè, utilizzando dati e notizie comunque pervenuti in suo possesso,
avvalendosi anche di presunzioni prive delle connotazioni di cui all’art. 2729
del codice civile -, ma addirittura su fatti ed elementi, anche isolati, dai
quali sia possibile ricavare ragionevolmente la
sussistenza e l’entità dei redditi d’impresa anche in difformità da eventuali
scritture contabili possedute, laddove il predetto secondo comma subordina
l’esercizio di tale facoltà accertativa alla mancanza o grave irregolarità
delle scritture stesse.

Ciò comporta che nell’ampia gamma
di ipotesi sottese allo stesso art. 41, pur sempre in
mancanza o nullità della dichiarazione, il riconoscimento di costi deve essere
livellato – anche in misura percentualistica – in ragione dei maggiori ricavi
accertati sulla base del meccanismo presuntivo di cui al numero 2) dell’art.
32, senza peraltro che pregiudizialmente debba essere trascurata la presenza in
una contabilità ordinata di costi regolarmente registrati.

Tutto quanto sopra precisato
relativamente alle diverse tipologie di accertamento trova sostanziale
applicazione anche nei confronti del reddito professionale, laddove la
presunzione legale in esame è prevista anche nei confronti dei lavoratori
autonomi e in particolare per quanto riguarda la valenza che assumono i
prelevamenti e gli importi riscossi che se non giustificati da parte del
contribuente possono essere ripresi a tassazione quali componenti positivi del
relativo reddito (in particolare, cfr. art. 39, terzo
comma, del D.P.R. n. 600 del 1973).

CAPITOLO SESTO

Sanzioni nei confronti degli
operatori finanziari

Relativamente alle sanzioni
previste nella specifica materia, la stessa circolare n. 116/E del 1996, sulla
base delle disposizioni vigenti all’epoca, ha fornito utili indicazioni,
distintamente per le violazioni riguardanti la richiesta della copia dei conti
e per quelle previste in merito alla successiva richiesta, mediante
questionario, di ulteriori dati, notizie e documenti.

In particolare, con riguardo alla
prima delle anzidette tipologie di violazioni, la relativa disciplina
sanzionatoria era dettata dell’art. 52, primo e terzo comma,
del D.P.R. n. 600 del 1973, valevole anche per le richieste avanzate agli
effetti dell’Iva, in forza del rinvio operato dall’art. 51,
terzo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972; relativamente alla seconda
tipologia di violazioni soccorreva invece l’art. 53, primo comma, dello stesso
D.P.R. n. 600, con riferimento sia alla mancata o inesatta risposta al
questionario di cui al numero 2) che alle violazioni
residuali di cui al successivo numero 4) dello stesso comma.

Per la determinazione delle pene
pecuniarie occorreva tenere conto dei criteri espressamente dettati dagli artt.
54 del D.P.R. n. 600 e 49 del D.P.R. n. 633.

L’art. 55 del medesimo D.P.R. n.
600 regolava invece sia la competenza che le modalità di applicazione delle
suddette sanzioni, prevedendo quanto alla prima l’adozione di provvedimenti
diversi: decreto del Ministro delle finanze (sentito, nella rispettiva
competenza, il Ministro del tesoro o il Ministro per le poste e le
telecomunicazioni) in caso di omesso invio della copia dei conti, ovvero di non
veridicità o incompletezza della stessa o della relativa specificazione dei
rapporti inerenti o connessi; avviso di irrogazione sanzioni degli uffici delle
imposte o degli uffici Iva, in caso di omessa, tardiva, incompleta o non
veritiera risposta al questionario diretto ad ottenere ulteriori dati e
notizie.

Per la recidiva delle infrazioni
di cui all’art. 52, primo comma, il successivo secondo
comma prevedeva, quale sanzione accessoria, la possibilità – su diretta proposta
del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro – di
sciogliere gli organi amministrativi della banca e, in caso di eccezionale
gravità, della revoca dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività
creditizia.

La riforma del sistema
sanzionatorio amministrativo per la violazione delle norme tributarie, attuata
(per quanto interessa) con i decreti legislativi del 18 dicembre 1997, nn. 471
e 472, ha
integralmente rivisto anche le suesposte sanzioni per le violazioni degli
obblighi previsti, in sede istruttoria, dagli artt. 32, primo
comma, n. 7), del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, n. 7) del
D.P.R. n. 633 del 1972, peraltro come ora novellati dalla legge.

In effetti, dal 1° aprile 1998
risultano, tra gli altri, abrogati dall’art. 16, comma 1, del citato D.Lgs. n. 471, gli artt. 52, 53, 54, 55 del D.P.R. n. 600 del 1973
nonché, oltre all’art. 49 del D.P.R. n. 633 del 1972, le altre disposizioni
sanzionatorie di quest’ultimo decreto presidenziale riguardanti la soggetta materia,
le quali non operavano per forza propria ma in virtù degli appositi rinvii ai
citati articoli del D.P.R. n. 600.

In particolare, l’art. 10 del
D.Lgs. n. 471, come recentemente modificato dall’art.
37, comma 6, del decreto legge n. 223 del 2006, disciplina, al comma 1 e 2, le
violazioni commesse dalle banche, dalle poste e dagli altri intermediari
finanziari con riguardo alle richieste operate nell’esercizio dei poteri
istruttori in commento, e, al comma 1-bis, le violazioni degli obblighi di comunicazione
previsti dall’art. 7, sesto comma, del D.P.R. n. 605 del 1973, in materia di
anagrafe tributaria.

Fermi restando i primi
chiarimenti resi in ordine alle modifiche apportate al suddetto art. 10 dal
decreto legge n. 223 del 2006 dalla circolare n. 28/E del 2006, paragrafo 48,
si precisa che la modifica apportata al comma 1, oltre a meglio delimitare
l’ambito soggettivo della fattispecie attraverso il puntuale riferimento ai
numeri 7 dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, del D.P.R.
n. 633 del 1972, ha
ampliato coerentemente l’ambito oggettivo della condotta, aggiungendo
all’omessa trasmissione dei documenti anche quella dei dati e delle notizie.

Consequenzialmente, la
corrispondente fattispecie commissiva della non rispondenza al vero o
incompletezza dei "documenti trasmessi", tenuto conto del nuovo
assetto dei poteri istruttori in commento e della ratio delle modifiche
apportate alle relative sanzioni, non può non riferirsi anche all’incompletezza
e alla non veridicità dei dati e delle notizie trasmesse, oltre che dei
documenti strettamente intesi. Ciò in quanto la locuzione "documenti
trasmessi", pur non modificata dal decreto legge n. 233, va intesa
sistematicamente nel senso di ricomprendere anche la condotte
consistenti nella formalizzazione di risposte telematiche (anch’esse
"documenti") che riportano dati e notizie non veritieri o incompleti.

Per quanto riguarda la misura
delle sanzioni per tutte le anzidette violazioni, il predetto art. 10 prevede
l’applicazione di un’unica sanzione amministrativa da euro 2.065 a euro 20.658,
ridotta alla metà se il ritardo nell’adempimento non supera i quindici giorni.

Improntato a unicità risulta
anche il relativo procedimento applicativo, disciplinato ora dall’art. 16 del
D.Lgs n. 472 del 1997, mediante notifica dell’atto di contestazione all’autore
della violazione, individuato, in via presuntiva, nella persona che ha
sottoscritto la risposta e, in mancanza di quest’ultima, nel legale
rappresentante della banca, delle poste o degli altri enti.

Al riguardo occorre precisare che
la legge ha apportato – come già evidenziato al paragrafo
3.1.1. del Capitolo Terzo – un’integrazione dei numeri 7), individuando
quale possibile destinatario delle richieste, oltre che i tradizionali
responsabili delle strutture locali o delle rispettive direzioni generali,
anche "il responsabile della struttura accentrata", al quale possono
essere ora indirizzate le richieste di informazioni, ancorché depositario, solo
in maniera derivata delle stesse. Pertanto, anche tale ultimo soggetto potrà
risultare in concreto quale sottoscrittore delle risposte e, quindi, come tale,
presuntivamente qualificabile, sempre salva prova contraria, come autore della
prevista violazione, ai sensi dell’art. 10, comma 3,
del D.Lgs. n. 471 del 1997; ovviamente, tale
responsabilità si configura anche per tutte le fattispecie di mancata risposta.

Tanto premesso, si pone il
problema della portata della disposizione di cui al secondo comma del citato
articolo, alla luce delle modifiche apportate in tema di responsabilità per
sanzioni amministrative tributarie dall’art. 7, comma 1, del D.L. 30 settembre
2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale prevede
che le "sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di
società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della
persona giuridica", modificando il criterio della responsabilità della
persona fisica autrice della violazione anche se agente nell’interesse di enti
collettivi.

Infatti, seppur sinteticamente
espresso, non può non ravvedersi nella norma citata l’introduzione di un nuovo
principio per l’individuazione della responsabilità per la sanzione
amministrativa tributaria relativamente alle società ed enti con personalità
giuridica.

Al contrario un’interpretazione
troppo letterale del concetto di rapporto fiscale proprio di società o enti con
personalità giuridica, che volesse limitarne l’applicazione ai soli rapporti
strettamente tributari con i soggetti passivi di imposta, determinerebbe
un’ulteriore frammentazione in ordine ai criteri che sovrintendono alla
responsabilità per sanzioni amministrative tributarie, escludendo tutti quei
rapporti che, pur non essendo strettamente tributari, comunque rientrano nella
fattispecie più ampia di rapporto fiscale proprio.

Ci si riferisce, ad esempio, agli
obblighi di comunicazione previsti dall’art. 7, del D.P.R. 29 settembre 1973,
n. 605, e alle relative sanzioni previste dall’art. 20, comma 1, lett. c), del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 473.

Una conferma in questo senso è
individuabile nella circolare n. 28 del 28 giugno 2004, dove, in particolare, è
stato precisato che "la nuova disciplina opera in relazione a tutte le
sanzioni amministrative aventi carattere tributario".

Naturalmente, per converso,
venuto meno il principio di personalità per le sanzioni applicabili alle
società ed enti forniti di personalità giuridica, tale principio resta
impregiudicato per i soggetti non dotati di personalità giuridica.

Alla irrogazione delle sanzioni
provvede l’Ufficio locale competente in base al domicilio fiscale del
contribuente soggetto all’azione istruttoria.

Nel rinviare ai chiarimenti
forniti con la circolare 23/E del 25 gennaio 1999 per quanto riguarda in
particolare il nuovo regime sanzionatorio definito dal citato art. 10 e con la
precedente circolare n. 180/E del 10 luglio 1998 per ciò che riguarda il nuovo
procedimento applicativo previsto, in modo tendenzialmente unitario, dall’art.
16 del D.Lgs. n. 472, e quindi anche per la
irrogazione delle sanzioni pecuniarie stabilite per le violazioni in commento,
si ritiene di dover sottolineare che la nuova sanzione amministrativa prevista
dal ripetuto art. 10, comma 1, sia più gravosa delle previgenti pene
pecuniarie;queste ultime pertanto continueranno ad essere applicate per le
violazioni commesse fino al 31 marzo 1998.

Tuttavia ciò non significa che
l’attuale regime, nel suo complesso, sia improntato ad una logica di
aggravamento punitivo, attesa la previsione (o ampliamento) di correttivi
mirati proprio a una riduzione delle sanzioni, come: il ravvedimento regolato
ora in modo organico e generalizzato dall’art. 13 del D.Lgs. n.
472; la definizione agevolata della sanzione irrogabile, nei termini e secondo
le modalità indicate nel successivo art. 16, comma 3, dopo la notificazione
dell’atto di contestazione; l’abbandono delle sanzioni accessorie contemplate
nell’abrogato art. 52, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973.

CAPITOLO SETTIMO

Il potere di
richiesta previsto dal numero 5) degli artt. 32 D.P.R. n. 600 del 1973 e
51 del D.P.R. n. 633 del 1972

Attraverso gli ampliamenti che, sotto
vari profili, i numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del
D.P.R. n. 633 del 1972 hanno registrato grazie agli specifici interventi della
legge ed in particolare al suo conseguente meccanismo probatorio, tale potere è
stato dotato di forti potenzialità incentive che hanno elevato il potere stesso
a propulsore della crescita istruttoria nel suo complesso. Il che è avvenuto
tramite un’omogeneizzazione del modello preesistente, in precedenza riferibile
soltanto a banche e poste .

Relativamente a tale punto, si è
trattato comunque dell’apporto di risorse e potenzialità di indagine aggiuntive
che non mancheranno di invertire il tradizionale trend storico di tale
strumento, finora attivato con parsimonia anche per i costi e le modalità di gestione
che naturalmente si manifestano in maniera più elevata quando
il conseguente utilizzo degli esiti acquisiti avviene nella piena
consapevolezza di tutte le potenzialità disponibili.

Nello specifico, per quanto
riguarda invece il numero 5), la legge ne ha ridotto in maniera rilevante la
riferibilità soggettiva, eliminando dalla platea, eccessivamente eterogenea,
dei soggetti "terzi" le società e gli enti che effettuano istituzionalmente
attività di gestione e intermediazione finanziaria, anche in forma fiduciaria,
e, in particolare, le banche e le poste, sia pure con riguardo alle
"attività finanziarie e creditizie".

Si è trattato, com’è evidente, di
una notevole razionalizzazione operativa di tale potere conseguente soprattutto
alla necessità di intercettare altrimenti il passaggio generazionale avvenuto
nella molteplicità degli impieghi, del reddito come degli strumenti finanziari.

Nessuna modificazione è stata
invece operata dalla legge sia sotto il profilo contenutistico che procedurale,
atteso che, anche ora si tratta di acquisire "dati e
notizie" disponibili da parte di ciascuno dei soggetti destinatari
in relazione alla tipicità dei soggetti stessi e con il medesimo iter procedurale
che, oltre a restare indenne da qualsiasi autorizzazione mentre resta
esperibile anche per "categorie", ha superato la
"revisione" della legge per la sua semplicità e speditezza di
percorso.

Nonostante che tale iter – come
di seguito meglio precisato – abbia registrato talune resistenze da parte di
importanti categorie di intermediari, è indubbio che la legge ha operato in modo chiaro e leggibile un riparto più logico
delle varie competenze tra i detti numeri 5) e 7), ispirandosi al principio di
proporzionalità tra scopo percepito e mezzi adoperati in quanto il potere di
accesso è stato diversamente tarato in base ed in conseguenza di una nuova
visione politico-legislativa dello specifico settore di controllo.

7.1. Rapporti del numero 5) con
il numero 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633
del 1972

L’aspetto caratterizzante della
"riforma" operata dalla legge si riassume, come già anticipato,
nell’ampliamento soggettivo e oggettivo dell’ambito applicativo dell’attività
istruttoria nel suo complesso, associato alla valenza presuntiva di una mole di
dati ed elementi che, nel sistema precedente, o non risultavano in alcun modo intercettabili oppure, quand’anche lo fossero,
la loro acquisizione doveva avvenire attraverso un diverso paradigma normativo.
Questo diverso percorso normativo non sempre ha però potuto fruire di un
indirizzo favorevole, dottrinario e giurisprudenziale, e ha pertanto scontato
notevoli e frequenti difficoltà sul piano operativo.

Infatti, talune iniziative,
assunte a livello regionale, hanno evidenziato sotto la risalente normativa
l’opportunità di precisare anche legislativamente le modalità di applicazione
dei poteri di controllo riguardo ai rapporti intercorrenti tra i soggetti
terzi, estranei al rapporto tributario, e il contribuente "nominativamente
individuato" o "categorie" di contribuenti interessati al
controllo stesso.

L’esercizio legittimo di tali
poteri – oltre quelli connessi alla collaborazione obbligatoria e automatica
mediante comunicazione all’Anagrafe tributaria e a quella diretta agli stessi
contribuenti – assicura infatti un notevole contributo
all’azione di controllo, ed è per tale ragione che l’ordinamento tributario ne
ha previsto, storicamente, l’adempimento sia su richiesta che "d’ufficio"
mediante accesso diretto degli organi ispettivi presso il soggetto terzo.

Il complesso dei poteri
esercitabili mediante richiesta nella materia in commento resta delineato, pur
con le modifiche apportate dalla legge, dai più volte
menzionati numeri 5) e 7).

Nell’esercizio di tali poteri, le
citate disposizioni distinguono in linea generale quelli in relazione ai quali
è necessaria un’apposita autorizzazione ed i cui esiti fruiscono di particolare
efficacia presuntiva con conseguente inversione dell’onere della prova, dagli
altri interventi che beneficiano invece di una libera e generalizzata
procedura, ancorché condizionati anch’essi da indubbi requisiti di legittimità
e di specifiche norme di azione, la cui produzione comunque assicura pur essa un
notevole apporto all’atto istruttorio in vista del successivo provvedimento
accertativo.

Tale distinzione risponde alla
logica che le richieste per le quali è prevista una specifica autorizzazione
presuppongono indagini più penetranti in quanto si riferiscono esclusivamente a
singole posizioni già individuate (o individuabili, rispetto alle società
fiduciarie) e che, in considerazione della maggiore incisività, richiedono
appunto una rigorosa procedura sia a garanzia del contribuente sia in aderenza
alle disposizioni in materia di trasparenza e imparzialità dell’azione
amministrativa secondo i principi solennemente ribaditi dallo Statuto dei
diritti del contribuente.

Riguardo, invece, ai poteri che
potevano e possono tuttora essere direttamente espletati senza necessità di un
preventivo atto autorizzatorio, i predetti numeri 5), nel testo precedente a
quello ora emendato dalla legge (ma solo per la parte
in corsivo) stabiliscono che gli uffici procedenti possono richiedere
"agli organi e alle Amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici non
economici, alle società ed enti che effettuano istituzionalmente riscossioni o
pagamenti per conto di terzi, ovvero attività di gestione e intermediazione
finanziaria, anche in forma fiduciaria", la comunicazione di dati e
notizie relativi a soggetti indicati, oltre che singolarmente, anche per
categorie.

La genericità della disciplina di
tale ultimo potere, soprattutto con riguardo a taluni dei soggetti terzi
oggetto di sovrapposizione con il potere dei successivi numeri 7), unitamente
allo scarso ambito acquisitivo di questi ultimi numeri, condizionato dalla
riferibilità dei relativi esiti allo speciale rapporto di "conto",
hanno indotto il legislatore, in una nuova impostazione strategica complessiva:

– all’eliminazione della
menzionata sovrapposizione, mediante espunzione dai numeri 5), e parallela loro
concentrazione nell’ambito di operatività dei numeri 7), di tutti gli
intermediari finanziari, comprese le fiduciarie;

– alla ricomprensione in tale
ultimo ambito dei dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto
intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati con i
loro clienti nonché alle garanzie prestate da terzi;

– all’operatività della efficacia
presuntiva e dell’inversione dell’onere della prova riguardo ai dati e
informazioni acquisiti in ordine ai predetti rapporti e operazioni.

Così operando, si è addivenuto ad
una distinta attribuzione di compiti e di funzioni, senza traumi, a ciascuno
dei due poteri, con notevole e trasparente alleggerimento di quello scaturente
dai numeri 5) e con parallela dilatazione del potere di cui ai successivi
numeri 7), capace ora di intercettare fenomeni come la mobilizzazione esasperata
del reddito, le opzioni decisionali di investimento e di consumo, gli impieghi
alternativi, le pianificazioni finanziarie, ecc…

7.2. Ambito soggettivo

Tra i soggetti destinatari delle
richieste, sia il primo comma dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 che il
secondo comma dell’art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, ai rispettivi numeri 5),
ne individuano alcuni in modo specifico e altri in funzione delle singole
attività che gli stessi svolgono istituzionalmente.

In questi ultimi casi il riferimento
alle caratteristiche dell’attività, anziché alla qualificazione dei soggetti,
pur rendendo incerta la ricomprensione di talune categorie, risponde
maggiormente alle esigenze connesse con l’azione di controllo il cui interesse
non è collegato allo specifico status dell’ente ma ad
una particolare attività che presuppone la disponibilità da parte dello stesso
dei dati oggetto di richiesta.

Sotto tale profilo, nell’ampia e
illimitata categoria degli enti che effettuano istituzionalmente riscossioni e
pagamenti per conto di terzi rientrano sicuramente, tra gli altri, i soggetti
che svolgono attività di recupero crediti, la SIAE, l’ACI e il PRA.

Per effetto delle modifiche
introdotte dalla legge, invece, non rientrano più in tale ambito i soggetti che
effettuano attività di gestione e intermediazione finanziaria, e in particolare
le società di investimento autorizzate ai sensi del decreto legislativo 24
febbraio 1998, n. 58, quali le SIM, le società di gestione del risparmio, le
SICAV e le società fiduciarie.

Sono note a questo riguardo le resistenze opposte dalle società fiduciarie alla loro
inclusione nell’ambito operativo della disposizione, sulla base della
formulazione legislativa precedente.

In pratica, a seguito delle
modifiche apportate dalla legge, è stata eliminata la discrasia tra l’ambito
applicativo dei numeri 7) di entrambi gli articoli in commento, la cui
procedura acquisitiva, all’epoca soltanto dei conti bancari e postali, è
assistita da rigorosi limiti operativi, e quella dei numeri 5) che nei
confronti di tutti i soggetti intermediari consentiva allora l’acquisizione,
senza alcuna specifica garanzia procedurale, delle stesse informazioni per
quanto riguarda in particolare i conti di deposito e di gestione patrimoniale.

Attesa la scelta del legislatore
di individuare i soggetti terzi alla stregua del possibile loro contributo
all’accertamento tributario, prescindendo eventualmente dalla qualifica del
soggetto, si ritiene che nel novero dei destinatari delle attività di oggettiva
intermediazione dei pagamenti e di riscossione vadano ricomprese anche le
banche e le poste; limitatamente alle attività diverse da quelle
"creditizie e finanziarie" (ad esempio, il collocamento da parte di
una banca degli abbonamenti per manifestazioni culturali, ricreative e
sportive), in quanto per la acquisizione dei relativi
dati si rileva chiaramente sproporzionato l’utilizzo di una procedura complessa
e autorizzata come quella prevista dai ripetuti numeri 7).

Dall’esercizio dei poteri in
questione sono esplicitamente esclusi – come per il passato – l’Istituto
centrale di statistica e gli Ispettorati del lavoro per quanto riguarda le
rilevazioni loro commesse dalla legge, nonché le società ed enti di
assicurazione con riguardo ai limiti del ramo vita.

7.3. Ambito oggettivo

Come già precisato, tale ambito,
salvo i ridimensionamenti subiti in conseguenza della contrazione soggettiva
apportata a entrambi i numeri 5) in commento dalla lettera a), numero 2), dei
commi 402 e 403 della legge, per i rispettivi settori impositivi, resta quello
stesso delineato dai punti stessi, tuttora vigenti.

L’apparente genericità delle
corrispondenti disposizioni degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del
D.P.R. n. 633 del 1972, in
ordine alla portata delle informazioni che l’organo procedente è legittimato a
richiedere, comporta anzitutto la necessità di delimitare il contenuto
espressivo dei termini "dati e notizie", ivi utilizzati.

In linea generale, per
"dati" sono da intendere quegli elementi che presentano requisiti di
oggettività in quanto fondati sulla disponibilità di supporti documentali che i
soggetti terzi hanno formato al fine dell’esercizio della propria attività.
Ovviamente, vanno assunti come dati anche gli elementi risultanti o rilevabili
da fonti documentali diverse dalle registrazioni e dalle scritture contabili
fiscalmente obbligatorie, purché dotati di idonea capacità rappresentativa.

A tale ultimo proposito, occorre
anzitutto precisare che le resistenze opposte all’azione istruttoria in
questione da alcuni soggetti terzi, e in particolare da alcune compagnie di
assicurazione, non risultano giustificate. Devesi infatti
sottolineare che, in coerenza con quanto già precisato nella circolare n.
116/E, resta ferma:

– la indefettibilità
della piena copertura giuridica di qualsiasi tipologia di richiesta avanzata
anche sotto il profilo della riservatezza dei dati che ne formano oggetto;

– la rispondenza della richiesta
stessa agli obiettivi di proficuità, efficienza, efficacia e tempestività
dell’azione di controllo intrapresa;

– la necessità di diversificare
le richieste a seconda delle varie tipologie dei
contribuenti in modo da non aggravare irragionevolmente – per ordine di
grandezza, per periodo di tempo, per configurazione categoriale, ecc. – le
funzioni gestionali già esistenti presso il soggetto destinatario o le sue
articolazioni organizzative.

Ciò posto,
resta fermo altresì che nei confronti delle predette compagnie nessun
problema si pone circa l’evasione delle richieste i cui dati e informazioni –
pur inerendo a rapporti indiretti – risultano compiutamente dalle evidenze di
contabilità. Valga l’ipotesi in cui il pagamento è disposto in modo coattivo in
sede giudiziaria al legale distrattario (o antistatario) ovvero in cui il
pagamento è effettuato spontaneamente dalla compagnia assicuratrice in maniera
diretta e autonoma al legale del sinistrato.

Per le ipotesi diverse, in cui
pure i dati e le informazioni richieste ineriscono a rapporti indiretti, si
ritiene che sussiste sempre un obbligo di comunicazione dei dati stessi pur in
mancanza di una rilevazione contabile. Si fa riferimento al caso dell’avvocato
che tratta la pratica assicurativa in nome e per conto del danneggiato e che
riceve dall’assicurazione l’assegno – intestato a quest’ultimo – per la
liquidazione del danno comprensivo del suo onorario, accompagnato dalla
quietanza con la specifica distinta di quanto spettante a titolo di danno e di
quanto relativo alle spese legali.

Anche nei casi come quello da
ultimo considerato la capacità di risposta da parte del soggetto richiesto è
condizionata esclusivamente dalla indisponibilità oggettiva dei dati;
indisponibilità che chiaramente non sussiste, in quanto:

– in concreto una corrispondenza
è intercorsa puntualmente tra il legale e la compagnia con obbligo di
quest’ultima di conservarne, ai sensi dell’art. 22, terzo
comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, i relativi supporti documentali
(lettere, fax, e-mail, telegrammi, ecc…);

– inoltre la suddetta capacità di
risposta è positivamente evoluta in ragione dell’attuale struttura
organizzativa che presuppone, di regola, una ordinazione
spesso formata e gestita anche ai fini del soddisfacimento di obblighi
comunicativi di altre autorità non fiscali, come ad esempio l’ISVAP
(provvedimento ISVAP n. 2179 del 10 marzo 2003) per la formazione della banca
dati dei sinistri r. c. auto.

Le esigenze istruttorie di cui
alla descritta prassi amministrativa sono state recentemente soddisfatte dalla
previsione di appositi adempimenti comunicativi da parte degli intermediari del
settore assicurativo per mettere a disposizione previamente in funzione di
controllo selettivo nell’ambito del sistema dell’anagrafe tributaria. Tali adempimenti
sono stati introdotti dall’art. 35, comma 27, del
decreto legge n. 223 del 2006.

Sul punto, nel rinviare alla
circolare n. 28/E del 2006, paragrafo 19, occorre qui sottolineare che secondo
le nuove disposizioni gli enti assicurativi devono comunicare non solo
l’importo della somma liquidata al beneficiario, oltre i dati del beneficiario
stesso, ma devono anche specificare indicando i relativi dati se per la
determinazione dell’importo si è tenuto anche conto delle prestazioni dei
soggetti terzi.

Si rammenta che il contenuto, le
modalità ed i termini delle trasmissioni, nonché le specifiche tecniche sono
demandate ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Sotto il profilo della privacy,
nel confermare peraltro quanto premesso in via generale al paragrafo 4.6. del
Capitolo Quarto, si precisa altresì che l’esclusione dei vincoli relativi alla
tutela della riservatezza del trattamento dei dati personali sussiste ogni
volta siasi in presenza di una gestione di elementi
compiuta in funzione degli interessi dell’amministrazione fiscale "in
considerazione del rilevante interesse pubblico" che vi è sotteso (art. 66
del D.lgs. n. 196 del 2003).

Nella suesposta accezione,
aggiungasi che i dati non devono necessariamente rivestire una
immediata rilevanza fiscale, richiedendosi soltanto che gli stessi
assumano anche indirettamente un risvolto impositivo.

Coerentemente con la logica
conoscitiva sottesa al secondo termine della endiadi legislativa, per
"notizie" vanno invece intesi gli elementi informativi che, pur
essendo, per definizione, privi di riscontri documentali e quindi anche di un
intrinseco valore probatorio, hanno comunque un concreto e oggettivo fondamento
in quanto estranei ad una mera valutazione soggettiva del terzo.

Conseguentemente, le notizie,
specie se richieste disgiuntamente dai dati, sono rimesse al libero
apprezzamento dell’ organo procedente in relazione
alle specifiche attività d’indagine da esso intraprese. Sia la logica
complessiva che il tenore letterale delle disposizioni lasciano intendere che,
in linea di principio, né fra i dati né fra le notizie sono da ricomprendere
documenti o scritture in senso tecnico.

I dati e le notizie che possono
essere richiesti, pur nella ridotta ma sempre ampia e diversificata gamma di
destinatari, non risultano specificamente indicati. Tuttavia, il potere in
esame, per la notevole importanza che riveste ai fini del controllo non solo per
la frequenza e la progressiva intensificazione del suo utilizzo, si presenta
particolarmente consistente, come è dato desumere anche dalla prevista
inopponibilità agli organi procedenti di "contrarie disposizioni di legge,
statutarie o regolamentari".

Sotto l’aspetto oggettivo occorre
prendere atto che le disposizioni in commento, salvo i limiti espressamente
previsti, non hanno circoscritto la particolare attività istruttoria a casi e
situazioni preventivamente definiti, né, tanto meno, esse hanno inteso
subordinarne l’esercizio a procedimenti rigorosi e tassativi, per quanto tale
attività, ovviamente, non è esente da sindacato di legittimità e di merito
quanto ai presupposti inerenti al suo esperimento.

Si precisa altresì che sono da
escludere tipologie di richieste che presuppongono elaborazioni complesse,
comportanti per i soggetti richiesti particolari e specifici oneri
organizzativi che si rivelino assolutamente incompatibili con la natura di
"prestazione imposta" nella cui categoria, come più volte accennato, sono pacificamente riconducibili gli
adempimenti in questione.

A maggior ragione sono da evitare
richieste aventi a oggetto dati ed elementi che, ai
sensi e per gli effetti dell’art. 7, undicesimo comma, e al limite anche del
successivo ultimo comma, del D.P.R. n. 605 del 1973, hanno già costituito
specifico obbligo di comunicazione.

Resta inteso, in ogni caso, che
per la configurazione del suaccennato connotato di complessità della
elaborazione richiesta non può essere addotta la eventuale
onerosità, la quale pertanto non costituisce per il soggetto interpellato un
valido e legittimo motivo di resistenza, specialmente quando si è in presenza
di una piena disponibilità, da parte del soggetto stesso, degli elementi
richiesti. Ne consegue che anche a prescindere da specifici obblighi tributari
di rilevazione e di registrazione degli elementi stessi, valgono quelli
scaturenti da altre fonti normative settoriali che impongono specifici obblighi
legali di comunicazione (come ad esempio il caso riguardante le compagnie
assicurative per i legali e gli altri intermediari intervenuti nella
liquidazione dei sinistri, ai sensi e per gli effetti del citato provvedimento
ISVAP n. 2179 del 2003).

Dalla rivisitata area di
operatività del potere in questione sono inoltre da escludere le richieste in
ordine alle quali è prevista una specifica procedura di autorizzazione a tutela
del contribuente come già accennato in precedenza, con riferimento alle
richieste, ora soltanto nominative, rivolte a determinati intermediari
finanziari, in merito alle quali valgono le specifiche istruzioni, non solo di
carattere procedimentale, fornite al paragrafo 4.2 del
Capitolo Quarto.

Sempre con riguardo
all’estensione dell’oggetto delle richieste si chiarisce ulteriormente che, in
relazione ai soggetti indicati nominativamente – secondo una prima regola
generale di approccio alla presente metodologia istruttoria -, gli elementi
richiesti presentano necessariamente una maggiore specificità, rispetto alle
richieste per categoria, in quanto finalizzati al riscontro di una situazione
già esaminata dall’ufficio e rivelatasi meritevole di ulteriore approfondimento
sulla base dei rapporti intercorrenti con il soggetto terzo.

Pertanto i dati e le notizie
richiesti in tale contesto possono assumere una latitudine più o meno ampia in
funzione delle particolari esigenze che l’analisi del caso concreto ha
evidenziato all’organo procedente.

A differenza delle richieste
formulate con riferimento ai singoli soggetti, quelle tendenti, per particolari
esigenze di indagini, a un’acquisizione generalizzata per categorie di dati e
notizie presentano caratteristiche idonee a esprimere un raggruppamento di
natura soggettiva o reale, a seconda che abbiano riguardo a posizioni
soggettive, ancorché non singolarmente individuate, ovvero a elementi oggettivi
di cui il soggetto terzo sia in possesso in relazione alla propria attività
istituzionale. Siffatte richieste sono ovviamente in funzione degli specifici
obiettivi perseguiti dai vari organi procedenti soprattutto per l’osservazione
e il monitoraggio di un fenomeno nel suo complesso.

La finalità di una
acquisizione generalizzata è chiaramente espressa dal testuale
riferimento della disposizione in commento al termine "categorie", la
cui nozione, tuttavia, in mancanza di qualsiasi aggettivazione legislativa,
come pure di qualsivoglia qualificazione tecnica, irreperibile, se non
occasionalmente, tanto in ambito dottrinale che giurisprudenziale, necessita di
opportuni supporti identificativi, al fine di scongiurare l’opponibilità di
pretesi eccessi di potere da parte dei soggetti richiesti ed, eventualmente, a
opera degli stessi contribuenti una volta raggiunti dall’ azione accertatrice.

Avuto riguardo alle particolari
attività istruttorie cui la disposizione è finalizzata, si ritiene anzitutto di
non poter escludere, in linea di massima, uno specifico riferimento a una delle
categorie o attività economiche elaborate e classificate in sede statistica,
atteso che ognuna di esse può costituire per l’organo
procedente, quanto meno, un opportuno ambito preordinato per l’innesco
dell’azione istruttoria (si pensi alla categoria professionale altamente
specializzata che intrattiene rapporti per commissioni di grandi opere con enti
pubblici non economici).

Una volta precisato che le
richieste degli organi procedenti possono fare riferimento a situazioni
collettive senza alcuna specificazione nominativa, occorre individuare il
criterio unificante di tale entità o "categoria", riscontrabile, sia
sotto il profilo soggettivo che oggettivo, nell’appartenenza a una determinata
tipologia, specie, livello di rilevanza, ordine di sistemazione, anche
temporale, degli elementi richiesti. Tali criteri di raggruppamento e di
ordinazione degli elementi non sono necessariamente coincidenti presso il
soggetto richiedente e quello richiesto, in quanto ciascuno di essi opera secondo diversi indici di convenienza e di
funzionalità. Ciò impone che il soggetto richiedente, pur nella sua libertà di
aggregazione investigativa, come innanzi delimitata, non possa
prescindere da una determinazione ragionevole della categoria utilizzata.

Con riguardo alla sola categoria
legislativamente individuata, quale quella degli "assicurati del ramo
vita", la disposizione in commento, oltre che ad accreditare un possibile
modello di categoria alla stregua di quanto avanti precisato, stabilisce, sia pure
in senso limitativo, il contenuto della richiesta nei "dati e notizie
attinenti esclusivamente alla durata del contratto di assicurazione,
all’ammontare del premio ed all’individuazione del soggetto tenuto a
corrisponderlo".

Una siffatta precisazione induce
a ritenere che i suddetti elementi contrattuali (ammontare, durata,
titolarità), quale oggetto minimale legalmente previsto, possono essere
richiesti a ogni altro soggetto terzo, che eventualmente ne disponga, sempre
che siano riferibili a una categoria come innanzi delimitata.

Con i suesposti limiti, il numero
e la qualità dei dati e delle notizie che possono essere richiesti non
incontrano particolari preclusioni se non quelle derivanti sia
dalla obiettiva e irreversibile capacità di risposta del soggetto richiesto
che, ovviamente, dal superamento dei compiti istituzionali dell’Amministrazione
in funzione della indispensabilità e necessarietà dei dati per l’esercizio
dell’attività di controllo e di accertamento tributario, considerato il "rilevante
interesse pubblico" sotteso a tale attività, idoneo a escludere i vincoli
connessi alla riservatezza dei dati personali, siano essi sensibili o meno
(artt. 18, 19, 20 e 66 del D.Lgs. n. 196 del 2003).

In altri termini, sotto
quest’ultimo profilo l’amministrazione finanziaria, al pari delle altre
amministrazioni pubbliche, può procedere all’acquisizione, organizzazione,
archiviazione, cognizione, elaborazione e utilizzo di dati personali qualora le
operazioni stesse siano finalizzate al perseguimento di scopi di pubblico
interesse, obiettivo fondamentale e limite stesso all’azione amministrativa
diretta allo svolgimento delle funzioni istituzionali (cosiddetto "vincolo
di scopo").

Ciò posto, nello sforzo
ricostruttivo dell’ambito dei poteri di cui al numero 5) in commento,
improntati volutamente, oltre che letteralmente, a una sostanziale genericità,
è innegabile che la logica generale sottesa alla complessiva azione
collaborativa del terzo tenda a privilegiare – come anche quella cui è
informata la disciplina dell’Anagrafe – richieste mirate a ottenere elementi
soggettivi od oggettivi opportunamente definiti.

Occorre tuttavia rilevare che,
nonostante la nozione di "categoria" tuttora utilizzata
nel citato numero 5), pur derivando storicamente dall’art. 40 del TU n.
645 del lontano 1958, non abbia incontrato un’apprezzabile elaborazione, possa
e debba assumere una portata meno restrittiva di quella che il termine
lessicale consentirebbe di presumere.

E ciò, per la ragione che
l’apparente genericità della disciplina del potere in questione e dei termini
utilizzati rivelano la consapevolezza dello stesso legislatore che il relativo
esercizio, non solo per l’evoluzione dell’ordinamento – che ha
vieppiù incentivato la ricerca esterna di elementi istruttori –, non è
praticabile con modalità costanti ed uniformi e lascia quindi agli organi
procedenti adeguati spazi decisionali nella scelta delle modalità e dei
contenuti delle richieste, soprattutto in considerazione della eterogeneità dei
soggetti terzi richiesti e degli specifici requisiti previsti in relazione
all’attività istituzionale svolta.

7.4. Procedure

Le modalità procedurali relative
all’acquisizione degli elementi informativi che gli organi procedenti sono
legittimati a richiedere ai sensi degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e
51 del D.P.R. n .633 del 1972 consistono ordinariamente nella comunicazione
della richiesta di informazioni ai soggetti terzi, ovvero, in casi particolari,
nella predisposizione di accessi presso gli stessi, volti a rilevare
direttamente i dati e le notizie previsti dalla normativa in esame.

Per quanto riguarda
l’individuazione degli organi legittimati a formulare la richiesta di
informazioni e a eseguire l’eventuale accesso presso i soggetti terzi si fa
rinvio a quanto precisato nell’apposito paragrafo 3.1.5.1,
intestato appunto agli "Organi legittimati a formulare la richiesta".

Relativamente, invece, alle
modalità di comunicazione della richiesta e ai termini per l’adempimento
occorre fare riferimento a quanto previsto, in via generale, dai citati
articoli 32, 2° comma, e 51, 3° comma, come novellati dalla legge.

A questo proposito, si precisa
che nell’esercizio di entrambi i poteri istruttori non è consentito invitare il
soggetto terzo a comparire, in persona del rispettivo rappresentante, per
fornire chiarimenti, dati e notizie dallo stesso posseduti o per produrre i
documenti richiesti. In altri termini, i soggetti terzi sono tenuti unicamente
a trasmettere informazioni in risposta alle richieste,
con o senza il supporto di elementi cartolari.

La richiesta, diversamente da quanto specificato al paragrafo 3.2 con riguardo alla
procedura telematica afferente il potere di cui ai numeri 7) – laddove, in
considerazione dell’ampiezza o della complessità dell’indagine, è consentito
rivolgersi anche "al responsabile della struttura accentrata" –, deve
essere sottoscritta dal titolare dell’Ufficio procedente e indirizzata ai
rappresentanti degli organi, enti e società interessate.

Detta richiesta è predisposta
informalmente, con lettera da notificare secondo le modalità già precisate al
paragrafo 3.1.5.2, relativamente alle richieste avanzate nei confronti degli
intermediari finanziari, ma valevoli, come ivi
precisato, anche per l’attività istruttoria esperita nei confronti dei soggetti
di cui ai numeri 5).

Per quanto riguarda il termine
fissato per l’adempimento da parte di questi ultimi soggetti, la normativa di
riferimento – rimasta invariata sotto tale profilo – prevede un termine minimo
non inferiore a 15 giorni.

Gli stessi organi procedenti
valuteranno, di volta in volta, la possibilità di concedere un termine più
ampio di quello minimo, da correlarsi anche al numero e alla complessità delle
richieste formulate.

Un ulteriore mezzo istruttorio,
alternativo a quello precedentemente illustrato, è costituito, come accennato
in precedenza, dall’accesso immediato presso il soggetto terzo, espressamente
previsto dai citati artt. 33, secondo comma, del
D.P.R. n. 600 del 1973 e 52, ultimo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972.

Nel caso di specie, l’accesso
consiste nel potere di entrare nei luoghi ove vengono
svolte le attività da parte dei soggetti terzi indicati ai numeri 5),
"allo scopo di rilevare direttamente i dati e le notizie ivi
previste", riferibili al soggetto o alla categoria nei cui confronti viene
attivata la richiesta di informazioni.

Alla predetta modalità
istruttoria si applicano le disposizioni contenute nell’art. 52 del decreto in
materia di Iva, richiamato dall’art. 33, primo comma,
del decreto n. 600 del 1973.

Fermo restando, in linea
generale, le istruzioni già impartite dall’Amministrazione circa le modalità di
esecuzione degli accessi, ispezioni e verifiche, le quali, in mancanza della
emanazione del decreto previsto dal sesto comma del citato art. 33, trovano
sostanzialmente applicazione anche per gli accessi presso i terzi, si
forniscono ulteriori chiarimenti volti a evitare dubbi e
difformità applicative.

La facoltà in esame, qualora sia
attivata in alternativa alle richieste di informazioni, può essere esercitata
nei casi di esigenze effettive di indagine e di controllo sul luogo, in
analogia alla disposizione ora contenuta nell’art. 12 dello Statuto dei diritti
del contribuente. Si ritiene, infatti, che la citata disposizione sia
applicabile anche nei confronti dei soggetti che non rivestono la qualifica di
contribuente in senso stretto, in quanto la ratio della norma è volta a
semplificare i rapporti di collaborazione con l’Amministrazione finanziaria
anche da parte di soggetti terzi.

La predetta facoltà, ovviamente,
pur nella autonoma valutazione discrezionale dell’organo procedente, dovrà
essere in particolare esercitata allorquando, a seguito di una precedente
richiesta, il destinatario non vi abbia adempiuto, ovvero quando sussistano fondati sospetti che pongono in dubbio la
completezza e l’esattezza dei dati e delle notizie comunicati. Si ricorda, in
proposito, che tali ultime condizioni sono previste espressamente dalla legge
come presupposto per l’esperibilità dell’accesso autorizzato, nell’ambito delle
indagini creditizie e finanziarie di cui ai numeri 7).

Dell’accesso deve essere redatto
processo verbale dal quale devono risultare le operazioni compiute e le
rilevazioni eseguite, nonché le richieste formulate e le risposte ricevute.

7.5 Sanzioni

Relativamente alla precedente
disciplina sanzionatoria per la specifica materia, la circolare n. 116/E del
1996, sulla base delle disposizioni introdotte dal primo e secondo comma
dell’art. 18 della legge n. 413 del 1991, ebbe a fornire utili indicazioni,
distintamente per le violazioni ricadenti – sia per le imposte sui redditi che
per l’Iva – nell’ambito applicativo dell’art. 52 del DPR n. 600 del 1973 e per
quelle previste dagli artt. 53 dello stesso decreto n. 600 e 47 del D.P.R. n.
633 del 1972, per i rispettivi settori impositivi.

In particolare, il predetto art.
52 si riferiva alle violazioni degli obblighi di comunicazione previsti dai
numeri 7) per banche e poste, nonché alle violazioni da parte di alcuni
soggetti di cui ai numeri 5), e precisamente gli intermediari finanziari,
comprese le fiduciarie, le imprese di assicurazione e le società ed enti
esercenti istituzionalmente riscossione o pagamenti per conto di terzi. Il
successivo art. 53 del D.P.R. n. 600 del 1973 e l’omologo art. 47 del D.P.R. n.
633 del 1972 si riferivano invece alle "Altre violazioni", tra cui
l’omissione delle comunicazioni di dati e notizie, relativi a soggetti indicati
singolarmente o per categorie, richieste alle pubbliche amministrazioni e agli enti
pubblici non economici di cui ai numeri 5), nonché la mancata restituzione dei
questionari di cui ai numeri 7), ovvero la loro restituzione con risposte
incomplete o non veritiere.

Poiché la riforma del sistema
sanzionatorio per le violazioni delle norme tributarie, attuata con i decreti
legislativi del 18 dicembre 1997, nn. 471 e 472, ha integralmente
rivisto anche le sanzioni per le suesposte violazioni, si fa presente che per
quelle commesse dai soggetti indicati nei novellati numeri 5) occorre fare
riferimento alle disposizioni sia dell’art. 10 che dell’art. 11 del primo dei
citati decreti, laddove per le violazioni di cui ai successivi numeri 7) trova
applicazione soltanto il citato art. 10.

Nel mentre per l’operatività
dell’art. 10 si rinvia alla trattazione unitaria contenuta nel precedente
Capitolo Sesto, dedicato appunto alle sanzioni, di seguito si forniscono alcune
precisazioni con riguardo alle violazioni commesse dalle pubbliche
amministrazioni ed enti pubblici non economici disciplinate esclusivamente
dall’art. 11.

Quest’ultimo articolo, dal
contenuto estremamente vario, disciplina residualmente una serie di fattispecie
violatorie, in materia sia di imposte sui redditi che di Iva, tra cui, al comma
primo, le violazioni di obblighi derivanti dall’attività istruttoria degli
uffici.

Come già precisato nel Capitolo
Quarto, paragrafo 4.1, della circolare n. 23/E del 25 gennaio 1999 – alla quale
si rinvia per la parte ancora applicabile – il predetto comma 1 riproduce
sostanzialmente le violazioni già sanzionate dai precitati artt. 53 del D.P.R.
n. 600 e 47 del D.P.R. n. 633 del 1972 e che sono ora punite con la sanzione
amministrativa da euro 258 ad euro 2.065. Si tratta delle seguenti ipotesi di
violazioni di obblighi derivanti dall’attività istruttoria degli uffici:

omissione
di ogni comunicazione richiesta o invio di comunicazioni fornite in modo
incompleto o non veritiero;

mancata
restituzione dei questionari inviati o loro restituzione con dati incompleti o
non veritieri.

CAPITOLO OTTAVO

Modifiche al D.P.R. 29 settembre
1973, n. 605, relative agli adempimenti degli intermediari finanziari

Come anticipato nelle Generalità, il comma 332, lettera b), della legge,
relativamente alle disposizioni concernenti l’Anagrafe tributaria, ha apportato
in generale all’art. 7 del D.P.R. n. 605 del 1973 talune modifiche e al numero
3) della stessa lettera, in modo specifico, ha poi integrato il
sesto comma del medesimo articolo 7 per quanto riguarda gli adempimenti
degli intermediari finanziari – obblighi peraltro già previsti in precedenza -,
precisandone l’ambito soggettivo e ampliandone decisamente quello oggettivo.

Sotto il profilo soggettivo, si
rileva che l’intervento della legge ha inteso meglio identificare gli operatori
finanziari già sostanzialmente contemplati dal previgente testo dello stesso
sesto comma, specificando i seguenti soggetti: banche, poste, intermediari finanziari, imprese di investimento, organismi
di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del risparmio e,
a chiusura dell’elencazione, "ogni altro operatore finanziario".

Sotto il profilo oggettivo,
occorre rilevare che lo stesso sesto comma risulta implementato
poiché la legge ha esteso dal 1° gennaio 2005 l’obbligo di rilevazione e
di evidenziazione dei dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni
soggetto che intrattenga con gli operatori "qualsiasi rapporto o effettui
qualsiasi operazione di natura finanziaria".

Per quanto riguarda lo stretto
ambito operativo, occorre preliminarmente sottolineare che il predetto
ampliamento oggettivo dell’obbligo di rilevazione e di evidenziazione, come
parimenti anticipato nelle Generalità, è stato differito al 1° gennaio 2006 in virtù del comma
14-bis dell’articolo 1 della legge n. 248 del 2005 di conversione del decreto
legge n. 203 del 2005.

Tale ultima legge ha altresì
apportato al citato sesto comma le seguenti ulteriori integrazioni al nuovo
assetto informativo, inserendo:

a)all’ultimo periodo, dopo la
parola "effettui" le seguenti "per conto proprio ovvero per
conto o a nome di terzi";

b)in fine al predetto periodo,
dopo le parole "operazione di natura finanziaria" le seguenti
"ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente
postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro".

In particolare, relativamente all’integrazione
di cui al precedente punto a), si evidenzia che la
locuzione normativa "per conto proprio ovvero per conto o a nome di
terzi" mira a precisare più dettagliatamente l’obbligo di rilevazione ed
evidenziazione da parte degli intermediari finanziari di chiunque esegue
operazioni oltre che di chi accende conti, depositi o altri rapporti
continuativi, attraverso la previsione dei soggetti che possono
"presentarsi" ai fini dell’effettuazione delle citate attività; la
disposizione ha perciò il pregio di prefigurare tutte le ipotesi che in
concreto possono presentarsi.

In sostanza, oltre al titolare
del rapporto ovvero, per così dire, dell’interesse sostanziale della singola
operazione (conto proprio), viene previsto – nel
solco, peraltro, della stessa prassi degli intermediari, attuatasi anche a
seguito delle disposizioni antiriciclaggio (AUI) – che ogni soggetto, diverso
dal titolare dell’operazione, che si presenti "allo sportello" e si
qualifichi nella veste di mandatario (cioè "per conto" del cliente
sostanziale) o in quella più ampia di rappresentante (anche "a nome"
del cliente stesso), venga identificato come tale, anche attraverso
l’indicazione del rispettivo codice fiscale. Ovviamente, in queste due ultime
ipotesi resta fermo l’obbligo di identificazione dello stesso cliente
sostanziale, titolare del rapporto o nel cui interesse l’operazione
è stata effettuata, se già non identificato.

La suddetta impostazione
dell’obbligo di rilevazione comporta – anche e soprattutto in funzione
dell’intervenuto sistema telematico di scambio dei flussi delle richieste e
delle risposte previste dai numeri 7) – un’implementazione in tal senso
dell’attività organizzativa di tutti gli intermediari.

Ovviamente, è appena il caso di
rammentare che quanto ora detto non vale per le operazioni di importo inferiore
ai 1.500 euro, effettuate con bollettini postali, in virtù dell’integrazione
rappresentata al precedente punto b).

Tutto ciò premesso, si precisa
altresì che l’integrazione apportata, con la previsione dell’adempimento
identificativo anche per "qualsiasi rapporto od operazione
finanziaria", si asside su quest’ultima locuzione, attingendone il
significato economico e giuridico da quello diffuso e utilizzato nei settori in
cui i diversi soggetti tradizionalmente si trovano ad operare. Parimenti, per
quanto riguarda le modalità di assolvimento del più esteso obbligo di
identificazione, rispetto al precedente e più ristretto ambito dei
"rapporti di conto o di deposito", non necessitano ulteriori specificazioni,
atteso che valgono al riguardo le stesse procedure di
rilevazione ed evidenziazione sinora realizzate, nell’ambito dell’autonomo
assetto organizzativo dei singoli operatori.

Per i suesposti motivi, non si è
resa necessaria la previsione di un apposito provvedimento attuativo – come per
l’operatività dei flussi telematici di cui ai nuovi commi
terzo e quarto inseriti dal comma 404, rispettivamente negli artt. 32
del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 –
al fine di stabilire modalità ulteriori rispetto a quelle previgenti la legge
stessa; mentre per quanto riguarda il termine di operatività dell’ampliato
obbligo identificativo soccorre da ultimo il citato comma 14-bis, rinviando al
1° gennaio 2006 gli effetti del comma sesto del citato articolo 7, in parallelo con quanto
disposto dal comma 14-ter dello stesso articolo 1 della legge n. 248 del 2005;
comma 14-ter che così dispone: "Per i periodi di imposta antecedenti il 1
gennaio 2006 e relativamente alle richieste di cui all’articolo 32, primo
comma, numero 7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre
1973, n. 600, e successive modificazioni, i soggetti destinatari ivi indicati
utilizzano, ai fini delle risposte relative ai dati, notizie e documenti
riguardanti operazioni non transitate in un conto, le rilevazioni effettuate ai
sensi dell’articolo 2 del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito, con
modificazioni, dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, e dei relativi provvedimenti
di attuazione". Sul punto confronta anche la Premessa al Capitolo II.

Peraltro, sotto il profilo
funzionale, si precisa che la lettera b), numero 4) del comma
332 della legge ha modificato anche il disposto dell’undicesimo comma
del citato articolo 7, laddove testualmente si prevedeva che "Le comunicazioni
di cui ai commi dal primo all’ottavo del presente articolo sono trasmesse
esclusivamente per via telematica", con l’ovvia specificazione che
"Le modalità e i termini nonché le specifiche tecniche del formato dei
dati sono definite con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle
entrate".

Si tratta
infatti di un onere comunicativo che, pur includendo impropriamente e
continuativamente i "commi dal primo all’ottavo" dello stesso
articolo, esso non riguardava assolutamente il sesto comma in questione, atteso
che la "comunicazione" degli elementi ivi contemplati avviene
esclusivamente ai sensi e per gli effetti dei numeri 7) degli artt. 32 del
D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972, cioè a dire in termini
nominativi – fatte salve le ipotesi in cui la richiesta è rivolta alle società
fiduciarie per ottenere anche "…le generalità dei soggetti per conto dei
quali esse hanno detenuto o amministrato o gestito beni,
strumenti …inequivocamente individuati" – e con indefettibile procedura
autorizzatoria.

Tale interpretazione è stato
appunto codificata dalla legge n. 248 del 2005 che, dopo aver disposto
l’esclusione del sesto comma dagli speciali obblighi comunicativi, ha
testualmente precisato che "Le rilevazioni e le evidenziazioni di cui al sesto
comma sono utilizzate ai fini delle richieste e delle risposte in via
telematica di cui all’articolo 32, primo comma, numero
7), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e
successive modificazioni, e all’art. 51, secondo comma, numero 7), del decreto
del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive
modificazioni".

Giova peraltro osservare che,
coerentemente alla suddetta interpretazione legale, il provvedimento
direttoriale del 10 marzo 2005, nel dare attuazione alle disposizioni contenute
nel citato undicesimo comma dell’art. 7 del D.P.R. n. 605 del 1973, nel testo
previgente, per consentire l’esclusività della trasmissione dei dati per via
telematica, ha fatto espresso riferimento ai pregressi decreti e provvedimenti
riguardanti la trasmissione dei dati all’anagrafe tributaria, senza
l’inclusione naturalmente di quelli che gli intermediari finanziari sono tenuti
a rilevare e tenere in evidenza ai sensi del ripetuto sesto comma dello stesso
art. 7. In
sostanza, si tratta della maggior parte degli stessi dati, in disponibilità dei
soggetti terzi, i quali ai sensi dei numeri 5) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600
del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972 possono essere oggetto di richiesta
singolarmente o per categorie.

Nella stessa ottica
interpretativa, estranea rispetto alla operatività dei precitati numeri 7),
resta incardinata l’ulteriore previsione comunicativa per situazioni
collettive, preordinata con specifici contenuti e modalità di carattere settoriale
e straordinario dal successivo dodicesimo comma, la cui previsione peraltro non
risulta incisa dalla legge salvo che per quanto riguarda ora la competenza
all’emissione del provvedimento attribuita al Direttore dell’Agenzia delle
entrate in luogo del "Ministro delle finanze".

Ulteriore implementazione del
sistema dell’Anagrafe tributaria, concernente gli adempimenti degli
intermediari finanziari è stata apportata dal decreto legge del 4 luglio 2006,
n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.

In particolare, al fine di
potenziare gli strumenti prodromici all’attività istruttoria degli uffici
procedenti, oltre ai già previsti obblighi di evidenziazione e di rilevazione, l’art. 37, comma 4, del citato decreto legge n. 223 ha introdotto specifici
adempimenti comunicativi, apportando le seguenti modifiche all’art. 7 del
D.P.R. n. 605 del 1973:

al sesto
comma, prevedendo la comunicazione all’Anagrafe tributaria da parte degli
intermediari finanziari relativa alla "esistenza dei rapporti, nonché la
natura degli stessi". Dette comunicazioni saranno "archiviate in
apposita sezione, con indicazione dei dati anagrafici dei titolari, compreso il
codice fiscale";

all’undicesimo
comma, prevedendo che le predette comunicazioni, al pari delle rilevazioni e
delle evidenziazioni di qualsiasi rapporto od operazione di natura finanziaria,
effettuata per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, sono
utilizzabili ai fini delle richieste e delle risposte in via telematica, nonché
per le attività connesse alla riscossione mediante ruolo. Detti
elementi, inoltre, saranno accessibili, oltre che dai funzionari
dell’amministrazione finanziaria, anche dall’Autorità Giudiziaria, dagli
Ufficiali di Polizia Giudiziaria; dall’Ufficio Italiano Cambi; dal Ministro
dell’Interno; dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica
Sicurezza, dai Questori, dal Direttore della Direzione Investigativa Antimafia
e dal Comandante del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di
Finanza, sulla base dei rispettivi poteri istruttori.

Il successivo
comma 5 dello stesso art. 37 del D.L. n. 223 del 2006 – nel rinviare ad
un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare
ai sensi dello stesso art. 7, undicesimo comma, del
D.P.R. n. 605 del 1973 la determinazione delle specifiche tecniche e dei
termini per le predette comunicazioni – puntualizza che l’obbligo di
comunicazione telematica riguarda tutti i rapporti ancora in essere al 1°
gennaio 2005, non rilevando la circostanza che successivamente a tale data essi
siano cessati; per converso l’obbligo non è configurabile in relazione ai soggetti
con i quali il rapporto sia cessato prima del 1° gennaio 2005 (cfr. circolare n. 28/E del 2006, paragrafo 47).

Le descritte modifiche si
prefiggono anzitutto, in un’ottica di semplificazione dell’approccio
istruttorio con i contribuenti che intrattengono continuativamente rapporti con
gli intermediari finanziari, la formazione di una banca dati aggiornata in
un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, alimentata dalle comunicazioni in
via telematica di elenchi, completi di codice fiscale, dei soggetti con i quali
gli intermediari intrattengono i rapporti stessi, con la specificazione della
natura di questi ultimi. E ciò, per la ragione che la nuova strumentazione è
rivolta a una attività di selezione preventiva al fine
di dimensionare più precisamente le indagini e, quindi, di consentire – anche
in funzione del rispetto della privacy dei contribuenti – agli uffici
procedenti, almeno tendenzialmente, di coinvolgere solo gli intermediari che
hanno intrattenuto rapporti con i contribuenti medesimi.

L’interpretazione
letterale del comma 4 dell’art. 37 in commento esclude pertanto dall’obbligo di
comunicazione tutte le operazioni extra-conto ("non contenute" cioè
in un rapporto), fermo restando che per queste ultime operazioni gli
intermediari hanno l’obbligo, dal 1° gennaio 2006, di rilevarle e tenerle in
evidenza con le generalità dei soggetti che le pongono in essere, al fine
dell’attuazione della procedura telematica delle richieste e delle risposte
nell’ambito delle indagini finanziarie.

Naturalmente, gli uffici,
indipendentemente dalla entrata in funzione della nuova anagrafe dei rapporti e
del suo contenuto, potranno formulare – in caso di necessità istruttoria e
sulla base dei numeri 7) degli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del
D.P.R. n. 633 del 1972 – richieste aventi per oggetto:

qualsiasi
rapporto anche cessato prima del 1° gennaio 2005;

qualsiasi
operazione contenuta in un conto;

qualsiasi
operazione extra-conto effettuata prima del 31 dicembre 2005, il cui ammontare
sia superiore ai 12.500 euro;

qualsiasi
operazione extra-conto di qualsiasi ammontare effettuata dal 1° gennaio 2006.